Analisi della fobia di un bambino di cinque anni

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Analisi della fobia di un bambino di cinque anni

IL CASO DEL PICCOLO HANS
Analisi della fobia di un bambino di cinque anni
Riassunto di Francesca Pispisa
                                                                                        
Il celebre caso del piccolo Hans del 1908,costituisce il primo esempio di analisi infantile seguito da Sigmund Freud, nel quale viene descritta l’evoluzione e la guarigione di una nevrosi infantile in un bambino di circa cinque anni.
In questo scritto Freud precisa da subito che il caso non fu ricavato dalle proprie osservazioni personali, bensì dal lavoro svolto dal padre del piccolo, anche se sotto la sua attenta guida al trattamento, sulla base dei resoconti che il padre gli spediva regolarmente. Fu solo in un’occasione che Freud incontrò e colloquiò col bambino. Tale scelta, sottolinea Freud stesso,fu dettata dalla difficoltà oggettiva di condurre un’analisi con un bambino così piccolo edanche perché nessun altro come il padre sarebbe stato in grado di acquisire certe asserzioni fatte dal bambino.
Hans aveva una buona indole e un carattere allegro. I genitori sostenitori tra i più fedeli di Freud esercitavano sul bambino, d’accordo con lo stesso, un tipo di educazione improntata al minimo di coercizione, affinché il piccolo si potesse esprimere senza timori.
Nella parte iniziale del casovengono riportate dal padre osservazioni relative al bambino prima della manifestazione della fobia. Hans, all’età di tre anni circa, aveva dimostrato di provare un vivo interesse per quella parte del corpo che chiamava “fapipì” ed era solito domandare alla madre ed al padre se ne fossero provvisti. Alla domanda che un giorno Hans rivolse alla madre se avesse il “fapipì” lei rispose: “Ma certo, perché?”.
Il suo interesse però non si era dimostrato solo teorico, ma soleva procurarsi piacere nella comune attività autoerotica. All’età di tre anni e mezzo quando la madre lo scoprì mentre si stava toccando il membro lo minacciò dicendogli: “Se lo fai ancora, mando a chiamare il dottorA che ti tagli il fapipì, e poi come farai a fare la pipì?”, “col sederino” le aveva risposto Hans.
Il piacere non era solo dettato dall’attività masturbatoria ma anche dalla scopofilia, cioè il piacere che se ne trae dalla vista degli organi sessuali, sia in forma attiva, che passiva. Il bambino cominciò così ad osservare il fapipì degli altri e in diverse occasioni aveva espresso ai genitori il dispiacere di non avere ancora visto il loro fapipìquando si spogliavano.
Freud interpretò questa necessità anche come il bisogno del bambino di poter fare un paragone con il proprio organo sessuale. Hans, infatti, aveva notatocome fosse grande il “fapipì” degli animali di grossa taglia, come la giraffa, e ne aveva dedotto che anche i genitori lo avessero più grande del suo. Aveva anche supposto che la madre dovesse averlo “come quello di un cavallo” e che quando Hans sarebbe cresciuto, anche il suo fapipì si sarebbe ingrandito con lui.
All’età di tre anni e mezzo vi fu un grande evento nella vita di Hans, la nascita della sorellina Hanna. Durante gli ultimi giorni della gravidanza della madre, i genitori gli dissero che stava per arrivare la cicogna con un bambino o una bambina ed Hans il giorno del parto mise in relazione i gemiti della madre con l’arrivo della cicogna. Aveva visto all’ingresso la borsa del dottore ed aveva chiesto cosa fosse; gli fu risposto che era una borsa, allora Hans disse con convinzione: “Oggi arriva la cicogna”.
Dopo la nascita della bambina la levatrice chiese del tè per la madre di Hans ed egli udendo questa richiesta disse: “Lo so! Bisogna dare il tè alla mamma perché ha la tosse”. Poi venne chiamato in camera e non guardò la madre bensì le bacinelle e gli altri recipienti che contenevano dell’acqua mista a sangue e proferì: “Ma dal mio fapipì non esce sangue”.
