Il Costume, la Moda, la Salute

Il Costume, la Moda, la Salute

 

 

 

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Il Costume, la Moda, la Salute


IL costume inteso come modo consueto di pensare e di comportarsi, contratto per educazione o dal patrimonio della tradizione è indicativo della personalità dell’individuo e della collettività, dei suoi principi e della sua morale. Indica l’abitudine, la consuetudine, un complesso di usanze, di atteggiamenti dominanti, caratteristici di un popolo, di un paese, di una località in un determinato periodo storico. Come pure la foggia nel vestire di particolari luoghi, in certi tempi ed in certi ambienti, connessa a particolari significati tradizionali o popolari (storici, artistici, musicali, teatrali). La storia del costume ci svela i diversi elementi dell’evoluzione dell’umanità dall’inizio ai nostri giorni. Ma la principale testimonianza del cambiamento dei costumi è visibile nell’abbigliamento, con cui l’essere umano ha rappresentato se stesso nella società e si è caratterizzato anche come classe sociale di appartenenza, rappresentando i suoi bisogni e desideri nelle varie dimensione e fattezze del vestire e dell’apparire. Sono nate così le mode, che influenzate dal passato e dal desiderio di futuro, dalle leggende e dal folclore, identificano le caratteristiche peculiari e dei cambiamenti di stile di ciascun periodo storico, nelle diverse culture. Man mano la consapevolezza del valore del corpo rappresentato nell’eleganza ha acceso la fantasia e sviluppato la creatività nella foggia degli abiti e degli ornamenti. La moda, tra pudore e seduzione, tra desiderio di coprire il corpo e quello di mostrarlo, ha trovato nella bellezza l’elemento essenziale di coesione tra le diverse istanze dell’espressività corporea in ciascun contesto sociale e periodo  storico.
In realtà costumi e mode esprimono il profumo culturale di un'era, di un secolo, di un periodo, e si esprimono nelle più varie manifestazioni dell'esistere, dalla scienza, alla salute, alle arti, alla letteratura, alle diverse professionalità ed ai comportamenti. Anche la parola moda, come il costume, indica uno o più comportamenti generali e collettivi secondo criteri che cambiano nei vari periodi della storia. Deriva Latino modus, cioè maniera, regola, melodia, ritmo; parola in cui è già implicita l’eleganza ed il tempo ed è spesso correlata al modo di vestirsi; allo stile di vita, a sua volta collegato alla Salute psicofisica. In particolare l'abbigliamento esprime le tendenze individuali e sociali nella fantasia di stoffe e colori, nello sbizzarrirsi dei modelli, o alle volte nell'ostentazione della ricchezza, del potere, della stravaganza, relativi allo status sociale di riferimento. Oggi più di ieri, al di là di tradizione e praticità, l’abbigliarsi rappresenta uno stile di vita e di pensiero, un modo di porsi nel mondo nel lavoro e nella vita che si personifica nella rappresentazione esteriore della propria corporeità femminile e maschile. Fino al settecento, l'abbigliamento alla moda era per lo più relativo alle classi abbienti, che tenevano all’immagine esteriore, per il costo dei tessuti ed era addirittura elencato tra i beni in eredità. I ceti più poveri avevano abiti semplici, e poco colorati, grigi o neri, con scarpe di tessuto o di legno, perché stoffe e colori costavano molto; oppure si accontentavano di abiti dimessi dai ricchi. E’ solo nel 1645 con il libro dell’abate Lampugnani “del vestire alla moda” che si inizia a definire questo termine, che in realtà nasce sia dalla necessità di coprirsi e proteggersi dalle intemperie, ma anche dalle diverse funzioni sociali che man mano distinguono le varie classi sociali da un lato e le varie mansioni dall’altro, come la nobiltà, la borghesia, il popolo; o i sacerdoti, i militari, gli amministratori. Le donne, che erano escluse, da questo processo di crescita, si inventavano modi personali di curare l’abbigliamento, tra cui la maschera, che poteva nascondere o mostrare i lati della persona secondo quanto desiderato o deciso. Da cui il proverbio"l'abito non fa il monaco".


In altro manuale del 1585 “del buon sarto” di Garzoni si evidenzia la figura del sarto che viveva e lavorava a corte per i signori con retribuzione del 10% sul  costo dei tessuti, composti da seta e lana, cominciando a creare abiti che modellavano il corpo e che erano unici, in quanto le taglie ancora non esistevano; e limitando la professione agli uomini, mentre le donne potevano solo ricamare al telaio. Ma ci  sono sempre le eccezioni che confermano la regola, così sappiamo che artisti come Giotto ed il Pollaiolo, furono creatori di eleganti modelli, così come la famosa sarta Bertin della regina Maria Antonietta di Francia, anche se non poteva comprare direttamente i tessuti, mansione riservata ai maschi. Ma infine dopo la rivoluzione francese regole e restrizioni furono abolite, così come la differenza tra  l’abbigliamento dell’aristocrazia e quello della borghesia, così che sarti e persone poterono esprimersi con maggior creatività. Così a gli inizi dell’ottocento nascono i primi stilisti con nuove stoffe e nuovi tagli ed alla fine del secolo con l’inglese Redfern anche nuovo modo di abbigliarsi per le donne con il tailleur. Si crea così  man mano, in special modo con un altro inglese Worth 1984, sarto della Haute Coulture dell’imperatrice Eugenia, una nuova dipendenza, che dal sarto porta allo stilista ed al suo atelier, di cui le donne in particolare si servono, contente di indossare abiti firmati. Con la rivoluzione industriale alla fine dell’ottocento in Inghilterra si costruirono nuove macchine per la tessitura, il cucito, il taglio, la stampa delle decorazioni e dei colori, la nuova chimica e l’acciaio, che determinarono maggior rapidità e riduzione dei costi nella produzione dell’abbigliamento e la nascita dei grandi magazzini. La romantica crinolina riservata all’aristocrazia si diffonde anche tra il popolo. Ma al di là del progresso, è interessante notare come anche il modo di abbigliarsi, sin dal periodo dei romani, è stato regolamentato da leggi, che obbligavano a restrizioni secondo il gruppo sociale di appartenenza, note come “leggi suntuarie”. Comunque già nel 215 a.C. la Lex Oppia limitava la ricchezza degli abiti femminili ed i vari imperatori, da Giulio Cesare in poi, intervennero per limitare anche il prezzo dei vestiti; a ciò si aggiunsero con il Cristianesimo prediche di  monaci e preti contro abbigliamenti sfarzosi ed audaci. In Italia nel duecento le prime leggi suntuarie colpivano addirittura acconciature, decorazioni, gioielli e pellicce multando i colpevoli o negando l'assoluzione in chiesa. Inoltre dopo il 1500 queste leggi, variando secondo le città, in durezza o permissività divennero più puntuali e dettagliate colpendo in maggior misura le classi medio-popolari e la servitù, a volte anche  entrando  nelle  case  o  raccogliere  denuncie  e  premiando  il     denunciante;


chiudendo, come sempre un occhio sul lusso delle corti e dei signori; ma non sulle donne, bersaglio preferito del legislatore, che protestavano, o si adattavano nascondendo in pubblico strascico ed ornamenti; mentre le prostitute dovevano portare abiti con segni distintivi; così come gli ebrei obbligati al cappello a punta. Man mano queste leggi furono sempre più contestate finché verso fine settecento nel 1789 in Francia, poco prima della rivoluzioe, quando i borghesi si presentarono all'apertura degli Stati generali in abito nero e cravatta bianca, indumenti imposti per umiliarli nel confronto con l'aristocrazia vestita con lusso,  il  contrasto  provocò invece l'effetto opposto, facendo considerare gli abiti dei borghesi simbolo di  moralità e di nuovi ideali; ed in seguito dopo la rivoluzione il primo provvedimento dell'Assemblea generale, fu quello di abolire nel vestiario ogni differenza di classe. Con i primi giornali nel Seicento, la moda si diffonde in modo lento, accelerando in seguito il suo sviluppo, mostrando attraverso i contatti per viaggi, matrimoni,guerre, ecc. i modi per conoscere nuovi modelli; così come, ad esempio, l’Impero romano introdusse in Italia braghe, maniche e pelliccia; oppure il percorso dei mercanti nel trecento per le vie della seta, i disegni per i tessuti in seta. Nel Cinquecento si diffusero le bambole vestite all'ultima moda e molto curate nei dettagli, rese famose dal Goldoni nella commedia I Rusteghi.
Il matrimonio poi di Caterina de Medici con Enrico II di Francia, portò fogge e profumi  italiani,                   che  cominciarono  ad  essere  molto  apprezzati    all'estero.  Nel contempo la stampa passava dalla xilografia all'incisione su metallo. Così il pittore Vecellio ci parla in un volume, ricco di incisioni e descrizioni, a fine Cinquecento, degli “De gli habiti antichi e moderni di diverse parti del mondo In Francia nel 1672 nasce il Mercuri Galant bollettino di pettegolezzi e di moda, specie nel Settecento seguono altri giornali, che spesso copiavano i modelli francesi, all'avanguardia in Europa. Come il Giornale delle nuove mode di Francia ed Inghilterra, e il Corriere delle Dame, che furono pubblicati anche nell'Ottocento; finché nel novecento con l'abolizione di leggi e barriere doganali, la stampa di moda si diffonde in tutto il mondo. Ma vediamo come ci si veste dall’antichità a i nostri giorni. Prima di Cristo nel bacino del Mediterraneo, etruschi, greci, romani si vestivano sostanzialmente coi medesimi abiti, anche se con piccole varianti; indossando un peplo senza maniche di diversa lunghezza, fermato sulle spalle da fibule e in vita da una cintura, per le donne ripiegato creando una mantellina lunga fino alla vita, in cui la varietà era data non dal taglio, ma dai vari panneggi e pieghe, chiamata in Grecia chitone ed a Roma tunica; Cultori della prestanza fisica e dello sport, i greci preferirono abiti che non costringevano il corpo e che permettevano scioltezza di movimento. Sopra la veste si portava un mantello più o meno lungo e pesante. I mantelli greci più usati furono la clamide corta e rettangolare, che per le sue dimensioni serviva per cavalcare, e l'himation, più grande e portato da entrambi i sessi, avvolto attorno al corpo in modo da lasciare la spalla destra scoperta.
Gli etruschi indossavano come mantello la tebenna, ovale, da cui si pensa derivi la toga romana; allacciata con una fibula su una spalla, oppure trasversalmente attorno al corpo lasciando un braccio libero, caratterizzato da colori molto brillanti.


