Essere genitori

Essere genitori

 

 

 

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Essere genitori

L’ARTE DI ESSERE GENITORI

 

CENTRO DI PSICOLOGIA INTEGRATA E SVILUPPO PERSONALE

 

LE PUNIZIONI AIUTANO BAMBINI E RAGAZZI NELL’APPRENDIMENTO DEI LIMITI?

RELATRICE:

Dott.ssa  PATRIZIA FURLAN
(PSICOLOGA – PSICOTERAPEUTA)

 

 

LA DISCIPLINA

IL TERMINE “DISCIPLINA”
DERIVA DA UNA RADICE LATINA : DISCERNERE - IMPARARE
ED INCLUDE, SOLO MARGINALMENTE, IL CONCETTO DI PUNIZIONE.

TANTO PIU’ IL BAMBINO E’  PICCOLO, TANTO PIU’ AMMIRA I SUOI GENITORI

PER SENTIRSI AL SICURO HA BISOGNO DI CREDERE ALLA LORO PERFEZIONE

IL BAMBINO NON DISTINGUE CHE COSA E’ BENE E CHE COSA E’ MALE
FINO A QUANDO NON SVILUPPA IL SENSO MORALE.

IL DESIDERIO DI FARE COSE PROIBITE E’ PREPOTENTE
DOVREMMO RICORDARE QUANTO, A VOLTE, DA BAMBINI ERAVAMO DISUBBEDIENTI E DIFFICILI E COME CI OFFENDEVA IL FATTO CHE I NOSTRI GENITORI NON FOSSERO PAZIENTI E COMPRENSIVI.

 

INDAGINI RECENTI CONFERMANO CHE:  SE I GENITORI SONO BEN ADATTATI E RESPONSABILI, RETTI E CAPACI DI AUTODISCIPLINA, NON HANNO BISOGNO DI IMPORRE AI FIGLI I PROPRI VALORI

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SE I GENITORI SONO TROPPO ESIGENTI POSSONO INDURRE NEL BAMBINO O RAGAZZO IL RIFIUTO DI UN MODELLO TROPPO DIFFICILE DA IMITARE

L’INFLUENZA DEI GENITORI SUI FIGLI E’ PIU’ POTENTE QUANDO ESSI AGISCONO IN MODO SPONTANEO

 

LA PRETESA DI ESSERE RISPETTATO RIVELA L’INSICUREZZA DEL GENITORE
I FIGLI DI GENITORI INSICURI RISCHIANO DI DIVENTARE ADULTI INSICURI.

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LE PUNIZIONI INDUCONO I BAMBINI AD OBBEDIRE AGLI ORDINI
INSEGNANDO SOLO L’UBBIDIENZA ALL’AUTORITA’
E NON UN AUTOCONTROLLO CHE ACCRESCA IL RISPETTO DI SE’

NESSUN BAMBINO PUO’ EVITARE DI SENTIRSI UMILIATO DALLE  PUNIZIONI.
SI IMPARA IN FRETTA AD EVITARE LE SITUAZIONI CHE CI METTONO IN CONDIZIONE DI ESSERE PUNITI.
IN QUESTO SENSO SI PUO’DIRE CHE LE PUNIZIONI SIANO EFFICACI

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IL TEMPO 

UNO STUDIO CONDOTTO IN UN REPARTO DI MATERNITA’ MISE IN LUCE COME NON SI CONCEDA AI NEONATI NEPPURE IL TEMPO PER CAPIRE I LORO BISOGNI…..

“NON CI INDURRE IN TENTAZIONE”

L’IMPEGNO A NON INDURRE I BAMBINI “IN TENTAZIONE” SI TRADUCE NEL NON LASCIARE ALLA LORO PORTATA LE COSE CHE NON VOGLIAMO CHE PRENDANO

 

LA TRASGRESSIONE: IL FURTO
QUELLO CHE E’ STATO RUBATO VA RESTITUITO.

FURTO IN CASA, FURTO FUORI.

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NOI CI SENTIAMO IN DIRITTO DI TOCCARE LE COSE DEI NOSTRI FIGLI?
I BAMBINI NON DEVONO PRENDERE NULLA DI NASCOSTO.

 

I BAMBINI VANNO PUNITI?

PUNIRE I FIGLI NON E’ MAI CONSIGLIABILE ANCHE SE SCARICA LA NOSTRA COLLERA E IL LORO SENSO DI COLPA. LE PUNIZIONI, SOPRATTUTTO SE DOLOROSE ED UMILIANTI, RAPPRESENTANO UN’ESPERIENZA TRAUMATICA.

 

.........“LO FACCIO PER IL TUO BENE?”

 

L’UNICA DISCIPLINA VERAMENTE EFFICACE E’ L’AUTODISCIPLINA,  IL DESIDERIO DI MERITARE LA STIMA DELLE PERSONE LA CUI OPINIONE CI STA A CUORE.

 

IL BAMBINO CHE E’ STATO ALLEVATO  CON CURE AMOREVOLI FARA’ IL POSSIBILE PER  CONSERVARSI L’AMORE DEI GENITORI E NULLA GLI FARA’ PIU’ PAURA CHE PERDERNE LA PROTEZIONE

 

DOBBIAMO CAPIRE ED ACCETTARE, SENZA SENTIRCI DELUSI, CHE OGNI TANTO I BAMBINI SBAGLINO.

 

OCCORRE MOLTO TEMPO PERCHE’ IL NOSTRO ESEMPIO PORTI I SUI FRUTTI

Conversazione  con  i genitori  tenuta dalla dottoressa

Franca Da Re

 

Come educare i nostri figli

PREMESSA

Nel campo dell’educazione nessun esperto può darvi  ricette che funzionino automaticamente.
Possiamo solo, alla luce di ipotesi, di ricerche, di esperienze di altri, avviare una relazione significativa con i nostri ragazzi e cercare di sbagliare il meno possibile.
Sbagliamo il meno possibile solo se teniamo presente un fattore, secondo me centrale: che i figli non sono nostri. Il nostro mestiere al contrario, come genitori ed educatori ha come scopo quello  di renderci inutili, cioè dobbiamo fare  in modo che i nostri ragazzi, acquisiscano l'autonomia che è normale avere alla a loro età. L’autonomia non si conquista di colpo a 18 anni, certe autonomie si conquistano a un anno, a due anni, naturalmente si tratta di autonomie  adeguate all’età.

I GENITORI DEVONO LAVORARE PER DIVENTARE INUTILI
Fin dalla nascita di nostro figlio, pian piano, giorno per giorno noi davvero cominciamo a renderci inutili, nel senso che i nostri ragazzi, quando sono diventati grandi, possono tranquillamente andare per il mondo senza di noi, perché noi, comunque siamo stati in  grado di dargli le sicurezze. Non abbiamo fatto la strada al loro posto, che sarebbe la cosa più dannosa di questo mondo; abbiamo fatto la strada un passo dietro a loro, non togliendo i sassi dalla loro strada, ma caso mai suggerendo il modo di scavalcarli, di aggirarli e se proprio non è possibile, di inciamparci, ma facendosi il meno male possibile. Ci siamo fatti male anche noi e continueremo a farci male. Tutto  sommato però, finche ci siamo noi due passi dietro a loro, per insegnargli e per aiutarli a capire  da dove vengono, come sono, come si fa per uscire dalle situazioni dolorose  più forti di prima, non dobbiamo preoccuparci.
Purtroppo la tendenza invece è spesso quella  di metterci davanti a loro  di evitargli di sbagliare. Così non facciamo per niente loro un  favore
La nostra crescita noi l’abbiamo fatta ai nostri tempi, i  nostri ragazzi la stanno facendo adesso.

