Paganini

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Paganini

Sulle tracce del segreto di Paganini:L’opera di Francesco Sfilio

<<L’altezza di questo genio del violino, mai raggiunto e irraggiungibile, esclude ogni possibilità d’imitazione: nessuno riuscirà a rifare il suo cammino nessuna gloria potrà restare a fianco della sua gloria. Il suo nome sarà pronunciato senza confronti.>> Così disse Franz Liszt dopo la morte del grande artista, Niccolò Paganini, violinista da un virtuosismo sbalorditivo e valente compositore di concerti e sonate, esercitò sui suoi contemporanei un fascino quasi leggendario. Quando quarantenne apparve in pubblico armato del suo ingegno, ormai giunto alla massima perfezione raggiungibile, il mondo rimase attonito, come dinanzi a una manifestazione soprannaturale. Così travolgente era l’entusiasmo che egli sapeva accendere, così potente il fascino che esercitava sulla fantasia degli ascoltatori, che questi non riuscivano più a restare nel regno della realtà, e allora si affacciavano visioni di stregoneria e incantesimi da Medioevo. Si ricollegava la magia della sua arte violinistica al suo misterioso passato, si voleva dar ragione del suo genio inspiegabile mediante fatti più inspiegabili ancora e poco mancava che si dicesse avere egli venduto l’anima al diavolo. Ma, se pur tutto, la sua era opera di ragionamento e non di trucco. Francesco Sfilio (1873-1976), conosciuto in particolare per l’elaborazione di una nuova tecnica violinistica riassunta nei suoi due scritti”Nuova scuola violinistica italiana (Augusto,Torino 1934)” e ”Alta cultura di tecnica violinistica (Bocca,Milano 1937) è stato uno studioso tenace e attento di Niccolò Paganini, tanto che negli anni trenta del secolo scorso giunse ad affermare di aver scoperto il “segreto” del grande virtuoso genovese. I suoi scritti, riportati in auge nel 2001, hanno attirato l’attenzione del mondo violinistico internazionale. Tuttavia la lettura poca approfondita da parte di alcuni studiosi, dovuta probabilmente anche alla scrittura un po’ criptica dell’opera, ha fatto in modo che il lavoro dello Sfilio e l’annuncio della scoperta del “segreto paganiniano” fosse spesso liquidato come una semplice trovata pubblicitaria da anni ‘30, riproposta nel nuovo millennio.
Leggendo le opere di Sfilio si ha la sensazione che vi sia sempre qualcosa che vada interpretato e recuperato poiché appare poco chiaro. La lettura può essere a volte ostica e alcuni punti possono essere travisati. Mi sembra pertanto necessario ritornare sui suoi scritti e tracciarne le linee guida. Nell’intento mi farò aiutare dalle parole dello stesso autore opportunamente recuperate da diversi articoli di giornali dell’epoca.
Il primo articolo è del 20 dicembre 1936, fu pubblicato sul quotidiano genovese <<Il Lavoro>> e intitolato Il segreto di Paganini scoperto?La tecnica del sommo violinista spiegata da un maestro genovese:
SAN REMO-Autore molto apprezzato del volume Nuova scuola violinistica italiana del Maestro Francesco Sfilio annuncia oggi di aver scoperto il metodo usato da Niccolò Paganini nelle sue “diaboliche” esecuzioni.
Paganini, ebbe a dire: <<il mio segreto deve essere il cammino verso la migliore comprensione della natura dello strumento, io devo questa scoperta non al caso, ma a degli studi grazie ai quali non sarà più necessario studiare quattro o cinque ore al giorno>> . Il Maestro Sfilio afferma di aver scoperto questo famoso segreto, che per tanti anni era rimasto tale solo perché attorno ad esso si erano costruite troppe leggende e si erano volute cercare troppe stregonerie. Il Maestro ci parla con entusiasmo del suo lavoro: Vede, caro amico, in musica non ci possono essere stregonerie, né virtuosismi fuori dalla portata comune. E, soprattutto, Paganini va considerato non come incantatore di pubblici al momento delle sue interpretazioni, bensì quale maestro e quale padrone assoluto dello strumento. Egli stesso - che fu maestro a Lucca – scrisse e disse più volte che avrebbe lasciato il suo metodo, che avrebbe rivelato la sua scuola. La morte soltanto glielo impedì. Ora io, continua il Maestro Sfilio, non ho guardato molto ai virtuosismi, ma mi sono attenuto alla scala cromatica sua speciale, lasciataci con i suoi studi ed in questi ho scoperto come la sua scala stessa egli applicava ed eseguiva. E sono venuto a questa conclusione: il metodo di Paganini è fondato anzitutto sulla “posizione base” che in lui era completamente diversa da quella insegnata in ogni altra scuola violinistica. E qui il mio Sfilio, strumento alla mano, ci dimostra come certe esecuzioni egli potesse farle non per stregoneria, né perché avesse delle dita smisurate, ma perché egli, invertendo l’impostazione della mano sinistra, dalla sua posizione base, riusciva in quegli effetti impossibili agli allievi delle scuole comuni.
In secondo luogo, continua lo Sfilio, Paganini si basava sul tatto sensibilissimo, ma non sovraumano, per l’intonazione, non sull’orecchio dunque, che avverte la stonatura quando essa è già avvenuta. Ogni interpretazione su di un misterioso virtuosismo cade quindi, poiché Paganini, io vi posso assicurare, suonava in modo assolutamente fisiologico soprattutto per quanto riguardava la posizione del braccio ritenuta dai più, scorretta. Si avvaleva soltanto del cromatismo che è appunto quella sua speciale scala cromatica.