Al tempo dei primi re i romani indossavano tuniche e ampi mantelli probabilmente di derivazione etrusca. Per quanto riguarda l'uomo, l'abito più usato nel periodo repubblicano prima e imperiale poi, fu la toga, un enorme mantello ovale in lana o lino, avvolto attorno al corpo a formare fitte pieghe sinusoidali e verticali che venivano usate anche come tasche. Questo mantello dava alla figura l'aspetto virile e statuario che si confaceva al cittadino della potente Roma. La toga conobbe un'evoluzione stilistica dalla repubblica all'impero. Se ne usavano di vari tipi, da quelle senatoriali orlate da una fascia di porpora, a quelle candide indossate da chi concorreva una carica politica (da cui deriva la parola candidato) a quelle di colore scuro per chi era in lutto. Nell'ultimo periodo dell'impero la toga si era talmente appesantita di ricami e decorazioni da essere abbandonata in favore di mantelli più liberi e sciolti. Le conquiste in Europa e in Asia influenzarono notevolmente la moda romana: furono introdotte le brache che i romani conobbero per la prima  volta durante le guerre in Gallia, e le maniche di origine orientale. Nel tardo impero maniche strette furono applicate alla tunica, mentre la dalmatica indumento proveniente probabilmente dalla Dalmazia, le ebbe piuttosto larghe.
La donna romana non aveva la libertà dell'uomo, tant'è che poteva uscire di casa solo accompagnata e ricoperta da un mantello portato anche sul capo, detto  palla.  Le prime statue che la raffigurano ne esaltano la virtù della "pudicitia". La matrona indossava varie vesti sovrapposte: la tunica intima, la tunica, la stola, ossia una veste senza maniche fermata sulle spalle da fibule. Nel periodo dell'impero le acconciature femminili diventarono estremamente elaborate: le mode erano lanciate dalle mogli degli imperatori che si facevano raffigurare con l'acconciatura preferita che, ripetuta in copia nei busti marmorei, veniva imitata dalle altre. La matrona aveva una schiava appositamente incaricata l'ornatrix, che ogni mattina eseguiva ricci, corone, treccie. Dopo Nerone le acconciature diventarono torreggianti. Frequentissime erano le parrucche: le più ricercate erano quelle bionde, fatte con capelli di adolescenti germanici, mentre per quelle nere si utilizzavano i capelli delle donne orientali. La moda bizantina, chiaramente osservabile nei numerosi mosaici ravennati, in particolare in quelli dell'abside della Basilica di San Vitale, si diffuse in Europa soprattutto da quando l'imperatore Costantino, nel 330 d.C., trasferì la capitale da Roma a Bisanzio, ribattezzandola poi Costantinopoli. Importantissimo centro culturale, Costantinopoli diventò un punto di riferimento anche per l'abbigliamento, che si arricchì di influenze orientali. Di particolare rilievo fu l'introduzione della seta: bozzoli di bachi, secondo la leggenda narrata dallo storico Procopio, furono portati dalla Cina in Europa nel bastone cavo di due monaci. A Costantinopoli la produzione serica era severamente controllata da editti imperiali che ne limitavano l'uso ai ceti dominanti. Anche l'uso della porpora, colorante costosissimo ricavato da un  mollusco, era riservato alla corte.
In quanto alle forme degli abiti la moda non fu che un proseguimento della tarda romanità. Gli uomini usavano la tunica con le maniche, portata sopra un'altra tunica interiore, le brache e la clamide. Quest'ultima, copiata dai romani alla moda greca, e notevolmente allungatasi, viene rappresentata con un inserto romboidale, il tablion, considerato un simbolo di potere e dignità. Nel mosaico in San Vitale l'imperatore

Giustiniano ne porta una in porpora e panno aureo, mentre gli uomini del seguito hanno una clamide bianca con tablion purpureo. Ricchissimo era anche l'abbigliamento femminile: nel mosaico citato, a fronte di Giustiniano, l'imperatrice Teodora sua moglie indossa anch'essa tunica e clamide ricamata con i Re Magi in processione.

Teodora si distingue per lo splendore dei suoi gioielli: un grande  diadema con perle e gemme, lunghi orecchini e una mantellina anch'essa incastonata di pietre preziose. Le dame che l'affiancano indossano dalmatiche e mantelli più corti. La dalmatica era spesso ornata da strisce verticali; nei mosaici della Basilica Sant'Apollinare Nuovo, questo indumento presenta solo per le donne l'orlo tagliato sbieco. Gli uomini invece indossano sulla tunica il pallium, mantello di origine greca. Dall'alto Medioevo fino al XII secolo, dopo la definitiva affermazione del Cristianesimo, proclamato religione di stato nel 381 d.C., non vi furono sostanziali mutamenti nella moda per parecchi secoli, e i canoni dell'abbigliamento rimasero fissati a quelli dell'epoca tardo romana. Una delle cause fu l'ondata di depressione economica che attraversò l'Europa fino al Mille. Il senso del sacro, fortissimo del periodo medievale, e la condanna della carne che ne derivava, mise in ombra l'essere umano come individuo naturale. Non a caso l'iconografia coeva rappresenta principalmente la vita di Cristo e dei Santi. La Chiesa raccomandava la massima modestia nel vestire; nei suoi scritti San Gerolamo si scagliò contro gli eccessi femminili, mentre Tertulliano definì la donna "la porta del diavolo". Anche  per quanto riguarda l'uomo si accese una lunga diatriba se doveva o no tagliarsi i peli (dono naturale del Signore) sul mento e sul capo. Forse anche per questi motivi per moltissimo tempo non si sentì la necessità di una netta distinzione vestiaria tra maschi e femmine.
Lo sviluppo delle città, iniziato già dal Mille, aveva portato al sorgere dei Comuni che lentamente ebbero il sopravvento sui feudi. I comuni cambiarono completamente il volto della società italiana, perché l'organizzazione della vita cittadina era basata  sul lavoro e sulla mercatura, attività in mano alla borghesia.
Gli abiti erano così costituiti: sulla pelle nuda si portavano direttamente, anche se non sempre, la camicia, e a volte le mutande che i longobardi chiamavano femoralia. Vi si sovrapponevano poi due vesti, una tunica con maniche aderenti e una con maniche  più larghe, che poteva anche essere sostituita da un mantello. Gli uomini  continuarono ad usare le brache. Il clima gelido delle case dove non esisteva ancora il camino e mancavano le finestre a vetri, determinò la diffusione della pelliccia, elemento di lusso usato come fodera.
Abissale era la differenza degli indumenti dei ceti più bassi rispetto a quelli signorili. Mentre i poveri spesso non avevano né scarpe né un mantello per coprirsi, i signori indossavano abiti serici ricamati in oro e calzature purpuree. Non si trattava soltanto di un'esibizione di status: a quel tempo si riteneva che i re e gli imperatori fossero investiti direttamente dall'autorità divina; non a caso uno degli oggetti che veniva consegnato durante l'incoronazione era il globo aureo sovrastato dalla croce, simbolo di potenza benedetta dal cielo. Si forniscono due esempi di costume regale. Nella  Vita Mathildis scritta e illustrata da Donizone, la contessa di Canossa in trono indossa una tunica, una sopravveste con grandi maniche a imbuto, un mantello, un velo e   un