Il padre riferì che Hans osservava in modo diffidente tutto ciò che di insolito stava succedendo intorno a lui mettendolo in relazione con l’arrivo della cicogna ed aggiunse che in lui molto probabilmente si erano insinuati i primi dubbi sulla cicogna.
Dopo circa sei mesi, mentre stavano facendo il bagno alla piccola, sempre sulla scia del suo interesse per il membro, Hans notò: “Ma ha un fapipì piccolissimo” per poi aggiungere in tono consolatorio: “Quando crescerà le diventerà più grosso”.
Hans quindi viveva nella convinzione che tutti gli esseri animati fossero dotati di tale organo, indipendentemente se fossero maschi o femmine, al punto che nemmeno la vista della sorellina nuda suscitò in lui alcun dubbio.
Nella seconda parte del caso, Freud descrivela maniera in cui comparve la fobianel piccolo paziente, le circostanze nelle quali si è manifestòe la sua successiva evoluzione.
Il padre di Hans presentò a Freud un resoconto degli avvenimenti accaduti nei primi giorni di gennaio del 1908. Racconta che Hans,che all’epoca aveva quattro anni e nove mesi,una mattina si era risvegliato in lacrime. Interrogato sul motivo del pianto aveva risposto che mentre dormiva credeva che la mamma se ne fosse andata e lui non potesse più fare le moine (carezze) con lei.
Il padre di Hans aggiunse che fosse un sogno d’angoscia e di aver già notato qualcosa di simile durante l’estate a Gmunden, ove solevano passare le vacanze. La sera, infatti, quando andava a dormire provava una forte commozione immaginando di non avere più la mamma e che fosse andata via. La madre, pertanto, quando Hans provava queste malinconie aveva cominciato a prendere l’abitudine di prenderlo a letto con sé.
Il 7 gennaio era andato allo Stadtpark con la bambinaia come faceva abitualmente, ma durante la strada si era messo a piangere, voleva ritornare a casa e fare le “moine” con la mamma. A casa i genitori gli domandarono il perché di tale comportamento, ma egli non volle rispondere. La sera era nuovamente spaventato e volle essere accarezzato dalla mamma.
Il giorno seguente la mamma decise di uscire lei stessa col bambino per capire cosa stava succedendo, lo voleva portare a Schonbrunn, posto a lui molto gradito. Anche in questo caso Hans apparve molto spaventato, si era messo a piangere e non voleva uscire. Poi, dopo essersi fatto convincere, dimostrò ancora di essere impaurito e durante il ritorno a casa rivolgendosi alla madre le aveva detto: “Avevo paura che un cavallo mi mordesse”.
Verso sera gli venne nuovamente un attacco come la sera prima e volle fare le “moine” con la mamma. Riferì che sapeva che il giorno dopo avrebbe dovuto fare un’altra passeggiata ed aggiunse: “Il cavallo verrà in camera mia”.
La madre il giorno stesso aveva domandato ad Hans se si toccava il “fapipì” ed egli le aveva risposto di sì, tutte le sere a letto. Il giorno seguente gli ammonì di non toccarsi il “fapipì” e quando poi la madre nuovamente gli domandò se lo avesse fatto,Hans le rispose di sì.
Freud,in seguito a questi fatti, sostenne che l’accrescimento dell’amore da parte di Hans verso la madre si era trasformato improvvisamente in angoscia e aveva subìto una rimozione. Quindi l’angoscia di Hans era l’espressione di un desiderio amoroso rimosso nei confronti della madre.
Freud, inoltre, riferì che durante il periodo della fobia si fosse attuata una rimozione di queste attività sessuali: si vergognava di orinare in presenza di altre persone (cosa che prima gli procurava piacere), si accusava egli stesso di toccarsi il “fapipì”, cercava di interrompere la masturbazione e dimostrava ripugnanza per la cacca e la pipì e per tutto ciò che gliele potevano ricordare.
