Dislessia e bambini

Dislessia e bambini

 

 

 

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Dislessia e bambini

I meccanismi della lettura

Troppe volte si sente parlare di dislessia come di un difetto della lettura, è una definizione assolutamente impropria, scorretta e generica perché la dislessia. colpisce solo alcuni processi che stanno all'interno della lettura.
Affrontiamo l'argomento partendo da un esempio.
Prendiamo un bambino - che chiameremo Luigi - che si è presentato presso il nostro servizio, frequenta la IV elementare ed ha un buon quoziente intellettivo
Gli viene sottoposto da leggere un brano che viene comunemente usato per questo tipo di test.
Esaminiamo uno fra i diversi errori commessi.
Alla parola contadino il bambino legge "gionte dino" si ferma, si corregge "conte" si ferma ancora e quindi legge correttamente "contadino"
Possiamo perciò notare che in una sola parola vengono commessi diversi errori:

  • fa una sostituzione di tipo grafemico sulla "c" e sulla "g",
  • sbaglia la regola di connessione tra la "c" e la "o" non rispettando la regola di lessicalizzazione della lingua italiana che dice che quando la o segue la consonante non è "cio" e non è "gio" ma "co" o "go"
  • fa un'altra sostituzione "a" con la "e" e legge conte

però poi si ferma e legge correttamente contadino.

Vorrei attirare la vostra attenzione su queste due difficoltà di tipo diverso: una è l'errore l'altra è, in alcuni casi la correzione, in altri la non correzione.

Prendiamo ora il caso di un dislessico adulto, la cui dislessia è il risultato di un trauma cranico. Questa persona commette un errore che la letteratura anglosassone contempla, non quella italiana: pazienti che leggono, ad esempio boat al posto di yacht, due parole completamente diverse ma con significati simili.
Il fenomeno è strano ma è un marcatore significativo di cosa può succedere a un soggetto che non ha integre tutte le vie di accesso al lessico.
Questo lettore che legge boat. al posto di yacht ha come tutti noi stoccato in un magazzino di memoria a lungo termine, che possiamo immaginare come tanti cassettini , un numero grande, a seconda dell'età del soggetto, di parole scritte. Sono parole che a forza di essere lette, vengono codificate in termini di rappresentazione grafemica
E' esattamente la stessa ragione per cui un bambino del secondo ciclo della scuola materna, quando vede una certa stringa si segni che indica il suo nome, capisce quel che c'è scritto.
Questo bambino non s'intende, per la sua età, né del perché ci vogliono quelle lettere, né perché così tante, né di altro, ha semplicemente un riconoscimento globale. Quelle informazioni, che rappresentano il suo nome e che forse è la stringa scritta che vede più frequentemente, si è stampata con un effetto frequenza da qualche parte. Tutti noi abbiamo un magazzino di lessico ortografizzato molto, molto ampio che ci permette di leggere le parole senza dover fare la conversione grafema/fonema.
Le parole ad alta frequenza - e quanto più siamo avanti negli anni o quanto più abbiamo letto tanto più ne conosciamo - vengono lette con accessi diretti, con quello che viene chiamato "processing in parallelo". L'occhio è in grado di processare, secondo la capacità dei gradi di fissazione della cornea, una certa quantità di lettere e queste vengono processate in parallelo. Il paziente adulto che fa l'errore che abbiamo visto sopra è in grado di riconoscere il cassetto ma non è assolutamente in grado di fare la conversione grafema/fonema e quindi fa un'associazione di tipo semantico Conversione tuttavia impropria, perché noi sappiamo che lo yacht è una cosa e il boat è un'altra, ma semanticamente i due termini sono correlati.
Se a questo paziente facessimo vedere una non-parola - quindi qualcosa che, per definizione, non ha frequenza - e la cui lettura deve per forza servirsi delle regole di conversione grafema/fonema, non riuscirebbe a decodificarla. Quello che non funziona in questo paziente è la capacità di utilizzare l'accesso neuropsicologico.

Tornando invece al nostro giovane paziente, anche per lui, come per tutti, ci sono un certo numero di parole che evidentemente riconosce globalmente, quando deve fare invece l'analisi sequenziale di tutta l'informazione ortografica del testo e si trova di fronte una parola non immagazzinata ( ad esempio contadino) è evidente che non la riconosce in parallelo, non ci sta nel suo lessico ortografizzato questa parola, e dovendo applicare il cosiddetto processing seriale, inciampa.