 

Ora, anche se le affermazioni contenute in questo articolo ci sembrano quasi “oracolari” , in esso è contenuto il fulcro della tecnica della mano sinistra, che è sicuramente la parte migliore del lavoro di Sfilio. Egli insiste innanzitutto sulla necessità di sviluppare una sensibilissima “capacità tattile” con il fine di poter memorizzare le precise distanze delle dita sulla tastiera per ottenere una sicura intonazione. Il violinista, a suo avviso, non può affidarsi esclusivamente all’udito poiché, una volta prodotta una stonatura, ovviamente non può più tornare indietro. Di qui la necessità di lavorare sulla capacità del cervello di memorizzare le posizioni esatte delle dita sulla tastiera, mediante il senso del tatto. Ma come memorizzare le precise distanze delle dita? Sfilio parte dalla constatazione che, soprattutto per i principianti, riuscire a produrre e intonare un suono che è a distanza di un tono dal precedente su di una tastiera senza tasti come quella del violino è più difficile che intonare dei suoni che sono tra di loro a distanza di semitono, per la cui produzione non bisogna far altro che mettere le dita della mano uno di seguito all’altro partendo dal

capotasto. Così una volta memorizzati i suoni intonati cromaticamente si potrà passare con sicurezza allo studio diatonico, oltre che naturalmente a quello cromatico.
Dunque il maestro elabora un particolare tipo di tecnica basata sul cromatismo, fondandola sullo studio della “scala cromatica di Paganini” sulla quale troviamo delucidazioni nel suo volumetto Alta cultura di tecnica violinistica in cui Sfilio spiega:
Da un foglio d’album autografo che porta la dicitura “Scala di Paganini, Breslavia 3 agosto 1829”, possiamo stabilire che la famosa scala di Paganini di cui tutti parlano come base del suo segreto, era la scala cromatica. Però egli pur avendo scritto un metodo di eccezionale importanza, non riesce a spiegarci la scala di Paganini costruita sulle stesse basi. Analizzando la su citata scala possiamo constatare che essa porta tre diesis in chiave; perciò Paganini vuole che la tonalità sia esattamente quella di la magg. , tanto più che la scala incomincia con il la sotto le righe con un taglio in testa ed uno in collo; logicamente la seconda nota di questa scala dovrebbe essere il la diesis, e invece Paganini procede con un bel si bemolle, segno evidente che sulla seconda nota egli vuole sia posto il secondo dito. Poniamo dunque di seguito al si naturale il terzo dito, al do naturale il primo dito,e con lo stesso procedimento al do diesis il secondo dito, al re il terzo dito, al re diesis il quarto dito. Osserviamo che dopo essere saliti col primo dito sul do in terza posizione, successivamente col secondo dito sul do diesis ci troveremo in seconda posizione e indi col quarto dito sul re diesis ci troveremo immediatamente in prima, in modo da prendere con tutta facilità il mi naturale sulla terza corda col primo dito. Sicchè il fatto di suonare in prima e in terza posizione senza smanicare, come è provato facesse Paganini, viene dimostrato soltanto adoperando per questa scala le dita indicate, e cioè 1,2,3,1,2,3,4. Lo stesso si farà sulla terza corda. Questa diteggiatura ci dimostra perché Paganini poteva eseguire dei passaggi cromatici che sembravano una sfilata di perle, tanta era la loro rapidità e la loro sicurezza, senza il minimo “smiagolio”. Tale smiagolio è prodotto invece dall’impiego dello stesso dito su due note successive: sistema che, anche se basato sul principio generalmente adottato che note alterate aventi lo stesso nome della nota naturale si devono fare con lo stesso dito di quest’ultima, in velocità non solo produce un bruttissimo effetto, ma è anche di grande ostacolo alla rapidità.