A questo punto Freud spese alcune parole in difesa della madre di Hans descrivendola come un’ottima e devota madre, mentre il marito la incolpava, non del tutto a torto aggiunse Freud, di aver suscitato la comparsa della nevrosi in Hans a causa dell’eccessiva amorevolezza e della facilità con cui lo prendeva a letto con sé. Freud sostenne inoltre che allo stesso modo la si poteva accusare di aver precipitato il processo di rimozione in Hans, in quanto in un’occasione si era dimostrata estremamentedeterminata nel rifiutare le proposte avanzate dal figlio. Freud, per l’appunto, si riferisce all’episodio riportato dal padre quando Hans aveva quattro anni e tre mesi:
“Stamane, come al solito, la mamma ha fatto ad Hans il bagno quotidiano e poi lo ha asciugato e intalcato. Mentre gli stava mettendo il talco intorno al pene, badando a non toccarlo, Hans ha detto: “Perché non ci metti le dita sopra?”.
Madre: “Perché sarebbe da porcellini”
Hans: “ Che vuol dire da porcellini? E perché?”
Madre: “Perché non sta bene”                 
Hans (ridendo): “però è molto bello”.
Freud sostenne che la madre di Hans si trovava in una situazione difficile e che fosse inevitabile il suo atteggiamento; Freud, inoltre, si accordò col padre affinché dicesse al figlio che tutta la storia dei cavalli era una sciocchezza e che la verità era che lui amava molto la mamma e voleva che lo prendesse a letto con sé. Doveva anche fargli presente che la paura dei cavalli, invece, era dettata dall’eccessivaattenzione prestata ai loro “fapipì”.
Freud, inoltre, suggerì al padre che dicesse ad Hans che la madre, come tutte le femmine, non aveva il “fapipì”; egli, infatti, aveva ipotizzato che la sua libido si fosse in qualche modo legata al desiderio di vedere il “fapipì” di sua madre.
Successivamente alle nozioni ricevute dal padre, fatta eccezione per quella che le donne sono sprovviste del pene, la situazione si normalizzò temporaneamente ed Hans riprese ad uscire senza grosse difficoltà.
Ma ben presto la fobia ricomparve, complice il fatto che ad Hans gli venne prima l’influenza, poi gli furono tolte le tonsille e fu costretto così a rimanere chiuso a casa per tre settimane. Successivamente a tali accadimenti Hans non ne voleva più sapere di uscire.
Il 1° marzo padre e figlio fecero una chiacchierata rispetto al fatto se i cavalli mordano o meno. Il padre gli fece presente che i cavalli non mordono, ma Hans ribatté dicendo invece che i cavalli bianchi mordono e che a Gmunden ce n’era uno che se gli davi il dito te lo mordeva. Il padre trovò singolare che Hans parlò del fatto che i cavalli mordano il dito e non la mano.
In un secondo tempo Hans riportò un episodio di una bambina, loro vicina di casa, dal nome Lizzi. Un giorno Lizzi doveva partire e c’era una carrozza con un cavallo bianco sotto casa che avrebbe portato i bagagli alla stazione. Il padre, che stava in piedi vicino al cavallo, disse alla figlia: “Non mettere il dito sul cavallo bianco, se no ti morde”. Il padre di Hans allora disse al figlio: “Vedi: mi colpisce il fatto che tu non vuoi intendere che non si deve toccare un cavallo, ma che non bisogna toccarsi il fapipì”. Hans ribatté dicendo che un fapipì non morde e il padre rispose che invece era proprio così, che forse mordeva. A questo proposito Freud aggiunse che in tedesco toccarsi il pene, per via del prurito al glande, si dica “mi pizzica” o anche “mi morde”.
Il giorno seguente Hans dimostrò ancora di essere spaventato e il padre lo consolò dicendogli che questa paura sarebbe diminuita se fosse andato più spesso fuori. Ma Hans rispose che le cose andavano male a causa del fatto che era sua abitudine toccarsi il “fapipì” tutte le sere.
