Franz Peter Schubert

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Franz Peter Schubert

Il poeta della musica: Franz Peter Schubert
Franz Schubert, che mori a trentun anni, visse per tutta la vita nell'ombra di Beethoven. Per i viennesi, per tutti gli europei, anzi, Beethoven era il grande, e solo pochi compositori - Hummel, Spohr, forse Weber - meritavano di essere citati con lui, ma a debita distanza. Schubert non era tra questi. Non che fosse considerato una nullità. Nel suo paese godeva di una certa fama, anche se soprattutto come autore di lieder. Ma era una fama locale. Schubert, si può dire, non si mosse mai da Vienna - a parte due brevi viaggi nella vicina Ungheria dove ebbe come allievi i figli del conte Johann Karl Esterhàzv - e fu uomo piuttosto timido e riservato. Lui, primo grande compositore della storia che non fosse anche direttore e concertista, non poteva diventare famoso come esecutore o favorire il successo della propria musica con il suo virtuosismo. Non chiese mai molto alla vita. Fu una specie di bohémien, e si accontentò di buttare giú una pagina dopo l'altra di musica, venisse o no eseguita. La sua missione era creare musica; non era fatto per altro. « Lo stato dovrebbe mantenermi » disse all'amico Toseph Hüttenbrenner. « Sono venuto al mondo per comporre e basta. »
Nonostante tutti i libri che si sono scritti su di lui, Schubert resta un personaggio dai contorni indistinti e addirittura misteriosi. Si sa parecchio degli aspetti esteriori della sua vita, ma si sa stranamente poco di ciò che diceva, pensava, sentiva. Ha lasciato pochissime lettere, e il diario, mai concluso, che iniziò nel 1816 consiste soprattutto di deliziose, e generiche, fantasticherie di adolescente. « L'uomo è come una palla con la quale giocano il caso e le passioni. » Oppure: « Felice colui che trova un vero amico. Ancora piú felice colui che trova una vera amica nella propria moglie ». Tutte cose molto belle, ma niente di particolare, niente che ci dica granché sull'autore. Una quarantina d'anni dopo la sua morte, quando il mondo apri gli occhi e si rese conto che Schubert era uno dei colossi della musica, si fece di tutto per avere ricordi e testimonianze da quelli che l'avevano conosciuto. Venne raccolto un fiume di materiale, che è stato vagliato con la massima cura. Naturalmente a quell'epoca tutti coloro che avevano avuto contatto con Schubert vollero godere di un riflesso della sua gloria. Ma della breve vita di Schubert - 31 gennaio 1797 - 19 novembre 1828 - resta materiale solo per uno schizzo biografico superficiale. Ecco perché quasi tutte le biografie che sono state scritte di lui si concentrano piú sulla musica che sull'uomo.
È difficilissimo, forse impossibile, ricostruire il suo carattere.
Certo, le linee principali della vita sono ben documentate. Era il dodicesimo di quattordici figli, di cui cinque soli sopravvissero. Il padre teneva una piccola scuola in casa, nella stessa casa in cui nacque Franz. Nel 1808 il ragazzo fu ammesso come soprano nel coro della cappella di corte all'Imperial Regio Seminario, dove gli fu anche impartita un'istruzione generale. Come studente del seminario indossò l'uniforme ufficiale: tricorno vecchio stile, colletto bianco, giubba scura con le code, una spallina d'oro portata sulla spalla sinistra, bottoni lucidi, panciotto antiquato fin sotto lo stomaco, brache corte con le fibbie, scarpine senza fibbie. Ragazzo brillante, studiò con profitto tutte le materie, ma nella musica affermò immediatamente la propria superiorità. Era il beniamino del seminario, buon pianista e violinista e già prolifico compositore. Questo a undici anni. Il principale insegnante di musica del seminario, un certo Wenzel Ruzicka, si accorse, a un certo punto, che non aveva piú niente da insegnare al ragazzo. « Questo ha imparato da Dio! » si vuole che dicesse. Un altro insegnante, Michael Holzer, scrisse piú in là: « Se cercavo di insegnargli qualcosa di nuovo, mi accorgevo che lui la sapeva già. Perciò non gli impartii una vera e propria istruzione ma mi limitai a parlargli e a osservarlo con muto stupore ». Sempre nel 1808 Schubert attirò l'attenzione di Antonio Salieri, direttore musicale di corte, e diventò allievo di composizione di quell'importante personaggio. (Salieri era uno dei piú noti compositori del tempo, ed era anche la bestia nera di Mozart. Aveva contatti in tutti gli ambienti e li coltivava gelosamente. Mozart non poté fare molta strada avendolo contro. Dopo la morte di Mozart corse voce che Salieri lo avesse avvelenato. Questa assurda diceria non è minimamente provata; ma pesò molto sull'animo del povero Salieri che ancora sul letto di morte continuò a protestare la sua innocenza.) Al seminario Schubert si fece molti amici e uno in particolare, Joseph von Spaun, rimase suo intimo per tutta la vita. Dal poco che si sa del periodo trascorso all'Imperia) Regio Seminario pare che Franz fosse un ragazzo dolce e privo di complicazioni, con uno spettacoloso talento musicale. A casa suonava con i fratelli e con il padre che amava tanto la musica, correggendo timidamente il papà quando faceva uno sbaglio, cosa che al vecchio capitava abbastanza spesso.
