Claude Achille Debussy

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Claude Achille Debussy

Simbolismo e impressionismo: Claude-Achille Debussy
« A tout Seigneur, tout bonneur », dice il proverbio francese. Onore al merito. Non che a Claude Debussy gli onori mancassero, da vivo. Dopo un inizio in tono minore, questo musicien f rançais (cosí si definiva) fu riconosciuto come il piú grande compositore francese mai vissuto; ancora oggi è considerato il rivoluzionario che, con il Prélude à l'après-midi d'un faune, del 1894, indicò la strada alla musica del ventesimo secolo. I critici piú giovani vanno in estasi, adesso, quando parlano dei contributi di Claude Debussy. È, dicono, colui che distrusse la retorica del diciannovesimo secolo; colui che con le sue innovazioni armoniche e melodiche rivoluzionò la scala qual era nel diciannovesimo secolo; colui che con le sue nuove concezioni in fatto di orchestrazione portò direttamente a Webern; colui che con i suoi pezzi per piano dette ai pianisti più materia di riflessione che qualunque altro compositore dai tempi di Chopin; colui che riaffermò l'importanza del suono fine a se stesso: il Rimbaud, il Verlaine, il Cézanne della musica. Pierre Boulez, esponente della scuola seriale, ha scritto che certe opere ultime di Debussy « sono quasi piú stupefacenti che le ultime opere di Webern ». Secondo Boulez, vi risultano eliminati tutti gli elementi del passato, e quelle opere esemplificano « il totale rovesciamento di concetti rimasti statici fino allora ». Già con L'après-midi, dice Boulez « veniva scartata tutta la pesante eredità di Wagner ... La realtà di Debussy esclude ogni accademismo ».
Debussy è il piú grande degli impressionisti musicali: ma sarebbe forse meglio chiamarlo simbolista. I pittori impressionisti - Manet, Monet, Cézanne, Renoir, Pissarro e gli altri membri della Société Anonyme des Artistes, Peintres, Sculpteurs et graveurs - tennero tre famose mostre dal 1874 al 1877; e dopo quella del 1877 il termine « impressionismo » attecchí. Derivava da un quadro di Monet intitolato Impression - Soleil levant. A Debussy non piaceva che il termine venisse usato per definire la sua musica. Anzi, in fatto di pittura i suoi gesti si rivolgevano piuttosto a Whistler e a Turner che agli impressionisti. Per lui erano piú importanti i poeti simbolisti: Mallarmé, Verlaine, Rimbaud, Maeterlinck. Un altro scrittore che lo affascinava, e che affascinava tutti i simbolisti francesi, era Edgar Allan Poe. Debussy lavorò per un certo periodo di tempo a una composizione orchestrale basata sulla Caduta della casa degli Usher e nel 1908 firmò addirittura un contratto con il Metropolitan per opere tratte dagli Usher e dal Diavolo nel campanile (nonché per un soggetto non tratto da Poe, intitolato La leggenda di Tristano). Ma l'impressionismo e Debussy sono ormai legati per sempre, e con buona ragione. Come i pittori impressionisti elaborarono nuove teorie sulla luce e sul colore, cosí Debussy elaborò nuove teorie sulla luce e sul colore in musica. Non diversamente dai pittori impressionisti e dai poeti simbolisti, cercò di cogliere impressioni e stati d'animo fuggevoli, di bloccare l'essenza esatta di un pensiero nella maniera piú economica possibile. La forma classica lo interessava molto meno della sensibilité. Fin dal principio fu un ragazzo e poi un uomo di sensibilité. Già da bambino aveva gusti aristocratici. Alla famosa pasticceria di Bourbonneux gli amici si ingozzavano di dolcetti da pochi soldi, per averne il piú possibile. Lui sceglieva un piccolo sandwich, un piccolo timbale aux macaronis o un pasticcino delicato. Adulto, ebbe gusti altrettanto squisiti. Non poteva fare a meno di circondarsi di belle stampe e di bei libri. Buongustaio, aveva una predilezione particolare per il caviale. Si vestiva con un'eleganza quasi da dandy, con cravatte accuratamente scelte, mantelli e cappelli a tesa larga. Seppe perfettamente che cosa voleva dalla vita e se lo prese, ignorando tutti gli altri.
