Rossini, Donizetti e Bellini

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Rossini, Donizetti e Bellini

Voce, voce e ancora voce: Rossini, Donizetti e Bellini
Dal 1810, data della prima opera di Gioacchino Rossini, al 1848, l'anno in cui morì Gaetano Donizetti, tre compositori dominarono l'opera italiana, e cioè l'opera del bel canto contrapposta alle maestose opere in italiano prodotte da compositori come Cherubini a Parigi. I tre furono Rossini, Donizetti e Vincenzo Bellini.
In questo tipo di opera erano i cantanti e il canto ad avere importanza. Questa musica mirava apertamente a diventare e a dare spettacolo. Weber, nelle sue opere, si preoccupò del popolo tedesco, e nel Fidelio Beethoven pensò ai valori spirituali. Niente di tutto ciò, per quanto riguarda i compositori del bel canto. La loro arte, sentimentale ed esibizionistica, non chiedeva al pubblico di riflettere. Perciò le loro opere ebbero un'enorme popolarità. « Per gli italiani » deplorava Berlioz « la musica è un piacere dei sensi e nient'altro. Per questa nobile espressione dello spirito non hanno, si può dire, piú rispetto che per l'arte culinaria. Vogliono uno spartito che come un piatto di maccheroni possa essere assimilato immediatamente senza doverci tanto pensare sopra, addirittura senza badarci. » Poi, le opere spettacolari di Meyerbeer, le opere psicologiche di Verdi e le tragedie in musica di Wagner scacciarono dal palcoscenico l'opera del bel canto, anche se alcune rimasero nel circuito internazionale: Il Barbiere di Siviglia di Rossini, Lucia di Lammermoor, Don Pasquale e L'Elisir d'amore di Donizetti e la Norma di Bellini. In Italia si ha modo di ascoltare occasionalmente, un'altra mezza dozzina di opere. Ma considerando che Rossini ne compose trentanove, Donizetti una settantina e Bellini undici non è poi molto.
Dopo la seconda guerra mondiale ci fu un improvviso risveglio di interesse per l'opera del bel canto in Europa e in America, grazie soprattutto a due dive, Maria Callas e Joan Sutherland. Opere che giacevano dimenticate da un centinaio di anni e piú furono tirate fuori dagli scaffali, e i musicologi frugarono ansiosamente negli archivi, in cerca di curiosità. Ma pochissime di queste opere dimostrarono di avere un valore che non fosse semplicemente antiquario. Né era possibile dare un'idea adeguata di che cosa esse fossero, realmente. Il bel canto esige tenori, contralti e baritoni di coloritura, e anche soprani di coloritura. (L diffusa l'erronea convinzione che la coloritura appartenga soltanto al soprano.) Ma la tradizione era ormai spenta, per quanti sforzi facessero la Callas e la Sutherland per resuscitarla, e nel mondo non c'erano piú tenori o baritoni capaci di cantare le parti come le cantavano nella prima metà del secolo scorso il tenore Rubini o il basso Labiache.
Quelle opere obbedivano in gran parte a una formula, venivano sfornate in fretta e si basavano largamente sugli espedienti della cavatina e della cabaletta. La cavatina, lenta e lirica, doveva consentire al cantante di sfoggiare la sua voce, di dimostrare la sua capacità di tenere una frase lunga con bellezza di suono, di sfumature e di colore. La cavatina era seguita da una sezione veloce chiamata cabaletta, in cui entrava in gioco il virtuosismo. Il bel canto, termine italiano, rifletteva in buona misura il piacere dell'improvvisazione proprio del diciottesimo secolo. Al cantante si chiedeva tecnica impeccabile e gusto nell'abbellimento, nella decorazione e nella cadenza. La combinazione di suono puro e tecnica brillante costituiva il bel canto. In buona misura questo modo di cantare discendeva dai castrati. Baldassare Ferri, un virtuoso castrato del diciassettesimo secolo, era capace di inserire trilli consecutivi per due ottave, in su e in giú, in un solo fiato. Certi passaggi duravano perfino cinquanta secondi di fila. Anche per Farinelli si calcolarono cinquanta secondi in una frase. Rossini aveva sentito cantare alcuni grandi castrati e sapeva di che cosa fossero capaci. Sapeva anche che i piú grandi non erano semplicemente abili prestigiatori preoccupati di stupire il pubblico. Quelli provvisti di buon gusto sapevano anche incantarlo con la purezza, la bellezza e perfino la passione del loro modo di esprimersi.