CRESCITA: SEPARAZIONI E RISPECCHIAMENTI

L’esperienza di crescita e di maturazione è una storia di separazioni e di rispecchiamenti nelle altre persone.
Noi esseri umani, siamo animali che non possono  vivere da soli.  Non ci sono mai state persone che siano riuscite  a  vivere senza altre persone. Al contrario si raccontano storie  di persone che, private della relazione con gli  altri, sono impazzite o morte.
Siamo esseri che crescono, si formano, solo attraverso la relazione con le altre persone; anzi, dirò di più: noi siamo quello che siamo perché le altre persone ci hanno fatto da specchio.
Come siamo diventati lo dobbiamo in parte alle caratteristiche con le quali siamo nati: ciascuno di noi nasce con un suo modo di vedere e di reagire agli stimoli che provengono dal  mondo esterno. Fin  dai primi giorni di vita,  noi abbiamo guardato le altre persone e imparato da loro atteggiamenti, regole, modi di fare.. Le altre persone di cui parlo sono ovviamente quelle importanti: genitori per primi e poi le altre figure  che ci hanno educato (insegnanti, nonni, zii..).Quello che queste persone hanno detto di noi, i giudizi che hanno dato di noi, i suggerimenti, gli errori e le cose buone che hanno fatto con noi  hanno avuto una parte importante nella nostra formazione. A questo si sommano le esperienze che abbiamo avuto, sempre in rapporto ad altre persone. Quindi, da una parte la nostra vita è fatta di identificazioni; noi cerchiamo di somigliare alle persone importanti: alla madre, al padre, ai maestri perché abbiamo stima e fiducia di loro, vorremmo essere come loro, dall’altra però, giustamente, abbiamo bisogno di individualità, di
sentirsi noi stessi, di capire che non siamo altre persone, che siamo proprio noi, diversi da tutti. Quindi la crescita è questo passaggio continuo tra individuazioni, identificazioni e separazioni.

IL PARTO: LA PRIMA SEPARAZIONE.

Dopo 9 mesi di vita praticamente simbiotica della madre e del figlio il parto rappresenta la prima separazione.
Nel parlare comune si dice che noi mettiamo al mondo i figli. E’ una separazione naturalmente non solo per il bambino, è una separazione anche per le madri che per 9 mesi hanno intessuto una relazione unica. Quando questo esserino viene proprio messo al mondo, il cordone ombelicale viene tagliato subito, quello psicologico non viene tagliato subito: anzi la maternità nasce col concepimento; la paternità invece comincia a nascere, come relazione profonda, con la nascita.

IMPORTANZA DEL RAPPORTO DEL PADRE CON I FIGLI

E’ molto importante quindi che le donne, le madri, permettano ai loro compagni di vivere una relazione importante quanto la loro con i loro figli perché è il contatto con il figlio nato che fa crescere la paternità. Una relazione pari alla nostra  primo ci conviene perché:

  • essere in due ad allevare ed educare un figlio si fa meno fatica;
  •  secondo noi permettiamo ai nostri compagni di crescere nella relazione paterna che è fondamentale: in primo luogo primo perché ne hanno diritto, sia i padri che i figli.

 I figli hanno diritto di avere una relazione paterna significativa.
I padri svolgono un ruolo fondamentale nell’aiutare le madri a separarsi dai figli, cosa necessaria. In una coppia la donna può essere  presa dalle cure, dalle attenzioni che questo essere richiede e quindi fare l'errore di  escludere il proprio compagno. Alcuni uomini sono riusciti anche a razionalizzare questa situazione dicendo: “Sono stato gelosissimo di mio figlio che oltretutto mi ha scombussolato la vita e mi ha tolto anche tutte le attenzioni che prima mia moglie riservava al nostro matrimonio”
E' un malessere che alcuni uomini non riescono a descrivere. Questo errore indebolisce la coppia.
Quindi una relazione troppo unica tra madre e figlio fa male alla coppia e fa male ai figli. Al contrario, permettere ai padri di costruire e mantenere una relazione grande, profonda con i figli irrobustisce la coppia.
I mariti hanno spesso una visione più razionale della situazione forse perché fisicamente ancora adesso  passano meno tempo con i figli. Però, quando ci sono, è giusto lasciare che trascorrano con loro tutto il tempo che possono.
Io raccomando ai padri, specie con i figli maschi: "Avete 5 minuti? Portateveli dietro i figli maschi, ne avete 10, portateveli dietro i figli maschi". I figli maschi hanno bisogno dei padri, anche le figlie ovviamente, però soprattutto i figli maschi perché hanno già troppe donne intorno: mamme e nonne a casa,  educatrici al nido, maestre alla scuola  materna,  maestre alle elementari, ormai hanno perfino allenatrici per lo sport. Se questa situazione  rafforza le ragazze che diventano sempre più forti perché hanno numerosi specchi positivi su cui identificarsi, con cui litigare, perché le figlie litigano furiosamente con le loro madri,  e questa tutta salute per tutte e due, i maschi non hanno queste opportunità. Non hanno abbastanza specchi maschili intorno a loro.
Una volta nelle nostre famiglie, anche  se il papà era fuori  c’erano fratelli maggiori, zii, cugini, nonni e quant’altro. E’ importante che i padri utilizzino tutto il tempo che hanno per curarsi specialmente dei loro figli maschi: se li portino dietro, parlino insieme di cose “da uomini” perché le ragazze hanno questa opportunità con le madri: vanno a fare la spesa, vanno dalle amiche, fanno cose che interessano di più alle donne.
I maschi hanno diritto di avere questa esperienza con le figure maschili della famiglia: padri, ma anche altri se ci sono, solo perché noi siamo i modelli dei nostri figli, educhiamo con  l'esempio, prima di tutto. I nostri ragazzi imparano ad essere donna dalle madri e uomini dai padri.

COSA SI RICHIEDE AI MASCHI E ALLE FEMMINE: RICHIESTE E CONSEGUENZE.

Mentre le donne stanno diventando sempre più “robuste”, già lo erano psicologicamente;  i maschi  stanno diventando sempre più vulnerabili. E' naturale che le figlie abbiano un rapporto diverso con il padre e i figli un rapporto diverso con la madre. Se ci pensate bene, le figlie i papà  riescono a girarseli come vogliono e i figli riescono a fare la stessa cosa con le madri.
Se le madri ci pensano, sono molto più esigenti con le figlie femmine: chiedono loro responsabilità, autonomia, di fare delle cose, di essere corrette; anche ai figli maschi  le chiedono. Con i figli fanno baruffa perché non fanno questo, non fanno quello, però, alla fine, si perdona molto di più ai figli maschi che alle figlie femmine, si fa al posto loro. Questo fa bene alle femmine, ma male ai maschi che restano in un limbo di protezione, di non responsabilità, di mancanza di autonomia che non  può far loro che del male. Restano figli, anche quando saranno adulti, ma non sempre troveranno mogli disposte a far loro da mamme, giustamente. Per cui tornano da mamma uno,  molto spesso perché mamma due si
è stufata di fare la mamma. La compagna  non aveva bisogno di un figlio più grande. Il guaio è che spesso mamma uno  li accoglie contenta, invece di mandarli a quel paese (brusio in sala).

LO SVILUPPO DELL'AUTONOMIA DEL BAMBINO: DALL'ONNIPOTENZA ALL'OPPOSIZIONE ALL'ADULTO.

