Moda e design

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Moda e design

Moda e design: quale rapporto?

 

di Paola Bertola
Docente incaricato presso il Corso di laurea in Disegno Industriale per la Moda; Facoltà del Design, Politecnico  di Milano

Sempre più spesso il binomio “moda e design” viene richiamato quale simbolo dell’italianità nel mondo, a connotare un universo di prodotti che rappresentano nel loro complesso il made in Italy. Tuttavia, per chi opera nell’uno o nell’altro settore, è difficile pensare a questi due mondi come parte di un unico panorama produttivo e soprattutto “culturale”. È, tuttavia, proprio sul piano delle radici culturali che moda e design sono assai simili, almeno da tre punti di vista: la “cultura d’uso”, la “cultura imprenditoriale” e la “cultura produttiva”. Queste comuni radici trovano conferma nel recente avvicinamento di questi due mondi che, sempre più spesso, trovano spazi comuni di sviluppo ma anche di comunicazione e promozione. Infatti, la tradizionale reciproca indifferenza si sta oggi sgretolando, non senza resistenze, di fronte agli innegabili vantaggi che le sinergie tra design e moda possono portare sul piano dell’immagine, ma soprattutto della produzione e dello sviluppo del sistema nazionale nel suo complesso.

 

La cultura del quotidiano

Alla base del successo del prodotto moda made in Italy, è innanzitutto una peculiare “cultura di consumo”, che rappresenta un primo elemento di similitudine con l’universo dei prodotti di design in genere.
Nella contesto sociale italiano la “cultura dell’abitare” rappresenta infatti un valore primario,  realizzato  attraverso la ricerca di qualità nel quotidiano, vissuto negli spazi di relazione della famiglia o del gruppo sociale, spesso ristretto alla comunità locale. Arredi, accessori, tessuti, abiti, persino i prodotti della  tradizione  alimentare, divengono i medium di questa cultura. Lo spazio confinato, prima della casa e poi del lavoro e del tempo libero, è il teatro di sperimentazione del design perché rappresenta l’espressione primaria di un modo di vivere e dei valori ad esso legati.
A ciò si aggiunge una costante volontà di recupero e memoria delle proprie radici storiche.
Questo aspetto ha interessato antropologi e sociologi non solo del nostro paese1. Infatti, la presenza stratificata delle tracce del passato, certamente più importante che in altri contesti, ha consolidato la volontà di rimanervi in un certo senso radicati. La continua capacità di rinnovamento all’interno di tipologie di prodotti “maturi”, come l’arredo, gli oggetti per la casa, l’abbigliamento, gli accessori, persino le tradizioni alimentari e i prodotti tipici, rappresenta un segnale di questa attitudine alla valorizzazione del passato.
La cultura imprenditoriale

Per chi opera nel campo del design è assai comune l’idea che le capacità progettuali si coniughino a capacità manageriali e soprattutto a iniziative imprenditoriali. I progettisti imprenditori che hanno dato vita a storiche aziende del design sono noti a tutti2: la storia milanese più recente è ricca di vicende di imprese cresciute grazie alla collaborazione tenace e creativa di imprenditori “illuminati” e designer che congiuntamente hanno  contribuito a creare prodotti che oggi sono noti in tutto il mondo. Quando si parla di moda è invece assai meno comune pensare a questo stesso carattere di forte relazione tra design e industria, tra progetto e gestione. I nomi degli “stilisti”, divenuti brand delle linee di prodotto sono considerati simbolo di creatività ed estro in senso artistico, offuscando invece la capacità fondamentale, espressa dai fashion designer italiani, di integrarsi e costruire relazioni indissolubili con la realtà produttiva.
Se si legge, infatti, la realtà del Sistema Moda da un diverso punto di vista emerge una storia di imperi costruiti grazie alla collaborazione e al lavoro comune di due anime dell’impresa, creatività e management, spesso sovrapposti con condivisione di ruoli e di funzioni3. Giorgio Armani e Sergio Galeotti, Valentino Garavani e Giancarlo Giammetti, Ottavio e Rosita Missoni, Mariuccia Mandelli e Sergio Pinto, Alberta e Massimo Ferretti,


Gianfranco Ferrè e Franco Dei Mattioli, Gianni e Santo Versace, Tom Ford e Domenico De Sole, sono  espressione di un Sistema che su queste due anime ha costruito la propria forza.
Progetto e management sono anche alla base del successo di imprese che, discostandosi dal prête-à-porter di alta gamma, hanno dato vita ad iniziative nuove come Fiorucci, Benetton, Diesel, aprendo la strada ad un sistema di imprese medio piccole che si sono affermate sui mercati internazionali.