alto copricapo a punta. Tuttavia il più raro e compiuto esempio di corredo, tuttora esistente e conservato al Kunsthistoriche Museum di Vienna, è quello realizzato per Ruggero II di Sicilia nel 1133, come attestato dalla scritta in lettere arabe che circonda il bordo del mantello. Usate per incoronare gli imperatori, queste vesti sono costituite da due tuniche, una azzurra e l'altra bianca, da calze, guanti, cintura, e da uno splendido mantello di seta scarlatta ricamato in oro e perle con due leoni che abbattono due cammelli. Il simbolo rappresenta probabilmente la vittoria della fede cristiana su quella musulmana.
Il periodo tra il 200 ed il 300 è anche chiamato Gotico, appellativo che per gli uomini del Rinascimento significava barbarico in quanto le opere d'arte non seguivano le regole auree della prospettiva e la natura era rappresentata solo in forma molto stilizzata. Infatti la Chiesa, nonostante le crisi interne, aveva ancora una forte influenza sulla vita quotidiana, e l'uomo era visto esclusivamente come una creatura che dipendeva in tutto dalla potenza divina. I comuni prosperavano: nacquero le  prime corporazioni, che imposero statuti con rigide regole. Le attività e i commerci più importanti in Italia si basavano sulla raffinazione dei tessuti, spesso provenienti dall'estero, o sulla tessitura di drappi preziosi. A Firenze la potente Arte di Calimala, importava lana dall'Inghilterra e la rivendeva a prezzi altissimi. Lucca e Venezia furono al centro di una pregiata attività tessile e sartoriale. Le decorazioni erano spesso prese da fonti orientali, poiché il commercio si spingeva fino in India e in Cina, lungo la famosa via della seta, riportando in Europa nuovi stili ed immagini.
Anche la lavorazione delle pellicce, usate come fodere e ormai entrate nell'uso comune, era soggetta a precisi regolamenti. La moda maschile e femminile pur conservando ancora una certa fissità nel Duecento, iniziò un processo di crescente restringimento degli abiti. Novità di questo secolo fu l'introduzione dei bottoni, che permettevano di far aderire vesti e maniche al corpo. Il valore del vestito era ingenuamente determinato dalla quantità di stoffa che si indossava; nacquero così - nella moda femminile - i primi strascichi, che compensarono la perdita di tessuto sul busto. Lo strascico fu particolarmente avversato dalla leggi suntuarie e dalla Chiesa, tant'é che proprio in questo periodo il cardinale Malebranca, legato pontificio a Bologna, proibì alla donne di portarlo, colpendo le disubbidienti con la mancata assoluzione in confessionale, pena gravissima per quei tempi. Il sensibile allungamento che la moda dava al corpo umano è stato da alcuni paragonato al verticalismo delle chiese gotiche. La roba, come era chiamato l'insieme degli abiti, si componeva di una camicia, di una veste, sopravvesti con o senza maniche, e mantelli. Per l'uomo erano sempre d'obbligo le brache. Un nuovo indumento maschile di orine militare fu invece il farsetto, un corto giubbotto portato direttamente sulla camicia.  Sul capo si indossavano una cuffietta bianca e un mantello a cappuccio per l'uomo e un velo per la donna, a cui la Chiesa imponeva di nascondere i capelli.
Alla fine del secolo furono inventati gli occhiali, probabile opera di un modesto vetraio veneziano. Il primo documento figurativo risale tuttavia alla metà del secolo successivo: a Treviso, nella sala capitolare di San Nicolò, Tommaso da Modena ci ha lasciato un affresco con il cardinale Ugone di Provenza munito di questo importante accessorio. Dal Trecento in poi si verificò una vera e propria rivoluzione vestiaria:


per la prima volta dopo secoli gli abiti maschili si differenziarono nettamente da  quelli femminili: la donna continuava a portare vesti attillate ma rese sempre più lunghe dallo strascico, mentre verso la fine del secolo grande scandalo suscitò l'introduzione della scollatura, stigmatizzata anche da Dante. L'uomo indossò abiti cortissimi che mostravano completamente le gambe. Anche le brache si restrinsero diventando vere e proprie calze terminanti in una lunga punta, allacciate solitamente al farsetto e munite di una suola che permetteva di escludere le calzature. Per la prima volta nella storia della moda maschile si evidenziò una distinzione tra la parte soprastante e quella sottostante dell'abito, che nei secoli avrebbe portato alla formazione di giacca e pantaloni. I vestiti erano spesso divisi verticalmente in due colori; a questi ultimi si attribuiva spesso una simbologia politica di appartenenza a fazioni o a corti signorili. Nel Trecento le decorazioni aumentarono ed erano concentrate soprattutto sulle maniche dove venivano ricamati stemmi araldici delle famiglie più in vista. Le affrappature erano orli tagliati in forma di foglia che decoravano la sopravveste. Sul capo, oltre alla cuffia, si indossava il berretto arrotolato come un turbante. Le case poco riscaldate e dalle finestre non sempre chiuse da vetri (costosissimi a quei tempi) obbligavano la gente a indossare sopravvesti. Tra le più diffuse erano la pellanda e la giornea, la prima ornata da lunghissime maniche, la seconda munita di due aperture laterali per passarvi le braccia.
Il XV secolo ed il periodo successivo sono stati denominati Rinascimento, perché l'arte si era liberata dalle pastoie del periodo Gotico. La rinascita dell'Umanesimo, la scoperta dei classici greci e latini, e lo studio appassionato che fecero delle rovine romane gli artisti del periodo, portarono ad una riscoperta della centralità dell'uomo rispetto all'Universo. Per la prima volta si riaffrontò lo studio delle proporzioni, aiutato dalle prime dissezioni anatomiche, proibite peraltro dalla Chiesa. Uno dei primi disegni che rappresenta le proporzioni perfette del corpo umano è l'uomo vitruviano di Leonardo da Vinci in cui la figura è iscritta in un quadrato ed in un cerchio, le due principali forme geometriche più vivine alla perfezione.
La moda del periodo era dettata dalle corti signorili come i i Medici a Firenze, i Montefeltro a Urbino, gli Sforza a Milano, Costoro avevano spesso la tendenza a sottolineare il lignaggio con colori propri o con scritte, dette Imprese, in cui erano indicati sentimenti o azioni da intraprendere. Gli stessi colori erano estesi alla servitù, e si andarono creando le prime livree. Dal Quattrocento fino alla prima metà del Cinquecento, uomini e donne indossarono abiti che ne sottolinearono le forme senza alterarle. All'inizio del Quattrocento tuttavia il vestito femminile, ancora influenzato dallo stile gotico, ebbe lunghi strascichi e maniche pendenti. Con l'inoltrarsi del secolo lo strascico sparì, ma vi furono altre novità: per la prima volta la gonna fu staccata dal corpetto, dispiegandosi con leggere arricciature. Le maniche inoltre erano dotate di lunghi intagli da cui usciva a sboffi la candida camicia. L'uso di laccetti permetteva la possibilità di cambiare maniche sul medesimo vestito, custodendole in un forziere. Le maniche signorili erano infatti impreziosite da gemme e puntali in oro, e si trattavano con la cura di veri e propri gioielli. Gli uomini invece continuarono a mostrare le gambe e indossarono abiti che ne rigonfiavano il torace. Per questi  ultimi

il farsetto, un tempo considerato indumento intimo, fu accorciato e  messo apertamente in mostra, assieme a calzebraghe aderentissime che fasciavano i glutei. L'esibizione del corpo maschile era ormai completa, e per coprire gli organi genitali  fu inventata la braghetta, una sorta di pezza di tessuto, che veniva usato anche come tasca. Questo tipo di moda era seguita soprattutto dai giovani, mentre le persone che avevano una carica pubblica o una specifica professione, come i medici e gli insegnanti, continuarono a portare abiti larghi e lunghi.
Durante il XVI secolo le vicissitudini della vita politica italiana, contesa tra Francia e Spagna, e la caduta della penisola sotto l'influenza spagnola, finirono per influenzare la moda che si può suddividere in due momenti, con fogge completamente diverse. Nella prima metà l'influsso Rinascimentale propose ancora il trionfo del corpo: le vesti cominciarono ad allargarsi. Non fu più di moda il tipo gotico longilineo, ma la donna rotonda come le Veneri di Tiziano. Venezia fu in particolare la città italiana dove il costume femminile si espresse con maggior libertà: scollature profonde ed elementi tratti dall'abbigliamento orientale, come i primi orecchini che, come riferisce un cronista scandalizzato foravano le orecchie "a guisa di mora" . Alcune stranezze del vestiario femminile colpirono i contemporanei: ad esempio l'uso di portare sotto  la gonna, braghe rigonfie lunghe fino al ginocchio, moda probabilmente importata da Lucrezia Borgia. Le veneziane si tingevano anche i capelli di rosso tiziano. L'uomo cercò di accentuare la sua virilità: muscoloso, con spalle larghe e barba folta, metteva in mostra anche i suoi attributi sessuali, indossando la brachetta una sorta di rigonfio sull'inguine chiaramente fallico. Si continuarono a usare più abiti sovrapposti, spesso con maniche tagliate da cui uscivano gli sbuffi della camicia; la pelliccia fu più evidente nei grandi colli a scialle dei soprabiti. La più pregiata era la lince, detta  "lupo cerviero".
Dalla seconda metà del Cinquecento mentre nel resto d'Europa si erano già formati  gli Stati nazionali, l'Italia fu divisa in principati, alcuni retti direttamente da dinastie non italiane. Da questo momento in poi iniziò un processo di maggior irrigidimento dei costumi, forse a causa dell'influenza della moda Spagnola, e dell'intervento  morale della Controriforma. Gli abiti tornarono a chiudersi sul busto, scomparvero le scollature che alla fine del secolo furono sostituite da un abito a collo alto e dalla gorgiera, un rigido collo di pizzo inamidato. Fecero anche la loro comparsa i primi busti, in metallo, con la punta che si spingeva verso il ventre. Le gonne si disposero  in una rigida campana grazie all'introduzione delle prime sottogonne imbottite. Anche gli uomini cambiarono stile, chiudendo come le donne il collo del busto, ma continuando a mostrare le gambe, a cui si sovrapponevano nella parte superiore bragoni rigonfi e tagliati verticalmente, di forma ovoidale. Le gambe muscolose furono una vera e propria esibizione di vanità: sappiamo che Enrico VIII d'Inghilterra andava fiero delle sue. Altri cronisti, scandalizzati, riferiscono che alcuni uomini con le gambe smilze si imbottivano i polpacci. Il colore nero, di derivazione spagnola era preferito tra gli altri. La rigidezza degli abiti, che trasformava la figura in forme geometriche e impediva movimenti sciolti, dava al corpo una forma ieratica che sottolineava la superiorità morale dell'aristocrazia rispetto alla volgarità della    plebe.