Verso i due anni gli adulti cominciano a perdere le guerre. A quell'età il bambino ha raggiunto una sua autonomia: cammina, esplora il mondo, parla abbastanza chiaramente, sa farsi capire, ha scoperto di essere una individualità diversa da coloro che gli stanno intorno. Nei due anni precedenti ha acquisito molta sicurezza del mondo perché giustamente gli adulti erano lì per lui: quando aveva fame gli davano da mangiare, se aveva freddo lo coprivano, se era triste, giustamente, lo coccolavano. "Il mondo è qui per me" - pensa   il bambino che  non ha ancora maturato  un’altra
consapevolezza altrettanto preziosa: " Il mondo non è qui soltanto per me"-  e deve impararlo presto. Non sa ancora che non c’è solo la soddisfazione dei desideri che finora c’è stata, bisogna aspettare perché non tutto arriva subito e qualcosa non arriva proprio e deve farsene una ragione oppure attrezzarsi  per conquistarsi quello che desidera.
Queste cose non si imparano a 18 anni, si comincia ad impararle a due.
Quando il mondo comincia a dirgli: no, questo non  si può fare, c’è la fase di opposizione. Allora il bambino scalcia, si rotola per terra, urla, si dispera, dice no per principio a tutto. Sono i classici capricci. E siccome i bambini sono di una carognità sorprendente, mettono in atto questi comportamenti nei  momenti in cui gli adulti sono più in difficoltà  a dire no e dunque più deboli: al supermercato, in pubblico, (brusio e commenti in sala) quando l’adulto arriva stanco e non ha forza di contrapporsi, per cui gli è più facile dire: “Sì, basta che stai zitto”. Vinto una volta, il bambino ci prova all’infinito perché se è andata bene una volta perché non dovrebbe andar bene una seconda, una terza, una quarta, una quinta. E' proprio a questa età quindi che gli adulti cominciano a perdere le guerre e invece dovrebbero vincerle perché il bambino ha bisogno di limiti. Egli è convinto che tutto ciò che vuole gli sia dovuto. E' normale a questa età (tre anni). Noi siamo lì apposta per dare i limiti, è il nostro mestiere. Questa fase della crescita gli psicologi la chiamano  anche fase di onnipotenza.

 

 

NARCISISMO E REGOLE DELLA BUONA CREANZA.

Quando gli psichiatri dicono che certi  adolescenti  hanno una  personalità  narcisistica intendono dire che certi ragazzi vedono solo se stessi e le proprie esigenze e non riescono a controllarsi, pretendono di fare e di avere subito tutto quello che vogliono e che desiderano.  Il narcisismo  è normale a  due anni  e l'onnipotenza è la faccia del narcisismo.
Per evitare questo è necessario mettere i recinti, quei recinti che struttureranno l'io, cioè la coscienza. Se questa struttura dell'io fatta di vincoli e di regole non è abbastanza strutturata la persona resta illimitata; la  fase di onnipotenza si protrae nel tempo fino all'adolescenza e anche  all'età adulta.
Se un bambino di due anni  onnipotente  è fastidioso e ti rompe  l'anima, un adolescente onnipotente può essere pericoloso  per sé e per gli altri perché è un ragazzo senza limiti o con limiti non abbastanza strutturati.
Quindi è a due anni che noi iniziamo ad aiutare i bambini a strutturare la propria persona e la  si struttura dando regole. Non sono molte. Se diciamo 200 regole perdono di valore. E qui la coppia solida si conosce dal fatto che è concorde sulle poche (si contano sulle dita di una mano) regole su cui non si transige. Sono poche e sono quelle del patto sociale, della convivenza che i nostri vecchi chiamavano le regole della buona creanza.
Per esempio: se io ti rispetto e non ti insulto, tu non puoi permetterti di  insultarmi. Ci sono bambini che non solo insultano le loro mamme,  specialmente, ma si permettono anche di picchiarle e più avanti picchiano i compagni e anche gli insegnanti; se io ti permetto limiti più larghi nella tua camera e ti lascio giocare  in sala, cioè in uno spazio comune che non è solo tuo,  la regola inderogabile è: negli spazi comuni tu metti a posto il tuo disordine, mentre in camera tua posso essere  più tollerante rispetto al disordine  perché è dentro ai tuoi confini. C'è la difficoltà invece da parte di noi adulti di distinguere, per esempio dove possiamo trattare e dove invece dobbiamo essere inflessibili. L'ordine della camera spesso manda le mamme in paranoia, invece questo è trattabile perché è uno spazio personale, mentre è indispensabile tenere duro su una regola che è di rispetto, non  di ordine, che è quella degli spazi comuni. Un'altra regola di benessere: a letto alle nove. Puoi scalciare, gridare fin che vuoi, ma a letto ci vai alle nove. E' una regola di igiene mentale. Noi  vediamo i bambini che a scuola sono in coma.
Una cosa sbagliata è la televisione in camera dei bambini. Come si fa a lasciare al governo dei bambini una cosa così delicata?

LA SOCIALIZZAZIONE PRIMARIA: IL RISPETTO RECIPROCO.

Facendo rispettare queste elementari regole di convivenza sociale si  opera nel bambino la socializzazione primaria. Questa si può fare solo in famiglia.
Per fare rispettare le regole è necessario dare il nostro esempio.  Noi dobbiamo essere rispettosi verso gli altri perché i bambini ci guardano e ci sentono, hanno orecchie e occhi dappertutto. Dobbiamo essere rispettosi anche di  loro. Anche i bambini sono persone. Quindi non possono essere insultati o umiliati senza motivo, non possono essere trattati senza rispetto. Il nostro comportamento, qualunque sia, è sempre un modello per loro.

COMPORTAMENTI E CONSEGUENZE

Noi diamo le regole, le motiviamo e diamo la conseguenza. "Tu puoi fare anche cose sbagliate, ma guarda che la conseguenza è questa". Spieghiamo uno o due volte, alla terza basta. Non possiamo motivare all'infinito. I bambini andrebbero fino all'ultimo ma, fino all'esaurimento della mamma. E' proprio su questo che giocano: ci provo. I papà che sono convinti del loro ruolo riescono a spostare all'indietro l'ultimo ma. I papà hanno un ruolo fondamentale nella strutturazione della coscienza, nel fare accettare la regola. Il rapporto con il papà è fatto anche di limite. I papà sono i traghettatori verso la convivenza e  la norma sociale. Questo ruolo è importantissimo che se lo assumano. E' importante anche  che le mamme glielo riconoscano.
Alcuni papà, per esempio si lamentano perché dicono: Io do il limite e davanti ai bambini mia moglie mi contesta, sono in difficoltà: non so più cosa fare.  Le mamme ammettono: Sì è vero, mio marito si intromette di meno quando io riprendo i bambini. Non è possibile che la moglie si intrometta davanti ai bambini perché i bambini sono persone e, come gli adulti, se possono rincorrere il loro utile, si infilano in mezzo alle debolezze, come faremmo noi.

I BAMBINI STRUTTURANO I RAPPORTI,  IL TEMPO E LO SPAZIO ATTRAVERSO REGOLE E ABITUDINI.