L'ideale - la combinazione di tecnica e di buon gusto - non si incontrava molto spesso. I cantanti dell'opera, piú di tutti gli altri artisti del mondo della musica, tendono ad abusare delle loro prerogative. Ai tempi di Rossini facevano tutto quello che passava loro per la testa. Erano coccolati e viziati, ed erano considerati molto pili importanti del compositore. Costui doveva essere dotato della diplomazia di un Talleyrand per accontentarli. Se a due primedonne popolari capitava di cantare nella stessa opera, si scatenavano rivalità e sospetti, lacrime e odio. L'una contava le battute delle arie dell'altra per assicurarsi di non essere truffata. Poi andava avanti per conto suo e cambiava la musica per adattarla ai propri mezzi. Le cantanti dei tempi di Rossini avevano un atteggiamento talmente disinvolto nei confronti delle note stampate che spesso il compositore, sconcertato, non riconosceva la sua stessa musica. Rossini doveva sempre battersi contro il cattivo gusto delle cantanti. Arrivò a scrivere gran parte degli abbellimenti e pretese che vi si attenessero fedelmente. Ma neppure lui poteva pretendere che una diva seguisse esattamente tutto lo spartito. Anni dopo essersi ritirato, Rossini accompagnò la giovane Adelina Patti in « Una voce poco fa », dal Barbiere di Siviglia. Lei abbellí tanto l'aria da renderla irriconoscibile: Rossini si congratulò con lei e poi gelido le chiese il nome dell'autore. Qualche giorno dopo disse a Saint-Saëns che non aveva niente da obiettare al fatto che si modificassero e abbellissero le sue arie. « Sono state scritte per questo. Ma non lasciare neppure una nota di quelle che ho composto, perfino nei recitativi,... be', questo è troppo. »
In Italia, nel primo trentennio del secolo scorso, il compositore arrivava in un teatro, componeva un'opera in una ventina di giorni, dirigeva le prime tre repliche e poi si trasferiva in un'altra città. L'opera italiana ha sempre funzionato cosí; era un'attività commerciale come un'altra, e piú veloce era il giro d'affari tanto meglio era. Di rado le opere venivano pubblicate e Rossini, per esempio, sapendo perfettamente che nella città dove si sarebbe recato non avevano mai sentito la sua ultima opera, ne prendeva tranquillamente intere parti e le trasferiva all'opera nuova. La sua piú famosa opera, Il Barbiere di Siviglia, del 1816, utilizza arie e pezzi d'assieme della Cambiale di matrimonio, del 1810, nonché materiale di altre quattro opere. Anche l'Ouverture, oggi famosissima, fu prelevata da un lavoro precedente. Caratteristico è il fatto che il Barbiere portasse via al compositore solo tredici giorni, per essere finito. « Ho sempre saputo che Rossini era un pigro » scherzò Donizetti quando glielo riferirono. Donizetti sapeva quello che si diceva, perché a sua volta non ci aveva messo piú di otto giorni a comporre l'Elisir d'amore. Felix Mendelssohn, al tempo del suo viaggio in Italia, prese nota, tra il meravigliato e il divertito, dei sistemi dei compositori italiani, « Donizetti » scrisse ai suoi « finisce un'opera in dieci giorni. Certo, può essere fischiata, ma non importa, tanto è pagato lo stesso, e lui può andarsene in giro a divertirsi. Se alla fine la sua reputazione dovesse essere danneggiata, allora dovrebbe mettersi a lavorare sul serio, e questo non gli piacerebbe. Perciò qualche volta arriva a dedicare tre settimane a un'opera, dandosi una certa briga con un paio di arie, in :vocio da accontentare il pubblico; dopodiché può permettersi ancora una volta di divertirsi e di scrivere di nuovo porcherie. » Mendelssohn, l'industriosa formichina tedesca, e Donizetti, la cicala italiana.
I compositori dell'opera del bel canto potevano sfornare spartiti con tanta velocità perché in realtà componevano opere basate su una formula precisa, costruite tutte piú o meno allo stesso modo. A un coro d'apertura seguivano arie e pezzi d'assieme attentamente distribuiti, tutti schierati rigidamente sull'attenti come soldati, ognuno e ogni cosa al suo posto. Ciascuno dei due atti si concludeva con un coro sonante, nel quale i cantanti principali avanzavano alla ribalta e cantavano da soli, primeggiando in tutto il loro fulgore di divi. In una lettera a un compositore Rossini parlò cor brutale franchezza del suo modo di lavorare:
Aspettate fino alla sera prima del giorno fissato per la rappresentazione. Nessuna cosa eccita piú l'estro come la necessità, la presenza d'un copista che aspetta il vostro lavoro e la ressa d'un impresario in angustie che si strappa a ciocche i capelli. A tempo mio in Italia tutti gli impresari erano calvi a trent'anni ... Ho scritto l'ouverture della Gazza ladra il giorno della prima rappresentazione, sotto il tetto della scala, dove fui messo in prigione dal direttore, sorvegliato da quattro macchinisti che avevano l'ordine di gettare il mio testo originale dalla finestra, foglio a foglio, ai copisti, i quali l'aspettavano abbasso per trascriverlo. In difetto di carta da musica aveano ordine di gettare me stesso dalla finestra. Pel Barbiere feci meglio; non composi ouverture, ma ne presi una che destinava a un'opera semiseria chiamata Elisabetta. Il pubblico fu arcicontento.