Si andava delineando con molta forza il vestito delle classi alte, che trovò un parallelo anche nell'arte, dove il popolo era dipinto in forma grottesca e caricaturale.

Il XVII secolo - Occupata prima dalla Francia, poi dalla Spagna, l'Italia iniziò un periodo di decadenza che si rifletté anche sulla moda. Infatti le nazioni vincenti imposero forme e colori, e il baricentro dell'eleganza si spostò soprattutto a nord. Da questo periodo fino a quasi i giorni nostri la Francia fu il paese da cui tutta l'Europa, e in particolare la nobiltà, copiò gli abiti. Il centro di maggiore irradiazione diventò la corte del re. Si apriva il periodo denominato Barocco e caratterizzato da un'esuberanza di forme e da un accostamento, spesso eccentrico, di materiali. La Spagna ebbe minor influenza, se non per l'uso, copiato soprattutto in Italia, del colore nero. Questo periodo fu detto Barocco, (termine incerto che indica stravagante o bizzarro) con cui definiamo solitamente il XVII secolo. Caratteri principale dell'arte barocca furono la sovrabbondanza di decorazioni, di marmi, di stucchi; si voleva che di fronte a un quadro o ad un edificio lo spettatore rimanesse stupito e meravigliato;  si voleva stimolarne l'immaginazione, con un forte senso di teatralità. Anche il vestito fu caricato fino all'inverosimile, perdendo del tutto il senso di essenzialità che era stato caratteristico del primo Rinascimento.
Nei primi anni del secolo la moda femminile fu caratterizzata dai rigidi busti a punta, dalla gonna a campana, dal collo a gorgera, detto anche "ruota di mulino" o "lattuga". Gioielli erano sparsi su tutto l'abito. Successivamente, per influenza francese, le vesti tornarono ad aprirsi sul davanti, arricciandosi lateralmente con scollature a barchetta sottolineate da grandi collari di pizzo. Verso la fine del secolo la donna indossò una veste aperta davanti e sovrapposta a una gonna, che aveva lo strascico arricciato nella parte posteriore. Si introdusse la moda delle cuffie, dette alla Fontange, nate per caso quando dalla omonima favorita del re Sole che, durante la caccia, si spettinò i capelli e, audacemente, si sollevò la gonna e con le giarrettiere creò questa nuova acconciatura. Spopolarono anche i falsi nei in seta (conosciuti già all'epoca dei Romani) che avevano un significato galante a seconda della posizione in cui  venivano incollati. Anche il costume maschile, rigido all'inizio, diventò più sciolto.  La guerra dei Trent'anni tra Francia, Spagna e Inghilterra modificò il comportamento maschile, che doveva sembrare maestoso con le spalle tirate indietro, con la mano perennemente appoggiata sul fianco, le gambe ben piantate, il viso col mento rialzato: un maschio atto alle armi, che induceva paura. Caratteristico il costume quasi militaresco, con l'uso perenne degli stivali in cuoio, lo spadone e marziali baffi alla moschettiera, mentre la scia dei bravi che seguivano il signore non faceva che instillare timore e rispetto.
Ma il peso più importante sulla moda lo ebbe Luigi XIV, detto il re Sole. Luigi infatti obbligò la nobiltà francese a trasferirsi a Versailles, memore dei problemi che i suoi antenati avevano avuto coi feudatari ai tempi della Fronda. La vita della reggia ruotava attorno a lui, che comandava la sua corte in modo assoluto, imponendo comportamenti e stili vestiari. Precise regole obbligarono i cortigiani a indossare determinati capi d'abbigliamento. L'estetica maschile abbandonò i segni della forza. Il nuovo  tipo  di  cortigiano  fu  chiamato  homme  de  qualité,  e  aveva  alcune precise

prerogative come l'essere ricco, alla moda, e ricevuto in società, escludendo a priori  la classe borghese. Tra il 1655 e il 1675 si impose il periodo più ricco e stravagante della moda francese, che perse la sua severità e si caricò di ornamenti frivoli. Particolarmente curiosi furono i calzoni alla Rhingrave, presentati a corte dal Rhein Graf (conte del Reno) e costituiti da una gonna pantalone molto larga e ornata di nastri e fiocchi laterali. Sopra al busto si indossava un bolero da cui fuoriusciva fluente la camicia. Aboliti gli stivali, tornarono le calze e le scarpe col tacco, che era rosso solo per il re e la nobiltà. Sotto il suo regno il Re regolava l'abito secondo le stagioni, le circostanze, il rango. Indicava la lunghezza dei galloni e perfino il materiale dei bottoni. Il re proibì l'uso delle casacche ornate d'oro e d'argento che concesse solo agli uomini più meritevoli della sua corte. Nacquero così i justaucorps  à brévet, ossia casacche azzurre foderate in rosso e portate solo dalla sua scorta privata. Una novità assoluta fu l'introduzione della veste a tre capi: marsina (una giacca al polpaccio), sottomarsina, un lungo gilè, e brache corte al ginocchio. Questo insieme, detto abit a la français, fu copiato in tutta Europa. Altra novità fu l'uso della parrucca maschile, un torrione di riccioli che arrivava a mezzo busto e ingrandiva e stilizzava l'aspetto di chi la portava. La parrucca più costosa era di capelli veri,  mentre chi non se la poteva permettere se la faceva fare in crine o lana. Infine al Seicento si deve l'invenzione della cravatta, all'inizio una lunga striscia di mussola ornata di pizzo che veniva avvolta negligentemente attorno al collo. Questo tipo di nodo provvisorio fu imitato dopo la battaglia di Steinkerque, quando gli ufficiali dovettero accorrere in fretta e furia sul campo, annodandosi malamente la cravatta. Il merletto, inventato a Venezia un secolo prima, e rigidamente protetto dalle leggi della Repubblica, fu introdotto con uno stratagemma in Francia e adottato da uomini e donne. Il XVIII secolo - denominato anche barocchetto o rococò, dal nome di decorazioni a pietruzze e conchiglie allora di moda, seguitò, almeno fino alla Rivoluzione francese, ad essere influenzato dalla moda aristocratica della corte di Francia. In Italia l'imitazione fu spinta al punto che anche parrucchieri e cuochi dovevano avere un nome o una provenienza d'oltralpe. Verso la fine del secolo,  grazie alla potenza economica derivata dal colonialismo e dalla Rivoluzione industriale, l'Inghilterra diventò importantissima per la diffusione delle mode, soprattutto maschili. Per tutto il secolo successivo e parte del Novecento gli uomini eleganti si fecero fare vestiti e accessori direttamente a Londra.
Fino alla Rivoluzione francese la moda femminile fu caratterizzata da colori chiari, fiorellini intessuti e merletti. Una nota di sensuale civetteria si insinuò nel costume: scollature profonde, falsi nei maliziosamente appoggiati sul seno, avambracci scoperti. Tuttavia la figura era rigidamente ingabbiata dal busto e dal panier una sottogonna in stecche di balena che dava all'abito una forma piatta e ovoidale. Il panier era talmente largo che le signore avevano difficoltà a passare per le porte e potevano sedere su un unico divano. L'abito più diffuso fino al 1770, fu l'andrienne, detto anche robe alla français, che aveva sul retro un lungo manto a strascico che comportava l'uso di metri di tessuto. Questa moda derivava dal teatro, dove un'attrice si presentò sulla scena della commedia "Andria" vestita con grande abito a campana.

