D’Annunzio e la moda

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D’Annunzio e la moda

Il giornalismo di costume

Quando, appena diciannovenne, Gabriele D’Annunzio si trasferisce a Roma per immergersi nel vorticoso clima della capitale umbertina, si dedica a un’incessante attività di reporter di costume sui periodici e i quotidiani più in vista della città eterna, dimostrando una competenza tecnica e stilistica non comune per un giovinetto di provincia, seppur di genio. Infatti, nelle rubriche create appositamente per le pagine de “La Tribuna” o del “Capitan Fracassa”, o ancora per il “Fanfulla della Domenica” o la “Cronaca Bizantina”, il giovane giornalista che ha coniato pseudonimi evocativi del bel mondo cui aspira ad appartenere quali VER DA VERE, HAPPEMOUCHE, LILA BISCUIT, IL DUCA MINIMO, mostra già di sapersela cavare tra narcisismo esteriore, estetismo come religione di vita e pratica della costruzione di una mitografia personale, cifre distintive della sua esistenza futura. La dovizia di particolari con   cui si diffonde nella descrizione di un abito per signora o la sicurezza che dimostra quando impartisce consigli su acconciature alla moda o abbigliamento à la page testimoniano non solo la volontà di contrastare la mediocrità della vita quotidiana, ma la ferma convinzione che l’arte sia una merce le cui regole l’artista debba saper conoscere e usare. D’Annunzio, quindi, sin da subito dimostra di esser consapevole  che la moda è tra i linguaggi più innovativi della modernità e per questo si propone come un novello Petronio, come l’arbiter elegantiarum che il bel mondo,  prima romano e poi italiano, sarà ansioso di assecondare e seguire per essere all’ultima moda.
In questo modo l’intellettuale si proporrà all’alta società dell’epoca come colui il quale si offre completamente, nella finzione letteraria come nella vita privata, alle attenzioni del pubblico, unico, solo e insindacabile giudice della fama cui ogni artista aspira. Ecco perché le tecniche di promozione (nel caso di D’Annunzio, di vera e propria autopromozione) dell’attività intellettuale, culturale o artistica saranno sempre più perfezionate, per garantirsi un amplissimo seguito di potenziali estimatori.

Il personaggio di Andrea Sperelli

In D’Annunzio questa commistione di arte-vita o di vita-arte avrà un corollario inevitabile nel suo più grande personaggio umbertino: quell’Andrea Sperelli de Il Piacere che da tutti gli studiosi è definito il prototipo, insieme con il Dorian Gray del celebre portrait wildeiano e con il Des Esseintes di Huysmans, del dandy trasgressore. Proprio Il Piacere si delinea pertanto come il campo di applicazione di quell’esperienza giovanile romana e la vita inimitabile che conduce il personaggio di Andrea Sperelli è, in questo senso, la naturale aspirazione di questo dandy particulier: l’avvenuta osmosi tra vita e forma.
Infatti, questo gentiluomo che vive a Roma – in Piazza di Spagna, nel palazzo  Zuccari
– dove frequenta il bel mondo, le feste galanti e le corse ai cavalli, ha votato la propria vita alla bellezza, alla cultura raffinata, alla dissipazione erotica, nella costante ricerca del piacere (da cui il titolo del romanzo) avendo come unico scopo di soddisfare la massima fondamentale lasciatagli in eredità dal padre: fare la propria  vita come si fa un’opera d’arte. Bisogna che la vita d’un uomo d’intelletto sia opera di lui. La superiorità vera è tutta qui (G. D’Annunzio, Il piacere, Milano,1889, I,1)1.
Ma l'educazione paterna che presuppone uno spirito forte, diventa immorale e dannosa per chi, come Andrea, è facile preda degli istinti: e, infatti, Andrea riesce solo a sviluppare una sensibilità eccezionale che lo rende incline alla bellezza e al godimento dei sensi, a scapito della forza morale. Dunque, l'arte e la bellezza danno al conte Sperelli solo un appagamento dei sensi che egli non riesce a dominare con