Freud in merito a ciò fece una considerazione dicendo che sia il padre che il figlio erano concordi nell’attribuire la causa della fobia di Hans alla sua abitudine di masturbarsi, pur senza negare l’esistenza di altri fattori significativi.
Il 22 marzo Hans insieme al padre si recarono a Schonbrunn per fare una passeggiata ed il bambino si dimostrò timoroso nei confronti degli animali di grosse dimensioni. Non volle entrare nell’edificio dove si trovava la giraffa e si rifiutò di visitare l’elefante, animale tanto gradito in passato, mentre la vista dei piccoli animali, al contrario, fu per lui molto piacevole.
In quell’occasione il padre gli spiegò che aveva paura dei grandi animali perché avevano un “fapipì” grande egli ricordòche già ne avevavisto uno in passato, il “fapipì” di un cavallo. Hans concordò col padre ed aggiunse di averlo visto in più circostanze; menzionòdi quanto gli piacesse in precedenzaandare in una stalla a Gmunden a vedere i cavalliche facevano rientro a casa.
Il padre allora lo rassicurò dicendogli che non doveva preoccuparsi per il grosso “fapipì” degli animali poiché, semplicemente, gli animali grandi avevano un “fapipì” grande, mentre quelli piccoli ne avevano uno piccolo.Hans allora rispose: “E tutti hanno il fapipì. Il mio fapipì diventerà più grande quando io diventerò più grande. Naturalmente è ben attaccato a me”.
Freud a questo punto fece diverse considerazioni. Innanzitutto Hans aveva paura degli animali grandi perché era costretto a pensare al loro grosso “fapipì”, questo lo portava a fare continui confronti con il proprio, con la conseguenza di provare costantemente un senso di insoddisfazione.
Poi, rispetto alla considerazione di Hans che il suo pene fosse “ben attaccato a lui”, Freud fece questa riflessione. In passato quando la madre disse al piccolo che se non avesse smesso di toccarselo lei glielo avrebbe fatto tagliare, sul momento tale affermazione non sortì alcun effetto (Hans all’epoca aveva tre anni e mezzo). La minaccia di castrazione da parte della madre ebbe invece un effetto ritardato;riaffiorò solo in un secondo momento, più o meno dopo un anno e tre mesi.
Qui Freud fa un’ulteriore riflessione. Quando il padre riferì ad Hans che le donne non hanno il “fapipì”, tale affermazione non fu colta dal piccolo - ed infatti non vi furono dei risultati sul piano terapeutico – ma secondo Freud suscitò in lui il“complesso di castrazione”. Tale nozione, infatti, fu respinta da Hans per il semplice motivo che se le femmine non avevano il “fapipì” poteva anche succedere che qualcuno glielo poteva tagliareetrasformarlo, così, in donna.
Dopo qualche giorno Hans ed il padre si recarono nell’ambulatorio di Freud per un consulto. Il padre gli riferì che purtroppo nonostante le nozioni che Freud gli aveva trasmesso,il bambino continuava ad avere paura dei cavalli. Durante il colloquio però emersero ulteriori particolari interessanti, come il fatto che Hans aveva paura, in particolar modo,alla vista di quello che i cavalli portano davanti agli occhi e del nero che hanno intorno alla bocca.
Freud al riguardo chiese al piccolo, in tono scherzoso, se i suoi cavalli portavano gli occhiali ed egli rispose di no. Proseguì domandandogli se suo padre portasse gli occhiali ed anche in questo caso rispose in senso negativo, nonostanteciò non fosse vero. Gli domandò ancora se il nero intorno alla bocca dei cavalli, che lo spaventava tanto, gli ricordasse dei baffi.
A questo punto Freud fece un’interpretazione dicendo ad Hans che in realtà lui aveva paura di suo padre a causa del fatto che amava tanto la mamma e che era per questo motivo che pensava che suo padre fosse arrabbiato con lui, cosa non veritiera mentre, al contrario, il papà gli voleva molto bene.