La voce gli mutò nel 1813; tuttavia Schubert rimase al seminario con una borsa di studio. Ma più in là, quello stesso anno, si dimise e cominciò a studiare per diventare insegnante elementare. Detestava gli studi e il lavoro, anche se dal 1814 al 1818 fece da assistente al padre. Negli anni in cui insegnò continuò assiduamente a comporre un lied dopo l'altro, e poi sinfonie, musica da camera e messe, cercando anche di farsi rappresentare al teatro di Vienna. Ma i tempi non erano propizi. Componeva opere tedesche, e Vienna in quel momento impazziva per Rossini. Fu verso la fine del 1815 che L'inganno felice del compositore italiano fece furore a Vienna, dopodiché fu messa in scena tutta una serie di opere di Rossini. Schubert, il quale non permise mai che considerazioni d'ordine personale influenzassero il giudizio obiettivo sulla musica altrui, definí Rossini un « genio straordinario e qualche rossinismo si insinuò anche nella sua musica. Forse, se avesse trovato un librettista decente, Schubert avrebbe avuto qualche possibilità. Le sue opere sono piene di belle idee. Ma di rado un compositore si è visto proporre le banali sciocchezze regolarmente affibbiate a Schubert.
Nei primi vent'anni del diciannovesimo secolo la musica era uscita dalle corti e dai saloni ed era arrivata alla piazza del mercato. Di colpo diventò un fenomeno borghese. Si impazziva per i valzer, e questo influí sulla musica seria. Schubert, come Mozart e in minor misura Beethoven, scrisse moltissima musica per danza. Fino al 1810 circa le forme piú popolari furono il minuetto, il Ländler e la contraddanza. Poi venne il valzer, che diventò di moda durante il Congresso di Vienna del 1814-15: da allora Vienna diventò la città del valzer. Nel terzo decennio del secolo, il giovedí grasso la città offriva fino a 1600 balli in una sola serata. Ballavano il valzer borghesi e aristocratici. E i borghesi tifavano anche per l'opera italiana e per il dramma tedesco. Vienna, che non era una grande città, aveva ben quattro teatri per soddisfare tanta richiesta: il Burgtheater, per il dramma parlato; il Kàrntnertor Theater per l'opera e il balletto; il Theater an der Wien per il dramma, i concerti e l'opera; e il Leopoldstadt Theater per il dramma e l'opera. Poi c'erano sale minori: Josefstadt Theater, Redoutensaal, le sale da ballo dell'Hofburg, l'Aula Magna dell'Università e la Sala municipale. Molti membri dell'aristocrazia mantenevano orchestra e sala da concerto. Soprattutto, furono numerosi i borghesi colti che cominciarono a partecipare alla vita musicale, frequentando i compositori e facendo della musica una componente essenziale della loro esistenza.
Fu a questo gruppo di borghesi intellettuali, amanti della musica e dell'arte che Schubert fu legato per tutta la vita. Raramente se la fece con aristocratici, al contrario di Beethoven. Si trovava a suo agio solo con i borghesi e gli artisti bohémiens di Vienna. Quando lasciò per sempre l'insegnamento, nel 1818, entrò nell'ambiente dei bohémiens e compose per loro. Erano musicisti e artisti, e moltissimi diventarono suoi amici intimi: i poeti Johann Mayrhofer e Franz Grillparzer, il pittore e disegnatore Moritz von Schwind, il compositore e direttore Franz Lachner, il cantante Johann Vogl, il « dilettante » Franz von Schober e molti altri. « Il nostro circolo » lo chiamava Schubert.
Visse la vie de bohème, raramente provvisto di denaro, frequentando gli amici, trascorrendo gran parte del suo tempo nei caffè. Solo nel 1818 cominciò a mantenersi da solo, pur essendo professionista già da due anni. Nel diario, alla data del 17 giugno 1816 si legge: « Oggi ho composto per la prima volta per denaro: e precisamente una cantata per l'onomastico del professor Wattrot [Watteroth] , con parole di Dräxler. Il compenso è stato di 100 fiorini ». Si tratta, piú o meno, di trentamila lire di oggi. C'è da credere che non gli durassero molto. Schubert fu sempre a corto di denaro; non ne ebbe mai abbastanza neppure per noleggiare un piano, figuriamoci per comprarlo. Ma questo non significava niente, perché non aveva bisogno del piano per comporre. Diceva che lo avrebbe distratto. In ogni caso, se ne aveva bisogno andava da un amico. Tra i piú intimi annoverava Schwind ed Eduard von Bauernfeld; insieme formavano una sorta di piccola comune, nella quale non esisteva proprietà privata. Cappelli, scarpe, vestiti, denaro: tutto era di tutti. Chi era in fondi si occupava di pagare i conti. Il denaro non significava niente per Schubert, uomo d'affari ben mediocre quando si trattava di vendere la musica e di trattare con gli editori. Neppure il tempo significava molto per lui. Faceva disperare gli amici con i suoi ritardi. Nel 1825 Schwind lo rimproverava perché non si era fatto vedere a un ricevimento; la lettera ci da un'idea di quanto fosse complicato il carattere di Schubert: « Se tu avessi pensato al grande affetto con il quale ti aspettavamo saresti venuto ... Ho quasi timore di rallegrarmi tanto della tua compagnia, vedendo quanto poco sono riuscito in tutti questi anni a vincere in te la diffidenza e la paura di non essere amato e capito ». Può darsi che Schubert, come molte persone timide, si sentisse facilmente trascurato o maltrattato e fosse estremamente sensibile alle reazioni altrui alla sua compagnia.