Nato il 22 agosto 1862 a Saint-Germain-en-Laye, poco fuori Parigi, da ragazzo sviluppò due curiose protuberanze sulla fronte, un double front. Diventò brillante pianista e a dieci anni fu ammesso al Conservatorio. Due anni dopo era già tante bravo da affrontare il Concerto in fa minore di Chopin. Sempre in quegli anni cominciò a comporre. Non ebbe amici intimi, e un compagno disse di lui che era « chiuso, per non dire sgarbato; non era simpatico agli amici ». Studiò teoria con Alfred Lavignac, piano con Antoine Marmontel, armonia con Émile Durand, composizione con Ernest Guiraud. Già allora era per natura ribelle, uno di quei temperamenti indagatori che non esitano a fare domande imbarazzanti ai piú anziani. Al Conservatorio senti qualche lezione di César Franck, ma ci rinunciò subito, inorridito. « Modulez, modulez! » diceva Franck, guardando di sopra la spalla la sua esercitazione. Debussy scandalizzò i compagni affrontando francamente il famoso e venerabile maitre. « Perché dovrei modulare se mi trovo benissimo in questa tonalità? » Prendeva in giro Franck, lo chiamava « la macchina per modulare ». Alle lezioni di composizione di Guiraud sedeva al piano formando accordi bizzarri e rifiutandosi di risolverli. Un insegnante, esasperato, gli domandò quali regole stesse seguendo. « Mon plaisir » gli rispose, asciutto. Nondimeno era riconosciuto come un giovane di talento: dopo molti premi ebbe il piú importante di tutti, il Prix de Rome, nel 1884.
Col passare degli anni Debussy diventò un uomo complicato e riservato, uno di quelli individui che si serrano in una corazza nella quale è difficile penetrare. Ebbe pochi amici e pochissimi intimi: tra questi ultimi, Erik Satie e Pierre Louijs. La sua vita privata fu veramente privata e anche abbastanza deplorevole, perlomeno secondo i comuni canoni di comportamento. Tornato da Roma nel 1887, convisse per dieci anni con Gabrielle Dupont, Gaby dagli occhi verdi. Nessuno sapeva di dove venisse quella ragazza. Debussy si sistemò con lei in una miserabile stanzetta appena fuori Montmartre, e per quei dieci anni lei si curò di lui, lo mantenne (che cosa faceva? la lavandaia? la midinette? lavava i pavimenti? Nessuno lo sa) e lo protesse dai creditori. Nel 1899 lui la ricompensò sposando Rosalie Texier. Ma anche prima le era stato infedele e una volta, dopo un litigio, Gabrielle si sparò una rivoltellata. Sopravvisse, tornò per breve tempo con lui e poi scomparve dalla sua vita misteriosamente come vi era entrata. Molti anni dopo il pianista Alfred Cortot l'incontrò per caso in un teatro, a Rouen. Raccontò che era vestita come un'operaia.
Il matrimonio con Rosalie non durò a lungo. Qualche tempo dopo, disse una volta Debussy, il suono della voce di lei cominciò a gelargli il sangue. La piantò nel 1904 per Emma Bardac, una donna sposata: Rosalie, come Gaby, si sparò. Quando Debussy sposò Emma nel 1905, quasi tutta la Parigi intellettuale si schierò dalla parte di Rosalie, e pensò che Debussy si fosse sposato per denaro. Emma era più vecchia di lui e aveva già figli grandi. Gli partorí una bambina - Chouchou, che Debussy adorava - prima di divorziare dal banchiere Raoul Bardac. Può darsi benissimo che a Debussy interessasse il suo denaro, ma è anche vero che Emma gli piaceva, per qual tanto che un essere umano poteva piacergli. Emma era una cantante e un'artista spiritosa e raffinata, mentre Rosalie era stata una dolce creatura di provincia, tutt'altro che intellettuale.
I gusti di Debussy non erano da nessun punto di vista uguali a quelli degli altri. Mentre l'Europa musicale venerava Wagner, il musicista francese fece il suo bravo e breve approccio con le opere del maestro tedesco e poi rifuggi dal wagnerismo per tutta la vita. Satie rivendicò il merito di averlo strappato definitivamente da Wagner per portarlo a uno stile « piú puro ». Erik Satie (1866-1925) fu un eccentrico pianista e compositore: intratteneva i clienti al Chat noir e nello stesso tempo si assicurò un posto di primo piano nella vita intellettuale francese. Compose brevi pezzi disadorni, in armonia « di tonalità bianca », fu accanito antiwagneriano e propugnò una sorta di musica che in un certo senso era, e deliberatamente, antimusica. La sua « musiqu d'ameublement » andava suonata ma non ascoltata, come una carta da parato che si guarda senza vederla. Fu uno dei primi dadaisti e surrealisti, e compose pezzi, appunto, dai titoli surreali, come Pièces en forme de poire, o Embryons desséchés. La sua musica, che fa da ponte tra quella di Chabrier e quella di Poulenc, è di singolare personalità. Per tutta la vita Satie esercitò la sua influenza sull'avanguardia francese, prima su Debussy e poi sui Six. Rappresentò la netta frattura con la tradizione.