Chiarito dunque il suo sistema cromatico basato sulla scala di Paganini, passiamo ora a vedere quali altri punti il maestro sottolinea attraverso un altro articolo apparso il 13 luglio 1973 sul quotidiano << Il Secolo XIX>> e intitolato Il segreto di Paganini sarebbe stato scoperto. In apertura di articolo si chiarisce quale sia la “posizione base” della mano sinistra.
Eccone alcuni estratti:

LA MANO SINISTRA - La funzione del pollice non è, come si potrebbe credere, quella di sostenere il violino. Questo dito è l’arbitro di tutto lo sviluppo tecnico della mano sinistra, esso la può ostacolare o la può decisamente evolvere. Nessuna delle scuole ha potuto indicare il modo di risolvere il problema della sua funzione e della sua posizione, specie nello smanicamento (il passaggio di posizione e in particolare i passaggi da eseguire in maniera rapida), limitandosi al consiglio di non tenerlo contratto, cioè il più leggermente possibile. Paganini, forse intuendo ciò, soleva dire che la scuola non serve che a ostacolare anziché facilitare lo studio del violino. E’ noto che Paganini evitava molti smanicamenti fissando il pollice sulla metà del manico dominando così le prime quattro posizioni. Il valore di questa cognizione, per quanto fosse conosciuta, non fu posta in evidenza così come la posizione assunta da Paganini allo scopo di ottenere la libertà di movimento e d’indipendenza dell’articolazione delle mani e delle braccia. Intonare le note sul violino non è questione di orecchio, ma di sviluppo tattile. Quando il dito è caduto sulla corda, c’è poco da fare se la nota falsa insorge. Allora come non stonare? Con la conoscenza virtuale degli ipotetici tasti del violino. La corda non deve essere troppo pressata dal polpastrello delle dita, pena l’irrigidimento della mano, le dita devono scorrere facilmente le prime tre posizioni mentre il pollice rimane immobile. L’effetto sonoro della scala cromatica scritta da Paganini e diteggiata dallo Sfilio, senza che vi entrino strisciamenti delle dita per eseguire i mezzi toni è un luminoso esempio dei risultati che si possono ottenere sia per chiarezza di intonazione come per velocità di esecuzione.