E' importante dare ai bambini molto piccoli regole e abitudini, un ritmo di vita regolare perché i bambini non hanno il senso del tempo e dello spazio, ma  strutturano la regolarità attraverso azioni che si susseguono sempre uguali, cioè devono avere la sicurezza che quando si svegliano la mamma fa certe azioni: li cambia, gli dà da mangiare, li mette a giocare..   Quando sono più grandi hanno altri ritmi, si fanno le abitudini: il lunedì vado alla scuola materna, lì gioco con i miei compagni, faccio merenda, poi faccio il pranzo più tardi, faccio il riposino, poi arriva la mamma a prendermi. Cioè il tempo è fatto di azioni che si ripetono, non di ore: alle 4, alle 3, alle 2.
Nella mente dei bambini si struttura la fiducia e la sicurezza attraverso le abitudini. Quindi è importantissimo che i bambini abbiano un ritmo di vita regolare.
Quando hanno acquisito sicurezze possono affrontare tutti i cambiamenti possibili.
C'è comunque sempre il pericolo di regressioni. Per esempio, vediamo bene bambini che avevano conquistato una certa autonomia regredire penosamente per esempio se  la mamma o il papà sono costretti a una lunga assenza perché avevano strutturato una fiducia fatta di azioni e  di presenze. Improvvisamente questa fiducia viene sconvolta da un ritmo che cambia, regrediscono perché vengono meno le loro sicurezze. Se prima magari andavano volentieri alla scuola materna, improvvisamente la mamma non può più allontanarsi, non dormono da soli perché dormire vuol dire perdita del controllo. Pensano:  E poi se mi sveglio e non la trovo più?
In questi casi  non abbiamo scelta. E' solo il tempo che può ricostruire di nuovo le sicurezze. Finche possiamo, diamo ai bambini queste sicurezze. Regole e abitudini sono il  parapetto della strada nella quale il bambino si muove. Un bambino che non ha regole e abitudini  si sente libero, onnipotente, come uno che  cammina su una strada senza mezzeria, senza punti di riferimento e con la nebbia intorno. E' una situazione di estrema libertà, ma anche di estrema angoscia perché il bambino non sa da che parte andare, come comportarsi, cosa può succedere.  A questa età, e anche quando sono più grandi,  hanno bisogno che ci sia un adulto che dice: “No, tu di là  non puoi andare, oppure tu puoi però guarda che le conseguenze… E le conseguenze devono esserci, (e qui stiamo attenti a quello che promettiamo). Non possiamo promettere sanzioni da pena di morte perché tanto sappiamo che poi non possiamo mantenerle, tanto meglio allora agire su fatti, che non sono ricatti. Se io dico: “Guarda che ci si comporta così, oppure: quella condotta è pericolosa, se tu trasgredisci avrai una conseguenza, non è un ricatto. E’ forse un ricatto che io dica a un criminale: “Se rapini una banca ti condanno  20 anni? E' semplicemente una conseguenza di un’azione che non andava fatta.
Allora è importante che le conseguenze ci siano, però attenzione che le promesse di conseguenza che facciamo siano ragionevoli,  altrimenti noi per primi non avremo il coraggio di applicarle e quindi i bambini perderebbero la percezione della conseguenza che è una delle cose che mancano ai nostri ragazzi, anche adolescenti.
Non percepiscono la conseguenza dei propri atti perché sta mancando la riparazione del danno quando sbagliano.
Ahimè! Devo dire che questo è colpa degli educatori, non solo dei genitori, ma del sistema educativo vigente.

 

PUNIZIONE COME RIPARAZIONE DEL DANNO.

La punizione come riparazione, come meditazione sul danno,  sulla trasgressione, l’abbiamo tolta troppo ai ragazzi. Di conseguenza, loro  hanno l’impressione che,  qualunque cosa facciano, non gli succede niente, oppure gli succede una cosa talmente blanda che  vale la pena comunque trasgredire. Ne ho la verifica nelle classi.
Quando vado a far la predica a ragazzini che hanno fatto cose, per la loro età, discretamente gravi, mi accorgo che mancano gli strumenti per farli riparare anche perché mi capita, ahimè abbastanza spesso,  che se l’insegnante commina una sanzione,  arrivano da me i genitori inferociti, perfino con lettere di avvocati, dicendo che non abbiamo il diritto… Siamo o no dalla stessa parte? Dando ai ragazzi questa sensazione di impunità non  gli facciamo un favore perché è necessario che i ragazzi, che non hanno la maturità che abbiamo noi,  percepiscano che ogni atto ha una  conseguenza, altrimenti arrivano adolescenti e,  come quei giovani di 18, 20, 22 anni  che hanno gettato i sassi dal cavalcavia e hanno ammazzato una ragazza in assoluta buona fede, dicono: “Non pensavamo di fare del male” dimostrando un’assoluta incapacità di prevedere una conseguenza. Questo è drammatico. 

SANZIONI, SICUREZZA DELL'AMORE, AFFETTO

A volte e non solo in famiglia abbiamo difficoltà a mantenere le sanzioni perché i bambini dicono: “Non volevo, non ho fatto apposta”. Non imparano a chiedere scusa.
I bambini tendono a vedere solo il proprio punto di vista e hanno difficoltà a vedere quello degli altri. Noi adulti allora dobbiamo aiutarli a mettersi  nei panni degli altri, dicendo: “Prova  a pensare come può sentirsi l’altro;  ma, secondo te, è possibile che l’altro abbia avuto un’idea diversa dalla tua?   Noi abbiamo due armi potenti che dobbiamo usare al massimo: una è l’esempio e l’altra è la parola.
Io ho parlato di regole e  anche di una certa severità,  però non vorrei che questo desse la sensazione che siamo dei sergenti istruttori. Come adulti abbiamo infatti anche il compito di garantire l’amore, l’affettività, la presenza, la sicurezza.  Un bambino che sa che in caso di bisogno  può contare su di noi  (se è triste lo sosteniamo, quando ha problemi lo ascoltiamo), accetta, e molto bene,  anche quando siamo duri perché capisce che siamo giusti: pretendiamo tanto, ma diamo anche altrettanto.
Quando parlo del papà che dà la norma, il limite, penso anche all’altra faccia del papà: quella di chi  li porta a cavallo, c scherza,  gioca a pallone… E quindi è giusto, normale, che un bambino pensi che il suo papà è il migliore del mondo, non sbaglia mai, sa fare tutto. Come che pensi che la mamma è la più bella, la più giovane, la più buona che meglio non ce n’è.. Tanto abbiamo tempo in adolescenza di sentirci dire che siamo dell’altro secolo, che non capiamo niente..

I BAMBINI SENZA REGOLE

I bambini senza regole, quando parlano con i compagni che hanno le regole,  dicono “Mia mamma mi lascia fare tutto, ma forse è perché non le importa tanto di me. E hanno ragione perché è più facile dire sempre di sì: ti toglie molti fastidi, molti compiti, molti litigi.

ESEMPI  DI COME FARE PER FAR CAMBIARE I COMPORTAMENTI DEI BAMBINI E DEI RAGAZZI PIÙ GRANDI

Regola: Non  si deve giocare a palla in casa.
Metto il bambino davanti al fatto: Tu hai giocato a palla in casa,  hai rotto un vetro...
Esprimo i miei sentimenti: Questa cosa mi fa enormemente arrabbiare, sono fuori di me  (non con voce soave, se siamo arrabbiati dobbiamo farlo vedere) . Mi prendo la responsabilità di essere fuori di me (di quello che provo).
Non dico mai:  Sei il solito che non capisce niente, non obbedisci mai…”. Non gli dico che è una persona di poco valore, non faccio critiche generali alla persona.
Conseguenza:  Stammi lontano per un po'. Togliersi di torno è una cosa pesante per i bambini. Oppure: Prendi i tuoi risparmi e ricompri il vetro.
Non basta chiedere scusa, basta se la cosa è minima, non basta se l’infrazione è grave o è andato per le lunghe.
Esempio per i figli grandi
Regola: “Tornare a casa una certa ora o altrimenti avvisare”
Metto il ragazzo davanti al fatto: “Sei tornato a casa alle sei del mattino e non hai avvisato.
Esprimo i miei sentimenti: Questa cosa mi ha fatto enormemente preoccupare. Io ero preoccupata/o”.
Il ragazzo come prima cosa  dice: “Chi ti ha detto di preoccuparti? Potevi dormire.”
Poi, forse la prossima volta torna ancora alle sei, ma telefona. E’ già un progresso.
Se sminuisco la sua persona,  il ragazzino, per prima cosa,  non ascolta la predica e pensa: Quando questo si calma finisce tutto. E non modifica il proprio comportamento.
Invece se abbiamo la capacità di arrabbiarci freddamente, comunichiamo fermezza, ma non messaggi aggressivi.