Dopo il 1770 la linea della veste diventò rotondeggiante e si accorciò fino a mostrare la caviglia. Comparvero sopravvesti arricciate sul retro e aperte davanti, dette ' polonaise, e giacchette corte e strette, antenate del moderno tailleur. Intanto Maria Antonietta si era fatta costruire a Versailles un villaggio rustico, l'hameau de la Reine, dove, vestita da contadina con cappelli di paglia e con un fazzolettone bianco al collo, il fisciù, si divertiva ad imitare la vita della povera gente, senza nemmeno conoscerne la durezza. Con la scoperta delle rovine di Pompei, rinacque l'arte greco-romana. Il gusto neoclassico che si faceva avanti portò una ventata di semplicità, e le donne indossarono la Robe en chemise, una veste lunga, soffice e spesso candida. Per  l'uomo continuò l'uso dell'abit a la française, ma con colori chiari e decorazioni ricamate. La giacca superiore, detta marsina, era decorata da file di bottoni e, fino alla prima metà del secolo, ebbe falde molto svasate grazie a imbottiture cartonate nascoste. La marsina si evolse e diventò una veste lunga e stretta, mentre la sottomarsina si accorciò trasformandosi nel gilet. Comparve anche un piccolo collo montante. Dopo il 1770 cominciarono a insinuarsi soprattutto nell'abbigliamento maschile, mode che venivano dall'Inghilterra. Questa nazione, grazie alla Rivoluzione industriale e alla ricchezza dei suoi commerci coloniali, si impose come modello per tutta l'Europa ed i semplici abiti dei gentiluomini inglesi entrarono definitivamente nella storia della moda. In particolare il frac, e la redingote il cui nome deriva dall'inglese riding coat, e che indicava una veste aperta dietro per poter cavalcare comodamente.
Caratteristica del secolo è la parrucca usata dai due sessi e abbondantemente  incipriata dopo essere stata impomatata con creme fissanti. La regina di Francia Maria Antonietta, si fece fare dal suo parrucchiere Leonard acconciature  monumentali sormontate da gabbie per uccelli, fiori, pizzi e perfino velieri. Fino alla Rivoluzione francese si videro solo teste bianche. Anche il trucco fu diffuso tra uomini e donne: in generale la figura maschile si fece più leziosa e meno marziale  che nel Seicento. Con la Rivoluzione francese una violenta reazione popolare investì anche la moda aristocratica: cominciarono a scomparire tessuti pregiati, trucchi, panier e merletti. Si abbandonò la seta per la mussola di cotone. Non l'oro e i diamanti, ma il ferro fu usato come materiale principale per i gioielli. Le signore iniziarono a portare attorno al collo un nastro rosso, detto alla ghigliottina perché voleva imitare il segno della testa staccata dal busto. Fu perfino inventato il taglio di capelli à la victime, che ricordava la tosatura imposta alle condannate. Comparvero coccarde tricolori per indicare l'appartenenza rivoluzionaria.
Nel XIX secolo la moda ottocentesca è l'espressione del ceto borghese che, dopo la rivoluzione francese conquista il potere politico ed economico in Europa, imponendo i suoi ideali e il suo stile. È soprattutto l'abbigliamento maschile che registra un significativo e radicale mutamento. Un look austero e rigoroso, con tagli semplificati, tessuti di panno robusto, e decorazioni ridotte al minimo, sostituì il frivolo costume barocco; in tal modo vennero evidenziati la serietà del mondo del lavoro, la praticità, la prudenza, il risparmio, l'ordine. Il nuovo abito maschile ha una patria: l'Inghilterra, che propose un'eleganza più pratica e civile, influenzata dai modi informali, dalla passione per lo  sport e  la  vita  all'aria  aperta  del gentiluomo  inglese. Due  furono i

vestiti informali introdotti: il frac, adottato per andare a caccia e per la vita in campagna, con falde molto arretrate e colletto alto. In seguito diventò l'uniforme del vero gentleman e fu portato di giorno ma soprattutto di sera, per le occasioni eleganti. La redingote era all'inizio una giacca da equitazione, una lunga giubba a due falde e aperta sul dietro che permetteva di stare comodamente in sella.
Abbandonata la destinazione sportiva si trasformò in abito da città e da lavoro fino a prendere il significativo nome, dopo la metà del secolo, di finanziera, proprio perché portata dal cetoborghese che si occupava di politica, affari e finanza. Antesignani del nuovo corso che puntava, per identificare il vero gentiluomo, sulla tendenza alla semplificazione e sullo stile furono in Inghilterra i dandy: il più famoso tra loro fu Lord Brummell, che impose il suo modo di vestirsi in tutta Europa. Il suo edonismo esasperato diventò proverbiale e il suo motto: ”Per essere eleganti non bisogna farsi notare” fu legge per tutti gli uomini alla moda. Brummell puntò sull'esasperata perfezione dei particolari: la"cravatta" che doveva essere inamidata e con fiocco adatto alle diverse occasioni; l'acconciatura, per la quale Brummel pretendeva tre parrucchieri, i "guanti" che dovevano essere realizzati da due guantai diversi, uno per i pollici, l'altro per le dita. Inoltre Brummell, che detestava i colori sgargianti, impose il blu per il frac e il beige per i calzoni. L'evoluzione del costume ottocentesco maschile si tradusse dall'abito stretto del periodo napoleonico a quello largo in uso dopo l'unità d'Italia. Elementi fondanti del guardaroba furono: i pantaloni, il gilet e i soprabiti. I pantaloni lunghi, derivavano dal mondo del lavoro e della marina. Il gilet o panciotto aveva la funzione di modellare il torace maschile, dandogli la convessità delle antiche armature. La giacca corta, introdotta dopo il 1850 e all'inizio molto criticata per la sua forma a sacco, era caratterizzata dalla brevità e dalla larghezza, ed entrò stabilmente nel guardaroba come abito diurno e come complemento di indumenti estivi. Il paletot o cappotto: consacrato sotto il II impero, di linea ampia e avvolgente, e di derivazione marinaresca; definito dai suoi osteggiatori “un barile di panno” piacque proprio per la sua comodità e disinvoltura passando anche all'abbigliamento femminile. Quando, tra gli anni trenta e cinquanta, grazie alla scoperta della vulcanizzazione della gomma, cominciarono a diffondersi i primi soprabiti impermeabili, il paletot fu creato anche in versione da pioggia. La cravatta, oggetto di appassionata attrazione, doveva corrispondere a una serie precisa di requisiti, che potevano sintetizzarsi nel motto “ad ogni occasione la sua cravatta”; all'inizio del secolo era rigorosamente bianca e inamidata. Le prescrizioni riguardavano anche i nodi, che dovevano essere sempre perfetti e appropriati alle circostanze, in modo che ad ogni occasione mondana corrispondesse la  cravatta giusta. Dopo la metà del secolo diventò sempre più piccola, e fu fatta anche in tessuti colorati. Riguardo l'abbigliamento femminile, all'inizio del secolo la donna indossava un vestiario leggerissimo e trasparente. La rivoluzione francese, con il culto della Ragione e l'abolizione delle leggi Suntuarie, portò una ventata di anticonformismo  che tuttavia durò meno di vent'anni. Nel periodo post-rivoluzionario, si abolirono i busti mentre i vestiti erano semitrasparenti anche in inverno. La moda detta anche del nudo, prescriveva che non si portassero più di un etto e mezzo tra abiti e scarpe.


Un'ondata di influenza e il divieto - posto da Napoleone - di importare le leggere mussole indiane, fecero sì che la moda addottasse abiti più pesanti e chiusi.
La libertà femminile durò poco: già dopo il 1830 all'interno della famiglia borghese il compito della donna era riservato esclusivamente allo spazio privato dove era custode dell'ordine, del buon convivere, della pace e della moralità. Ancora di salvezza spirituale, portatrice di valori e di virtù, essa incarnò almeno fino alla metà del secolo l'ideale dell'angelo del focolare, modello che si affermò anche in campo estetico influenzando il gusto corrente: obbligatori la modestia del gesto, la prudenza del comportamento, lo sguardo dolce e timido. L'abito ormai chiuso attorno al collo, aveva maniche lunghe e spalle cadenti, mentre le linee del corpo tondeggianti simboleggiavano fragilità, dolcezza e arrendevolezza. La sensualità era  rigorosamente controllata, gli istinti severamente repressi: il corpo era nascosto da gonne lunghe e strati di biancheria: camicia, busto, copribusto, molteplici sottogonne, mutandoni che diventarono indumento stabile. Il busto era una corazza di tela irrigidita da stecche di balena che poteva causare anche dolori e svenimenti. Doveva assicurare il vitino di vespa, e lo si portava obbligatoriamente fin dall'infanzia, in quanto era opinione comune che esso dovesse correggere i difetti del portamento e sostenere la “naturale” debolezza della spina dorsale femminile. La soddisfazione carnale per l'uomo si raggiungeva fuori casa: l'Ottocento è anche l'età d'oro delle case di tolleranza, e delle cocottes, le cortigiane francesi famose e celebrate che, dal 1850 in poi, dettarono moda, proponendo un nuovo ideale estetico più provocante e sfacciato, sostenuto dall'avvento sulla scena letteraria della figura della Femme fatale. Il vestito femminile si evolse nelle sue linee: all'inizio del secolo la sottana mostrava la caviglia, per poi allungarsi fino ai piedi nel 1840, allargandosi sempre più con la cupola della crinolina; si prolungò con lo strascico dopo il 1870; ritornò infine a una lunghezza moderata e ad una linea a campana. Il punto vita, alto fino al 1822, si abbassò alla sua posizione naturale e scese a punta sul davanti alla fine del secolo. Influenzato anche dai movimenti culturali, il costume femminile trovò ispirazione in fogge che guardavano al passato e alla storia: all'inizio del secolo il neoclassicismo imperante voleva tutte le donne vestite e pettinate come statue greche. Con l'avvento del romanticismo gli abiti si coprirono di pizzi e balze; ci si ispirò alla storia, al  gotico e al Rinascimento, alle eroine del melodramma. Con l'avanzare del secolo il gusto si spostò verso lo stile rococò, molto amato da Eugenia de Montillo. Attorno al 1870 trionfò l’eclettismo e si moltiplicano passamanerie e applicazioni; a fine secolo si ritornò a una linea che si ispirava alle corolle dei fiori mentre trionfava l'art Nouveau. Infine, ogni occasione doveva comportare, nei manuali di galateo, una  veste appropriata per la signora elegante, sempre adeguata al ruolo mondano da interpretare: abiti da casa, da viaggio, da passeggio, da carrozza, da visita, da ballo,  da lutto, da mezzo lutto, e soprattutto abiti da sport. Lo sport si fece largo dopo la metà nel secolo, e richiese indumenti appropriati per ambo i sessi: il costume da bagno era, per la donna, un compromesso tra il bisogno di avere un indumento con cui muoversi adeguatamente in acqua e l'imperativo morale di nascondere quanta più epidermide possibile. Il completo da amazzone comportava una lunga gonna a strascico che doveva scendere a coprire le gambe quando la donna cavalcava    seduta