 

Gli automatismi

L'altra cosa che mi interessa mettere in evidenza, proprio per entrare il più rapidamente possibile nei meccanismi della lettura e poi uscirne, è la natura automatica che raggiunge dopo un certo allenamento l'atto di lettura.
Un test che i neuropsicologi usano per studiare l'attenzione selettiva consiste nel sottoporre al soggetto un elenco di parole che indicano alcuni colori scritte però in un colore diverso da quello del significato della parola stessa ad es. la parola giallo scritta in blu o la parola rosso scritta in verde.
Viene quindi posto il quesito : "Di che colore sono queste parole?" le risposte vengono cronometrate e i tempi vengono misurati in millesimi di secondo. Questa prova viene utilizzata perché c'è un'informazione, data dal significato della parola (rosso) che si fa fatica a superare (perché automatica) per osservarne il colore e quindi rispondere esattamente; questa informazione è la semantica contenuta nella stringa di segni che appartiene alle parole.

Per contro quando un bambino di prima elementare a natale legge "vede" anziché "verde" nessuno si meraviglia, c'è infatti, nella parola verde, un gruppo consonantico, c'è una complessità fonologica da affrontare. Il bambino di prima elementare in una simile occupazione si impegna molto, il che vuol dire che per leggere "verde" correttamente a metà della prima elementare è necessario un elevato livello attentivo.

Possiamo quindi concludere dicendo che i meccanismi di cui abbiamo parlato prima, per esempio la capacità di leggere e processare in parallelo una parola frequente o la capacità di leggere e processare in maniera seriale ma rapida ed efficace una parola a bassa frequenza, sono processi che all'inizio costano attenzione ma sono destinati a diventare automatici, al punto da essere difficilmente sopprimibili.
Allora possiamo anche dire che la natura dei fenomeni che stiamo osservando è di essere processi automatizzabili, quindi processi che diventano rapidi ed accurati senza per questo richiedere particolare attenzione. Quello che non funziona nei bambini dislessici è la rapidità e l'accuratezza nella decodifica della parola.

 

I processi "alti"

Però notiamo anche che Luigi, dopo aver letto "giunte dino", si corregge e dice contadino, interviene pertanto un processo di autocorrezzione dettato dalla capacità di ragionamento del bambino.
E' necessario, a questo punto, sottolineare le diversità dei livelli nei processi che interessano la lettura.
Se, ad esempio, vogliamo leggere un testo al quale viene cancellata una parola ogni 5/6, ci accorgiamo che riusciamo comunque a leggere immaginando le parole mancanti.
I processi che ci permettono di sopperire alla mancanza delle parole del testo sono di qualità "più alta" di quelli di cui abbiamo parlato prima.
Per riempire questi buchi è necessario prima di tutto essere padroni della sintassi della propria lingua madre infatti il primo problema sarà indipendente dal contenuto (ci vorrà un aggettivo, un articolo, un nome o un verbo?), solo secondariamente interverrà un problema di semantica.

 

Concludo dicendo che nell'atto di lettura, inteso come un atto che permette di raccogliere informazioni da una veste ortografica, subentrano due tipi di competenze estremamente diverse:
La prima, la capacità di decodificare correttamente la parola, richiede due vie di accesso:

  • le parole ad alta frequenza si processano in parallelo e vengono riposte in un magazzino di memoria a lungo termine
  • le parole a bassa frequenza (e quanta più bassa frequenza delle non-parole ), si processano invece in maniera seriale e usufruiscono della natura del nostro sistema scritto.

Questi due processi, nei dislessici, possono essere selettivamente in difficoltà.
La seconda invece comprende tutti i processi "alti" che intervengono nella lettura di tutti noi e che ci permettono di economizzare ampiamente la raccolta di informazione ortografica del testo.
Studi neppure particolarmente recenti che sono stati iniziati dagli olandesi e proseguiti dagli americani ci dicono che nella lettura noi saltiamo da sette a quattordici lettere.
Possiamo fare questo utilizzando un''esperienza che ci permette di economizzare la raccolta di informazioni del testo. All'inizio del processo di apprendimento ci sembra indispensabile vedere tutte le lettere, ma dopo un po' diventiamo veloci e non ci rendiamo conto che in realtà non le guardiamo più.
Quindi ribadisco: quello che non funziona nei bambini dislessici all'interno della globalità dell'atto di lettura sono le operazioni di decodifica. Luigi, che ha 133 di Q.I. e che ha una competenza linguistica adeguata, come la stragrande maggioranza dei bambini dislessici, arrivato a "gionte dino" si rende conto che qualcosa non va e ricorre al processo alto.  Questo processo lo avverte dell'errore, (gionte dino non è una parola del lessico della lingua italiana) e della necessità grammaticale (questa parola deve essere comunque un nome) quindi, abbastanza rapidamente, dice contadino.
Vorrei sottolineare a questo punto che se non avesse letto ad alta voce, non ci saremmo accorti che era dislessico, perché questo bambino, seppur con tempi più lunghi, capisce perfettamente il testo.