LA PREDICA

Noi spesso diamo dei messaggi che non sono sbagliati, sono giusti per la situazione, però non servono come appunto quello di fare la predica.
La predica è una cosa che noi abbiamo il dovere di fare, come educatori, ma la predica non cambia i comportamenti. Siamo stati tutti ragazzini e sappiamo per esperienza personale che: la predica è quella cosa che tu ascolti in religioso silenzio pensando ad altro e aspettando solo che il predicante finisca. E’ uno sfogo, fa bene a noi adulti. La facciamo per "dovere d’ufficio".

TRASMETTERE LE EMOZIONI

Quando il figlio si mette in una situazione di pericolo e ci spaventiamo a morte,  è giusto che il bambino ci veda fuori di noi perché, in questo modo, gli trasmettiamo le sfumature delle emozioni. Non basta che ci veda fuori di noi, bisogna anche che noi gli raccontiamo quello che proviamo. Le emozioni le  impara da noi. Ma se gliele facciamo vedere senza spiegargliele, resta analfabeta sulle emozioni: non sa capire, sia quelle buone, sia quelle dolorose.

MESSAGGI  INEFFICACI E/O DANNOSI

Quando il bambino ci porta piangente un problema, sta male davvero perché gli è successo qualcosa. A volte noi, perché questo ci fa stare male, sdrammatizziamo dicendo : “Ma dai,  non è così grave, sono cose che passano”.
In questo modo gli diamo un messaggio  che non è sbagliato, ma non gli serve per affrontare quella situazione
Allora il ragazzo pensa: Come? Io vengo a dirti che sto male e tu mi dici che non è grave!
Oppure, ed è ancora peggio, gli diciamo: Ma tu che cosa hai fatto?-  in tono inquisitorio.
Il ragazzo allora pensa: “L'adulto  non mi crede. La prossima volta non gli dico più niente”.

ASCOLTO ATTIVO

I  bambini  ci portano i loro problemi ed il loro punto di vista.
Quando i ragazzi vengono ad esporci  un problema  noi adulti dobbiamo attuare l’ascolto attivo. Poniamo delle  domande, non domande inquisitorie, tipo questura, ma domande che danno l’idea ai bambini che siamo interessati a conoscere quello che è successo. Cosa è successo? Cos’hai fatto? Chi c’era con te? Racconta perché io non c’ero. Senza dar giudizi. Però noi sappiamo che intanto , se parla, il problema è mezzo risolto.
Abbiamo il compito di capire cosa è successo, ma anche di far capire ai bambini anche altri punti di vista.
Per esempio ci viene a dire che ha litigato con Pierino che gli ha rotto i giocattoli. La prima cosa che ci viene in mente è “Ma ne hai tanti” (messaggio inefficace)  oppure: “Ma tu cosa hai fatto per provocare questo? altro messaggio inappropriato). o. Piange, ha litigato, non si parlano più. Chiaramente per lui  è un problema. A noi spetta il compito di farci raccontare e, attraverso le domande, senza formulare giudizi, chiedere magari cosa ha determinato la collera di Pierino, come si sarà sentito Pierino e perché mai avrà, secondo te,  assunto questo comportamento? Perché aveva i nervi? Dobbiamo fare in modo, attraverso le nostre domande, che il ragazzino arrivi da solo a delle conclusioni più complesse di quelle dalle quali era partito. Alla fine, quando lui avrà raggiunto una conclusione, anche noi possiamo dire la nostra.
Con questo sistema raggiungiamo diversi scopi:

  • il bambino si sente accolto. Pensa: quando ho un problema c’è qualcuno che mi ascolta e non dà consigli non richiesti; non sempre è  d’accordo con me, ma alla fine mi dice anche perché.
  • Sono  autorizzato ad avere problemi. La prossima volta posso tornare se ho un altro problema. 
  •  Noi non diamo la soluzione pronta, ma attraverso le domande, facciamo in modo che sia il bambino a trovarsi una soluzione del problema. E questo è fondamentale per l’autonomia.

 E’ importante usare la parola con generosità e gli educatori più che risposte hanno tante domande perché il loro compito non è quello di dare la pappa pronta, ma di fare in modo che i ragazzini tirino fuori le proprie risorse. Ma bisogna fare le domande giuste perché i ragazzini pensino.

IMPORTANZA EDUCATIVA DELL'ERRORE

A volte bisogna lasciare che i ragazzini  sbaglino perché l’errore non è un fallimento, è semplicemente un pensiero non appropriato alla situazione.
Per aiutare il bambino ad affrontare una data situazione possiamo porgli questo tipo di domande: come possiamo fare?, come intendi procedere adesso? Raccontami. In questo modo stimoliamo la  sua mente a  costruisce il piano di lavoro. E alla fine: “Come hai fatto? Come sei arrivato a questo risultato? Specie se ha sbagliato. Non ha sbagliato apposta.
Facendogli ripercorrere tutto il percorso, ci accorgiamo dove il ragionamento è andato in panne e così possiamo aiutarlo dicendo: “Torna indietro e riprova”. L’idea che si impara facendo e disfando e anche sbagliando è centrale nel processo di apprendimento. La scienza fa così. Non possiamo essere adulti che pensano che le cose che spieghiamo debbano essere fatte bene al primo colpo,  oppure che,  perché sono piccoli,  è meglio che facciamo noi perché facciamo prima. Questo nostro atteggiamento  non crea autonomia nel ragazzo. Anzi,  alla lunga, può radicare nel ragazzo l’idea: c’è qualcuno che mi fa; io non sono capace. Diversi bambini, già alla scuola materna, prima di provare a fare cose nuove dicono: Io non sono capace. Qualsiasi novità rappresenta una minaccia. Ci vuole del bello e del buono per convincerli a provaree ad accettare anche di fare male.

I BAMBINI NON DESIDERANO PIÙ COSE MATERIALI

Un’altra cosa che manca ai nostri bambini (ahimè) è il desiderare le cose. Le hanno prima ancora di desiderarle.  In una terza elementare a Natale il maestro ha dovuto fare una discussione su “ Non sappiamo cosa  chiedere a Babbo Natale”.
Il necessario, in termini materiali, è dovuto. Mangiare, vestire, istruzione, sicurezza, affetto, in termini incondizionati e in quantità industriali. Sono dovuti  l'ascolto, la presenza, anche una certa durezza, se serve. Quello che non è assolutamente dovuto è il superfluo. Battere i piedi è il mestiere dei bambini, però rinunciano alle loro pretese  se noi gli diamo le sicurezze che contano (affetto e sostegno).  Il senso di colpa che  fanno agli adulti è: “Ma gli altri hanno” Sì solo che gli altri figli dicono la stessa frase ai loro genitori.
Se vi parlate tra genitori vi accorgerete che vostro figlio, quando vuole qualcosa che magari è di moda dice: Vorrei il videogioco.  No. Ma Paolino Pierino, Cecilia, Lucia ce l’hanno. Se parlate con la mamma di Paolino, Pierino, Cecilia e Lucia scoprite che i loro figli hanno fatto richieste simili portando a esempio magari vostro figlio.
E  allora si può tranquillamente rispondere: Che importa se loro ce l’hanno?