Bellini, che non aveva l'indole facilona di Rossini e Donizetti, e che prese piú seriamente la sua arte, si discostò dalla formula, ma di pochissimo. I due suoi accomodanti contemporanei non si presero mai la briga di modificare una formula che aveva tanto successo: praticamente in tutte le opere di Rossini e di Donizetti, e in diverse opere di Bellini, ci sono sciatterie, auto-plagi e cinismo. Ecco perché la stragrande maggioranza delle loro opere è ormai scomparsa. Donizetti: chi ha mai sentito o sentirà mai Chiara e Serafina, l'Aio dell'imbarazzo, Parisina, Torquato Tasso, Rosamonda d'Inghilterra o Belisario? e di Rossini Elisabetta regina d'Inghilterra, Torvaldo e Dorliska, Adelaide di Borgogna? E Bianca e Gernando o Zaira di Bellini?
Rossini, che sopravvisse a Bellini e a Donizetti, era il piú grande dei tre. Geniale, spiritoso e scintillante, aveva un talento melodico che non gli veniva mai meno. « Datemi la lista della lavandaia e ve la metto in musica » si vantava. Era nato il 29 febbraio 1792 a Pesaro: piú in là lo avrebbero chiamato « il cigno di Pesaro ». Da bambino dette prova di enorme facilità, come tanti altri grandi compositori: sapeva suonare il piano, il violino e la viola. Cantò anche nell'opera prima che la voce gli mutasse, e adolescente era già compositore prolifico. La prima sua opera rappresentata fu una farsa in un atto, composta nel 1810 per Venezia, e intitolata La Cambiale di matrimonio. L'impeto, lo spirito, l'umorismo irresistibile della musica e l'inconfondibile personalità dello spartito la rivelarono subito come un'opera speciale. L'anno dopo, sempre a Venezia, venne rappresentato il suo primo grande successo, L'inganno felice. Seguirono La Scala di seta, Il Signor Bruschino, Tancredi, L'Italiana in Algeri, Semiramide, Il Turco in Italia, Cenerentola e Le comte Ory. A ventun anni era già famoso in tutto il inondo: appena rappresentate le sue opere entravano immediatamente a far parte del repertorio internazionale.
Fu soprattutto la melodia a renderlo famoso, e Wagner, sia pure a malincuore, dovette riconoscerlo. « Rossini » scrisse « ha voltato le spalle al pedantesco guazzabuglio di pesanti spartiti e ha ascoltato dove la gente canta senza note scritte. E ha sentito quello che, tra tutti gli espedienti dell'opera, era rimasto piú spontaneo nell'orecchio: la melodia nuda, che accarezza l'orecchio, che è assolutamente melodica, che è, insomma, solo melodia e nient'altro. » Con un misto di esasperazione e di ironia Wagner concludeva che, con Rossini, finiva « la storia dell'opera a somiglianza della vita reale », perché venivano spazzate via le pretese di dramma e compito dell'esecutore era far sfoggio di virtuosismo. Wagner era deciso a sanare la situazione.
Il Barbiere di Siviglia, la piú grande di tutte le opere buffe, fece divampare in tutti i teatri d'opera d'Europa la passione per la musica rossiniana. Rossini ebbe un certo fegato a scrivere un'opera su quell'argomento. Giovanni Paisiello, compositore importante e popolarissimo, nel 1782 aveva scritto un Barbiere di Siviglia, che era stato amato, ammirato e che aveva goduto di un'immensa popolarità. Oggi, l'opera di Paisiello è rimasta una curiosità, con un suo certo fascino ormai sbiadito, ma sostanzialmente scontata armonicamente e melodicamente. L'opera di Rossini, che utilizza un libretto quasi identico, l'ha messa rapidamente nel dimenticatoio. Eppure, alla prima romana, il 20 febbraio 1816, il Barbiere di Rossini fece fiasco. Pare che l'opera fosse cantata male e che diversi curiosi incidenti abbiano distratto il pubblico. Un cantante inciampò e dovette cantare col naso sanguinante; poi entrò in scena un gatto che distrasse tutti quanti. Ma il secondo atto andò bene, e ben presto il Barbiere si affermò come la piú grande opera comica di tutti i tempi. Ad appena nove anni dalla prima fu rappresentato anche a New York (ma già nel 1819, in questa stessa città, ne era stata data una versione ridotta) nella prima stagione di Manuel Garcia al Park Theater. Garcia era stato il primo Almaviva.