Pure aveva qualcosa che gli assicurava l'affetto devoto degli amici. E le donne non chiedevano che di coccolarlo. Sembrava un bambolotto: piccolino (era alto circa un metro e cinquantacinque), grassottello tanto da essere soprannominato Schwammerl (Botticella) con capelli neri e ricciuti, naso a patatina, viso rotondo e mento con la fossetta. Ci vedeva male e portava sempre gli occhiali. Era di indole gentile, e sempre di buonumore; non era difficile convincerlo a sedersi al piano e improvvisare valzer ai ricevimenti. Ma ebbe accessi di malinconia e di irascibilità, specialmente durante la malattia. Contrasse una malattia venerea e attraversò un brutto periodo, durante il quale perdette temporaneamente i capelli e visse quasi segregato. In un taccuino di conversazioni di Beethoven del 1823 c'è un appunto di pugno del nipote Karl: « Si fanno grandi lodi di Schubert; ma dicono che si nasconda ». L'amico Leopold von Sonnleithner diceva che Schubert « non rideva mai apertamente e a gola spiegata, ma ridacchiava in un modo che risultava inespressivo invece che allegro ». Non aveva regola di vita. Dalle nove del mattino (a meno che non soffrisse dei postumi di una sbronza) alle due del pomeriggio componeva. Poi usciva. Se non era invitato a cena o a un ricevimento, frequentava i caffè. I preferiti erano l'Ancora e Bogner. Era capace di starci fino a mezzanotte a fumare, a bere caffè e vino, a leggere i giornali, a tenere circolo con gli amici. Nel complesso era un taciturno. Ebbe delle relazioni amorose ma non parlava a nessuno delle sue donne; neppure gli amici conoscevano i particolari dei suoi amori. Non si sposò mai. Pur senza essere alcolizzato, qualche volta beveva piú di quanto non riuscisse a tollerare. Certo ci sono aspetti della sua vita che noi ignoriamo. Josef Kenner, un altro amico, ha fatto delle oscure allusioni: « Quanti hanno conosciuto Schubert sanno che aveva due nature, l'una estranea all'altra, e sanno anche con qualche forza la brama di piacere trascinasse l'anima sua nel fango della degradazione morale ... ». Può darsi che si tratti semplicemente di moralismo vittoriano; ma può anche darsi che ci fosse qualcosa di vero.
I tentativi di Schubert per trovare un editore non approdarono a gran che. Nel 1817 mandò a Breitkopf e Härtel uno dei suoi più grandi Lieder, l'Erlkönìg. Breitkopf e Härtel erano pochissimo interessati alla cosa, e restituirono il manoscritto al solo Franz Schubert che conoscevano, un compositore omonimo che abitava a Dresda. Lo Schubert di Dresda si senti insultato e scrisse un biglietto risentito agli editori. Chi era questa nullità che si prendeva delle libertà con il suo nome? Si sarebbe tenuto quel lied. « Lo conserverò per sapere, se è possibile, chi vi ha mandato questa porcheria ... » Nel frattempo Spaun mandava a Goethe un gruppo di Lieder di Schubert, su poesie del maestro. Sperava di suscitare 1 interesse di Goethe, che invece non rispose neppure. Ma non erano tutte delusioni, per Schubert, A poco a poco cominciò a essere conosciuto. Alcuni cantanti, per esempio Anna Milder e soprattutto Johann Vogl, cominciarono a presentare la sua musica in pubblico; e la cerchia di Schubert, ristretta ma influente, faceva buona propaganda. Vogl ebbe grande importanza nella vita del compositore. Quando si conobbero, nella primavera del 1818, il baritono era di quasi trent'anni piú vecchio e si avvicinava alla fine di una illustre carriera operistica. Esaminò alcuni Lieder di Schubert, espresse mille dubbi ed esitazioni, ma alla fine, attirato da quelle composizioni, diventò il primo grande interprete di Schubert. Era alto, severo, imponente: era uno spettacolo vedere lui e il piccolo compositore a passeggio per le strade di Vienna. Abbiamo una divertente caricatura della coppia, attribuita a Franz von Schober. II fatto che un cantante della statura di Vogl si specializzasse nei Lieder di Schubert ebbe un'importanza enorme per il giovane Franz. I critici si accorsero della sua esistenza e le recensioni erano generalmente lusinghiere. Nel 1822 una critica lunga e intelligente apparsa sul “Wiener Zeitschrift für Kunst” definí Schubert né piú né meno che un genio; l'anno dopo, ìn quella stessa rivista, lo si chiamava « il popolare maestro ». Schubert non godette mai della fama che avrebbe meritato, ma non si può neanche dire che restasse ignorato.