CONQUISTARE LE COSE

Si può fare  come quel bidello che era venuto da me angosciato perché il figlio sadolescente:
"Vuole la moto, lo stereo, il cellulare. Cosa devo fare?"
"Vuole la moto? Gli dica di sì".
Mi guarda stralunato.
" Direttrice, vuole lo stereo".
" Dica di sì".
"Ma insomma, lei da che parte sta?"
"Perché non  gli dice: Certo, te lo compri. In fondo hai le solite paghette su cui puoi risparmiare, il sabato e la domenica, invece di ciondolare vai a lavorare in pizzeria. Alla fine ti compri quello che vuoi".
Con i bambini è uguale. A volte scopriamo ce la scatola di pastelli da 96 non gli interessa, magari gli basta quella da 12. E’ a noi che piace la scatola dii pastelli da 96 e allora gliela compriamo. Se facessimo la domanda: “Perché non te la compri?" scopriremmo che gli basta l’altra.

LE COSE CONQUISTATE HANNO VALORE.

Tutte le cose importanti  sono cose conquistate, sofferte. Le cose che arrivano gratis alla fine non hanno valore, perché non hanno un prezzo, non solo intermini monetari, ma  in termini di energie, di desiderio. Il desiderio (non il bisogno) è una dimensione indispensabile per crescere. Dei bisogni rispondiamo noi, fin che possiamo, ma i desideri bisogna averli e non tutto si può avere subito. Qualcosa proprio non si può avere. E bisogna accettare anche questo.

A SCUOLA QUANDO PERDONO IL MATERIALE (COLORI, GOMME, MATITE..)

A scuola, quando i colori toccano terra, non li riconoscono e li rifiutano anche se c’è scritto il loro nome perché il buco nell’astuccio è già stato coperto dal colore di un altro: proprietà indistinta perché quando manca qualcosa viene rimpiazzata senza problemi.. Più spesso, il buco nell'astuccio viene coperto prontamente dal genitore che gli ha comprato un colore nuovo.

I NONNI E I REGALI

Il bambino non fa in tempo a desiderare le cose che i nonni gliele comprano.
I nonni fanno, anche loro, il loro mestiere. Tanto erano severi con noi, tanto sono larghi con i nipoti. Poi i "perfidi" ce lo dicono anche, solo che, a volte, non si rendono conto di metterci contro i nostri figli. Se sono cose piccole, per carità, ma su cose impegnative che sarebbe giusto che i figli apprezzassero il valore che hanno, e il costo, in termini di sacrificio dovrebbero confrontarsi, prima di regalarle, con i genitori
Se è necessario discutere con i nonni discutete, magari ogni genitore con i suoi genitori, con i quali ha più confidenza.
Fate fronte comune, se siete convinti di questa regola.

IL VALORE DELLA VITA

I ragazzi devono capire il prezzo delle cose, in termini di rinuncia, di sacrificio, altrimenti alla fine, siccome tutto non ha prezzo, niente ha valore, né i sentimenti e neanche la vita,  né la propria né quella altrui. E i ragazzi poi,  da grandi, si lanciano in atti estremi,  anche per fuggire da questa brodaglia indistinta dove tutto è senza  valore.
A Castelfranco,  qualche anno fa,  hanno fatto una ricerca sui giovani, in particolare sui comportamenti pericolosi nella strada. Un buon 10% degli intervistati, dai 18 ai 25 anni,  hanno detto che assumevano comportamenti pericolosi per puro spirito di autodistruzione. Chissà quanti lo pensano! Quando questa vita è una brodaglia senza valore, il comportamento pericoloso e finanche la morte diventano una ricerca di senso.

L'ESPERIENZA DEL DOLORE E DELLA MORTE

Abbiamo tolto, il più possibile,  ai giovani le esperienze dolorose. I nostri figli, molto spesso,  non hanno l’esperienza del dolore reale. Per questo hanno una concezione infantile, da bambini piccoli, del dolore e della morte. Pensano che la morte sia una cosa irreversibile, provvisoria. Ricavano questa idea dalle  telenovela e dai telefilm  che mostrano gli eroi che muoiono alla ventesima puntata e  risorgono la centesima  puntata, oppure vedono  il supereroe con il braccio maciullato che continua ad aggrapparsi agli elicotteri. Una  dottoressa del pronto soccorso diceva proprio che arrivavano  ragazzi maciullati dagli incidenti che con molto stupore questi dicevano: “Ma fa male, fa male davvero".
Voi direte, ma allora devo ammazzare il cane, il gatto, il canarino, così provano dolore?
I bambini hanno bisogno di fare l'esperienza di prendersi cura dell'animale, quando sono abbastanza grandi, non troppo piccoli altrimenti gli fanno del male.
Ho sentito dei genitori che dicono: Non  prendo l'animale perché se muore poi il bambino  ci sta male. Io mi preoccuperei che non stessero male. In un'esperienza così l'emozione più appropriata è  star male. E noi adulti siamo lì apposta per far superare, per spiegare, per dire: "E' giusto, se stai male, stiamo male tutti, è naturale".  E ascoltare, raccogliere il dolore.
Ma noi siamo lì, vicino ai bambini, proprio  per spiegare questa emozione, anche se stiamo male tutti.
Quando avrà superato un po' il dolore e il lutto, magari è il bambino che viene a dirti: "Ma potremmo prendere un altro gatto". Sbaglierebbe il genitore che, il giorno dopo che è morto il gatto, arrivasse con un altro gatto. Questo vuorrebbe dire negare l'esperienza del lutto. E' come se io rimanessi vedova e il giorno dopo il funerale, per superare il lutto,  i miei genitori e i parenti  facessero a gara per presentarmi persone.. Nessuno lo farebbe. Tutti riconoscono che abbiamo bisogno di un  giusto periodo in cui piangiamo, siamo tristi, elaboriamo il dolore. Poi, pian piano ci separiamo dalle persone, dagli animali, dalle cose. Ai bambini non occorre ammazzare i gatti o le nonne, ma quando queste cose normalmente succedono, dobbiamo aiutarli ad affrontarle.

L'ESPERIENZA DEL LUTTO

Purtroppo, anche se muoiono persone  (i nonni… ) non possiamo negare ai bambini l'esperienza del lutto, o del funerale.  Non possiamo negarglierla per partito preso: perché ci stanno male. Ma stanno male lo stesso perchè stiamo male noi e non capiscono i chiaramente cosa sta succedendo intorno a loro.  Molti genitori a cui ho parlato, che avevano avuto questa esperienza e non se la sono sentita di far partecipare i bambini agli ultimi momenti o ai funerali, riferiscono che i loro ragazzi, ormai grandi, sono ancora arrabbiati con la persona che è morta perché è andata via senza salutarli e  con i genitori perché non gli hanno permesso il commiato. Sono arrabbiati con se stessi,  ma non lo sanno. Da grandi, molti di questi,  non vogluiono neanche andare al cimitero perché non accettano ancora l'idea del lutto. I riti, come i funerali, sono stati inventati per i vivi, non per i morti. Non potrebbe importargliene di meno ad un morto del funerale. Il funerale è il saluto. Dopo questo rito, comincia quel lungo processo (prendere le foto, i vestiti )  che ci permette di guarire.  Pensate a quelli che non  trovano i corpi dei loro cari. Queste persone denunziano, e lo dicono, una difficoltà enorme ad accettare il lutto perché gli è mancata la possibilità del commiato. In questi casi, in genere, si fa il funerale senza corpo, almeno il rito. A questo rito, almeno i bambini devono partecipare. Se loro non vogliono, non è il caso di insistere, ma non dobbiamo essre noi a privarli di questa possibilità e dobbiamo spiegargli il senso di quello che stanno vivendo. Siamo adulti. E' un nostro compito.