Quindi, riassumendo, quelli che non funzionano sono i  processi bassi della parola e possono esser selettivamente in difficoltà gli accessi in parallelo o gli accessi seriali.

 

Arriviamo ad una definizione di dislessia

Vorrei ricordare a questo punto che la dislessia evolutiva si manifesta quando si comincia a leggere e a scrivere, ma è preesistente all'acquisizione di queste competenze.
La dislessia viene definita come un disturbo settoriale della lettura che si manifesta in un bambino privo di disturbi neurologici, cognitivi, sensoriali, relazionali importanti e primari, inoltre il disturbo si manifesta nonostante il bambino abbia avuto normali opportunità scolastiche
Preciso inoltre che la diagnosi di dislessia la deve fare uno neuropsichiatra infantile o uno psicologo, non la fa la logopedista Infatti se l'indagine fonologica può benissimo essere padroneggiata - in fase diagnostica naturalmente - anche da una figura di non medico o di un non psicologo, l'esclusione dei disturbi sopra elencati richiede necessariamente la presenza di particolari figure professionali.
Voglio però aggiungere che, come Associazione, noi teniamo molto a precisare che, tra le figure professionali del medico, indichiamo nel neuropsichiatra infantile la figura più direttamente interfacciata, e, ancora più nel particolare, il neuropsichiatra infantile che si intende di neuropsicologia, così come, naturalmente, lo psicologo che si intende di neuropsichiatria.

Per entrare un po' più nel merito di queste questioni ho portato quella che mi sembra una delle definizioni più esaustive. La BDA (British Dyslexia Association), l'Associazione Britannica per la Dislessia, pubblica, con cadenza regolare, un hand-book in cui sono contenuti tutti gli aggiornamenti scientifici, gli studi su che cos'è e com'è la dislessia, gli elenchi delle scuole e delle strutture sanitarie inglesi che si occupano di questi problemi, ecc. Nel 1997 scrive " La dislessia è una condizione neurologica complessa di origine costituzionale" ed aggiunge "La scienza non ci ha ancora dato la risposta su ciò che causa la dislessia, sappiamo che riguarda le modalità con cui il cervello è implementato"  e poiché, fino ad oggi, non è stato ancora scoperto il modo per implementare il cervello, è giusto dire che la dislessia non può essere curata".

Credo che sia giusto dire che c'è un accordo quasi generale nella comunità scientifica, oggi, sul fatto che la dislessia sia un disturbo su base neurobiologica, e che quindi si tratti di un'alterazione dell'architettura neuropsicologica del soggetto, non di un trauma, e che si configuri quindi come una variabilità della specie.
La conseguenza immediata di questo dato è che le possibilità di intervento sul disturbo dislessico sono estremamente limitate: Questo per due motivi: in primo luogo per la natura stessa del disturbo, secondariamente per quella caratteristica , di cui ho parlato prima, che riguarda l'apprendimento dei processi di lettura, processi che devono diventare automatici.
Conseguenza di questa caratteristica è che ci sono epoche in cui un intervento sulla specificità del difetto può, in qualche modo, diminuirlo ( non guarirlo perché non è una malattia) e ci sono epoche in cui invece il problema diventerà un altro: fare in modo che il difetto incida il meno possibile negativamente sulla vita quotidiana del lettore.

 

Un breve accenno alle cause.

Come abbiamo detto il difetto è congenito, ma spunta al momento di incrocio con la struttura alfabetica della lingua scritta. Noi parliamo infatti di dislessia, a livello mondiale, esclusivamente rispetto ai sistemi alfabetici. La letteratura non parla di dislessici di sistemi scritti di tipo ideogrammatico, la dislessia riguarda un sistema scritto, e capacità di decodificarlo, in cui i simboli ortografici non sono sostituti dei significati.
Un cinese scrive un segno che vuol dire cane mentre noi scrivendo lettera "c" indichiamo solo uno dei fonemi della parola cane. Il nostro sistema scritto è un sistema "alla seconda potenza", quello che vediamo non è sostituto di significati, quello che vediamo è sostituto di parte del linguaggio che a sua volta è sostituto di significati.
Perciò la base neurobiologica del difetto è quella che ci deve in qualche modo guidare sulla comprensione di quando e cosa è possibile fare.