Debussy e Satie si conobbero al Chat noir intorno al 1890.
Quando lo incontrai la prima volta [raccontò poi Satie] era pieno di Musorgskij ed era decisamente alla ricerca di una strada che non gli riusciva di trovare. In questo io ero molto piú avanti di lui. Non avevo sulle spalle il peso di un Prix de Rome o di altri premi, perché io sono come Adamo (del paradiso terrestre) che non vinse mai premi: un pigro, certo. A quel tempo andavo componendo Le Fils des étoiles su libretto di Joseph Péladan, e spiegai a Debussy che non ero affatto antiwagneriano, ma che dovevano avere una musica nostra: se possibile. senza Sauerkraut. Perché non usare i mezzi divulgati da Claude Monet, Cézanne, Toulouse-Lautrec? Perché non trasporli in musica? Niente di piú semplice.
Intanto Debussy stava arrivando, per conto suo, alla stessa conclusione. Già nel 1894 si accorse che la breve infatuazione per Wagner stava finendo. « Essendo stato per diversi anni un appassionato visitatore di Bayreuth, cominciai a dubitare della formula wagneriana: o meglio, essa mi pareva adatta solo al talento particolare di quel compositore, gran raccoglitore di clichés che riassumeva in una formula: e questa formula sembrava insolita solo perché la gente non ne sapeva abbastanza di musica. » Era dunque necessario, concludeva Debussy, superare Wagner, e non seguirne le orme. Cominciava intanto a trovare sempre piú spesso ispirazione in Musorgskij, invece che in Wagner. Aveva conosciuto la sua musica in Russia, dove era stato per qualche tempo nel 1881, maestro di piano dei figli di Nadejda von Meck, la protettrice di Tchajkovskij, (che lo rispedí in Francia appena lui si innamorò di Sonia, la primogenita della von Meck). Un'altra forte influenza musicale, che toccò fortemente la sua sensibilité, fu la musica etnica esotica rappresentata dall'orchestra giavanese di Gamelan, che senti alla Grande Exposition Universelle del 1889. In quella occasione notò che la musica giavanese impiegava un contrappunto « a paragone del quale il contrappunto di Palestrína è un gioco da bambini ». La musica primitiva e quella medievale lo interessarono sempre.
A questi gusti superraffinati si accompagnava la netta antipatia per i compositori accademici. Brahms non gli diceva niente, Tchajkovskij non gli piaceva, Beethoven lo annoiava. Lavorava di solito in forma sonata, prevalente sin dai tempi di Mozart. Era convinto che la forma sinfonica fosse morta. « Mi sembra che la prova della stupidità della sinfonia sia stata data sin dai tempi di Beethoven. Schumann e Mendelssohn non fecero che ripetere rispettosamente ma con minore forza le stesse formule. » La sua era una musica di sensazioni personali, quasi tattile (« Informe! » gridavano gli accademici), una musica che non aveva le « giuste » risoluzioni di accordi, una musica in cui la tonalità cominciava a spezzarsi, in cui si manifestavano per la prima volta le idee del ventesimo secolo in fatto di forma e di tecnica. Fu il primo dei compositori post-wagneriani a lavorare in uno stile completamente nuovo: e L'après-midi d'un faune ha, nella storia della musica, un posto paragonabile a quello della Sinfonia Eroica e dell'Orfeo di Monteverdi. Tutt'e tre queste opere memorabili sfidarono il passato e dimostrarono che le vecchie regole non erano piú valide.
Debussy pensava in maniera nuova. « Sono sempre piú convinto che la musica, per la sua stessa natura, è qualcosa che non si può modellare su formule tradizionali e fisse. È fatta di colori e di ritmi. Il resto è tutto impostura inventata dai frigidi imbecilli che cavalcano sulla groppa dei maestri: e che, nella maggior parte, non scrissero altro che musica. Il solo Bach ebbe idea della verità. » Pochissime cose in fatto di musica, piacevano a Debussy, il quale disprezzava certe figure prestigiose del passato non meno dei francesi suoi contemporanei e degli immediati predecessori. Massenet era un « maestro nell'arte di compiacere stupide concezioni e teorie dilettantesche ». I1 Faust era stato « massacrato » da Gounod e l'Amleto di Shakespeare
« trattato nella maniera piú vergognosa da Ambroise Thomas ». Charpentier era « volgare ». In generale: « La nostra povera musica! Come è stata trascinata nel fango! ».