Oggi Rossini è ricordato soprattutto come autore di opere buffe, ma a quel tempo anche le sue opere serie e tragiche furono tenute in grande considerazione. Otello, L'assedio di Corinto, Mosè, Guglielmo Tell: furono tutte molto ammirate. Nel 1822 si tenne un festival di Rossini al Kàrntnertor Theater di Vienna, che delirò per il compositore italiano. Anche Beethoven ammirò il Barbiere e raccomandò all'autore di dare altre opere al mondo. Schubert incorporò il famoso crescendo di Rossini e altri suoi espedienti in alcune sue partiture. A Parigi le opere di Rossini venivano continuamente rappresentate al Théàtre des Italiens e all'Opéra. Londra, nel 1824, ebbe una stagione dedicata a Rossini. Il compositore andò a Londra (com'era andato a Vienna) a sovrintendere alle rappresentazioni e la sua presenza contribuí a fare aumentare gli incassi. L'Europa impazziva per Rossini. Le cose andavano benissimo per il volubile italiano. Sposò la Colbran dopo una convivenza di molti anni, poi ebbe una relazione con Olympe Péllisier e la sposò quando la Colbran mori. Dovunque si recasse veniva invidiato, festeggiato, ammirato. Divenne corpulento, elaborò dei piatti interessanti, poiché era uno dei piú famosi buongustai d'Europa (i tournedos alla Rossini sono un suo importante lascito all'umanità), e quando il Guglielmo Tell fu dato all'Opéra di Parigi, nel 1829, le adulazioni arrivarono al limite dell'isterismo.
A questo punto Rossini smise di comporre e pur vivendo ancora trentanove anni, non scrisse mai piú una nota destinata alla scena.
Il suo ritiro è rimasto un mistero che ha dato spunto a un'infinità di congetture. Compose due opere sacre di grosse dimensioni, lo Stabat Mater e la Petite Messe solennelle (che, com'è stato già piú volte osservato, non è né piccola né solenne) e si diverti a comporre piccoli brani per piano e melodie. Ma la sua carriera fini, da ogni punto di vista, nel 1829, al culmine della fama.
Si possono fare diverse ipotesi. Intanto, Rossini aveva molto denaro. Alla sua morte lasciò beni valutati a circa un miliardo di lire d'oggi. Non aveva necessità finanziarie che lo spingessero a scrivere; e non era certo il tipo di idealista che compone per convinzione estetica o necessità spirituale. D'altro canto non era in buone condizioni di salute. Aveva disturbi uricemici, era ipocondriaco e soffriva di insonnia. « Ho tutti i mali delle donne: non mi manca che l'utero » disse a un amico. E anche una certa pigrizia naturale contribuí alla decisione.
Ma soprattutto Rossini era disturbato dall'indirizzo che l'opera stava prendendo. Era sinceramente convinto che con la scomparsa dei castrati l'arte del canto stesse morendo. Già nel 1817 - aveva solo venticinque anni, allora - si era lamentato della corruzione del canto: « Molti nostri cantanti, nati fuori d'Italia, hanno rinunciato alla purezza del gusto musicale ... gorgheggi, volate, trilli, salti, abuso di semitoni, aggruppamento di note, ecco il carattere del canto che adesso prevale ». A quel tempo era preoccupato anche da quella che considerava la deleteria influenza della scuola tedesca. In una lettera del 12 febbraio 1817 si rivela non meno conservatore del piú rigido professore di conservatorio:
Già aveva cominciato [Haydn] a corrompere la purità del gusto introducendo nelle sue composizioni accordi strani, passaggi artificiosi e novità ardite ... ma dopo di lui Cramer e finalmente Beethoven, colle loro composizioni prive di unità, e di naturalezza, ridondanti di stranezze e di arbitri, corruppero intieramente il gusto della musica strumentale. Contemporaneamente Mayer sostituí sul teatro ai modi semplici e maestosi dei Sarti, dei Paisiello e dei Cimarosa, le sue ingegnose ma viziose armonie, nelle quali il canto principale rimane soffocato dalle parti di accompagnamento, e seguaci della nuova scuola tedesca divennero tutti i giovani compositori di musica per li teatri.
Niente fa pensare che cambiasse idea invecchiando. Le sue opere, perfino il Guglielmo Tell con i suoi elementi meyerbeeriani, sono fondamentalmente classiche e si distinguono per eleganza di melodia, chiarezza, moderazione nell'orchestrazione e armonie prevalentemente diatoniche. Nel 1830 il romanticismo aveva iniziato già il suo cammino, e Rossini era antiromantico. Detestava il frastuono, le « eccentricità », le « affettazioni » del nuovo movimento. Soprattutto detestava il nuovo modo di cantare. Adesso faceva furore una nuova razza, i tenori con le note alte, e Rossini di¬sprezzava tutto ciò che essi stavano a rappresentare. Enrico Tamberlik sbalordiva i pubblici con il suo famoso do diesis alto. Una volta andò a trovare Rossini. « Fatelo accomodare » disse il maestro. « Ma ditegli di lasciare il suo do diesis sull'attaccapanni. Se lo riprenderà quando se ne andrà.