 

La cultura produttiva locale

Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 il prête-à-porter italiano conquista la leadership a livello  mondiale a danno della haute couture francese e ben presto Parigi, incontrastata capitale della moda dalla fine dell’Ottocento si vede sottrarre il suo primato da Milano4.
Il settore della moda, nato, soprattutto in Francia, come espressione artistica di grandi sarti attraverso tecniche produttive artigianali diviene in Italia settore pienamente industriale, come già era avvenuto negli Stati Uniti   negli anni ’50, pur caratterizzandosi in modo diverso.
Negli anni ’60, ’70, i cambiamenti in atto nel contesto sociale e la critica verso prodotti espressione di status, sfarzo, ostentazione, portano i consumatori a preferire abiti più accessibili e contemporanei. In questo stesso periodo i produttori tessili italiani, già affermatisi a partire dagli anni Cinquanta grazie al successo  della  maglieria italiana che aveva il suo centro a Firenze e dell’alta moda italiana allora localizzata a Roma5, iniziano   la collaborazione con alcuni giovani designer tra cui Armani e Versace.
Spinto dalla grande forza propulsiva di queste prime esperienze, si sviluppa un contesto produttivo ricchissimo, che dà vita a numerose nuove imprese. La moda si caratterizza da subito in ambito nazionale per essere frutto di un complesso sistema di attività, processi, prodotti intermedi e complementari. Il “Sistema Moda” italiano crea insieme abiti, tessuti, accessori, componenti, un proprio modo di comunicare, di allestire gli eventi, di caratterizzare gli spazi di vendita e di relazione con il mercato, e insieme a ciò fa crescere nuovi professionisti e nuove attività.
Infatti, in molti settori italiani, pur non essendo totalmente assente la disseminazione dei processi produttivi a livello globale, tale fenomeno rimane comunque limitato. Il ricorso a risorse territoriali rimane molto importante perché la prossimità e la partecipazione alle dinamiche di circolazione di conoscenza rappresenta una ricchezza unica a supporto dei processi di innovazione. Nel campo della moda il ricorso a risorse soprannazionali è molto importante per quel che riguarda le fibre, mentre gran parte delle lavorazioni e delle confezioni vengono ancora svolte in territorio italiano. Numerosissimi sono infatti i distretti industriali che si sono sviluppati e operano oggi lungo tutta la filiera del processo produttivo: pelletteria, tessuti, maglieria, bottoni, matalleria e componenti, calzature, calzetteria e intimo, confezioni, imballaggi, macchine utensili e lavorazioni.

 

Due mondi “culturalmente” distanti?

Le numerose similitudini riscontrate, dalla cultura del consumo, alla tradizione manageriale e produttiva, non spiegano la distanza che il mondo della moda e il mondo del design hanno mantenuto, almeno sino a qualche  anno fa. I motivi di questa indifferenza reciproca non sono semplici da spiegare. Tuttavia un notevole peso deve aver avuto la quasi totale estraneità delle “comunità professionali” che operavano nei due settori. Da un lato il mondo del design, per il quale la cultura di riferimento era principalmente quella progettuale, formatasi nelle scuole di architettura e alimentata a partire dagli anni ’50 dal crescente dibattito diffuso dalle tante riviste  di settore, soprattutto milanesi.
Un clima culturale molto vivace che trovava nelle Triennali, nei salotti degli imprenditori lombardi, più tardi  nelle fiere, momenti di dibattito e scambio, che raramente coincidevano con il calendario della  moda.
Dall’altra parte i professionisti della moda che derivavano la propria formazione dall’apprendimento sul campo, tradizionalmente negli atelier dei grandi sarti. Per questo motivo, anche coloro che provenivano dalle scuole  d’arte o di architettura, entravano a far parte di una comunità professionale distante da quella del  design.