Il padre, interrompendo Freud, domandò ad Hans:
“Ma perché pensi che io sia arrabbiato con te? Ti ho mai sgridato o picchiato?”
ed Hans: “Sì che mi hai picchiato!”
il padre: “Ma non è vero; comunque quando l’avrei fatto?
Hans: “Stamattina”.
Al padre venne in mente che quella stessa mattina il piccolo improvvisamente gli aveva dato una testata nello stomaco e lui di riflesso lo aveva colpito con la mano.
In seguito a ciò Freud precisò che il padre non aveva fatto caso alla relazione esistente tra questo episodio e la nevrosi. Il bambino con questo gesto aveva dimostrato l’ostilità provata nei confronti del padre ed anche forse il bisogno di essere punito per questo.
Il resoconto del 2 aprile del padre evidenziò un primo miglioramento effettivo del bambino. Hans era riuscito a rimanere davanti al portone di casa per un’ora nonostante il passaggio di carri. Fino a quel momento, infatti, non era stato in grado di farlo poiché se passava un cavallo rientrava subito a casa in preda allo spavento. Il padre constatò un notevole miglioramento dopo la visita all’ambulatorio di Freud.
Il 5 aprile il padre di Hans chiacchierando con il figlio gli chiese quali erano i cavalli che più lo intimorivano ed egli rispose quelli che avevano un traino pesante, mentre quelli con un carro piccolo o il furgoncino della posta no. Ma quello che più di tutti lo spaventava maggiormente era l’omnibus; il padre gli domandò se fosse per le dimensioni ma Hans rispose di no,ma si era spaventato per il fatto di aver visto il cavallo di un omnibus cadere. Il padre gli domandò che cosa avesse pensato quando il cavallo era caduto ed Hans rispose: “Che sarà sempre così. Che tutti i cavalli degli omnibus cadranno”.
Al che il padre domandò ad Hans se la “sciocchezza” gli fosse venuta quando cadde il cavallo; il figlio rispose di sì. Ed egli ribatté: “Però la sciocchezza era che credevi che il cavallo ti volesse mordere. Ora, invece, dici che avevi paura che cadesse”. Ma Hans confermò che fu per entrambi i motivi.
Il padre gli chiese ancora se il cavallo cadendo fosse morto ed Hans rispose di sì, ma subito dopo disse che stava scherzando. Allora il padre gli domandò se credeva forse che il cavallo fosse morto, ma Hans rispose di no in modo risoluto e con un atteggiamento estremamente serio.
Freud qui fecealcune considerazioni. Notò come la fobia che provava Hans fosse molto diffusa, riguardava i cavalli, cavalli che cadono e mordono, per poi estendersi ai cavalli con caratteri peculiari e che trainano carri pesanti. Quest’angoscia inizialmente non aveva alcuna relazione coi cavalli, sui quali si è trasferita successivamente per poi fissarsi su alcuni elementi specifici.Freud rilevò inoltre che, grazie all’analisi minuziosa condotta dal padre, si riuscì a determinare la causa scatenante che provocò la fobia nel bambino, vale a dire l’aver assistito alla caduta di un cavallo pesante.
Il padre rilevò una delle possibili interpretazioni al riguardo, il significato inconscio di tale fobia potrebbe risiedere nel desiderio del bambino che fosse il padre, e non il cavallo, a cadere e a morire. Mentre per ciò che attiene alla paura di Hans di poter essere morso dal cavallo, Freud sostiene che derivi da questa sequenza di pensieri: il cavallo, cioè il padre, lo poteva mordere per via del desiderio del bambino di vederlo cadere.
L’11 aprile Hans raccontò al padre di aver immaginato di essere nella vasca da bagno (era la madre che si occupava del bagno del piccolo) e che poi era venuto l’idraulico e l’aveva svitata per portarla a riparare. Aveva preso poi un grosso cacciavite e glielo aveva conficcato nella pancia.