IL SEGRETO DI PAGANINI- Il segreto, secondo lo Sfilio, consisteva nella somma di vari fattori che così possono venir riassunti: uso del tatto e conseguente sicurezza dell’intonazione determinata anche dal particolare diteggio . Modo di percussione delle dita sulle corde così da ottenere la massima scioltezza e indipendenza. Presa dello strumento e posizione del braccio leggermente abbassata e spostata verso l’interno che gli permetteva ogni azzardo tecnico. Estensione e dislocamento rapido delle dita. I brani musicali di Paganini rivelano infatti predilezione per i passaggi cromatici. Dunque la posizione del violinista deve essere più “chiusa” rispetto alla tradizionale posizione “aperta” della scuola tradizionale. Con “posizione chiusa” si intende un avvicinamento delle due braccia in posizione verso un asse centrale che si trova virtualmente di fronte al violista ed un deciso spostamento del gomito del braccio sinistro al di sotto della cassa del violino in modo da riuscire a ruotare il più possibile il palmo della mano sinistra verso il manico. Volendo usare una bella immagine, si può dire che il violinista deve “abbracciare” il più possibile il proprio strumento. La posizione del pollice della mano sinistra non deve essere arretrata di fianco al capotasto, poiché ciò impedisce fluidi e rapidi movimenti nei passaggi di posizione e anzi diventa un fardello che la mano deve trascinarsi dietro muovendosi. La posizione corretta del pollice, secondo lo Sfilio, è più avanzata rispetto alla posizione tradizionale. Il dito va collocato, se non a metà del manico come si dice facesse Paganini, almeno di fronte al dito medio col polpastrello, quindi la falange superiore, appoggiato al manico. Da lì il dito non va spostato per le prime tre, se ci si riesce quattro, posizioni. La mano, se correttamente impostata con questo metodo, riesce effettivamente a eseguire i passaggi di posizione con una rapidità e precisione maggiore che evitano gli smiagolii.
Mi rendo conto che per una migliore comprensione di questo tipo di tecnica sarebbe necessario un supporto visivo o anche un intero corso. Per ora però mi auguro solo di aver chiarito in questa sede che Francesco Sflio non intendeva dire che con la sua tecnica si sarebbero sfornati novelli Paganini “a palate”.
L’annuncio della scoperta del “segreto” non è altro che un metodo per attirare l’attenzione dei violinisti presenti e futuri su di un’opera che vedeva la luce in un momento difficilissimo, l’epoca fascista, in anni immediatamente precedenti allo scoppio della seconda guerra mondiale. Allora un’opera del genere, per altro non inquadrata nelle direttive della “corporazione” dell’U.V.I. (Unione Violinisti Italiani), non avrebbe avuto nessuna speranza di essere pubblicata, né tanto meno di attirare l’opinione pubblica se non tramite questo escamotage. Lo stesso Sfilio chiarirà questo punto in un passo che voglio qui riportare:
Ho atteso tanti anni per mettere su carta una quantità di osservazioni che nascevano direttamente dal mio modo di insegnare, dal modo degli allievi di apprendere, dal commento dei metodi altrui e finalmente dalla meditata analisi di tutto quanto si riferisce a Paganini e quanto questi, con evidente scopo pubblicitario, chiamava “segreto”. Anche chi non ha qualità superiori può fare progressi nella tecnica. Ci sono dei possessori di tecniche aggiornate che non sono degli artisti e se ne trovano anche fra concertisti. E’ la tecnica che si pone al servizio dello spirito non al contrario! L’anima d’artista, la vocazione, quella famosa vocazione su cui fantasticano tanti profani e non profani, l’intuito, la predisposizione, la così detta “stoffa” che cosa sono, a che cosa si riducono se la tecnica è insufficiente o difettosa? Ed è anche vero che pochi eletti sanno illuminare il pieno possesso tecnico del loro strumento col fulgore di un’arte superiore. Sono così conscio di questo che nessun lettore, per quanto mal disposto verso di me, potrà accusarmi di aver speculato sul nome di Paganini, illudendo i giovani che alla mia scuola si può diventare dei Paganini e cioè degli artisti completi, dei candidati alla celebrità. La tecnica paganiniana era personale, ma non astratta né leggendaria, riposava cioè su basi fisiche e fisiologiche come qualsiasi altra attività corporea e merito sommo del genovese fu quello di aver intuito e saggiato con lungo studio, quali erano le basi fisiche e fisiologiche che meritavano di essere assecondate, senza forzamenti della natura e senza inutile sperpero di energia.

Vincenzo Lobosco

 

 

 

 

 

Fonte: http://www.amvallodidiano.it/public/newsfoto/124828paganini.docx

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