Non per niente Debussy si definiva musicien français. L'etichetta era soprattutto una dichiarazione provocatoria del suo anti-wagnerismo; e poi, durante la guerra mondiale, anche espressione della sua avversione per i tedeschi. In ogni caso la sua musica è l'essenza di tutto ciò che è francese. Una volta fece un'enunciazione, abbastanza lunga, degli ideali gallici, confrontando la chiarezza e l'eleganza francesi con la prolissità e la pesantezza tedesche. « Per il francese, la finezza e la sfumatura sono figlie dell'intelligenza. » Il musicista francese non ammucchiava sonorità su sonorità: non sarebbe stato conforme all'essenza del carattere francese. Gli artisti dovevano controllarsi. A quel tempo, Debussy era in cerca di un libretto. « Sogno una poesia che non mi condanni a escogitare atti lunghi e pesanti, una poesia che offra scene che corrispondano all'ambiente e al carattere, e in cui i personaggi non discutano ma soggiacciano alla vita e al loro destino. »
Debussy scriveva queste parole nel 1889. Nel 1893 trovò il poema sognato: il Pelléas et Mélisande di Maurice Maeterlinck, un dramma messo in scena nel 1892. Lo vide e ne fu affascinato. Corrispondeva perfettamente alle sue idee in fatto di libretti. Ancora studente del Conservatorio aveva cercato un libretto che non avesse «'luogo, tempo, scena madre ». Disse al suo insegnante che nell'opera l'elemento musicale era troppo preminente, e che si cantava troppo. « La voce dovrebbe sbocciare in un canto vero e proprio solo quando è necessario. L'ideale sarebbe un quadro in grigio. » Non dovevano esserci « sviluppi in quanto tali ». Il Pelléas et Mélisande pareva scritto proprio su ordinazione di Debussy, il quale chiese immediatamente all'autore il permesso di musicarlo: richiesta piuttosto ardita di un compositore poco conosciuto a un commediografo di fama mondiale. Dieci anni dopo venne fuori un capolavoro. Fu anche, quello della sua composizione, un periodo di irritazione, una commedia degli errori e dell'orgoglio ferito, una commedia fatta di amarezze, eroismi e idiozie.
All'inizio, andarono perfettamente d'accordo. Debussy fece visita a Maeterlinck per parlare del libretto. Scrisse a un amico che Maeterlinck in un primo momento aveva « assunto l'aria di una giovanetta presentata al futuro marito ». Debussy lo trovò affascinante, colto in generale, ma musicalmente analfabeta. « Quando parla di una sinfonia di Beethoven sembra un cieco in un museo. » Debussy fini lo spartito nel 1895: scontento, lo riscrisse dalla prima all'ultima nota. Solo nel 1901 lo portò a termine. Intanto aveva pubblicato il Quartetto per archi, i tre Notturni per orchestra, alcune liriche di stupefacente bellezza, ed era diventato famoso.
Quando suonò lo spartito a Maeterlinck, il poeta, annoiato, si appisolò. La moglie, Georgette Leblanc, ogni tanto lo scuoteva per tenerlo sveglio. La Leblanc era un'attrice, ed era diventata diva grazie alle commedie del marito. Era anche cantante, e sperava di avere la parte della protagonista nell'opera. E qui cominciarono i guai. Secondo il suo racconto - e quasi tutti le credettero - Debussy fu « incantato » quando lei lanciò quell'idea, e fecero anche delle prove insieme. Ma Albert Carré, direttore dell'Opéra-Comique, la pensava diversamente. Voleva Mary Garden, e la Garden vinse. Né Maeterlinck, né la Leblanc ne seppero niente, finché un giorno lessero il giornale. Allora scoppiò la bomba. Maeterlinck cercò immediatamente di bloccare la rappresentazione. Debussy negò di aver mai promesso la parte alla Leblanc. Maeterlinck si rivolse al tribunale e i giudici dettero ragione a Debussy. Allora il temperamento belga di Maeterlinck ebbe il sopravvento. Afferrò il bastone e minacciò di fare una marmellata di Debussy. Schiumante rabbia, saltò dalla finestra (viveva però al pianterreno) e si precipitò dal compositore. Debussy non fece una figura eroica. Di fronte al furibondo e temibilissimo Maeterlinck, non volle saperne di battersi e cadde in deliquio su una poltrona, mentre la moglie gli faceva odorare i sali. Maeterlinck, sconcertato, se ne andò dicendo: « Questi musicisti sono tutti pazzi, tutti malati ». Si parlò di duello tra Debussy e Maeterlinck o tra Carré e Maeterlinck. Ma non se ne fece niente. Maeterlinck invece andò da una veggente. Non che ci credesse, ma non si potva mai dire, spiegò. La veggente gli dette un responso impeccabile: « Le forze della natura sono ben quilibrat. Secondo la logica umana è impossibile prevedere come andrà a finire ».