L'unico studio italiano su le cause eredo-familiari della dislessia è stato fatto a Bologna dal gruppo del Dottor Stella e rivela che il 58% dei soggetti studiati ha parenti strettissimi dislessici, le percentuali di alcuni studi americani sono più alte. Altre ricerche importanti - e qua cito la questione soltanto, non essendo in grado di entrare nel dettaglio e nel merito -  ci dicono che esistono suggestive convergenze tra dati neuroanatomici e dati neurofisiologici che suggeriscono che il funzionamento e l'organizzazione cerebrale del dislessico evolutivo abbiano delle caratteristiche atipiche. Direi che le tre famiglie di dati più corposi sono:

  • anomalie nelle asimmetrie emisferiche
  • difetti nella migrazione neuronale, si rivelerebbero cioè delle zone di ectopatia (gruppi di cellule che presentano difetti di migrazione nella corteccia),
  • squilibrio fra i sessi, il dato epidemiologico fornisce una percentuale di 4 maschi a 1 femmina, identica a quelle sul linguaggio. A questo proposito va ricordato che ormai da anni si discute su l'eventuale legame tra disturbo fonologico e disturbo dislessico, dibattito che oggi non è sicuramente ancora superato ma non va dimenticato che ci sono altri settori di studi, ad esempio quello sulla visione, che sono in grandissima ripresa. Nel caso dello squilibrio fra i sessi la ricerca è stata stimolata naturalmente ad approfondire gli aspetti ormonali legati a questo dato.

Perché "sindrome dislessica"

Vorrei finire inquadrando l'aspetto "sindromico" della dislessia, dando delle informazioni sull'espressività del disturbo negli anni, e parlando di che cosa succede e di che cosa può essere "predittivo" il rischio di dislessia.
Oggi non parliamo più di dislessia, ma parliamo di sindrome dislessica. Quei processi neuropsicologici di cui si parlava: lettura di parole ad alta frequenza e lettura di parole a bassa frequenza, processazioni in parallelo e processazioni seriali, funzionano esattamente nello stesso modo nelle due direzioni e cioè lo stesso modello che descrive l'atto di decodifica "lettura" descrive anche l'atto di decodifica "scrittura".
Ne deriva che il 100% dei dislessici è disortografico e cioè il 100% dei dislessici commette errori di ortografia che vanno distinti dal mancato raggiungimento delle tappe del controllo ortografico che tutti i bambini devono affrontare.
I bambini, come si è detto, a volte, a febbraio della prima elementare, non sanno risolvere il gruppo consonantico
Se un bambino, alla fine della prima elementare, fa molta fatica a risolvere il gruppo consonantico e fa anche tanta fatica a risolvere alcuni problemini di tipo matematico e, sottoposto ad un controllo del quoziente intellettivo, vediamo anche che il Q.I. si colloca in una zona di confine, abbiamo allora un quadro di difficoltà aspecifica.
Diverso è il caso di un bambino che fa molte sostituzioni mentre scrive, attacca e stacca le parole, elide lettere o sillabe; in questo caso gli errori non sono quelli descritti dalle tappe di controllo della lingua italiana, ma distorsioni del processo. E' importante tuttavia tenere presente che a volte questi errori non sono speculari in lettura e scrittura e possono anche presentarsi in modo diverso. Ciò che li distingue è che sono processi distorti della decodifica così come sono processi distorti della codifica.

 