Questo racconto al passato di distanze culturali e “diversità di calendari” pare oggi essere in parte superato. I motivi di questo riavvicinamento sono innanzitutto da ricercare nel grande impatto “culturale” che moda italiana   e design insieme hanno avuto: oggetti di design ma anche abiti italiani sono stati esposti nei musei di tutto il mondo e riconosciuti come parte di una cultura unitaria. Il made in Italy come marchio di qualità intersettoriale è stato un forte elemento di aggregazione che ha trovato luoghi simbolici di comunicazione e di scambio. Milano è la città palcoscenico per entrambe: negli anni, il Quadrilatero della moda è divenuto anche il quadrilatero del design, i calendari degli eventi si sovrappongono e si integrano sempre più spesso e la settimana della moda così come il Salone del Mobile sono momenti di scambio e promozione per entrambi i settori.
Questo si spiega anche grazie ad un riavvicinamento dei profili formativi nelle scuole di design di tutto il mondo, che hanno oggi offerte nei principali ambiti del progetto, dai prodotti d’arredo, alla comunicazione, ai prodotti di moda, ponendo le basi per la creazione di una comunità professionale più consapevole e integrata.
In tutto ciò non va dimenticato un ultimo aspetto che rende importanti le sinergie tra i due settori e che è rappresentato dall’indotto professionale che entrambi alimentano. Studi fotografici, agenzie di pubblicità e pubbliche relazioni, studi tecnici e di modellazione, imprese grafiche e tipografiche, sono solo alcune delle  attività che forniscono prodotti e servizi alle imprese del design e della moda e che concorrono a supportarne il successo internazionale.
Viene da pensare che la distanza che ancora, talvolta, si percepisce, sia più che altro una distanza voluta, una  sorta di percepita “diversità” culturale. Tuttavia proprio sul piano della cultura d’uso, imprenditoriale,   produttiva
– i punti di contatto tra moda e design sono innegabili e, soprattutto, i vantaggi potenziali dell’operare in sinergia appaiono notevoli. Far fronte comune sul piano della competitività internazionale, mantenendo saldi i valori di ricerca della qualità e dell’innovazione, pare oggi un imperativo capace di far superare le ultime resistenze di “casta”.

 

Note

  1. Cfr. Parks T., Italian neighbours, or, a lapsed Anglo-Saxon in Verona, Grove Weidenfeld, New York, 1992.
  2. La storia del design italiano è costellata di figure di designer fondatori di imprese: Ernesto Gismondi di Artemide, i fratelli Baleri e Carlo Forcolini di Alias, Joe Colombo di Fontana Arte, in un processo che non si è arrestato neppure in tempi più recenti, con esperienze come quella di Makio Hasuike con di MH Way, non a caso un marchio ai confini tra moda e design, che produce borse e accessori da lavoro.
  3. Cfr. Testa S., Saviolo S., Le imprese del sistema moda. Il management al servizio della creatività, Etas, Milano, 2000.
  4. La prima maison di alta moda parigina viene datata alla metà del 1860, aperta da Charles Frederick Worth, sarto di fiducia della principessa Eugenia. Per una prospettiva storica si veda in particolare J., Anderson Black e M., Garland, A History of Fashion, William Morrow & Co., New York, 1975; François Leon Louis Boucher, 20,000 Years of Fashion: The History of Costume and Personal Adornment, Harry N Abrams, New York 1987; John Peacock, Christian La Croix, Twentieth-Century Fashion: The Complete Sourcebook, Thames&Hudson, New York, 1993.
  5. A Roma erano allora attivi Simonetta Fabiani, Valentino, Pucci, Ferragamo.

 

Fonte: http://www.mi.camcom.it/upload/file/339/169527/FILENAME/Bertola.pdf

Sito web da visitare: http://www.mi.camcom.it/

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