Finí che Maeterlinck scrisse una lettera aperta al “Figaro” annunciando al mondo che l'opera sarebbe stata rappresentata contro il suo desiderio. Accusò Debussy di aver massacrato il libretto, con tagli « arbitrari e assurdi »; date le circostanze, spiegò, era « ridotto a sperare in un immediato e deciso fiasco ».
Fu quasi accontentato. Alla prima rappresentazione, il 30 aprile 1902, Pelléas et Mélisande non ebbe successo, pur suscitando un sacco di discussioni. Ma ben presto si affermò, nonostante le perplessità di ottimi musicisti, specialmente tedeschi. Era tutto cosí contrastante con l'idea che i tedeschi avevano allora dell'opera, che non sapevano a che cosa appigliarsi. Richard Strauss assistette a una rappresentazione del Pelléas nel 1907 con Romain Rolland, che ci ha lasciato un resoconto divertentissimo della serata:
Strauss è arrivato alla fine della prima scena e si è seduto tra Ravel e me. Dietro a noi c'erano Jean Marnold e Lionel de la Laurencie (due critici musicali) ... Privo come al solito di inibizioni e senza riguardo per la cortesia convenzionale, Strauss non ha parlato praticamente con nessuno, se non con me, confidandomi in un bisbiglio le sue impressioni sul Pelléas. (Dopo tutti i pettegolezzi dei giornali è diventato diffidente.) Ha ascoltato con la massima attenzione e con il binocolo agli occhi ha seguito tutto quello che succedeva sul palcoscenico e nell'orchestra. Ma non capiva niente. Dopo il primo atto (le prime tre scene), mi chiede: « È tutto cosí? ». « Sí. » « Nient'altro? Non c'è niente. Niente musica. Niente di conseguente. Niente frasi musicali. Niente sviluppo. » Marnold ha cercato di intervenire nella conversazione, dicendo, con la sua solita mano pesante: « Ci sono frasi musicali, ma non sono messe in risalto in modo che il comune spettatore possa capirlo ». Strauss, piuttosto sconcertato ma con molta dignità: « Io sono musicista e non sento niente » ...
Ancora oggi, gli ascoltatori condizionati dall'opera ortodossa reagiscono come reagí allora Strauss. Il Pelléas et Mélisande non è mai stato popolare alla maniera delle opere di Verdi, di Puccini, di Wagner. È troppo raffinato, troppo esangue. Questi attributi, ovviamente, sono proprio le cose apprezzate dalla minoranza che considerano Pelléas l'opera piú sottile e piena d'atmosfera che sia mai stata scritta. Tutte le arie tradizionali vi sono bandite. I personaggi invece declamano in una sorta di canto parlato. La sera della prima Debussy convocò gli interpreti e li implorò di dimenticare che erano cantanti. Musorgskij, non Wagner, è il progenitore della linea vocale di quest'opera, anche se essa è l'opera integrale, completa di leitmotiv (cosa che Strauss, giubilante, fece notare) e che in teoria si avvicina di molto all'ideale wagneriano di una fusione di musica, dramma e messinscena. Nel suono e nella concezione, tuttavia, differisce completamente dalle opere di Wagner. Si svolge in un mondo di sogni, un mondo di pianissimo, di colori diafani, di sottigliezza e di compostezza. È un'opera di sensibilité. Debussy ne fu soddisfatto. « Ho cercato di aprire una strada che altri potessero seguire aggiungendo le loro scoperte e liberando la musica drammatica dalle pesanti limitazioni di cui ha sofferto per tanto tempo. »
Qualche anno dopo la prima, Debussy scrisse per l'Opéra-Comique un'introduzione al Pelléas et Mélisande che è di eccezionale interesse. Disse che aveva sempre desiderato comporre un'opera. « Ma la forma che desideravo impiegare era cosí insolita che dopo vari tentativi fui sul punto di rinunciare. Precedenti ricerche nella musica pura mi avevano portato a odiare lo sviluppo classico, la cui bellezza è semplicemente tecnica e parla soltanto ai musicisti intellettuali. Desideravo per la musica quella libertà di cui essa è capace forse in misura superiore a ogni altra arte, in quanto non è limitata all'esatta riproduzione della natura, ma solo alla misteriosa attività tra la Natura e l'Immaginazione. » Le teorie di Wagner non rappresentavano la risposta. « Si trattava, allora, di scoprire quello che veniva dopo Wagner ma non alla maniera di Wagner. » Il dramma di Maeterlinck gli andava bene perché « nonostante l'atmosfera fantastica » conteneva « ben piú umanità dei cosiddetti documenti di vita vissuta ». In quest'opera, continuava Debussy, aveva tentato
di obbedire a una legge di bellezza che sembra essere singolarmente ignorata quando si tratta di musica drammatica. I personaggi del dramma si sforzano di cantare come persone vere, e non in un linguaggio arbitrario costruito su tradizioni vetuste. Di qui il rimprovero rivolto alla mia presunta parzialità per la declamazione monotona, senza traccia di melodia ... Tanto per cominciare, non è vero. Inoltre, i sentimenti di un personaggio non possono essere espressi continuamente in melodia. La melodia drammatica, poi, dovrebbe essere completamente diversa dalla melodia in generale ... La gente che va a sentire musica a teatro è, dopotutto, come quella che si raccoglie intorno a un cantante girovago! Qui, per qualche soldo, ci si può abbandonare alle emozioni melodiche ... Per una singolare ironia questo pubblico, che chiede a gran voce qualcosa di nuovo, è lo stesso che si allarma e schernisce quando uno cerca di strapparlo alle vecchie abitudini e al solito tran tran ... La cosa può sembrare incomprensibile; ma non bisogna dimenticare che un'opera d'arte o il tentativo di creare la bellezza sono sempre considerati da alcuni alla stregua di un affronto personale.