Ancora prima del Guglielmo Tell Rossini pensava di ritirarsi, e lo sapevano tutti. Stendhal lo conobbe a Milano. « L'aprile prossimo » scrisse « Rossini compirà ventotto anni e desidera ardentemente smettere di comporre a trenta. » Poi c'è una lettera del padre di Rossini: « Gioacchino mi ha giurato che vuole ritirarsi da tutto nel 1830, perché vuole godersela, fare il signore e scrivere quello che gli pare, perché si è stancato abbastanza ». I giornali raccolsero la voce e nel 1828 la " Revue musicale — in un articolo sulla prossima prima del Guglielmo Tell notava: « Lo stesso compositore ha dichiarato... che quest'opera sarà l'ultima a uscire dalla sua penna ».
Dopo il 1840 Rossini, ammesso che pensasse di riprendere la carriera, dovette chiedersi se il pubblico non l'avrebbe abbandonato a favore dei nuovi idoli, in special modo di Giacomo Meyerbeer. Dopo essere stato per tanti anni il re dell'opera europea, non poteva sorridergli la possibilità che lo trattassero come un superato. Herbert Weinstock, autore di una biografia del compositore, riassume cosí la questione: « Niente fa pensare che si mettesse a competere - o che avesse intenzione di competere - con l'autore degli Ugonotti o del Profeta e con l'autore del Nabucco e dell'Ernani per dare a un pubblico di cui non condivideva i gusti opere che non potevano piacergli incondizionatamente ». Il mondo dell'opera rossiniana, insomma non esisteva piú,
E cosí Rossini si ritirò. Aveva casa a Bologna e a Parigi e una villa a Passy. Trovò una nuova amante. Si adoperò per il Liceo Comunale di Bologna, cercando di migliorare il livello di quel conservatorio di provincia. Fu corteggiato e lusingato, riconosciuto come il patriarca della musica. Spiritoso, civile, urbano, mordace, era temuto per i suoi giudizi, e le sue divertenti osservazioni estemporanee facevano il giro di tutti i salotti. « Ho appena ricevuto da Cipriani Potter uno Stilton e una cantata. Il formaggio era ottimo. » Oppure: « Wagner ha qualche bel momento ma dei cattivi quarti d'ora ». Dopo aver sentito la Sinfonia fantastica di Berlioz disse: « Qualunque bella cosa sia, non è musica ». A proposito di Berlioz, fece un'altra osservazione sulla « Canzone del topo » dalla Dannazione di Faust. Non piaceva, spiegò, perché non c'era un gatto in casa. Amava i giochi di parole: quando senti qualcuno lodare il credo della Messa Grande di Liszt come il fiore piú bello della ghirlanda, disse: « Sí, è proprio un fleur de Liszt ». Chiamò i piccoli pezzi per piano e le liriche composte dopo essersi ritirato - e che restano ancora in buona parte inedite - peccati di vecchiaia. Quei brani hanno una sorta di surrealismo alla Chabrier e alla Satie, specie nei titoli: Les Hors-d'Oeuvre, in cui i singoli brani si chiamano ravanelli, acciughe, burro e cosí via; oppure Mon Prélude hygienique du Matin, o Gymnastique d'écartement, o L'Innocence italienne suite de la candeur française.
A Parigi Rossini tenne uno dei salotti piú brillanti d'Europa. Riceveva regolarmente il sabato sera. Si faceva musica, e spesso lo stesso compositore si sedeva al piano per accompagnare un famoso cantante. Era un pianista della vecchia scuola. che usava poco o niente il pedale e faceva svolazzare leggermente sui tasti le dita. Gli ospiti ricevevano inviti a stampa, ed erano stampati anche i programmi della parte musicale della serata. C'era sempre un pianista di talento a disposizione, se lui non aveva voglia di suonare o di accompagnare: tra gli altri, Charles Camille Saint-Saëns e il brillante Louis Diémer. Eduard Hanslick, che scriveva per la " Neue Freie Presse ,— di Vienna, descrisse una di queste serate. Spiegò che la casa era troppo piccola per accogliere tanti ospiti:
Il caldo era indescrivibile e la ressa tale che era sempre necessario fare gli sforzi piú disperati quando una bella vocalista (specialmente del peso di una Madame Sax) cercava di farsi strada dal suo posto al piano. Una folla di signore, scintillanti di gioielli, occupava la sala da musica; gli uomini stavano in piedi, cosí stretti l'uno all'altro da non potersi muovere, accanto alle porte aperte. Ogni tanto un servitore con dei rinfreschi si insinuava faticosamente in mezzo alla folla boccheggiante, ma è strano il fatto che solo pochissime persone (per la maggior parte straniere) prendano qualcosa che valga la pena di menzionare. La padrona di casa, si dice, non lo apprezzerebbe.