A Vienna le « Schubertiaden » erano notissime. Si trattava di serate organizzate dagli amici del compositore, nelle quali si faceva soltanto musica sua. Con Schubert al piano, si cantavano canzoni, si suonavano musica da camera e pezzi per pianoforte, per solista e per quattro mani, Fu questa cerchia che provvide alla pubblicazione del primo gruppo di Lieder. Visto che nessun editore era disposto a stampare quella musica, gli ammiratori di Schubert si misero insieme e raccolsero il denaro necessario. Franz von Hartmann, che era dei loro, ci ha lasciato nel suo diario la descrizione di molte schubertiadi. Caratteristica è quella che si legge alla data del 15 dicembre 1826: Sono andato dagli Spaun, dove si teneva una grande Schubertiad.
Sono stato accolto molto rudemente da Fritz e molto sfacciatamente da Haas. C'era una folla enorme. Gli Arneth, i Witteczek, i Kurzrock e i Pompe; la suocera di Witteczek, apprendista alla Cancelleria di corte e di stato; la vedova del dottor Watteroth, Betty Wanderer, e il pittore Kupelweiser con la moglie, Griliparzer, Schober, Schwind, Mayrhofer e il suo padrone di casa, Huber, il grosso Huber, Derffel, Baucrnfeld, Gahy (che ha suonato splendidamente a quattro mani con Schubert) e Vogl, che ha cantato quasi trenta splendide canzoni. C'erano i1 barone Schlecta e altri tirocinanti e segretari di corte.... Finita la musica, si è mangiato e ballato molto. Ma io non avevo nessuna voglia di far la corte alle signore. Ho ballato due volte con Betty e una volta con le signore Witteczek, Kurzrock e Pompe. Alle 12,30, dopo essermi cordialmente congedato dagli Spaun e da Enderes, ho accompagnato a casa Betty e sono andato all'Ancora, dove ho trovato Schober. Schubert, Schwind, Derffel e Bauernfeld. Allegria. Poi a casa. A letto all'una.
Via via che la fama di Schubert cresceva qualche editore si fece vivo; ma furono pochissime le opere sue importanti pubblicate prima della sua morte. Nessuna sinfonia e nessuna delle dieci opere fu stampata; furono pubblicati invece uno appena dei diciannove Quartetti per archi, tre delle ventuno Sonate per pianoforte, una delle sette Messe, 187 degli oltre 600 Lieder. Da queste pubblicazioni, secondo i calcoli di Otto Erich Deutsch, studioso di Schubert, il compositore ricavò l'equivalente di circa otto milioni in dodici anni. Non è certo molto ... Ma, come dice Deutsch, « Schubert non mori mai di fame ». Negli ultimissimi anni della sua vita ci furono segni di netto miglioramento della situazione. Nel 1828 la ditta di Schott gli mandò una lettera. indirizzata al « Signor Franz Schubert, Famoso Compositore, Vienna » chiedendogli musica. Anche Probst se ne interessò. Da questi approcci poteva nascere qualcosa, specialmente con Scott, che cercava un compositore in grado di prendere il posto di Beethoven.
Se Schott avesse continuato nei negoziati, nell'ultimo anno di vita di Schubert, alla lunga la sua ditta avrebbe guadagnato parecchio. Che anno fu quello! Schubert compose la Sinfonia in do maggiore, il Quintetto per archi in do maggiore, le ultime tre Sonate per pianoforte e alcuni bellissimi lieder. Fu anche l'anno del suo unico concerto pubblico. Anche questo si dovette all'iniziativa degli amici che si misero insieme per affittare una sala. Il concerto, dato il 26 marzo 1828, non ebbe neppure una recensione. Si dà il caso che fosse in città Paganini, il quale dette un primo concerto il 29 marzo, seguito da altri tredici. Questi avvenimenti si accaparrarono tutto lo spazio disponibile sui giornali. Come se non fosse stato abbastanza occupato, in quell'ultimo, frenetico anno della sua vita, Schubert si accordò con il teorico Simon Sechter per prendere lezioni di contrappunto. Aveva letto la musica di Haendel e aveva deciso di studiare rigorosamente il contrappunto. « Adesso, per la prima volta, mi rendo conto di quel che mi manca. » Una decisione che stupí profondamente, in seguito, gli studiosi e gli ammiratori di Schubert, anche se nessuno ha mai battuto ciglio per il fatto che Mozart si entusiasmasse per il contrappunto bachiano e si mettesse a studiarlo con profondo impegno. Ma Schubert non avrebbe mai preso quelle lezioni. Ai primi di novembre si mise a letto; mori il 19 di quello stesso mese per una febbre tifoidea (non tifo, come hanno scritto alcuni biografi). Non lasciò nulla: né libri, né denaro, né mobili, né immobili. Rimanevano solo i suoi manoscritti, sparsi per tutta Vienna. Fu sepolto vicino a Beethoven. Gli amici lo piansero sinceramente. Schwind scrisse a Schober: « Schubert è morto, e con lui tutto quanto avevamo di piú brillante e amabile ». L'epitaffio fu scritto da Grillparzer: « L'arte della musica ha qui seppellito un ricco tesoro, ma ancor piú belle speranze ».