l'intelletto e la volontà. Questo atteggiamento estetico diventa per lui una sorta di velleitario imperativo morale e il dandy stesso, rappresentando una sorta di doppio dello scrittore che vi riversa non solo le sue passioni ma anche le sue aspirazioni e le sue insoddisfazioni, si vede sempre alla continua ricerca della vita inimitabile, fatta appunto di amori eleganti, duelli e lusso sfrenato, con la speranza  di poter carpire la bellezza eterna.




La struttura del romanzo consiste di trenta capitoli ripartiti in quattro libri. L’impianto narrativo che ruota attorno alle vicende erotico-sentimentali del conte Sperelli combattuto tra il desiderio di Elena e l’affettuosa intimità di Maria, non si attiene all’ordine cronologico degli avvenimenti narrati, ma procede per blocchi discontinui, flashback e frammenti, anche all’interno dei singoli episodi, che mescolano passato e presente.

 

 

Capire D’Annunzio attraverso i suoi abiti

D'Annunzio si definirà, in una lettera all'editore milanese Treves, un “animale di lusso” e affermerà: “L'educazione estetica del mio spirito mi trascina irresistibilmente al desiderio e all'acquisto di cose belle”2, tra cui ovviamente anche abiti d'alta moda. Si può avere un'idea del suo costosissimo guardaroba facendo una semplice visita guidata alla casa-mausoleo del Vittoriale a Gardone Riviera, dove si conservano giacche di varie fogge e stili: dal doppiopetto, al gessato, allo smoking sino ad arrivare alle eleganti divise da ufficiale dei reparti cui il Vate appartenne (Cavalleria, Arditi e Lancieri).
Sono abiti di pregevole fattura e di grande manifattura italiana e straniera; le commesse venivano ordinate da D'Annunzio presso le più importanti sartorie dell'epoca: i Lanutti di Roma, i Belloni di Milano, i De Nicola di Napoli, fino ad arrivare al famoso atelier parigino di Hermès. Tutti confezionano per lui abiti (prevalentemente di lana e seta) completi di camicie, cravatte, calze e scarpe (per cui nutre una vera passione, tanto da scegliere personalmente i pellami pregiati per realizzarle). Tuttavia, D’Annunzio non si limita a collezionare capi d'abbigliamento alla moda, ma si dedica anche ad accumulare, in maniera quasi compulsiva, oggetti d'arredamento e suppellettili varie, come si può ancora vedere sempre al Vittoriale. E questa smania,  o dovremmo dire ossessione, per l'acquisto di oggetti preziosi ma convenzionali, indica però una volontà di omologazione all'elegante aristocrazia romana che denota un certo provincialismo snob cui il poeta spesso si lascia andare. Infatti, se è vero che D'Annunzio ama stupire e trasgredire, quando pensa a come confezionare il suo personaggio ineguagliabile non si discosta mai dal conformismo dell'eleganza dominante. Per questo motivo non può ritenersi un dandy tout court, alla Baudelaire per intenderci, perché non cerca la differenza che lo ponga dalla parte opposta dell'élite costituita; D'Annunzio aspira a essere riconosciuto e in qualche modo a porsi alla testa di quella élite, attraverso l'aperto apprezzamento e l'acuto percorso di interpretazione e indirizzo dei segni del tempo, i suoi ideali sono gli stessi di coloro che aspirano ad avere il potere, a gestirlo e ad associarlo, anche tramite un abito, all'arte e al moderno culto dell’immagine.



2    V. Terraroli, Arte e moda nell'età dannunziana, Milano, 1995.

 

Fonte: http://www.treccani.it/export/sites/default/scuola/lezioni/lingua_e_letteratura/D_ANNUNZIO_MODA_lezione.pdf

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Autore del testo: http://www.treccani.it/

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