Pelléas et Mélisande non ebbe seguito. Fu un'opera unica e tale è rimasta. Neppure Debussy si sforzò di imporla, come del resto non si sforzò di imporre il resto della sua musica. Il suo atteggiamento nei confronti della vita era fatto di una sorta di opaca noncuranza. In ogni modo, non amava molto la gente e sarebbe bastato questo a impedirgli di stringere quei contatti personali che i compositori trovano indispensabili per far conoscere le loro cose. Quando vinse il Prix de Rome nel 1894 e fu costretto a vivere a Villa Medici, si senti infelice. Detestava la villa, detestava i compagni, detestava Roma: e fuggi a Parigi senza finire quei tre anni di « lavori forzati », come li chiamava lui. Fu sempre suscettibile in maniera anormale: pronto a offendersi, sensibile fino alla mania, a disagio con la gente che non conosceva. Naturalmente detestava apparire in pubblico, detestava dirigere, detestava dare concerti come pianista. Preferiva i gatti alle persone, e non rimase mai senza uno o più gatti siamesi. Forse in questi animali vedeva riflesse la riservatezza, l'indipendenza e l'amoralità della sua stessa natura. Debussy aveva, paradossalmente, le abitudini e il carattere di un gatto, e c'era qualcosa di felino nella sua indole, anche se non nel suo fisico. Era di bassa statura, grassoccio, molle, pallido, indolente; aveva palpebre pesanti sotto l'alta fronte bernoccoluta e una barba che a molti faceva venire in mente un Cristo della pittura rinascimentale italiana. Si acconciava i capelli in modo da nascondere le protuberanze della fronte ma non serviva a niente, e lo chiamavano « le Christ hydrocéphalique ». Era uomo che non passava inosservato. Colette parlava della sua « testa da Pan ... Nello sguardo implacabile le pupille dardeggiavano continuamente da un punto all'altro, come quelle degli animali da preda ipnotizzati dalla loro intensità stessa ». Come un gatto, si coccolava e pensava solo a se stesso. « Non so se il suo egoismo sarà mai vinto », aveva scritto un suo compagno di scuola, Paul Vidal. « È assolutamente incapace di sacrificio. Niente fa presa su di lui. I genitori non sono ricchi. Invece di mantenerli con il denaro che guadagna dando lezioni, si compra libri, oggetti d'arte, incisioni e cosí via. La madre ci ha fatto vedere che ne ha dei cassetti pieni. » Quando gli « prestavano » del denaro, gli amici sapevano che non lo avrebbe mai restituito.
Accanito fumatore, Debussy fu un sibarita, un sensuale, un ironista: e non si può dire che fosse molto gradevole. Perciò non poteva avere molti amici. Marcel Proust lo ammirava: avrebbe voluto conoscerlo meglio e una volta gli attaccò bottone e lo accompagnò a casa con la sua vettura. L'incontro tra i due grandi rappresentanti della sensibilité non fu fortunato. Proust si lamentò che Debussy non lo aveva ascoltato. Debussy trovò Proust « prolisso e un po' portinaia ». Nondimeno Proust, sempre snob, insistette e lo invitò a un ricevimento in suo onore. Debussy non volle saperne di andarci. « Lo so che sono un orso. Preferisco che ci si veda di nuovo al caffè. Non prendetevela. Sono nato cosí. »
Era anche nato genio, con un paio di orecchie tra le piú sensibili che musicista abbia mai avuto. Nessun compositore ebbe istinto piú infallibile per l'accordo capace di dare l'esatta sfumatura di colore voluta. Questi tocchi di colore rendono unica la sua musica, specialmente quella per piano. Debussy compose molto per questo strumento, dall'alquanto convenzionale Pour le piano agli austeri Études. Sono composizioni originali come la sua stessa tecnica pianistica. Alfredo Casella era incantato quando lo sentiva suonare: « Non ci sono parole per descrivere quel modo di suonare certi Préludes. Non aveva il virtuosismo dello specialista, ma il suo tocco era estremamente sensibile. Si aveva l'impressione che stesse suonando direttamente sulle corde dello strumento, senza l'aiuto meccanico dei tasti e dei martelletti. Usava i pedali come nessuno. Il risultato era poesia pura ».