Nei suoi trentun anni di vita Schubert scrisse una quantità enorme di musica. Era autore veloce, incredibilmente veloce, e anche se di recente alcuni studiosi hanno messo in dubbio alcuni episodi che si riferiscono a questa sua sveltezza, non c'è mo¬ivo di non credere ai resoconti dei contemporanei. Concordano tutti. Quando lavorava, Schubert lavorava con ardore. Racconta Schober: « Se uno va a trovarlo durante il giorno dice " Salve, come stai? Bene! " e continua a lavorare, e a questo punto non resta che andarsene ». Gli amici, pieni di ammirazione, raccontavano una serie di aneddoti a proposito della sua velocità, e si tratta di storie vere nella sostanza, anche se non nei particolari. Sonnleithner riferisce che « su richiesta della signorina Fröhlich Franz Grillparzer aveva scritto per l'occasione la bella poesia Ständchen; la dette a Schubert, chiedendogli di metterla in musica e di farne una serenata per la sorella Josephine (mezzo soprano) e un coro femminile. Schubert prese la poesia, entrò in un'alcova accanto alla finestra, la lesse attentamente alcune volte e disse coli un sorriso: " L'ho già fatta, e verrà proprio bene " ». Spaun parla della composizione dell'Erlkönig (Il Re degli Elfi). Con Mayrhofer andò a trovare Schubert e lo trovò che leggeva il poema. « Camminò su e giù per la stanza con il libro in mano, poi improvvisamente si sedette e in un attimo (con la stessa rapidità con cui si scrive) ecco messa sulla carta la splendida ballata. Corremmo al Seminario, perché non c'era piano a casa di Schubert e li, quella stessa sera, l'Erlkönig fu cantato ed ebbe un'accoglienza entusiastica. » Per molti anni si era creduto che Schubert non preparasse abbozzi neanche delle composizioni piú importanti, come le sinfonie. Le ricerche moderne hanno stabilito che non è vero. Ma senza alcun dubbio Schubert, come Mozart, fu uno degli autori più veloci della storia della musica: un compositore capace di pensare tutta l'opera e di metterla immediatamente sulla carta.
La sua musica è altamente originale. Nessun compositore di quel tempi poteva sottrarsi completamente all'influenza di Beethoven, Mozart e Haydn; ma Schubert, una volta formatosi il suo stile, fu personale piú di ogni altro musicista contemporaneo. Ammirava Beethoven, ma a distanza di sicurezza. Se i due si incontrarono piú di una volta la storia non lo dice. Beethoven, che sapeva sempre tutto quanto succedeva nel mondo della musica, lesse alcuni lieder di Schubert e ne rimase impressionato. Secondo Schindler, pare dicesse che Schubert aveva la scintilla divina. È una dichiarazione che suona poco attendibile. Schindler fu spesso vittima della sua stessa fantasia. Ma sappiamo da una annotazione di Kart nei taccuini di conversazione che Beethoven conosceva benissimo Schubert e la sua musica. Sembra che Schubert trovasse il coraggio di fargli visita solo una volta, quando Beethoven era sul letto di morte. Non si sa niente di questa visita. Ma nella musica di Schubert l'influenza di Beethoven è scarsa, come scarsi furono i contatti personali tra i due. Dopo aver fatto qualche esperimento con le forme e i canovacci della musica di Mozart e Haydn nelle sue prime composizioni, Schubert procedette per la sua strada senza mai guardarsi indietro.
Nella sua specialità, il lied, ebbe relativamente pochi precursori. C'era stato qualche compositore, prima di lui, che aveva contribuito al lied tedesco: tra gli altri Johann Friedrich Reichardt, Carl Friedrich Zelter e Johann Rudolf Zumsteeg. Di quest'ultimo, Schubert, da giovane, imitò direttamente alcune liriche. Anche Havdn, Mozart e Beethoven hanno dato al mondo bei lieder. Ma Schubert, se non il primo compositore che vi si sia specializzato (c'erano stati gli elisabettiani, per esempio John Dowland) è stato nondimeno il primo grande compositore che abbia scritto un grosso corpo di lieder d'arte che sono rimasti a far parte definitivamente del repertorio attivo.
Sin dall'inizio ci fu qualcosa che lo spinse alla canzone artistica, al lied. Aveva appena diciassette anni quando compose Gretchen am Spinnrade, una delle melodie più perfette mai scritte. Questo accadeva nel 1814, e l'anno appresso compose 145 liriche, Per i testi poetici attinse alla letteratura tedesca contemporanea. In particolare
lo attrasse Goethe, e su piú di seicento Lieder composti, settanta circa sono su testo di Goethe. Mise in musica poesie di Schiller, Heine e Klopstock; poesie degli amici Mayrhofer e Schober; poesie di Ludwig Gottfried Kosegarten e Wilhellm Miiller. In tutto, sono rappresentati novantuno poeti. Nella loro forma fondamentale le melodie di Schubert sono strofiche o durchkomponiert (dal principio alla fine senza rpetizioni). Nella melodia strofica si usa la stessa melodia per tutti i versi. (Ci sono anche varianti della melodia strofica.) Una melodia durchkomponiert segue la poesia dal principio alla fine in un'unica continuità drammatica o lirica. Spesso la melodia durchkomponiert ricorda la forma della ballata. Un compositore che si chiamava Karl Loewe (1796-1869), nato un anno prima di Schubert, poté perciò specializzarsi nella ballata narrativa e compose in questa forma molti capolavori, compreso un adatta¬mento dell'Erlkdnig. Un tipo di scrittura familiare a Schubert è pure la ballata, sentimentale quanto esclusivamente descrittiva, e va piú a fondo di Loewe, per quanto belle siano le ballate di quest'ultimo. Schubert non fu mai dommatico per quanto riguardava la forma dei suoi Lieder. Spesso mescolava composizioni strofiche e composizioni scritte senza ripetizioni strofiche.