Freud riferisce che il padre diede questa interpretazione della fantasia di Hans: “Ero a letto con mamma, poi è venuto papà e mi ha cacciato via; col suo grosso pene mi ha spinto via dal mio posto accanto alla mamma”.
Questo argomento verrà ripreso in seguito nel racconto.
Il 12 aprile, durante un viaggio in treno insieme al padre, Hans guardando la tappezzeria di cuoio nero dei sedili esclamò: “Puah! Mi viene da sputare! Anche le mutande nere e i cavalli neri mi fanno sputare, perché devo fare cacchina”. Peraltro qualche giorno prima il piccolo, durante un colloquio col padre, disse che vedendo le mutande nera della madre, che aveva appena acquistato, sputò asserendo che erano nere come la cacchina nera.
Il padre racconta che in  un’altra occasione mentre un carro stava uscendo dal cancello di fronte Hans si spaventò ed il padre gli chiese se il cancello non rassomigliasse forse ad un sedere. Ed Hans rispose: “E i cavalli sono la cacchina!” Così dopo questo episodio, quando vedeva un carro uscire da un cancello esclamava: “Guarda, sta venendo la ‘cacchettina’!”.
Il 14 aprile si presentò un tema fondamentale, quello di Hanna, la sorellina, che seguì in modo consequenziale quello della cacca. Hans provava per Hanna un’intensa antipatia dato che doveva contendersi con lei l’amore dei genitori (antipatia peraltro parzialmente super compensata da un affetto esagerato nei suoi confronti). In varie occasioni Hans aveva fatto loro presente che la cicogna non doveva più portare bambini e che la dovessero pagare per questo; non avrebbe più dovuto portare bambini dalla “grande cassa” (Hans si era fatto l’idea che i bambini stavano all’interno di una grande cassa; il padre in questa circostanza sottolineò la paura di Hans per i furgoni e suppose che gli omnibus rassomigliassero ad una grande cassa).
Col tema di Hanna che, come dicevamo, seguiva quello della cacca, Freud riferì come cominciasse ad intravvedersi una spiegazione e cioè che Hanna era la cacca, i bambini erano cacca. Freud fece presente al padre di Hans che la fobia era ricollegabile a pensieri e desideri suscitati dalla nascita della sorella. Secondo la teoria sessuale dei bambini, precisa Freud, un neonato era un “pezzo di cacca” e quindi la successione dei pensieri di Hans avrebbe portato al complesso degli escrementi.
Quel giorno mentre Hans e il padre stavano rientrando a casa, Hans vide una cassa nell’androne di casa e disse: “Hanna è venuta con noi a Gmunden in una cassa come questa. Tutte le volte che siamo andati a Gmunden ha fatto il viaggio con noi nella cassa. Tu non mi credi? È vero, papà. Credimi. Avevamo una grande cassa, tutta piena di bambini; stavano seduti nella vasca. Ce li ho messi io dentro. Proprio davvero. Me lo ricordo benissimo”.
Freud riferì che qui Hans si stava perdendo nelle fantasie ed il colloquio continuò con ulteriori invenzioni di Hans del viaggio di Hanna dentro la cassa per andare a Gmunden.
Ma perché Hans si stava perdendo con tutte queste stupidaggini? Si domandò Freud. Ma non erano stupidaggini, aggiunse Freud, bensì la vendetta di Hans verso il padre ed era come se dicesse: “Se pensi davvero che io creda che la cicogna ha portato Hanna a ottobre, quando già in estate, mentre andavamo a Gmunden, mi ero accorto com’era grossa la pancia di mamma, allora io sarò in diritto di pensare che tu creda alle mie bugie”. Infatti tra le varie fantasie Hans disse che Hanna era già andata a Gmunden l’estate dell’anno prima con loro dentro la “grande cassa”; ciò stava a significare, pertanto, che egli sapeva della gravidanza della madre.