La discalculia

Si è detto che il 100% dei bambini dislessici è disortografico, questo non vuol dire naturalmente che questi due segni non possano presentarsi con pesi specifici diversi, può infatti esserci una dominanza del disturbo di lettura con un disturbo molto più lieve di scrittura e magari nel tempo scomparire, o viceversa.
In questi ultimi anni, tuttavia, ciò che ci ha occupato maggiormente è stata la presenza, all'interno della sindrome, della "discalculia", un disturbo di alcune aree di processamento dei numeri. Per definizione abbiamo indicato il bambino dislessico come un bambino integro dal punto di vista cognitivo. In campo matematico, pertanto ciò che non funziona non è il "problem solving", non è la capacità di stabilire se, in un dato problema occorre una somma oppure una sottrazione, ma è, per esempio, fare una grandissima fatica a contare all'indietro. Qui gli errori più frequenti si verificano intorno alla decina, infatti intorno alla decina si verifica un grandissimo stress da memoria di lavoro, bisogna cambiare lessico, bisogna diminuire per esempio di una cifra la decina, bisogna aumentare di nove le unità. Tutti questi processi sono tra quelli che abbiamo definito automatizzabili.
Anche leggere e scrivere i numeri presenta alcune difficoltà, in particolare posizionare il numero e darne un'interpretazione lessicale, ad esempio 102 viene scritto 1002 (posizione) e 37 diventa 34 (interpretazione lessicale)
Oppure, e questo è un classico, le tabelline. Non fanno fatica a capire che la moltiplicazione è un intelligente sostituto della reiterazione della somma, quello è il concetto. Quello che non riescono a fare sono operazioni di basso profilo cognitivo che sono destinate, come la lettura della lettera "a" o la lettura di una parola ad alta frequenza, a essere automatizzate. Perché anche le tabelline, così come la lettura delle parole ad alta frequenza, ricorrono all'ormai famoso cassetto del magazzino di dati - in questo caso numerici - dove, a forza di presentarsi, si stampa quella determinata informazione di tipo matematico. Bene, quelle informazioni non si stampano, e il bambino non conosce le tabelline.

I tre settori costituiscono sicuramente le aree oggi più importanti dell'indagine sulla dislessia. In letteratura si discute se esistano delle discalculie senza la presenza della dislessia. Una importante studiosa inglese, M.C. Temple, descrive alcuni casi di discalculia senza dislessia. Tuttavia nelle strutture italiane che maggiormente si occupano di questi problemi non si sono rilevati casi di discalculia dissociata dalla dislessia; secondo questi studi se talvolta il fenomeno si presenta dissociato in studenti che frequentano le medie, è possibile rilevare che è una discalculia residua in un ragazzo che ha compensato deslessia e disortografia.
Un'osservazione di questo genere ci fa tornare ad sottolineare la rilevanza dei pesi specifici diversi con cui si presentano le tre componenti, all'interno del disturbo.
Circa il 70% dei pazienti dislessici che abbiamo studiato all'interno del nostro centro è discalculico, con discalculie di grado diverso. Va sottolineato che, purtroppo, poiché la discalculia é sicuramente uno degli aspetti meno conosciuti della sindrome dislessica, le strutture sanitarie sono ancora meno preparate ad usare protocolli di indagine neuropsicologica per indagare questo disturbo. Inoltre la matematica è ancora ritenuta in stretta relazione con l'intelligenza, ed è molto difficile che un ragazzino dislessico che abbia tutti e tre i segni severi: lettura, scrittura e calcolo, possa rimandare un'immagine di integrità cognitiva ai propri insegnanti.

Si diceva in precedenza che quello che connota un processo automatico è la sua rapidità e la sua accuratezza e pertanto, rispetto alla variabile accuratezza il numero degli errori, e rispetto alla rapidità i tempi di realizzazione del processo.
A questo proposito si è notato che la variabile accuratezza migliora indipendentemente dal trattamento, ma non la componente rapidità; questo è il dato più robusto che oggi abbiamo e le conclusioni sono:
le dislessie di sistemi linguistici trasparenti come l'italiano, si configurano dal punto di vista espressivo, in una maniera significativamente diversa dalle dislessie di sistemi molto opachi, come quello inglese.
Nel sistema inglese la componente accuratezza probabilmente è l'aspetto più evidente, mentre nel nostro è la componente rapidità che rappresenta l'aspetto più evidente.