« Fa risuonare la cattiva poesia e parlare la musica » disse Grillparzer. I Lieder di Schubert sono infinitamente vari: lunghi e brevi, lirici e drammatici, semplici e complessi, strofici e composti dal principio alla fine. Alcuni sono ballate. Generalmente parlando, la ballata è esclusivamente narrativa, mentre il lied è lirico. Ve ne sono di declamatori, quasi pezzi da recitazione, mentre altri sono piccoli gioielli che illuminano gaiamente l'esistenza. L'essenza del lied è la stessa della poesia lirica: rendere al massimo dell'espressione un sentimento in un breve spazio di tempo. Schubert con li. sua magia illustrò con la musica gli stati d'animo espressi dalle parole della poesia in modo che entrambi gli elementi ne risultassero esaltati.
Si dice e si ripete che Schubert è uno dei piú grandi melodisti della musica. Nessun autore di liriche può lavorare senza una fonte inesauribile di melodia, e Schubert più di ogni altro compositore produsse un numero straordinario di idee melodiche indimenticabili - Auf demn Wasser zu sitzgen, Du bist die Ruh!, Horcb! Horch! die Lerch!, Liebesbotschaft, Ungeduld, Der Musensobn, Ave Maria - l'una dopo l'altra, senza interruzione. Schumann, in una lettera del 1829 a Friedrich Wieck, usa un'espressione insostituibile per definire la melodia schubertiana: « Pazzia lirica compressa ». A questa fonte di melodia si accompagnò un brillante senso della modulazione. Le melodie devono essere armonizzate e nelle idee armoniche Schubert fu imbattibile. Passava da una tonalità all'altra con la massima libertà, toccando proprio l'accordo che sembrava inevitabile toccare per sottolineare una parola o una frase, legando tra loro i cambiamenti di tonalità in una canzone con movimenti ricchi e imprevisti che colpiscono l'ascoltatore con un impatto viscerale. Schubert è un maestro dell'imprevisto. Si può dire tranquillamente che non c'è musica grande senza l'elemento dell'imprevisto: quella partenza che è cosí originale eppure cosí inevitabile. La mente di un grande compositore non funziona mai in maniera convenzionale.
I Lieder di Schubert contano due cicli: Die schöne Müllerin (La bella mugnaia) e
Die Winterreise (Il viaggio d'inverno). Molti considerano Die Winterreise, che fu composto nel 1827, l'anno prima della morte, la piú grande serie di lieder di tutta la storia della letteratura musicale: melodie ricorrenti, tristi, lamentose, sempre piú melanconiche e disperate fino all'ultimo lied, sconvolgente, Der Leiermann, dove si parla di un suonatore d'organino che gira con il suo strumento nel cuore dell'inverno. Nessuno gli dà niente, nessuno ascolta la sua musica, nessuno si cura di lui. I cani gli ringhiano contro e lo inseguono, ma lui continua a sorridere e non è per niente scoraggiato. « Wunderlicher Alter » cosí finisce la melodia « soll ich mit dir geh'n? Wìlist zu meinen Lieder deiner Leier dreh'n? » E cioè: « Vecchio misterioso, verrò con te? Vorrai accompagnare con il tuo organetto le mie canzoni? ». Tutto questo è espresso in uno stato d'animo di desolazione totale, con semplici quinte nel basso e un frammento di melodia, che è piú un'epigrafe che altro. È una canzone che fa correre brividi di disperazione nelle vene dell'ascoltatore e non si può non pensare che le parole di Wilhelm Müller non avessero un significato autobiografico per Schubert.
Schubert scrisse ogni tipo di composizione musicale, tranne uno: non scrisse mai un concerto e la cosa non sorprende. Perché a quei tempi e anzi da sempre, fino allora, i concerti venivano composti da musicisti che erano anche esecutori e che suonavano le loro opere; e Schubert, pur essendo un abile pianista, non fu un virtuoso, È ancora molta la musica sua che non viene più eseguita, oggi. Le opere sono ignorate e gli esperti dicono che i libretti sono cosi povera cosa che non è possibile rappresentarle. La stessa cosa si pensava ai tempi di Schubert. Il critico del " Conversationsblatt " osservava, in un articolo del 1820 su " Die Zauberharfe che 1a trama era ridicola. « Peccato che la mirabile musica dì Schubert non abbia trovato soggetto più degno! » Opere a parte, sono parecchi i brani schubertiani, in ogni forma musicale. inclusi oggi nel repertorio permanente.