Dopo qualche giorno Hans parlando col padre gli disse che omnibus, furgoni e carri del carbone sono i carri che portano le casse della cicogna. In seguito Freud constatò che Hans da un po’ di tempo produceva delle fantasie legate al traffico, fantasie che si andavano via via spostando dai cavalli che trainano veicoli alle ferrovie.
Il 22 aprile Hans si mise a giocare con una bambola di gomma che aveva chiamato Grete. Il padre gli domandò che gioco stesse facendo con la bambola ed Hans rispose che l’accudiva come una bambina vera. Il padre allora gli chiese se gli fosse piaciuto avere una bambina ed Hans rispose di sì eche la mamma però non la doveva avere, perché voleva una bimba tutta per sé. Il padre qui fa una precisazione, dicendo che Hans in tal modo temeva di perdere ancora di più la sua posizione con l’arrivo di un altro bambino.
Il padre continuò dicendo ad Hans che lui non poteva avere dei bambini e che solo le donne li potevano avere, ma Hans rispose che lui avrebbe avuto una bambina perché i maschietti hanno delle femminucce e le femminucce hanno dei maschietti. Il padre gli domandò dunque da dove avrebbe preso la bambina ed Hans disse:
“Eh, dalla cicogna. Lei tira fuori la bambina e la bambina fa subito un uovo e dall’uovo esce un’altra Hanna … un’altra Hanna. Da Hanna esce un’altra Hanna. No, esce una sola Hanna”.
Qui Freud precisò che fin tanto che Hans avesse continuato ad ignorare i genitali femminili non sarebbe stato in grado di comprendere i fatti sessuali.
Il 24 aprile i genitori di Hans decisero di spiegargli come avviene la nascita. Gli dissero che i bambini prima si sviluppavano dentro la mamma e poi nascevano venendo spinti fuori come la cacca e che ciò era piuttosto doloroso. Nel pomeriggio andarono davanti a casa e notarono un netto miglioramento di Hans che giocava correndo dietro ai carri. Un residuo della sua angoscia lo si poteva notaredal fatto che non si allontanava molto dal portone di casa e che non riuscivano ancora a convincerlo di fare una passeggiata lunga.
Il padre constatò che già da quando erano tornati da Gmunden Hans faceva continuamente delle fantasticherie sui “suoi bambini”, conversava con loro e così via. Freud in questo caso sottolineò che non per questo egli avesse dei desideri di tipo femminile perché desiderava dei bambini, semplicemente egli aveva vissuto dei momenti estremamente dolci con sua madre e li stava riproducendo assumendo un ruolo attivo.
Il padre rilevò dunque che l’angoscia in Hans fosse quasi completamente scomparsa, eccetto per il fatto che tendeva a non allontanarsi troppo da casa, di modo che in caso di paura poteva rientrare rapidamente.E per la verità non si rifugiava nemmeno a casa ma rimaneva in strada.
EPILOGO
Il padre ricordò come la fobia di Hans si manifestò in occasione di un’uscita a passeggio con la bambinaia, quando all’improvviso scoppiò in lacrime e volle essere riportato subito a casa. In seguito quando era costretto ad uscire non voleva allontanarsi troppo, si spingeva al massimo ad una distanza che gli consentiva di vedere comunque la propria casa.
Il padre continua spiegando che in occasione della nascita della sorellina, quando la mamma partorì, Hans ovviamente, fu allontanato dalla mamma. L’angoscia che si manifestò con la fobia,che lo costrinse a non allontanarsi troppo da casa, il padre lacollegò al desiderio che Hans ebbe nel momento della nascita della sorellina, il desiderio di stare con la mamma.
30 aprile. Il padre vedendo che Hans continuava a giocare con i suoi bambini immaginari gli chiese: “Heilà! I tuoi bambini sono ancora vivi? Sai benissimo che un maschietto non può avere bambini”
Hans: “Lo so. Prima ero la mamma, ma ora sono il papà”
Il padre: “E chi è la mamma dei bambini?”