Debussy sarebbe stato molto compiaciuto di questo giudizio. Mirava a liberare il piano dalla sua sonorità percussiva. Era un'impostazione che si rifaceva a Chopin piú che a Beethoven. « Mi sono definitivamente e completamente convinto » scrisse nel 1909 « che Beethoven aveva scritto male per il piano. » E alla pianista Marguerite Long: « Detesto cordialmente i concerti per piano di Mozart, ma meno di quelli di Beethoven ». Chopin aveva mostrato come, mediante effetti di pedale e delicate variazioni di tocco, si potesse far « cantare » il piano. Debussy si spinse oltre. Insisteva che il piano doveva risuonare come « uno strumento senza martelli ». Le dita dovevano « penetrare nelle note ». Gli effetti dovevano essere ottenuti mediante l'uso del pedale: Debussy lo chiamava « pedale vivente » . Nel 1903 cominciò la serie matura di pezzi per piano. In Estampes, L'Isle Joyeuse, Images, Children's Corner, i due libri di Préludes e i due di Études, fu inventato un nuovo stile di scrittura pianistica, la più significativa dai tempi di Chopin. Spesso è musica tecnicamente difficile, ma la tecnica vi ha una parte minima. I pianisti di allora dovettero lottare con un nuovo tipo di diteggiatura, con nuove estensioni, nuove sonorità e l'uso rivoluzionario del pedale. Adesso tonalità e accordi galleggiavano nell'aria; le melodie dardeggiavano attraverso blocchi di armonie sospese. (Certi musicisti alla Pierre Boulez, che disse altezzosamente di aver voluto con le sue interpretazioni « distruggere la nebbia di Debussy », ignorano che Debussy volle in piena consapevolezza creare quella nebbia.) I pezzi per piano sono « impressioni », come le tele dei pittori impressionisti. Non avevano « sviluppo ». Coglievano invece una sola idea, la esaminavano e si fermavano. Dal punto di vista armonico la musica non seguiva alcuna norma. L'unica regola era dettata dall'orecchio squisito di Debussy, ed era infallibile. La tonalità non fu abbandonata ma portata al limite della dissoluzione. Gli accordi non sempre si risolvevano. Erano spesso fine a se stessi. Un'opera come Voiles sembra operare in tre tonalità in una volta: la minore, do maggiore e si bemolle maggiore.
Anche le melodie di Debussy hanno questa sorta di ambiguità tonale. La squisita sensibilità per la declamazione che si coglie in Pelléas e Mélisande è ancor piú raffinata. La linea vocale è in buona misura una forma di recitativo, in cui le parole sono valorizzate al massimo, profumato dall'infallibile orecchio che Debussy ebbe per la prosodia e per gli accompagnamenti sensuali, dal suono esotico. Debussy fu sempre sensuale. Anche quando si servi di espedienti della musica antica - scale modali, canto gregoriano orientalismi di natura pentatonica - la musica era sensuale. O era sensuale quando usava la scala a toni interi, nuovo espediente in cui la scala era costruita con seconde maggiori. C'è nella sua musica un suono languoroso e, nella musica orchestrale, un'impostazione assolutamente nuova. L'orchestrazione è duttile e originale. Come nei pezzi per piano, Debussy sentiva in maniera diversa dagli altri compositori. Ci dà una serie di impressioni sensoriali; e perfino in La Mer, la composizione piú vicina alla forma sinfonica, c'è senso di improvvisazione piú che sviluppo. Colore, timbro e ritmo assumono importanza pari all'armonia e alla melodia. Per molti della giovane generazione, oggi, una composizione come Jeux del 1912 è piú rivoluzionaria di qualsiasi cosa scritta da Schönberg o da Stravinskij.