L'ALFABETO DELLE EMOZIONI

Anche le emozioni negative devono essere lette,  capite, perché  le proviamo tutti. Se nessuno le spiega, si resta analfabeti in questo campo.
Se nessuno spiega le emozioni, il ragazzo, da grande, un giorno può amare, l’altro ammazzare. Perché?  Perché non c’è confine e distinzione di emozioni. E’ un mestiere duro, a volte, quello di educare. Anzi, molto spesso, siccome stiamo male noi, siamo in difficoltà a spiegare fronte i sentimenti negativi e quindi ci ritiriamo e non li spieghiamo ai nostri figli. Allora dobbiamo essere onesti e ammettere che fa male a noi affrontare le emozioni negative e quindi a volte può essere un alibi dire: i bambini stanno male, sono piccoli.  Mi raccontava un genitore che ha spiegato così il lutto della nonna alla bimba di tre anni. Ma dove è andata la nonna? Il genitore era credente e ha detto: E’ andata in cielo. Ma posso andarci anch’io? No. Ma torna la nonna? No. Non può tornare. Questa è una  spiegazione che un bimbo di tre anni capisce. Quando sarà più grande, farà alttre domande che il genitore dovrà spiegare. Anche a tre anni ha bisogno di sapere, altrimenti non avrebbe chiesto. Se non gliele spieghi, queste cose resta sempre la domanda. E guardate che di fronte a questo i bambini hanno sempre una domanda nascosta. E' colpa mia?  Quindi è assolutamente indispensabile che noi rispondiamo alle domande, anzi ne parliamo per primi.
Come la loro storia.

IL GIUSTO MODO DI ASCOLTARE E DI ASCOLTARSI

I ragazzi  imparano ad ascoltasre da noi che li ascoltiamo. E' importantissimo che, magari alla sera, dedichiamo mezz’ora, un’ora alla famiglia. Questo comporta alcune scelte politiche. Vuol dire che la Tv sta zitta perché l’ascolto con la Tv non esiste. Siete mai andati a trovare qualcuno? Voi parlate e questo ogni tanto si gira a guardare lo schermo. La decisione che prendete, dopo un  ragionevole ed educato periodo, è quella di salutare e andare via  perché il messaggio che ti mandano è: quello che c’è alla tv mi interessa di più di quello che mis tai dicendo tu. Quindi è la chiusura dell’ascolto. L’ascolto presuppone che ci  guardiamo in faccia, ci parliamo e non facciamo altro. Spesso ci lamentiamo che i nostri ragazzi non ci raccontano niente e diciamo: Eppure io chiedo. Esempio: li andiamo a prendere a scuola. Cosa facciamo subito dopo averli salutati? Chiediamo: Com’è andata oggi a scuola? Oppure: Cosa hai mangiato? Che voti hai preso? Sei stanco? Hai compiti?  Intanto, cosa stiamo facendo? Saliamo in macchina? Insultiamo un altro automobilista…Facciamo altre cose. In genere,  i ragazzi cosa ci rispondono? Sì, no, forse, riso e piselli.. A monosillabi. E questo ci dà fastidio. Ma è ovvio che rispondano così  perché questo non è ascolto. E’ percepito dai bambini  piuttosto come un interrogatorio e, oltretutto, hanno la percezione che, in fondo, qualsiasi cosa rispondesserero andrebbe bene. L’ascolto presuppone invece che ci  si guardi in faccia e  quando uno parla l’altro accenna col capo, fa domande dimostra in  qualche modo che gli interessa.
Una mamma mi ha detto: Se i figli non parlano,  come faccio io? Cominci a parlare lei, a raccontare a suo marito la sua giornata. Suo marito le andrà dietro. I bambini, per un po’ saranno spiazzati e si chiederanno: Oh Dio, cosa sta succedendo? Dopo un po’ non li fermerete più. Avrete il problema di dare delle  regole: adesso fai parlare anche tuo fratello, oppure, non puoi interrompere…  Ad ascoltare, noi insegnamo ascoltando con correttezza e anche raccontando. Per esempio, una cosa che non si stancheranno mai di sentire da voi è la storia personale. Come sono nato, a che ora, ero piccolo, ero grandi, avevo i denti.. E poi . Ma quando non ero nato, voi dove eravate?, quando eravate piccoli, la nonna e il nonno.. Hanno bisogno di chiedervi queste cose. La loro storia familiare è un legame con la realtà,  con il passato, costruisce l’identità: io so da dove vengo, chi sono, allora so anche dove andrò.

Testo raccolto, trascritto e adattato da Maria Grazia Minto.                                                          

 

I COMPORTAMENTI AGGRESSIVI IN ETA’ EVOLUTIVA
Origini, significati e modalità di gestione

Dr.ssa Silvia Marchi-Psicologa

 

CHE COS’È L’AGGRESSIVITÀ?

Da dove trae origine?
Come si sviluppa?
Che cosa esprime?

L’aggressività è..
un fenomeno complesso che implica l’interfaccia tra diversi aspetti:

  • fattori biologici e temperamentali innati
  • connotazioni affettive
  • manifestazioni comportamentali
  • cognizioni
  • influenze culturali e psicosociali



L’aggressività si configura quindi come un fenomeno che è al tempo stesso di natura individuale e di natura meta-individuale, in quanto rimanda alle dinamiche relazionali in cui il soggetto è coinvolto e alle sue competenze nell’organizzare e gestire le relazioni sociali
Funzioni dell’aggressività

  • L’aggressività è una forza interna innata, alla base del comportamento di difesa
  • equivalente emotivo del tono muscolare
  • carica propedeutica ad affermarsi
  • spinta a ribellarsi per proteggersi
  • opposto di passività (sottomissione, subordinazione)

Dotazione del patrimonio personale che va canalizzata verso comportamenti adattivi!
Comportamento aggressivo e fasi evolutive di crescita

  • Prima infanzia

   - pre-verbale:spesso il bambino ha esplosioni di collera e diventa aggressivo di fronte a bisogni non soddisfatti e a frustrazioni non tollerate
- verbale: protesta, ribellione, difesa comunicate anche verbalmente

  • Età scolare:
  • affermazione identità
  • Difesa di sé/ competizione
  • Manifestazione di un modello di essere e di fare incorporato
  • Vantaggio secondario rispetto a bisogni non soddisfatti (es. bisogno di riconoscimento
  • Adolescenza
  • Espressione dei processi di differenziazione/separazione, Individuazione/appartenenza
  • Affermazione di sé attraverso libertà non strutturata, ribellione e auto-rispecchiamento negativo
  • Rottura con i modelli di riferimento (familiari, ambientali, sociali)

Risvolti distruttivi del comportamento aggressivo

  • Quando il temperamento aggressivo e i comportamenti conseguenti si organizzano, in modo più o meno stabile, in quadri psicopatologici o devianti dal punto di vista sociale:
  • Disturbo oppositivo-provocatorio (DSM-IV)
  • Disturbo della condotta (DSM-IV)
  • Bullismo
  •  

IPOTESI INTERPRETATIVE

1a) Teoria dell’attaccamento di J. Bowlby

  • Attaccamento: sistema comportamentale di controllo a base innata, il cui obiettivo è quello di mantenere o ricercare la vicinanza e il contatto con la figura di attaccamento
  • Comportamento complementare dell’adulto:attaccamento con funzione di protezione