di fianco sulla sella. Il secolo doveva però scoprire altri sport, come il golf, il tennis e la bicicletta. Dopo il 1890 comparirono gli abiti per le cicliste tentando anche un precoce ripudio della sottana: calzoni alla zuava coprivano le gambe fino al ginocchio avendo a volte quale unico compromesso una corta tunica per nascondere parte dei fianchi.
Il Novecento fino alla seconda guerra mondiale dall'inizio del secolo al 1918.
Dai tempi del re Sole dire moda voleva dire Parigi. La moda del Novecento è invece sempre più veicolata dai mezzi di comunicazione e dalle novità tecniche che si affermano col cinema, con la fotografia, con i giornali e la televisione. Per questo motivo i cambiamenti di stile assumono una rapidità precedentemente sconosciuta, in modo particolare nel costume femminile, che esce completamente dagli schemi dei secoli precedenti. Le ragioni, abbastanza complesse, possono essere riassunte in alcuni punti fondamentali: la lotta delle Suffragette per ottenere il voto delle donne; l'entrata delle stesse nel mercato del lavoro dovuta alla partenza in guerra degli uomini; il fenomeno delle avanguardie artistiche cui si ispirano molti coutouriers. All'inizio del secolo dettavano legge La Maison Callot diretta dalle sorelle Gerber e La Maison Jacques Doucet, dove lavorava Madeleine Vionnet, destinata poi ad aprire una sua casa. Attorno al 1910 il sarto più in vista e scandaloso fu Paul Poiret, 32 anni, figlio di un mercante di stoffe. Dal 1903 aprì una boutique e in breve divenne un dittatore della moda. Voglio essere ubbidito anche quando ho torto, era il suo motto. Stanco dei colori pallidi e della linea a clessidra dello stile ottocentesco, inventò ua donna priva di busto che indossava abiti a vita alta e dai colori vivaci. Poiret era geniale, fantasioso, megalomane. Usava sete, velluti, damaschi, accostava viola e rosso, blu e rosa pallido. Affascinato dai Balletti russi di Sergey Djaghilev, che furoreggiavano a Parigi, s'ispirò all'oriente. Fu il primo ad aprire una scuola per figuriniste, ad organizzare corsi di andatura, a creare il pret-à-porter, a far riprendere i suoi modelli da un grande fotografo (Edward Steichen), a fabbricare gli accessori, dai profumi alle borse. Per lanciare le sue jupe-culottes diede una grande festa che si intitolava Le mille e due notti. La moglie del sarto appariva in una gabbia dorata in compagnia di preziosi uccelli: gli ibis rosa. Lui, vestito da Sultano, le stava a fianco con un prezioso turbante piumato.
Nel 1914 scoppiò la prima guerra mondiale. Pur tra mille difficoltà Parigi volle mantenere il suo ruolo di arbitra dell'eleganza e i grandi couturiers continuarono la loro attività, nonostante la mancanza di materie prime che dovevano essere di necessità mandate al fronte. Forse per risparmiate tessuto, le gonne si accorciarono al polpaccio, mentre si affermarono linee militaresche, appena mitigate dalla cosiddetta crinolina di guerra, una gonna imbottita di tulle.
L'Inghilterra continuava invece ad essere il modello dell'eleganza maschile. L'uomo però rimase legato alle fogge tradizionali ottocentesche: giacca, gilè, calzoni e camicia. I soprabiti invernali erano vari, mentre tra gli abiti da cerimonia, ancora diffusissimi erano il frac, il tight e lo smoking, noto come abito da fumo e diventato poi capo elegante. I colori erano scuri, la camicia, rigorosamente bianca, col collo rigido e inamidato. Per mantenere la biancheria sempre perfettamente pulita, collo e polsini erano separati dalla camicia vera e propria. Edoardo VII, principe di Galles   e

figlio della regina Vittoria, fu un modello per i dandy: inventò infatti nuove fogge maschili, come i pantaloni con la piega e il risvolto. Sembra che a lui si debba anche l'invenzione dello smoking, ottenuto tagliando semplicemente le code del frac.
Gli anni venti e trenta
Dopo la fine della prima guerra mondiale, lo scenario europeo mutò profondamente. La guerra aveva lasciato un'economia traumatizzata e non pochi problemi sociali e psicologici. Gli speculatori ne approfittarono: i grandi patrimoni aristocratici prebellici scomparirono e al loro posto avanzò una nuova classe sociale arricchita e quindi una diversa clientela per le case di moda. Gli ambienti mondani furono frequentati da milionari, psichiatri, pittori surrealisti e cubisti. Le mode americane invasero ogni settore: si bevevano cocktail e whisky, proliferavano le jazz band e i blues. Dopo quattro anni di privazione scoppiò la gioia di vivere, simboleggiata dal nuovo, sfrenato ballo, il charleston. Per tutto il periodo tra le due guerre il cinema influenzò lo stile di vita. Ad Hollywood nacque lo star sistem ed attori come Rodolfo Valentino prima, Clark Gable, Jean Harlow, Greta Garbo, Marlene Dietrich poi, diventano modelli da imitare. Ma il fenomeno più importante si manifestò con evidenza proprio negli anni venti: l'emancipazione della donna che - durante la guerra
- aveva dovuto assumere ruoli maschili di responsabilità e non era affatto disposta tornare indietro, ma pretendeva di governare la sua vita più liberamente. Molte donne si iscrissero all'Università e affrontarono professioni nuove come nel campo della medicina. Le giovani fumavano, si truccavano e frequentano locali notturni  alla moda. Il nuovo modello femminile fu la ragazza magra, senza più fianchi né petto, con uno sfrontato piglio mascolino e i capelli cortissimi alla Garçonne. La moda volle gonne sempre più corte e abiti spesso tagliati di sbieco, invenzione che sembra si debba a Madeleine Vionnet. Tuttavia, prima di arrivare all'orlo sotto al ginocchio, vennero inseriti pannelli triangolari che rendevano la forma dell'abito asimmetrica. Alla fine degli anni venti si affermò lo stile bebè, con gonne al ginocchio, scarpe col cinturino, cappelli a Cloche. La moda propose un nuovo modo di intendere l'abito: pratico, semplice, di costo contenuto, elegante. Antesignana di questo nuovo modo di vestire fu Gabrielle Coco Chanel. Fu lei che lanciò l'abito in jersey corto, imponendo questo tessuto povero anche per il tailleur, una delle sue creazioni caratteristiche. Sempre lei semplificò la linea dell'abito da sera inventando un lineare tubino nero. Fu la prima a lanciare i gioielli fantasia in vetro colorato, l'abbronzatura e il profumo legato alla sua linea, il mitico Chanel N° 5. Non disdegnava di portare i calzoni, ancora tabù per le donne.
La moda maschile rimase nei binari rassicuranti che si era scelta. Tuttavia un certo tono sportivo e disinvolto si insinuò nelle giacche dai larghi revers, nei pantaloni con le pinces, nei gilè di lana stile golf. Comparirono i primi trench impermeabili e tornarono i pantaloni alla zuava o knikerbokers indossati con calze scozzesi. Grande novità furono l'introduzione del colletto floscio per la camicia e il modello botton down con due bottoncini che assicuravano le punte alla camicia.
Tra il 1929 e il 1932 una crisi mondiale violentissma spazzò l'economia. Panico e disperazione si abbatterono sul mondo, né la moda uscì indenne dal trauma. Le case  di moda francesi, che avevano avuto la loro migliore clientela oltre oceano, si  videro