La morte di Rossini, avvenuta il 13 novembre 1868, fu come quella di un imperatore.
Nessun'opera di Rossini rientra nell'ambito del mondo romantico. Ma il musicista italiano prestò orecchio a tutto, e in composizioni come lo Stabat Mater o la Petite Messe solennelle si servi di armonie molto piú audaci di quelle che si trovano nelle opere. La Messe, con i suoi cromatismi che si accompagnano al disegno melodico classico, è un affascinante amalgama di vecchio e nuovo. Nella partitura originale per coro, quattro solisti, due piani e organo, ha un suo particolare fascino. È un capolavoro cosí come i Péchés de vieillesse (Peccati della vecchiaia) sono capolavori in miniatura. Quanto alle spumeggianti opere di prima del 1829, resta il Barbiere. Ma chi può cantarlo, oggi, o cantare le altre incantevoli frivolezze? Che cosa direbbe Rossini, quell'inappellabile giudice del bel canto, se sentisse quel modo di cantare teso, ingoiato, sibilante, spiegato, gridato, volgare, pesante, malaccorto che oggi passa, laute de mieux, per « stile rossiniano »?
Gaetano Donizetti (29 novembre 1797 - 7 aprile 1848) fu anche piú prolifico di Rossini. Studiò a Bergamo, sua città natale, poi passò a Bologna; tornato a Bergamo cominciò a sfornare opere con la rapidità e la regolarità di una macchina. Oltre a una settantina di composizioni uscirono dalla sua penna: dodici quartetti per archi, sette messe, melodie, pezzi per piano, cantate, mottetti e salmi. Aveva buon gusto e stile, e abusava del suo talento, scrivendo troppo e troppo in fretta. Eppure la Lucia (1835), il Don Pasquale (1843) e l'Elisir d'amore (1832) sono ben vivi ancora oggi, e di tanto in tanto si riesumano arche l'Anna Bolena (18 30), La Figlia del reggimento (1840) e La favorita (1840). Particolarmente ammirate erano le sue scene di follia. Al pubblico piaceva sentire le sue eroine spirare in una pioggia di trilli, arpeggi, scale, salti e note alte, il tutto con interpolazione di cadenze. L'opera francese adottò le scene di follia di Donizetti, che ebbe una forte influenza sul giovane Verdi, molto piú di Rossini e Bellini. Per tutto il secolo i grandi cantanti, da Pasta, Rubini, Lablache e Duprez a Lind, Sontag, Grisi, Patti, Mario e Alboni, amarono le sue opere. Negli anni della metà del diciannovesimo secolo, anni di grande canto, Anna Bolena (1830) fu considerata il suo capolavoro.
Come tutti i compositori d'opera italiana, Donizetti fu in continuo movimento. Andava su e giù per l'Italia mettendo in scena le sue opere. Molte ebbero entusiastica accoglienza, ma fu l'Anna Bolena a dargli la fama. L'Elisir d'amore è un esempio delle condizioni in cui fu costretto a lavorare il compositore e della velocità con la quale sfornò i lavori che gli venivano commissionati. Una volta il direttore del Teatro della Canobbiana di Milano si trovò ad aver bisogno di un'opera nuova in pochissimo tempo perché un musicista era venuto meno al suo impegno. Si rivolse a Donizetti due settimane prima della data fissata per la prima. Disperato, gli propose di mettere insieme alla meglio un'opera nuova con musiche vecchie. Probabilmente Donizetti la prese per una sfida. Come?! Non credi che io sia capace di comporre un'opera in due settimane? Mandò a chiamare il librettista, Felice Romani, e gli tenne, probabilmente, un discorso di questo genere: « Sono costretto a mettere in musica un poema in quattordici giorni. Ti do una settimana di tempo per prepararlo. Vediamo chi di noi due ha più fegato! ». Romani forni il libretto in tempo e Donizetti buttò giú la musica. L'opera ebbe un gran successo, e rimase una delle sue piú popolari. Berlioz la senti a Milano poco dopo la prima. La sua descrizione ci dà un'idea del comportamento del pubblico italiano. Il teatro era pieno zeppo, ma la gente « chiacchierava con voce normale e dando le spalle al palcoscenico. I cantanti, imperturbabili, gesticolavano e urlavano a pieni polmoni nel piú acceso spirito di rivalità. Per lo meno immagino che lo facessero, giudicando dalle bocche spalancate; ma il chiasso del pubblico era tale che a noi non arrivava nessun suono, salvo quello del timpano. Si giocava, si cenava nel palco, eccetera. Perciò, vedendo che era inutile sperare di sentir qualcosa dello spartito, che non conoscevo, me ne andai ».