Hans: “E’ la mamma e tu sei il nonno”
Il padre: “Dunque tu vorresti essere grande come me e sposare mamma e poi ti piacerebbe avere dei figli”
Hans: “Sì, è proprio questo che mi piacerebbe e allora la nonna di Lainz (la nonna paterna) sarebbe la loro nonnina”.
Freud riferì che la situazione si stava evolvendo verso un lieto fine. Il piccolo Edipo, infatti, aveva trovato una soluzione migliore rispetto a quella di eliminare il padre. Gli concedeva, infatti, la stessa felicità che auspicava per se stesso: lo trasformava in nonno e gli faceva sposare sua madre.
Il 2 maggio Hans raccontò al padre una nuova fantasia con l’idraulico. Era venuto l’idraulico e con un paio di pinze gli aveva tolto il sederino e gliene aveva dato un altro, allo stesso modo gli aveva tolto il “fapipì” e lo aveva sostituito con un altro. Così il padre gli domandò se gli avesse dato un sederino ed un “fapipì” più grandi ed Hans rispose di sì. Il padre gli chiese ancora se erano come quelli del papà, perché voleva essere papà. Anche in questo caso Hans rispose affermativamente e disse che voleva avere i baffi come il papà e i peli sul petto come i suoi.
In seguito alla descrizione di questa fantasia, il padre di Hans fece un collegamento tra questa fantasia ed l’altra che Hans aveva raccontato qualche settimana prima notando come fossero identiche.
Nella precedente fantasia Hans aveva immaginato di essere nella vasca da bagno e che era venuto l’idraulico e l’aveva svitata per portarla a riparare. Aveva preso poi un grosso cacciavite e glielo aveva conficcato nella pancia. Alla luce delle due fantasie il padre sostenne che la vasca grande significava “sedere”, il cacciavite come già detto era il “fapipì” ed Hans aveva paura della vasca grande. Inoltre lo addolorava il fatto che il suo posteriore fosse troppo piccolo per la vasca grande.
Qualche giorno dopo la madre di Hans scrisse a Freud più volte per la gioia provata per la guarigione del piccolo ed il padre inviò allo stesso un post-scriptum nel quale fece alcune aggiunte alla storia clinica di Hanstra cui quella da cui si evinceva che vi era ancora qualcosa di irrisolto, qualcosa che Hans non era in grado di capire.
Egli infatti cercava di comprendere cosa centrasse il padre col figlio, dato che era stata la madre a metterlo al modo. Han faceva ancora queste domande al padre: “Io sono anche tuo, vero?” (cioè che non era solo della madre). Il padre continuò dicendo che d’altra parte non vi erano prove che Hans avesse visto i genitori durante l’atto sessuale.
Freud concluse dicendo che la fantasia di Hans di diventare padre e trasformare il padre in nonno,gli aveva permesso di superare l’angoscia derivante dal complesso di castrazione. La fantasia dell’idraulico che gli portava via il pene (in precedenza la madre aveva minacciato Hans che se continuava a toccarsi il “fapipì” avrebbe chiamato il medico per farglielo tagliare) rappresentava un’ottima soluzione poiché al posto del suo gliene forniva uno più grosso come quello del papà.

BIBLIOGRAFIA

  • Freud S. “Casi clinici” Bollati Boringhieri Editore, 2008
  • Freud S. “Casi clinici” Newton Compton Editori srl, Roma 2007

La traduzione ufficiale del termine tedesco viene eseguita dalla Bollati Boringhieri come “fapipì”, mentre la Newton Compton Editori con “pipino”. Il che potrebbe creare degli equivoci.

 

Fonte: http://www.icles-fpl-venezia-mestre.com/biblioteca/IL_CASO_DEL_PICCOLO_HANS%20Francesca.doc

Sito web da visitare: http://www.icles-fpl-venezia-mestre.com

Autore del testo: indicato nel documento di origine

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