Parafrasi Petrarca

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Parafrasi Petrarca

FRANCESCO  PETRARCA  (1304 – 1374)

VOI CH’ASCOLTATE IN RIME SPARSE IL SUONO ( I )

 

TESTO

 

PARAFRASI

 

Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono
di quei sospiri ond’io nudriva ’l core
in sul mio primo giovenile errore
quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono,

del vario stile in ch’io piango e ragiono
fra le vane speranze e ’l van dolore,
ove sia chi per prova intenda amore,
spero trovar pietà, nonché perdono.

Ma ben veggio or sì come al popol tutto
favola fui gran tempo, onde sovente
di me medesmo meco mi vergogno;

et del mio vaneggiar vergogna è ’l frutto
e ’l pentérsi, e ’l conoscer chiaramente
che quanto piace al mondo è breve sogno.

 

Voi che ascoltate in poesie staccate tra di loro il suono
di quei sospiri con i quali nutrivo il cuore
al tempo della mia prima illusione giovanile,
quando in parte ero un uomo diverso da quello che sono,

delle varie forme poetiche nelle quali piango e ragiono
tra le vane speranze e il vano dolore,
dove ci sia qualcuno che conosca l'amore per averlo provato spero di trovare pietà, non solo perdono.

Ma adesso mi accorgo bene come per tutta la gente
io sia stato per molto tempo oggetto di critica, per cui spesso
mi vergogno di me stesso fra me;

e il frutto del mio amore impossibile è la vergogna,
il pentimento e la chiara consapevolezza
che tutto quello che piace al mondo è fuggevole illusione.

 

 

MOVESI IL VECCHIEREL  CANUTO ET  BIANCHO    (XVI)

 

 

TESTO

 

PARAFRASI

 

Movesi il vecchierel canuto et biancho
del dolce loco ov'à sua età fornita
e da la famigliuola sbigottita
che vede il caro padre venir manco;

indi trahendo poi l'antiquo fianco
per l'extreme giornate di sua vita, 
quanto più pò, col buon voler s'aita, 
rotto dagli anni, et dal cammino stanco; 

et viene a Roma, seguendo 'l desio, 
per mirar la sembianza di colui
ch'ancor lassù nel ciel vedere spera: 

così, lasso, talor vo cerchand'io, 
donna, quanto è possibile, in altrui
la disïata vostra forma vera. 

 

Il vecchietto bianco di capelli e pallido
si allontana dal dolce luogo dove ha trascorso la sua vita
e dalla sua famigliola sgomenta
che vede il caro padre andare via;

da lì, trascinando poi il vecchio corpo
durante le ultime giornate della sua vita
per quanto riesce si aiuta con la buona volontà,
distrutto dagli anni, e stanco per il camino;

e giunge a Roma, seguendo il desiderio,
per ammirare l’immagine di colui (Cristo)
che spera di contemplare di nuovo lassù in cielo:

così io, misero, talora io cerco di trovare,
donna, per quanto mi è possibile, in qualcun'altra
la desiderata vostra vera immagine.

 

 

SOLO ET PENSOSO I PIÙ DESERTI CAMPI   (XXXV)

 

 

TESTO

 

PARAFRASI

 

Solo et pensoso i più deserti campi
vo mesurando a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio human la rena stampi.

Altro schermo non trovo che mi scampi
dal manifesto accorger de le genti,
perché ne gli atti d'alegrezza spenti
di fuor si legge com'io dentro avampi:

sì ch'io mi credo omai che monti et piagge
et fiumi et selve sappian di che tempre
sia la mia vita, ch'è celata altrui.

Ma pur sì aspre vie né sì selvagge
cercar non so,  ch'Amor non venga sempre
ragionando con meco, et io co-llui.

 

Solitario e pensieroso i luoghi più abbandonati
vado segnando con il mio passo lento e cadenzato
e rivolgo lo sguardo, attento ad evitare
ogni luogo in cui l’impronta dell’uomo sia impressa sul suolo.

Altro riparo non so trovare che mi protegga
dall'attenzione ( indiscreta ) della gente,
poiché nei miei gesti privi di ogni serenità
esteriormente si capisce come io, nell'intimo, arda d'amore:

così che penso ormai che monti, pianure
fiumi, boschi conoscano di quale genere
è la mia vita, che è tenuta segreta agli altri.

Ma tuttavia  nessun angusto e solitario luogo
so trovare, in cui Amore non mi segua in ogni istante
per parlare con me ed io con lui.

 

ERANO I CAPEI D’ORO A L’AURA SPARSI    (XC)

 

 

TESTO

 

PARAFRASI

 

Erano i capei d’oro a l’aura sparsi
che ’n mille dolci nodi gli avolgea,
e ’l vago lume oltra misura ardea
di quei begli occhi, ch’or ne son sì scarsi;

e ’l viso di pietosi color farsi,
non so se vero o falso, mi parea:
i’ che l’esca amorosa al petto avea,
qual meraviglia se di subito arsi?

 

Non era l’andar suo cosa mortale,
ma d’angelica forma; et le parole
sonavan altro, che pur voce humana.

Uno spirto celeste, un vivo sole
fu quel ch’i’ vidi: et se non fosse or tale,
piagha per allentar d’arco non sana.