Gli anni che seguirono all'Elisir d'amore videro Donizetti a Parigi, a Vienna, sempre in giro. La Lucia di Lammermoor fu rappresentata per la prima volta a Napoli nel 1835. Diventò una delle opere piú popolari del secolo. Nel 1837 Donizetti perdette la moglie, che adorava, e non si riprese mai piú. Inoltre attraversava periodi di malattia. Ebbe un colpo nel 1845, le facoltà mentali gli vennero lentamente meno e mori tre anni dopo. La sua scomparsa suscitò molto dolore. Il mondo aveva perduto non solo un compositore di talento ma anche un uomo buono e gentile di cui non si conoscevano gelosie o malignità. Nelle sue cose migliori, fu un compositore pieno di grazia, e le sue opere comiche hanno quel tipo di inventiva melodica. di slancio e di brio che solo Rossini ha saputo portare nella musica.
Vincenzo Bellini (3 novembre 1801 - 23 settembre 1835) compose solo un'opera comica, La sonnambula (1831) grande successo di quei tempi e in repertorio ancora oggi: alcuni passaggi sono affascinanti. Ma le sue opere più rappresentative sono Norma (1831) e I puritani (1835). Sono ricche di arie che esprimono l'essenza dell'arte del compositore: la lunga, arcuata, lenta melodia su un basso arpeggiato. Bellini era ossessionato dalla melodia. Una volta, suonando lo Stabat Mater di Pergolesi, disse a un amico: « Se potessi scrivere una melodia così bella, non mi importerebbe di morire giovane, come Pergolesi ». Perfino Wagner, che generalmente detestava la musica italiana apprezzò la Norma. Delle opere di Bellini disse che erano « tutto cuore, legato alle parole ». Anche Rossini e Donizetti hanno scritto lunghe, lente melodie, ma senza la particolare intensità di Bellini. Le melodie di Rossini, per esempio, sono di orientamento classico, mentre quelle di Bellini sono romantiche: non senza buon motivo Bellini e Chopin furono amici. Avevano musicalmente qualcosa in comune, e un notturno di Chopin ha un tipo di melodia e di basso assai vicini a quelli belliniani. (Avevano in comune anche altre cose: erano entrambi esili. minuti, d'aspetto aristocratico; entrambi avevano la malattia di moda, tipica dei romantici, la tubercolosi, ed entrambi morirono giovani.) Anche nelle prime opere di Bellini, come Il pirata (1827) e La straniera (1829), si era sentita una voce nuova, di ampio respiro, un po' sentimentale. Verdi avrebbe parlato delle « lunghe, lunghe melodie » di Bellini « quali nessuno ha scritto prima di lui ».
La musica di Bellini attirava, anche piú di quella di Rossini, i grandi cantanti, che rispondevano al richiamo del romanticismo implicito nelle sue arie. E il compositore poté disporre di voci notevoli, soprattutto dell'eroica tribú di mezzo-soprano attive nella prima metà del diciannovesimo secolo. Per queste voci Rossini. Donizetti e Bellini scrissero molte parti che oggi vengono cantate dal soprano (la Rosina del Barbiere, per esempio, era stata creata per una voce bassa). Ma quelle mezzo-soprano del bel canto erano proteiformi. Erano capaci di cantare una sera una parte dalla leggerissima coloritura e la sera appresso la Norma o un forte personaggio di Meyerbeer. Maria Malibran, che mori nel 1836, a ventotto anni, per una caduta da cavallo, fu considerata dai contemporanei, con una sicurezza un po' eccessiva, la piú grande cantante mai vissuta. Era una mezzo-soprano capace di arrivare da un f a basso a un do alto. La stessa cosa sapevano fare Marietta Alboni e Giulia Grisi. I soprani alti come Giuditta Pasta o Henriette Sontag erano capaci di arrivare al fa o al sol. Poi c'erano tenori come Mario (era conosciuto col solo nome), baritoni come Antonio Tamburini e bassi come Luigi Lablache, che è passato alla storia come il piú grande del gruppo, come colui che aveva la voce del tuono e la flessibilità di « un serpente attorcigliato ». Bellini scrisse per questi cantanti: nelle sue opere si esibirono insieme quelli che formarono il piú grande, probabilmente, dei quartetti vocali di tutti i tempi, Grisi, Rubini, Tamburini e Lablache. Anche la grande Jenny Lind si impose al pubblico come cantante belliniana, e cosí Adelina Patti.