imporre drastiche misure protezionistiche che gravarono pesantemente sugli abiti esportati. Il lavoro degli ateliers parigini diminuì notevolmente, con conseguenti licenziamenti di personale. Una ulteriore conseguenza della crisi fu la necessità di usare filati di minor pregio: si diffusero così le fibre sintetiche, come il rayon o il nylon. Quest'ultimo, in particolare, sostituì la seta con cui fino ad allora erano state fatte le calze.
Dopo il 1930 l'ideale femminile diventò più aggraziato e copiò le star di Hollywood: le labbra di Joan Crawford, i capelli platinati e le sopracciglia ridisegnate di Jean Harlow, i tailleur pantaloni di Marlene Dietrich. La donna ideale era longilinea e femminile, portava tacchi alti e si tingeva i capelli. Al contrario, nell'Italia  del Regime si cercò di lanciare una bellezza formosa e mediterranea, modellata sul tipo fisico della Signorina grandi firme, icona inventata da Gino Boccasile, per la copertina del giornale Le grandi firme. La linea delle vesti negli anni trenta mutò: la vita tornò al punto naturale, gli abiti si allungarono sotto al ginocchio e si aprirono in piccole pieghe e pannelli. D'inverno si preferivano lunghi cappotti con immensi colli di volpe. Per il giorno trionfò il tailleur, mentre le spalle diventarono quadrate a causa di imbottiture nascoste. Il pantalone si insinuò gradatamente nella moda, specie negli abiti sportivi e nei completi estivi. I vestiti da sera, ultra femminili, si allungarono nuovamente fino ai piedi, con scollature vertiginose sulla schiena. Il nuovo oracolo di questo stile fu una sarta italiana emigrata in Francia: Elsa Schiaparelli. Dotata di una fantasia e una creatività irrefrenabili, e da sempre interessata all'arte moderna e alle Avanguardie come il Surrealismo e il Cubismo, ispirò molti dei suoi vestiti ai quadri di Salvador Dalì e di Pablo Picasso, con elementi onirici come specchietti, cassettini, aragoste giganti. Oppure con fogli di giornale stampati, come i famosi papiers colleè di Picasso. Il rosa fucsia o Shoking fu il suo colore preferito, come il nome di un suo celebre profumo. La sua donna doveva essere spregiudicata e indipendente e non aver paura del giudizio altrui. Negli ultimi anni precedenti la guerra l'abito si accorciò e allargò, mentre lo stile diventò più romantico, con incrostazioni di ricami e paiettes. Per le vesti da sera si usarono tessuti leggeri e fruscianti. Con l’inizio della seconda guerra mondiale, che terminò nel 1945 e con le conseguenti pesanti i governi e i sarti adottarono misure cautelative; molte case di moda furono spostate a Berlino su consiglio del sarto Lelong e molte altre chiudevano; mentre le linee diventarono  molto semplici ed in Inghilterra ed Italia si distribuivano tagliandi per l'abbigliamento. Per 4 anni si videro solo tessuti modesti ed abiti in tela jeans; mentre altri creatori di moda utilizzando materiali poveri crearono nuovi modelli, come ad esempio quelli di scarpe con la suola di sughero o di capretto, antesignani del genere Ferravamo e enne inventato il Lanital al posto della lana.
Con la fine della guerra l'haute couture ripartì da Parigi dove si realizzò un "Teatro della moda” per far vedere i nuovi modelli. E Dior iniziatore della moda post bellica, lanciò, nel 1947, il New looK per una donna raffinata e romantica puntando sul  taglio, e su una linea che modellava il corpo femminile, con spalle morbide, seno in evidenza, vita di vespa, gonne lunghe, guanti, scarpe col tacco, cappelli.
Nel contempo Stati Uniti e Unione Sovietica, avevano ripartito il mondo in due  sfere d'influenza ed in  Europa si  cominciò  ad  avvertire  il  fascino del  modo di vita

americano, che invase il vecchio mondo con cinema e televisione. Protagonisti i teen- agers che si distinguevano dagli adulti anche per l'abbigliamento: blue-jeans, t-shirt, maglioni, giacche in pelle, look trasandato o sportivo, e per gli uomini, brillantina in testa. Quello dei Jeans fu un fenomeno importante che influenza tuttora la moda dopo il successo de Il Selvaggio, con Marlon Brando ed Elvis Presley col rock'n' roll. Cominciò così un fenomeno nuovo: la moda viene impostata da gente di strada, non solo dai grandi sarti. Per la prima volta nella storia del costume le masse fecero opinione.
In Europa erano gli anni della ricostruzione e del miracolo economico, propagandato anche dai giornali di moda che si moltiplicavano a vista d'occhio. La gente si arricchiva e accedeva alle nuove tecnologie: la televisione, il frigorifero, l'automobile. Anche il mondo della moda cominciò ad essere influenzato dal consumo di massa. Le donne si stancarono di portare i vestiti fuori moda delle loro mamme e copiarono i modelli dalle riviste femminili con i cartamodelli e le sartine. Se Parigi continuava a dettare legge, nasceva a Firenze l'Industria della moda italiana, e nel 1952 a Palazzo Pitti, si tenne la prima di molte sfilate e manifestazioni. L'organizzazione si rivolse a cercare nuovi sarti come Jole Veneziani, Carosa, Schuberth, Pucci, Fabiani, la Marucelli, le sorelle Fontana, che prime, portarono la moda italiana negli Stati Uniti con le loro elegantissime e ricercate collezioni. Parigi però con Dior, fino alla sua morte nel 1957, dettava ancora legge con collezioni che si ispiravano alle lettere dell'alfabeto, e con la linea a sacco. Anche Chanel riaprì la sua casa di moda fedele alle sue idee, con mitici tailleurs, dalla giacca senza collo  e con i tacchi a spillo.  Sulle spiagge fece la sua prima comparsa il Bikini, ed i pantaloni continuarono il loro successo per l'estate, per lo sport e per lo sci e la maglia, cominciò a far parte delle collezioni.
Con la morte di Dior, Yves Saint Laurent diventò direttore della maison e la sua  prima collezione, attesissima, ebbe un successo travolgente: la linea a trapezio, era fresca, giovanile, e sostanzialmente una continuazione del Sacco di Dior. L'entusiasmo per il nuovo couturier durò però fino a quando, tradendo un accordo  con gli altri sarti di non alterare l'orlo della gonna, Saint Laurent lo alzò di ben sette centimetri, finendo poi con lo scoprire le ginocchia. A causa della bagarre che ne seguì il giovane sarto ebbe un collasso e si ritirò da Dior cedendo il posto a Mark Bohan. Nel 1962 aprì a Parigi un atelier per conto proprio.
Negli anni sessanta, irrequieti e provocatori, cambiano la morale e lo stile di vita in cui siamo peraltro ancora radicati. Nonostante il benessere economico, gruppi sempre più folti di giovani, misero sotto critica la società patriarcale e dei consumi, proponendo nuovi modelli. Nel 1964 era scoppiata la Guerra del Vietnam, e le parole d'ordine dei gruppi giovanili furono amore e pace. Intanto all'Univerità di Berkeley il disagio provocò le prime contestazioni studentesche. Nel 1968 in Europa scoppiava il Maggio francese. La divisa dei contestatori era un rifiuto totale verso il mondo  elitario della moda: eskimo, sciarpe, jeans sdruciti, maglioni sformati, scarpe da tennis. Molti indumenti furono presi in prestito dalle uniformi di guerra, come il famoso Montgomery, giacca in lana pesante che il generale Bernard La Montgomery portava sempre; oppure la t-shirt, inventata dalla marina americana come canottiera

per i soldati. I giovani salirono alla ribalta delle cronache e la moda si accorse di loro, che pure la rifiutavano. Ma la società dei consumi è stata capace di incanalare la protesta e renderla commerciabile.
In California un ristretto gruppo di giovani intellettuali, che saranno definiti la beat generation crearono una nuova filosofia di vita basata sulla ricerca della libertà anche attraverso esperienze dure come l'uso di droghe e allucinogeni. In Inghilterra lo stesso fenomeno fu diversamente interpretato: la musica Beat, rappresentata dai Beatles e dai Rolling Stones, ebbe la capacità di aggregare milioni di teen agers, che copiarono  i vestiti dei loro idoli preferiti. I Beatles indossavano pantaloni stretti e corti, giacchette striminzite, uniformi ottocentesche con spalline, stivaletti alla caviglia. Gli Stones, più arrabbiati, preferivano camicie e pantaloni di satin, collane e braccialetti, e si truccavano. Per entrambi i gruppi furono fondamentali i capelli lunghi e scompigliati, che da più di un secolo erano vietati agli uomini; colori sgargianti e lucidi sostituirono il grigio abito borghese.
Londra diventò meta di pellegrinaggio giovanile: proprio in quegli anni Barbara Hulanicki, detta Biba, vi aprì la prima boutique di moda giovanile, con abiti colorati e striminziti; nuovi stereotipi femminili : Twiggy, Jean Shrimpton, Veruska. Sottopeso, con la pelle chiara e gli occhi immensi truccatissimi, furono fotografate da artisti del calibro di David Bailey ed ebbero un successo planetario. Brigitte Bardot piaceva invece per il suo broncio sensuale, la coda di cavallo e i lunghi capelli arruffati. Il predominio di Parigi sulla moda stava cominciando a vacillare: in Inghilterra Mary Quant lanciò nel 1964 la minigonna, una sottana o un tubino che scopriva abbondantemente le ginocchia. Non potendo più portare reggicalze, si inventarono i collant colorati. Mary Quant lanciò anche la moda della maglia a coste (skinny rib), che fasciava la parte superiore del corpo. In Francia André Courrèges, che aveva studiato come ingegnere, fu l'unico a seguire la moda giovane, adottando gonne corte con stivaletti senza tacco, calzamaglie bianche, linee geometrizzate, usando in modo massiccio i pantaloni, che dagli anni sessanta entrarono di prepotenza nel guardaroba femminile di ogni giorno. Audace e innovativo, Courrèges lanciò nl 1969 la Moda spaziale ispirata al primo sbarco dell'uomo sulla luna. Le sue modelle, vestite di abiti metallizzati e parrucche sintetiche multicolori, fecero epoca.
Altre novità lanciate in Francia furono gli abiti metallici di Paco Rabanne, che non avevano cuciture ma piastrine agganciate tra di loro con anelle. D'altro canto tutto il periodo guardò al materiale sintetico con interesse, includendo polivinili, con cui si potevano creare effetti di trasparenza, e tessuti acrilici. Né la moda trascurò di ispirarsi all'arte: nel 1965 Yves Saint Laurent lanciò la collezione Mondrian; erano gli anni della Pop art e dell'Optical art, fondata da Victor Vasarely. Andy Warhol propose nel 1962 un abito in carta Minestra di pomodoro, stampata con le sue notissime scatole di zuppa Campbell.
Alla fine del periodo gli stili si sovrapponevano: si ebbero abiti Unisex, tra cui la famosissima Sahariana lanciata da Saint Laurent, abiti trasparenti in stile Nude look, abiti corti e lunghi. La minigonna non accennava a stancare, tuttavia si cercò di trovare compromessi nella lunghezza degli orli. Dal 1967, fu lanciato il  Maxicappotto, sulle orme  del  successo  del  film Il  dottor Zivago, completato  da un