Debussy elaborò la sua estetica molti anni prima di cominciare a produrre la serie delle opere maggiori. Prima dei trent'anni non scrisse niente di veramente significativo. Ravel, che aveva tredici anni meno di lui, cominciò a produrre intorno al 1900, a venticinque anni, e le loro carriere si svolsero parallele. Nel 1907 i seguaci di Debussy e di Ravel battagliavano, e la Parigi musicale era a rumore. Debussy, che di solito rifuggiva dalla polemica pubblica, era disgustato. Un giorno incontrò un amico che gli disse che i suoi sostenitori lo annoiavano. « Ti annoiano? » disse Debussy. « A me mi ammazzano. »
Quando cominciò a comporre con continuità, diventò evidente che la sua non era una mente musicale astratta. Aveva bisogno di qualcosa che scatenasse una reazione a catena, in lui, ed è significativo che quasi tutte le sue composizioni abbiano un titolo: Printemps, Iberia, Children's Corner, Estampes, La Mer, Suite bergamasque, En blanc et noir e cosí via. Tutti i ventiquattro preludi hanno un nome, anche se i titoli furono dati dopo la composizione. Cosí facendo, Debussy dimostrò chiaramente che non intendeva scrivere musica a programma. Non racconta mai una storia. Piuttosto suggerisce un'impressione: un'impressione del mare, del chiaro di luna, del pesce d'oro, della Spagna. È il pittore musicale e l'epigrammista musicale per eccellenza. Anche la sua opera orchestrale più ambiziosa, La Mer, è quasi completamente aprogrammatica, molto meno programmatica in ogni caso della Pastorale di Beethoven (che è a sua volta un'« impressione » della natura), perché Beethoven ha precise indicazioni di canti d'uccelli, di un temporale, di trastulli di contadini. La Mer, dal canto suo, è una serie di impressioni timbriche in cui le onde non si vedono ma si sentono, in cui le immagini sono sottintese e non specificate. « Io disprezzo al massimo la musica costretta a seguire un brano letterario che hanno avuto cura di consegnarti quando sei entrato in sala » scrisse una volta Debussy.
È interessante osservare che in questa grande partitura il libero impressionismo è temperato da una sorta di forma classica. Ci sono tre movimenti che ricordano vagamente la sinfonia classica. Quando mori, il 25 marzo 1918, a Parigi, sotto un bombardamento tedesco, Debussy si stava rivolgendo a una idea della forma classica ed era occupato da sei sonate strumentali, di cui tre già completate. La Sonata per violoncello e la Sonata per flauto, viola e arpa vengono eseguite di rado; ma si sente spesso la Sonata per violino, grazioso brano che guarda indietro al giovanile Quartetto per archi. Forse Debussy avrebbe rivoluzionato la forma classica come aveva rivoluzionato gli altri aspetti della musica.
Il termine « impressionismo » lo irritava, cosí come il termine « romanticismo » aveva irritato Schumann tre generazioni prima. Quando compose Images cercò di illustrare le sue teorie. « Ciò che io mi propongo è qualcosa di diverso: un effetto di realtà, che però alcuni sciocchi chiamano impressionismo, termine di solito usato a sproposito, specialmente dai critici che non esitano ad applicarlo a Turner, il piú grande creatore di effetti misteriosi di tutto il mondo dell'arte. » Ma è una questione semantica. Qualunque nome si voglia usare - impressionismo, metafisica o come si vuole - Debussy lavorò come lavorarono i grandi poeti o i grandi pittori, sublimando la realtà col presentare un nuovo quadro uditivo del mondo. Dalla sua sensibilità cosí squisitamente acuta venne un nuovo vocabolario. La sua non è la musica vigorosa di un Bach o di un Beethoven, e non è aliena da preziosismi. Ma nel sapore, nel colore, nel profumo non ha uguali. Ha un tessuto che resta originalissimo: trasparente, rilucente, vagamente modale, esotico, di infallibile precisione. E la sua armonia è originale, con movimenti di accordi paralleli prima inauditi, dissonanze non risolte, scale arbitrarie e una sintassi nuova.
È la frattura della musica del ventesimo secolo con la musica del passato. Non c'era piú un grande edificio costruito come una cattedrale. Non ci sarebbero più state regole fisse in base alle quali questa modulazione o questa progressione erano permesse e queste altre no. Debussy fece per le relazioni tonali ciò che Monet e Cézanne fecero per i tradizionali rapporti di colore. Un gesto, e i vecchi rapporti scomparvero come per incanto. L'arte e la musica diventarono insinuazione piuttosto che retorica o illustrazione, haikai invece che sonetto. Un magico accordo ricco di profumo bastava a definire lo stato d'animo. Perché preoccuparsi di uno sviluppo superfluo? Debussy non dimenticò mai ciò che aveva detto Verlaine: che bisognava torcere il collo all'eloquenza.
Harold C. Schonberg (da I GRANDI MUSICISTI, traduzione di Vittorio Di Giuro, ed. Mondadori, 1972)

 

Fonte: http://www.resmusica.it/doc/Simbolismo%20e%20impressionismo.doc

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