Una volta c'era una certa tendenza a considerare con sufficienza il compositore austriaco per la sua tecnica. Dal momento che le sue concezioni della forma-sonata si allontanavano dall'ideale classico, le sue elaborazioni avevano un'innegabile tendenza alla digressione e alla prolissità e le sue costruzioni mancavano dell'organizzazione e della forza di un Beethoven, allora doveva per forza ignorare tutto della forma-sonata.
Schubert, è vero, affrontando la forma-sonata si sentiva artirato in due direzioni. Nella Vienna dei suoi tempi, in un periodo dominato da Beethoven e dal ricordo di Mozart, tutti i compositori scrivevano sonate, concerti e sinfonie. Il suo istinto lirico aveva difficoltà a imprigionarsi nell'armatura della sonata. Ma si sentiva obbligato a tentare. Pesavano su di lui le esigenze del tempo. Pur essendo uno dei più originali compositori della storia, non aveva quel tipo di mentalità che si gloria di violare le convenzioni della forma. Perciò molti dei suoi primi componimenti - sinfonie, sonate e quartetti - obbediscono fedelmente alle esigenze delle regole mistiche della sonata. Poi, come nella Sinfonia Incompiuta e nella grande Sonata in do maggiore, riusci a unire il contenuto con un suo tipo di forma, e ne risultò un tipo di sonata non meno perfetta, a modo suo, di quanto non lo fosse la sonata di Beethoven per Beethoven.
C'è una certa confusione nella numerazione delle Sinfonie di Schubert. La sequenza giusta è: n. 1 in re maggiore (1813) ; n. 2 in si bemolle maggiore (1815): n. 3 in re maggiore (1815); n. 4 in do minore (1.816); n. 5 in si bemolle maggiore (1816); n. 6 in do maggiore (1818); n. 7 in mi maggiore (1821; abbozzata e mai completata); n. 8 in si minore (l'Incompiuta, 1822); e n. 9 in do maggiore (1828). C'è anche una composizione misteriosa di cui non si hanno testimonianze sicure, chiamata Sinfonia Gmunden-Gastein perché Schubert vi lavorò durante una vacanza estiva in queste due città. Il manoscritto non è mai stato trovato. Secondo una certa teoria il Grande duo per pianoforte a quattro mani sarebbe una riduzione della Sinfonia Gmunden-Gastein, ma oggi nessuno ritiene attendibile l'ipotesi. Secondo un'altra teoria, invece, dalla Sinfonia Gmunden-Gastein si sarebbe sviluppata in un secondo tempo la Nona in do maggiore. Ma in realtà si sa soltanto che Schubert lavorò a una sinfonia che è andata perduta.
Le prime tre sinfonie sono opera da apprendista, anche se la numero quattro, vigorosa e armoniosa, fa già presentire il piú autentico Schubert. La numero quattro in do minore (che Schubert stesso battezzò Tragica) non è ancora apprezzata nel suo giusto valore. La si è ritenuta una concessione alla sinfonia di stile beethoveniano. e gli studiosi tendono ad avvalorare questo giudizio. In realtà, c'è in essa ben poco di beethoveniano, e possiede un che di fragile, di elegiaco, specialmente nell'ultimo movimento, che è di una bellezza estrema: bellezza schubertiana, non beethoveniana. Stupisce vedere come Schubert riuscisse sempre a non farsi influenzare dal titanico contemporaneo. Molto piú, invece, lo influenzò Haydn; la Quinta Sinfonia, cosí elegante e leggera, rappresenta appunto un ritorno allo stile di Haydn. La n. 6, che ha momenti di grande bellezza e si distingue anche per una gioia di vivere rossiniana, non è del tutto riuscita e non è costruita con troppo rigore, ma è pur sempre Schubert.
L'Incompiuta, la prediletta del pubblico di tutto il mondo, è come un torso classico non finito: si sono scritti milioni di parole per spiegarla. Se la verità non è stata scoperta fino adesso, non lo sarà mai. Schubert dette lo spartito ad Anselm Hüttenbrenner nel 1822. Era dedicato alla Associazione musicale di Graz che aveva appena eletto Schubert membro onorario, e Hüttenbrenner avrebbe dovuto consegnarlo ai membri dell'associazione. Non si sa se lo fece. Non si sa neppure se Schubert gli dette più di due movimenti. Lo spartito rimase in possesso di Hüttenbrenner fino al 1865, quando il direttore d'orchestra Tohann Herbeck riuscí a vincere le sue resistenze promettendo di suonare a Vienna un'opera dello stesso Hüttenbrenner. Perché soltanto due movimenti? Secondo una teoria Schubert aveva intenzione di mandare piú tardi gli altri due movimenti. Secondo un'altra, era convinto di non poter mai migliorare i due movimenti esistenti, e perciò smise di lavorare alla sinfonia. Non è una teoria plausibile. Schubert non lavorava a quel modo; il manoscritto esistente contiene appunti per un terzo movimento. Secondo un'altra ipotesi, Hüttenbrenner avrebbe perduto i due movimenti finali, ed è questa la spiegazione che suona piú convincente di tutte.