Si è osservato che popolazioni interessanti dal punto di vista epidemiologico di bambini studiati in prima elementare che rivelano difficoltà sia sul versante degli errori che sul versante della rapidità con il tempo, all'incirca in quarta elementare, mantengono purtroppo, come elemento cruciale del disturbo, l'aspetto lentezza.
Vorrei che fosse chiara l'importanza che la rapidità di lettura riveste.
Se io mi metto a parlare lentamente divento noioso e chi mi ascolta se ne va. Questo perché la rapidità di processamento deve essere proporzionata alla rapidità di entrata degli input. La velocità di emissione di linguaggio è direttamente proporzionata alla capacità di processamento; non si può dire: legge come un bambino di seconda elementare, se si è alle medie, è necessario che l'entrata dell'informazione rispetti un certo livello di rapidità. Per questo motivo affermiamo che la rapidità è cruciale, è cruciale come aspetto che rende impervia la lettura ed è cruciale come aspetto che invece può renderla adeguata.
Prendiamo l'esempio di un lettore che fosse molto scorretto e, sentendolo leggere ad alta voce, scopriamo che sbaglia tutte le a e le e, che però legge in tempi adeguati, o più o meno adeguati, e capisce. Sarà dislessico, ma la sua dislessia non incide assolutamente più sull'atto di lettura (la comprensione). Purtroppo per la lingua italiana succede esattamente il contrario. Succede che, come dicevo prima, l'aspetto accuratezza migliora, quindi per esempio migliora anche l'ortografia. Tuttavia se il fatto che la correttezza migliori nella lettura è importante, rimane pur sempre l'aspetto della lentezza e questo rappresenta sicuramente un elemento estremamente pernicioso.

 

I predittori

La letteratura converge su quale possa essere l'elemento veramente predittivo di un rischio di disturbo specifico di lettura e scrittura, cioè cos'è che può metterci sul chi va là quando il bambino ancora non legge? Credo che la risposta sia quasi univoca: è il  linguaggio. Ma che cosa del linguaggio, perché il linguaggio è una scatola molto complessa e chi si occupa di disturbi di linguaggio sa che deve, come minimo, indagare quattro aree diverse del linguaggio, in entrata e in uscita.
Deve indagare:

  • competenze sintattiche,
  • competenze morfologiche,
  • competenze fonologiche
  • competenze lessicali.

Si possono avere disturbi del linguaggio in cui alcune di queste aree, o anche una sola, siano selettivamente impervie, oppure può essere selettivamente impervia soltanto un'area in produzione e non altro, ecc.

 

Le competenze fonologiche

Le competenze fonologiche sono quelle maggiormente  interfacciate con l'apprendimento della lingua scritta.
Noi occidentali abbiamo un sistema di scrittura, come abbiamo detto, di tipo alfabetico: i grafemi - o gli allografi, se volete, la parola è più corretta - scritti sul testo sono sostituti di unità della parola, che sono i fonemi. Gli arabi scrivono con un sistema che è invece di tipo sillabico, e cioè hanno meno vocali di noi e scrivono le consonanti; hanno un sistema in cui il segno sostituisce una sillaba.
Da noi il segno sostituisce un fonema, e il fonema è la minima unità di indagine all'interno della parola. Essere disfonologici significa avere un disturbo della fonologia, cioè dire male delle parole. Ciò può dipendere da due aree selettivamente in difficoltà: una più legata al gioco dell'output, l'aspetto articolatorio, e ancor più agli aspetti classici bocco-facciali, e l'altro più legato alle rappresentazioni.
Chi dice fasorminica invece di fisarmonica, non ha un problema articolatorio, ha un problema della rappresentazione fonologica della parola. Poiché la fonologia è una scienza, abbiamo bisogno di una professionalità in grado di indagarla, una logopedista non fa solo quello, ma sicuramente quella particolare professionalità l'ha soltanto lei. Bishop, un neuropsichiatra infantile inglese che ha studiato il linguaggio in maniera molto approfondita, in un articolo del 93 che è una pietra miliare in questo campo, ci dice che l'80% dei bambini che arrivano all'incrocio con la struttura della lingua scritta, e che quindi incominciano ad imparare la struttura alfabetica della lingua scritta (quindi a 5 anni e qualcosa), avendo presente un disturbo fonologico sono a grandissimo rischio di ritardo significativo nell'apprendimento della letto-scrittura e , se questo disturbo è di una certa importanza e collegato ad altre aree di difficoltà del linguaggio, sono a rischio di dislessia. Nel nostro campione il 45% dei soggetti dislessici che abbiamo diagnosticato aveva o aveva avuto - perché grazie al cielo il disturbo fonologico evolve - un disturbo fonologico, il 55% ne era indenne.
Noi, credibilmente, in seconda infanzia possiamo lavorare su quel 45% dei casi.
Non so se in occasione di un incontro con i pediatri la cosa più interessante sia discutere solamente di linguaggio, ma sicuramente l'aspetto del linguaggio è un aspetto cruciale.
La prima cosa da capire è quale è la parte del linguaggio compromettente: questa è, si potrebbe dire, una delle competenze più basse e più automatizzabili del linguaggio, quella fonologica.
I bambini quando nascono non parlando bene, e non nascono neppure leggendo.
La fonologia ha delle tappe evolutive. Però io credo che si debbano avere riferimenti precisi., Se un bambino a 4 anni dice un numero elevato di parole in un linguaggio non povero, dice pertanto un numero significativo di parole dette male, quel bambino va visitato da un neuropsichiatra infantile con una logopedista o da uno psicologo con una logopedista, in grado di dire se quelle difficoltà di linguaggio sono una distorsione del processo, se quelle difficoltà convivono o no con una condizione nella norma, per distinguere tra disturbi specifici e disturbi non specifici del linguaggio.
Perché intervenire il più presto possibile con una terapia logopedica è sicuramente il trattamento preventivo più efficace in assoluto che si possa fare, poichè il trattamento di disturbo fonologico, naturalmente a seconda dell'imponenza del disturbo, ha delle buone possibilità di risoluzione, sempre a seconda della gravità del disturbo e di quanto il disturbo eventualmente sia associato ad altre difficoltà specifiche del linguaggio.
Questo, sarebbe necessario fare in tutte le scuole materne d'Italia : muoversi verso uno screening riconosciuto, come si fa per la vista, come si fa per l'udito.
Molti insegnanti si domandano se, seguendo questo principio, non risultino tutti disfonologici. Non è vero, ci sono bambini che sono in ritardo nel controllo delle tappe della fonologia, ci sono altri che hanno processi distorti ecc.
Tra l'altro posso affermare che il mio punto di osservazione è privilegiato poiché lavoro in un centro in cui i colleghi neuropsichiatri infantili e psicologi mi mandano i bambini per visite di controllo. Fra questi sono pochi, pochissimi, i bambini in seconda infanzia che hanno già avuto un trattamento e che vengono, quindi, per controlli Sono veramente troppo pochi. Mentre vedo un numero elevato di bambini del primo ciclo elementare con dei disturbi del linguaggio per i quali viene da domandarsi se sia possibile che nessuno se ne sia accorto prima.