Non necessariamente il migliore ma certo il piú elettrizzante di tutti i cantanti di Bellini fu Giovanni Battista Rubini, il tenore che è passato alla storia anche come interprete di Rossini e di Donizetti. « Rubini e Bellini erano fatti l'uno per l'altro » disse il " Musical World Rubini diventò famoso specialmente per il fa sopra al do interpolato nei Puritani. Cantava in falsetto. Léon Escudier, il critico francese, lo senti: una volta nel Roberto Deveraux di Donizetti « saltare fino al sol. Non era mai arrivato cosí in alto e dopo questo tour de force apparve lui stesso stupito dell'impresa ». Non era un buon attore, ma nessuno andava a vederlo aspettandosi di essere elettrizzato dalla sua recitazione. La gente andava a sentirlo per elettrizzarsi al suo canto. “La Revue des Deux Mondes”, nel necrologio di Rubini (che mori nel 1854), ci dà un'idea delle sue capacità:
L'orecchio stupito seguiva il cantante, nella sua ascesa trionfale, fino ai supremi limiti del registro di tenore senza notare alcuna soluzione di continuità in questa lunga spirale di note ... A questa capacità quasi incredibile di passare senza interruzione dal registro di petto al registro di testa. Rubini ne aggiungeva un'altra non meno importante, e precisamente il controllo del respiro. la cui forza aveva imparato a economizzare. Dotato di un ampio torace, nel quale i polmoni potevano dilatarsi con facilità, prendeva una nota alta, la riempiva successivamente di luce e di calore e quando l'aveva spiegata in tutta la sua potenza la gettava alla platea, dove esplodeva come un bengala in mille colori.
Poi l'autore si dilunga estasiato sulla tecnica di coloritura « prodigiosamente flessibile » del cantante: scale, arpeggi, trilli presi sulle note piú alte, gruppetti, appoggiature. Non c'è da meravigliarsi se le opere di Bellini non fanno l'effetto che potrebbero fare, nel ventesimo secolo. La razza di cantanti per i quali furono composte è estinta.
Bellini trascorse alcuni anni a Parigi, dove fu uno dei personaggi più romantici di una città piena di personaggi romantici. Esile, delicato, bello, languido, dotato di talento, ebbe adoratori, e soprattutto adoratrici. Heinrich Heine, cinico e aspro come sempre, lo vide come ...
una figura, alta, tesa, magra, che si muoveva sempre con grazia. Era civettuolo, e pareva appena tirato fuori da una cappelliera; un volto regolare ma largo, di un roseo delicato; capelli chiari, quasi d'oro, acconciati in molti riccioli; una fronte di marmo, alta, altissima; naso dritto, occhi azzurro chiaro, bocca ben fatta e mento rotondo. I suoi lineamenti avevano qualcosa di vago. una mancanza di carattere, un che di latteo. E in questo volto latteo balenava a volte un'espressione di pena, malinconica e leggiadra insieme. Questa espressione del volto sostituiva il fuoco che man cava; ma era una pena senza profondità. Lampeggiava, ma non in maniera poetica, dagli occhi. Aleggiava, ma senza passione, sulle labbra. Era questo dolore senza amarezza, vuoto, che il giovane maestro sembrava particolarmente ansioso di esprimere con tutto il suo aspetto. I capelli erano acconciati cosí fantasiosamente, gli abiti cadevano cosí languidamente sul corpo delicato, portava il bastone in maniera cosí arcadica che mi faceva venire in mente uno di quei giovani pastorelliche vediamo raffigurati con i bastoni illeggiadriti dai nastri ... Sembrava tutto un sospiro, in scarpine e calze di seta. Incontrava molta simpatia da parte delle donne ma dubito che abbia mai suscitato una forte passione in alcuna.
È opinione comune che Norma sia la sua opera maggiore, anche se 1 puritani è piú brillante (compresi i re di petto per Rubini). Una melodia tesa, infinitamente lunga come « Casta diva » della Norma, costruita da una misura all'altra, perfettamente proporzionata, casta eppure appassionata fa un'impressione indimenticabile quando è ben cantata. Norma non è un personaggio facile. È fatto per un soprano drammatico di eccezionale duttilità. Piú tardi, in quello stesso secolo, il soprano tedesco Lilli Lehmann avrebbe detto che preferiva cantare tre Brunilde di fila che una Norma. Norma è l'unica opera di Bellini sempre presente nel repertorio internazionale. A giudizio di molti è l'essenza stessa della tradizione del bel canto.
Harold C. Schonberg (da I GRANDI MUSICISTI, traduzione di Vittorio Di Giuro, ed. Mondadori, 1972)

 

Fonte: http://www.resmusica.it/doc/Voce,%20voce%20e%20ancora%20voce.doc

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