Fu Robert Schumann che riesumò la Nona Sinfonia in do maggiore, detta la « Grande ». Aveva saputo della sua esistenza e nel capodanno del 1838 andò a trovare il fratello di Schubert, Ferdinand, che gli mostrò pile di manoscritti. Poi gli permise di portarsi via lo spartito della Sinfonia in do maggiore, e il 29 marzo 1839 Mendelssohn la diresse in prima mondiale a Lipsia. Secondo alcune testimonianze l'opera sarebbe stata provata a Vienna nel 1828, sotto la supervisione di Schubert, ma poi sarebbe stata messa da parte perché troppo difficile. In una lettera a Clara Wieck Schumann disse cose entusiastiche della partitura: « Non è possibile descriverla. Tutti gli strumenti sono voci umane. È di un talento eccezionale, e questa strumentazione, nonostante Beethoven ... e questa lunghezza, questa celeste lunghezza, come un romanzo in quattro volumi, piú lunga della Nona Sinfonia (di Beethoven) ». (Qui Schumann esagera: la Nona di Schubert dura una cinquantina di minuti, quella di Beethoven un po' piú di un'ora.) Poi Schumann recensì la prima di Lipsia con la penetrazione e la generosità che lo distinguevano: « La sinfonia produsse su di noi un effetto quale non ha prodotto nessun'altra dopo Beethoven ... Dovranno passare anni, forse, prima che quest'opera possa essere capita a fondo in Germania, ma non c'è pericolo che sia mai trascurata o dimenticata. Ha in sé una eterna giovinezza ». Schumann, come sempre, o quasi, aveva ragione. La Sinfonia in do maggiore, con la sua ampiezza di respiro e la sua passione ha diritto di stare accanto alla Nona di Beethoven. Schubert, nel suo ultimo anno di vita, maturò incredibilmente. La sua musica è piena di idee, ha dimensioni enormi, si volge verso direzioni nuove. Si dice che sul letto di morte esclamasse che era pieno di idee nuove. Che cosa non avrebbe fatto, se fosse vissuto!
Dovunque si guardi, nella musica di Schubert c'è qualcosa da amare. La musica è sempre intensamente, acutamente, melodica e le melodie spesso sono tinte di una malinconia che si può definire in un solo modo: schubertiana. Ci sono i valzer per pianoforte, cosí diretti, semplici e amabili. Ci sono i due trii per pianoforte, Il piú popolare dei quali è quello in si bemolle. Il lento del Trio in si bemolle contiene un esempio mirabile della magica bravura di Schubert in fatto di modulazione. La musica si svolge nella tonalità di la maggiore finché improvvisamente passa a un mi maggiore, molto lontano. A Schubert basta esattamente un quarto di misura, per arrivarci, ed è come se improvvisamente si spalancasse il Paradiso. Ma tutta la sua musica ha delle impennate di questo tipo. Gli ultimi tre quartetti (in la minore, re maggiore e sol maggiore) ne sono pieni, e cosí la grande Fantasia in fa minore per due pianoforti, il Quintetto La trota, e l'amabile e spiritoso Ottetto per fiati. Il Quintetto in do maggiore, per archi, una delle sue ultime opere, occupa un posto speciale. I primi due movimenti hanno la serena malinconia (non c'è altro modo di definirla) dell'Incompiuta, quel disegno duttile, impeccabile, avviluppato di insuperabile poesia.
Solo in questi ultimi anni le sonate per piano sono diventate pezzi da concerto popolari. I pianisti romantici, in generale, le evitavano, e se suonavano Schubert era la grande fantasia del Wanderer (Il viandante) e i Moments musicaux (nel cattivo francese dello stesso autore). Quanto ai pianisti, la musica era scritta in maniera ingrata, ardua ma senza ovvi virtuosismi, difficili da organizzare. E per l'ascoltatore non era meno gravosa che per l'esecutore. Solo negli anni trenta i pianisti, seguendo l'esempio di Arthur Schnabel, cominciarono a eseguire con regolarità le sonate di Schubert, che oggi sono diventate punti fermi dei programmi. Ci volle un'età antiromantica per renderle popolari. Nelle composizioni per piano la cosa vale per tutte le composizioni strumentali: lo strumento è semplicemente mezzo, non fine a se stesso. Al pianista interessa la musica, non i trucchetti tecnici (anche se per suonare bene occorre avere buona tecnica, specialmente per le tre gigantesche sonate postume).
Dovettero passare quarant'anni dalla morte di Schubert perché il mondo si rendesse conto che era un genio. Oggi occupa un posto definitivo. Benché abbia esercitato scarsa influenza sulla prima scuola romantica, ha nondimeno anticipato il romanticismo grazie al modo soggettivo in cui si accostò alla musica. Schubert non fu il primo dei romantici, perché Carl Maria von Weber fu compositore molto piú romantico ed esercitò un'influenza ben maggiore sulle generazioni successive. Ma se Schubert non fu il primo dei romantici, occupa un altro e ancor piú importante posto, come primo poeta lirico della musica.
Harold C. Schonberg (da I GRANDI MUSICISTI, traduzione di Vittorio Di Giuro, ed. Mondadori, 1972)

 

Fonte: http://www.resmusica.it/doc/Il%20poeta%20della%20musica.doc

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