 

Il ruolo del pediatra

E' qui che credo che il vostro ruolo possa essere cruciale.
Premettiamo che credo sia serio dire che non ci sono elementi predittivi certi.
Se, infatti, il 45% dei bambini dislessici hanno nella loro storia personale un disturbo del linguaggio, non dobbiamo dimenticare il restante 55%.
All'inizio degli anni 20 alcuni studiosi inglesi avevano correlato i disturbi di apprendimento con gli aspetti motori. Saprete probabilmente che in tempi molto più recenti sono circolati prima un libro e poi un film nei quali si diceva che un bambino se non gattonava poi diventava dislessico. Tutto questo filone è stato da tempo abbandonato.
Si è per contro aperto questo altro grandissimo filone che indica negli aspetti legati alla fonologia l'elemento più certo fra quelli che possono costituire un riferimento prognostico.
Oggi, ma ciò non può aiutare a fare una prognosi, bisogna sapere che i due grandi settori di lavoro si rivolgono l'uno alla genetica, come per tantissimi altri aspetti, e l'altro alla visione. Purtroppo le attrezzature necessarie per studiare gli eventuali disturbi della visione coinvolti in una dislessia sono apparecchiature molto complesse, che devono permettere di studiare il movimento oculare, l'ampiezza del saccadico ed altre cose molto complicate. Strutture ambulatoriali come le nostre sicuramente non sono oggi in grado di inserire tali apparecchiature all'interno dei loro protocolli diagnostici. Tuttavia credo sia importante sapere che è un settore attualmente percorso, soprattutto nei paesi europei nordici, e che ci sono studi molto avanzati, anche se non sono ancora arrivati ad una conclusione, su questa area.
Sapere cosa si può fare è importante anche perché è necessario parlarne con la famiglia.
La natura di disturbo congenito l'ha già detta lunga sul fatto che non è una malattia e che pertanto non si cura. Si può pensare di diminuirne gli effetti. L'aspetto legato agli automatismi ci suggerisce che, fin quando il processo non è automatico, probabilmente è possibile lavorare direttamente sulla specificità del disturbo. Tuttavia quando il processo, seppure in maniera imperfetta, raggiunge livelli di automaticità, è impossibile entrare nei meccanismi, a questo punto quindi si può solo fare in modo non tanto che il difetto diminuisca, ma che renda il meno possibile pesante la vita di chi ne è il portatore.