 

I (suoi) capelli biondi erano mossi al vento
che li avvolgeva in mille dolci riccioli,
e splendeva in modo straordinario la luce ammaliante dei suoi occhi belli, (luce) che ora è diminuita;

e mi sembrava che il suo viso si atteggiasse a pietà,
non so se fosse realtà o illusione:
io che avevo nel petto l’esca che accende il fuoco dell’amore,
c'è da meravigliarsi se m'innamorai subito?

Il suo incedere non era cosa mortale,
ma aspetto d'angelo, e le parole
suonavano diversamente da voce umana.

Uno spirito celeste, un vivo sole
fu quel che io vidi: e anche se ora non fosse tale,
una ferita non si rimargina tendendo di meno l'arco.

 

ZEPHIRO TORNA, E ’L BEL TEMPO RIMENA    (CCCX)

 

 

TESTO

 

PARAFRASI

 

Zephiro torna, e ’l bel tempo rimena,
e i fiori et l’erbe, sua dolce famiglia,
et garrir Progne et pianger Philomena,
et primavera candida et vermiglia.


Ridono i prati, e ’l ciel si rasserena;
Giove s’allegra di mirar sua figlia;
l’aria et l’acqua et la terra è d’amor piena;
ogni animal d’amar si riconsiglia.

Ma per me, lasso, tornano i più gravi
sospiri, che del cor profondo tragge
quella ch’al ciel se ne portò le chiavi;

et cantar augelletti, et fiorir piagge,
e ’n belle donne honeste atti soavi
sono un deserto, et fere aspre et selvagge.

 

Il vento della primavera (Zefiro) ritorna e riporta il bel tempo
e i fiori e le  erbe, suo piacevole seguito,
ed il garrire delle rondini ( Progne ) ed il canto lamentevole dell'usignolo (Filomena )
e primavera limpida e dai vividi colori.

Sembra sorridere la campagna e il cielo si rasserena:
Giove si rallegra di contemplare sua figlia;
l'aria, le acque e la terra sono attraversate dall'amore;
ogni essere vivente si dispone ad amare.

Ma per me, infelice, ritornano i più dolorosi
sospiri, che dal profondo del cuore suscita
colei che al cielo se ne portò le chiavi;

il canto degli uccelli, il fiorire delle pianure,
i delicati gesti in belle e nobili donne
sono (per me) un'arida realtà, come fiere crudeli e selvagge.

 

PACE NON TROVO, ET  NON Ò DA FAR GUERRA    (CXXXIV)

 

 

TESTO

 

PARAFRASI

 

Pace non trovo, e non ò da far guerra;
e temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio;
et volo sopra ‘l cielo, et giaccio in terra;
et nulla stringo, et tutto ‘l mondo abbraccio.

Tal m’à in pregion, che non m’apre né serra,
né per suo mi riten né scioglie il laccio;
e non m’ancide Amor e non mi sferra,
né mi vuol vivo né mi trae d’impaccio.

Veggio senza occhi e non ò lingua et grido;
et bramo di perir, et cheggio aita;
et ò in odio me stesso, et amo altrui.

Pascomi di dolor, piangendo rido;
egualmente mi spiace morte et vita:
in questo stato son, donna, per voi.

 

Non trovo pace e non ho mezzi per combattere;
provo paura e speranza; brucio (d’amore) e sono ghiacciato;
volo nel cielo e cado bruscamente a terra;
non stringo nulla, e abbraccio il mondo intero.

(Laura) mi tiene in una prigione,che non apre e non chiude,
non mi trattiene a sé, né mi lascia libero;
Amore non mi uccide, né mi toglie le catene,
non mi vuole vivo, né mi libera dalla sofferenza.

Vedo senza occhi, non ho la lingua e grido;
e desidero morire e chiedo aiuto;
e odio me stesso e amo un’altra.

Mi nutro di dolore, rido mentre piango;
odio allo stesso modo la morte e la vita;
sono in questo stato, donna, a causa vostra.

 

LA VITA FUGGE, ET NON S'ARRESTA UNA HORA    (CCLXXII)

 

 

TESTO

 

PARAFRASI

 

La vita fugge, et non s'arresta una hora,
et la morte vien dietro a gran giornate,
et  le cose presenti et le passate
mi danno guerra, et le future anchora;

e 'l rimembrare et l'aspettar m'accora,
or quinci or quindi sì, che 'n veritate,
se non ch'i' ò di me stesso pietate,
i’ sarei già di questi pensier’ fôra.

Tornami avanti, s'alcun dolce mai
ebbe 'l cor tristo; e poi da l'altra parte
veggio al mio navigar turbati i venti;

veggio fortuna in porto, et stanco omai
il mio nocchier, et rotte àrbore et sarte,
e i lumi bei, che mirar soglio, spenti.

 

La vita fugge e non si arresta un attimo
e la morte ci insegue  a grandi tappe,
e il presente e il passato
e anche il futuro mi recano affanno.

e da una parte mi angoscia il ricordar e
dall’altra l’attendere a tal punto che, a dire il vero,
se non fosse che ho compassione di me stesso,
io mi sarei già liberato di questi affanni.

Mi torna alla mente se l’infelice (mio) cuore
ebbe mai qualche dolcezza;  e per quanto riguarda il futuro,
vedo i venti sfavorevoli alla mia navigazione;

vedo tempesta anche in porto: e stanco ormai
il mio timoniere, e rotti gli alberi maestri e i cordami,
e (vedo) spenti i begli occhi che ero solito contemplare.

 

Fonte: http://www.terzauniversita.it/corsi_10-11/dispense/corso02_lez02.doc

Sito web da visitare: http://www.terzauniversita.it

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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