1b) Teoria dell’attaccamento di J. Bowlby

  • STILE DI ATTACCAMENTO

Modelli Operativi Interni: rappresentazioni mentali, interiorizzate e fatte proprie, delle figure di attaccamento, di sé e delle relazioni

  • filtri interpretativi della realtà
  • generano convinzioni e aspettative

1c) Teoria dell’attaccamento di J. Bowlby

Legami di attaccamento insicuro, di tipo ansioso o disorganizzato

COMPORTAMENTO AGGRESSIVO NEL BAMBINO

  • Conseguenza di insoddisfacimenti o deprivate relazioni precoci con la figura di attaccamento
  • Conseguenza di una perdita o di separazioni ripetute o di minacce continue di abbandono
  • Equilibrio disfunzionale tra prossimità ed esplorazione

2a) Social Skills Deficit Model di K. Dodge

COMPORTAMENTO AGGRESSIVO NEL BAMBINO:
Risultato di uno o più deficit o carenze  a livello cognitivo (elaborazione delle informazioni sociali) che possono avere importanti conseguenze sul piano sociale

3)L’ipotesi
frustrazione-aggressività
(Rosenzweig)

  • Il comportamento aggressivo può essere una delle possibili risposte alla frustrazione:

Esperienza pienamente soggettiva, che dipende sia dall’interferenza esterna che dalla percezione della situazione e dalla risonanza emotiva dell’interferenza stessa.

  • Reazione ad un bisogno non soddisfatto
  • Reazione egodifensiva

N.B: IMPORTANZA DEL RINFORZO PER L’APPRENDIMENTO E LA GENERALIZZAZIONE DEL COMPORTAMENTO AGGRESSIVO
Verso un modello multicausale…

  • Condotta aggressiva: non è un costrutto unidimensionale ma un “sintomo” dietro al quale si cela una complessa serie di variabili di natura emotiva, cognitiva, sociale e motivazionale, la cui diversa combinazione definisce di volta in volta le differenti manifestazioni del comportamento aggressivo

Fattori implicati

  • Fattori biologici:    

  - cerebrali
- endocrini

  • Fattori ambientali:
  • Contesto familiare
  • Gruppo dei pari

Contesto familiare

  • Stile educativo: se coercitivo, critico e punitivo alimenta risposte di tipo aggressivo

 

PROPONENTE                                                         RISPONDENTE

Si vendica, mi punisce, mi tratta male,                       protesto e mi difendo da lui,
Mi svaluta, mi accusa, mi biasima,                             pieno di paura sono sulla difensiva
Mi costringe, mi blocca mi limita                                con risentimento mi adeguo, con
                                                                                       rabbia mi svaluto, eseguo disposizioni
                                                                                       senza tener conto delle mie opinioni,                 
                                                                                       mi controllo
 

Pattern di interazione genitore-figlio con comportamento oppositivo

  • Il genitore dà un’istruzione/comando

 

  • Il bambino percepisce il comando come aversivo/indesiderabile e risponde con la disobbedienza
  • Il genitore:

-revoca il comando, e ciò rinforza la disobbedienza del bambino
-cerca di ragionare con il bambino/persuaderlo affinchè obbedisca

 

Il genitore non riesce a persuadere il bambino, diventa sempre più frustrato e a sua volta aumenta l’aggressività

-Il bambino dopo un po’ obbedisce, (risentimento bambino, rinforzo genitore)
-Il surplus di rabbia aumenta la sfida del bambino (inefficacia azione genitore, rinforzo bambino)
IL COMPORTAMENTO AGGRESSIVO

  • E’ il correlato manifesto di sentimenti come dolore, paura frustrazione, delusione, disillusione, rabbia, collera e di stati di confusione e disorientamento
  • Viene utilizzato per protestare e per difendersi:un modo di non essere spaventati è assomigliare a quelli che ci fanno paura (identificazione con l’aggressore)

Rapporto con i pari

  • Processi circolari del comportamento aggressivo

                    Comportamento aggressivo

 

                                  Difficili relazioni con i pari

       Deprivazione di                                       Esperienze sociali negative
esperienze sociali positive

    
Isolamento sociale                                          Rifiuto sociale
Fattori di rischio e di protezione nello sviluppo del comportamento aggressivo
1)Abilità emotive: - fiducia
                            - valorizzazione
                            - empatia
2)Abilità socio-cognitive:
- Riconoscimento delle emozioni
                   - Capacità di role-taking
    - Comunicazione referenziale
      - Capacità di risolvere i conflitti

 

La riduzione del comportamento aggressivo passa inevitabilmente attraverso l’acquisizione di “strumenti” necessari a fronteggiare la propria impulsività, senza che questo si traduca in un disconoscimento dei sentimenti negativi sperimentati

N.B.: Importanza di modelli adulti funzionali al benessere e all’adattamento personale e sociale
Strategie relazionali efficaci

  • Assumere un atteggiamento autorevole rispetto al limite: coerenza, fermezza, assunzione di decisioni
  • Adattare consapevolmente il proprio comportamento verbale e non verbale (parole dette, modalità di comunicazione, contatto oculare, voce, postura)
  • Comunicare i propri pensieri e sentimenti in modo trasparente
  • Accogliere il bisogno, contestualizzandolo e distinguendolo dal proprio
  • Dare conferme , rispecchiare positivamente la crescita del bambino lungo il continuum individuazione/irretimento
  • Dare permessi per consolidare la struttura personale: stimolare l’esplorazione, il pensiero autonomo, l’incorporazione delle regole, la verifica delle proprie azioni, il problem-solving

ALCUNE RIFLESSIONI…….
COMPORTAMENTO AGGRESSIVO E ..

  • MODELLI SOCIALI DI COMPORTAMENTO:
  • Modello interpersonale adulto (affermazione di sé, scavalcamento di ruoli, competizione, gestione dei conflitti, stile relazionale)
  • Modello televisivo (aggressività mediatica)
  • Modello multimediale e virtuale

Liberi di scegliere (!?)

 

COMPORTAMENTO AGGRESSIVO E ..

  • STRUTTURAZIONE DEL TEMPO:
  • Di chi è il tempo del bambino?“Ingombrare” il bambino di attività limita lo sviluppo di modelli di comportamento basati sulla libertà di scelta e sulla creatività, limita il processo senza tempo e senza luogo della fantasia, alimenta tensione e condizioni di stress psicofisico
  • Competizione : sistema motivazionale o spinta esclusiva per l’ affermazione di sé? (nello sport, nelle attività di tempo libero, nel gioco..)

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

  • D. Goleman. Intelligenza emotiva, Rizzoli
  • J.Gottman. Intelligenza emotiva per un figlio
  • A.Philips. I no che aiutano a crescere, Feltrinelli
  • J. Elliot, M. Place.  Interventi di psicologia clinica dello sviluppo. Erickson.
  • M.Sunderland, Disegnare le emozioni. Erickson
  • M.Sunderland, Raccontare storie aiuta i bambini, Erickson
  • F. Tani, E. Bagatti. Il bambino aggressivo, Carocci.
  • A. Marcoli. Il bambino arrabbiato, Saggi Mondadori
  • A. Marcoli, Il bambino impaurito, Saggi Mondadori
  • A. Marcoli, Il bambino perduto e ritrovato, Saggi Mondadori
  • R. Mastromarino. Prendersi cura di sé per prendersi cura dei figli, IFREP-Roma
  • B. Betteleim. Un genitore quasi perfetto. Feltrinelli

 

 

Fonte: http://www.limens.it/DISPENSA%20GENITORI%20SPRESIANO%202005.doc

Sito web da visitare: http://www.limens.it

Autori del testo: sopra indicati nel documento di origine

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