 

 

Possiamo individuare tre tappe essenziali:

  • Seconda infanzia - linguaggio: man mano che il bambino si avvicina alla prima elementare, per esempio nel terzo anno della scuola di infanzia, è fondamentale che l'intervento logopedico si tenga molto legato anche alla lingua scritta, che elementi di analisi della struttura della parola legata alle lettere siano usati perché l'unico esercizio veramente reale, consapevole o inconsapevole che sia, che ci obbliga a fare l'analisi fonologica della parola è scrivere. Cos'è che sollecita a fare  C A N E   se non scrivere? Se un bambino fa fatica a fare questo tipo di operazioni quanto prima lo si riesce a legare alla lingua scritta, quindi ancor prima di arrivare alla prima elementare, tanto più lo si può facilitare.
  • Primo ciclo elementare: è possibile, è doveroso, è necessario "bombardare" il bambino, è l'unico vero momento in cui possiamo ottenere qualcosa. Se il disturbo è di una certa importanza, e soprattutto se è su base disfonologica, è indispensabile che ci sia un intervento riabilitativo fonologico. Inoltre, sempre se il disturbo è di una certa importanza, ritengo che si possa rientrare pienamente nella legge 104 e che pertanto a scuola sia opportuno che il bambino venga aiutato anche con un sostegno.
  • La terza elementare è una classe ponte
  • Dalla quarta in poi bisogna che i genitori sappiano che non serve più la riabilitazione; che l'obiettivo a quel punto è radicalmente diverso: protesi, bruttissima parola ma efficace.

 

Il ruolo della scuola

Esiste una protesi per la lettura? Fino adesso no. Se il disturbo è grave è necessario capire che il soggetto non può usare la lettura per l'apprendimento, poi se si vuol leggere i fumetti sono fatti suoi ma noi dobbiamo "allegerirlo" dell'atto di lettura quando questo atto serve per raccogliere informazioni dai testi. Ma anche quando il disturbo è lieve e quindi riteniamo che possa leggere da solo noi dobbiamo sempre tener conto della grande fatica che il dislessico fa a leggere e quindi anche qui, quando è possibile, dobbiamo sollevarlo da questa fatica. Mi piace usare un' immagine: dobbiamo salvare il suo interesse per i faraoni. Non vorrei che tra i bambini e l'oggetto dell'apprendimento, in questo caso i faraoni, la storia, si opponesse il testo scritto. I dislessici, soggetti integri dal punto di vista cognitivo, possono imparare tutti i faraoni del mondo, non vorremmo che i testo costituisse una barriera tra loro e gli oggetti del sapere.

Per la scrittura invece la protesi c'è, è il computer con correttore ortografico, anche quando i disturbi sono lievi. Il correttore ortografico induce il soggetto ad occuparsi dei contenuti mentre degli errori si occupa direttamente il computer
A quegli insegnanti, e a quei genitori, che dicono che il bambino fa sempre quel determinato errore nonostante gli sia stato segnalato più volte, giudicandolo incredibilmente distratto, replichiamo che non  è distrazione ma è esattamente il contrario. Il disortografico , quando scrive, si preoccupa solo dell'ortografia, ma poichè ha un disturbo in questo settore, per quanta attenzione vi ponga, non riesce a non commettere errori. Tanto è vero che, concentrato com'è sull'ortografia (pur facendo 4000 errori) di solito è un cattivo costruttore di testo, il testo risulta povero, alcune volte addirittura insufficiente. Perché tutta l'attenzione si concentra sull'ortografia. Gli altri bambini, magari meno intelligenti di lui, in automatico scrivono e destinano tutta l'attenzione al contenuto.
Per il calcolo la protesi esiste ed è, lo sappiamo, la calcolatrice.

Pertanto, riassumendo, possiamo sintetizzare così:

  • In seconda infanzia il disturbo del linguaggio è trattabile e bisogna fare di tutto perché arrivi il più pulito possibile all'impatto con la struttura alfabetica della lingua scritta.
  • Primo ciclo elementare gli automatismi non sono ancora raggiunti, c'è pertanto spazio per lavorare sulla specificità e sarà bene fare tutto quello che è possibile
  • Terza elementare, classe ponte
  • Dopo bisogna avere il coraggio di utilizzare le famose "protesi"

 

 

Fonte: http://www.apel-pediatri.it/Materiale/dislessia.doc

Sito web da visitare: http://www.apel-pediatri.it/

Autore del testo: E.PROFUMO

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