immenso colbacco di pelo. Mini e Maxi furono abbinati, finché non si arrivò a una  via di mezzo, il Midi, con cui si chiudevano gli anni sessanta. Il 18 settembre 1970 in Italia entrava in vigore la legge sul divorzio, sintomo di un evidente e profondo cambiamento culturale. Negli States, come reazione all'assurdità della guerra nel Viet Nam, nasceva il Flower Power, che ebbe i suoi primi, mitici cantori al raduno del festival di Woodstock.
La moda degli anni settanta nata dalle idee di protesta della fine degli anni sessanta, divenne un movimento di liberazione; gli Hippy indossavano camicioni larghi, colori sgargianti, monili di vario tipo, lasciando i capelli incolti in un groviglio di riccioli e le femministe, abiti lunghi comprati ai mercatini dell'usato con zoccoli. Alla moda erano collegate anche le idee politiche: i jeans di marca, i Ray Ban, le Timberland erano portati dai giovani di destra; a sinistra invece si preferivano jeans sdruciti, camicioni e maglioni fuori taglia, borse a tracolla in cuoio naturale.
Elio Fiorucci primo che in Italia divulgò questo tipo di moda controcorrente fatta di stracci ed il suo emporio diventò un punto d'incontro dei giovani, dove si poteva trovare di tutto, anche abiti con tessuto elasticizzato molto aderenti. Le case di moda invece si vedevano fuggire la clientela anche per la crisi industriale del 1970-75, e per salvarsi si adattarono al "pronto"; parlando ormai di mode diverse, compresa l'esplosione della maglieria, con la stilista francese Rykiel; indossando varii strati di maglia, berretti e sciarpe; e tra le novità, gli Hot pants, pantaloncini più corti delle minigonne. Ma il sarto più importante di questo periodo fu il coltissimo e fantasioso Yves Sain Laurent, innovatore del guardaroba femminile, fornendo alla donna capi tradizionalmente maschili, come lo smoking, il trench, il tailleur pantalone. Inoltre con diverse collezioni si ispirò al mondo dell'arte pop, al cubismo, al fauvismo; ed aprì una famosa catena di negozi Rive Gauche di moda pronta.
Negli anni ottanta si assistette al cambiamento della professione dello stilista che aveva creato veri e propri imperi finanziari, e che a causa della spietata concorrenza doveva dare un’immagine accattivante dei propri prodotti attraverso le più sofisticate strategie pubblicitarie. Il successo dello stilista è legato non solo agli abiti, ma anche gli accessori ed  l'arredamento stesso dell'abitazione.  Con lo sviluppo di Internet e  del computer ogni marchio creò un suo sito, non solo per pubblicizzarsi, ma anche  per vendere direttamente, continuando, comunque, con le sfilate dei modelli, nel prêt- â-porter e disegnando e colorando gli abiti elettronicamente Mentre i gruppi della cultura giovanile dei punk ed altri gruppi sviluppavano tendenze diverse, come anche la corsa alla forma fisica, ed all’eccesso della magrezza. In questo periodo la moda ridotta l'importanza della haute couture francese, diventò internazionale ed ogni nazione sviluppò uno stile differente; in Europa, in particolare, l'Italia, la Germania, e l'Inghilterra, mentre negli gli Stati Uniti ed in Giappone emergeva il classico contemporaneo. In questo periodo si sviluppò il Made in Italy attraverso varie strategie di marketing. Milano, centro industriale, divenne capitale della moda contro Torino, Firenze e Roma con i famosi stilisti Giorgio Armani, Missoni, Ferrè,  Versace, Dolce & Gabbana e Krizia. L'ideale di bellezza femminile divenne la donna sportiva e snella, ambiziosa, e di successo, secondo cui era possibile modellare il corpo con la ginnastica, il culturismo, le diete e le cure di bellezza; la donna manager,

non più femminile e fragile, ma dura e forte per il lavoro. In contemporanea nacque negli States il fenomeno Yuppie, per gli uomini ambiziosi che lavoravano spesso in borsa, avevano pochi scrupoli e frequentava ambienti e ristoranti esclusivi, sniffando cocaina e vestendosi Armani e Versace.
Ai nostri giorni, la moda, rispecchia il grande cambiamento sociale, avvenuto dagli anni 70 in poi gradualmente, verso una malcelata ineducazione e maleducazione generalizzata, sotto le mentite spoglie dei diritti senza più doveri, della libertà senza regole e confini, del tutto a tutti, perché siamo tutti uguali, così anche la moda ogni anno, ma anche nello stesso anno indiscriminatamente allunga ed accorcia le gonne, allarga o restringe i vestiti e le taglie, accoppia i colori in modo indiscriminato, così da rispondere alla poliedrica e variegata richiesta della clientela sempre meno  elegante e raffinata, ma non per questo meno pretenziosa ed arrogante. Tranne pochi atelier che mantengono buongusto ed eleganza, oggi è difficile trovare qualcosa che piace veramente, che sia ad un tempo classica e sfiziosa, particolare e seducente. Così pure la Salute psicofisica e sociale risente di questo stile di vita pressappochista, frettoloso, inelegante, poco ecologico, che fatalmente conduce a problemi, disturbi e malattie, tipiche della società attuale, come aumento dei Tumori e delle Malattie Cardio-vascolari, dei Disturbi dell’Alimentazione e dei Disturbi di Personalità.

Bibliografia - Rosita Levi Pizetsky - Storia del costume in Italia, Istituto editoriale Italiano, 1966 - Ferruccia Cappi Bentivegna - Abbigliamento e costume nella pittura italiana - volume II - ed. Bestetti, Roma. - Philippe Perrot - Il sopra e il sotto della Borghesia - Edizioni Longanesi, Milano, 1981 - Cristina Giorgetti, Manuale di Storia del Costume e della Moda, Cantini 1998 - Black J.Anderson, Garland J.Anderson Storia della moda, De Agostini 1997 - Ferruccia Cappi Bentivegna - Abbigliamentoe Costume nella pittura Italiana - Ed. Bestetti, Roma 1964 - Antonio Sandre "Il costume nell'arte", Ed. Nova, 1971 - Philippe Perrot - Il sopra e il sotto della borghesia - Longanesi, 1981 - Grazietta Butazzi, Alessandra Mottola Molfino La moda e il revival, ed. De Agostini, 1992  - Valentina Durante, Sportsystem, tra fashion e performance, Montebelluna, Danilo Zanetti Editore, 2004 - Gino Boccasile, La signorina grandi firme, Longanesi, 1981 - Lydia Kamitsis, Vionnet, Octavo, 1997
- François Baudot, Elsa Schiaparelli, Octavo, 1998 - Brigid Keenan Dior in Vogue, Harmony books, NewYork, 1981 - Richard Martin, Fashion and surrealism, edited Jan Fluegel, 1987 - Amelia Bottero, Nostra signora la moda, ed. Mursia 1979 - Yves Saint Laurent, catalogo dell'esposizione al Metropolitan Museum of art di New York, 1984 - Georgina O'Hara Il dizionario della moda ed. Zanichelli,1994 - Vittoria De Buzzaccarini Pantaloni & Co. ed. Zanfi 1989 - Vittoria De Buzzaccarini Giacche da uomo, ed. Zanfi, 1994 - Gertrud Lehnert Storia della moda del XX secolo, ed Könemann Verlagsgesellshaft, 2000

Museo della moda - A Firenze, Galleria del Costume in Palazzo Pitti, dove si può vedere la storia dettagliata delle mode che si sono susseguite nel tempo, con una collezione di circa 6000 pezzi, fra abiti antichi, accessori, costumi teatrali e cinematografici, anche di prestigiosi stilisti italiani e stranieri.


 

Fonte: http://www.psichedonna.com/articoli/Il%20Costume,%20la%20Moda,%20la%20Salute.pdf

Sito web da visitare: http://www.psichedonna.com

Autore del testo:

Prof. Dr. Emilia Costa - Presidente Società Italiana Psicopatologia di Genere - Roma Elisabetta Costa - Membro Società Italiana Psicopatologia di Genere - Roma
Relazione presentata al Convegno “Donna, Moda, Salute”- Sala piccola Protomoteca del Campidoglio - 19 Maggio 2011 – ore 18

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