Bambini e agonismo

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Bambini e agonismo

AGONISMO E PSICOLOGIA
I bambini iniziano a praticare lo sport per il suo aspetto ludico. Successivamente un bambino si può trovare nella condizione di affrontare gare e allora lo sport perde la sua valenza di svago e divertimento per assumere un ruolo prettamente agonistico. In alcuni casi molta pressione deriva anche dalle aspettative dei genitori del giovane atleta, che finiscono per dare troppa importanza al risultato. Il genitore vede concretizzarsi nel figlio il proprio desiderio di successo e di realizzazione personale, anche solo per aver messo al mondo un bambino particolarmente dotato e di talento. D’altra parte l’approccio dei genitori allo sport può essere molto diverso: ci sono alcuni che spingono il figlio perché lo sport fa bene ed è un passatempo sano ed educativo; altri hanno praticato uno sport da giovani con buoni risultati e lo propongono anche al bambino; altri non se ne occupano e lasciano fare all’allenatore; altri ancora non si interessano alla pratica sportiva dei figli.
L’errore che un genitore di un giovane atleta non dovrebbe commettere è di desiderare il successo del figlio ad ogni costo. Un bambino troppo sotto pressione che viene anche rimproverato quando ottiene risultati negativi, rischia di perdere la fiducia in se stesso. Ciò si verifica per la paura del fallimento, aspetto che rimarrà inculcato nella sua mente fino a sviluppare un senso di inferiorità dovuto all’incapacità di affrontare le sconfitte e le situazioni di stress.          Altri errori da evitare sono criticare il programma e le scelte dell’allenatore e non seguire i tempi di riposo del bambino, fondamentali per la sua ripresa.
Lo sport agonistico, in particolare ad alti livelli, richiede grandi sacrifici che per un giovane si concretizzano nel rinunciare ai tanti svaghi che allietano le giornate dei ragazzi della sua età: andare al cinema, partire per un weekend di vacanza, giocare dopo la scuola, ecc. È fondamentale che, finché è possibile, per un bambino lo sport mantenga il suo aspetto di divertimento e di gioco. In questo è determinante il ruolo dei genitori che devono interessarsi all’attività del figlio ed essergli accanto nel saperlo ascoltare e aiutare.
I genitori devono insegnare al bambino il rispetto per gli altri, per l’allenatore e per gli avversari. L’adulto deve trasmettere anche corrette norme di vita: dormire un determinato numero di ore e mangiare in modo sano ed equilibrato. Ci devono essere ore dedicate allo svago, ma bisogna anche guidare il proprio figlio e fargli capire che la sera dopo cena non è il momento giusto per fare ciò che fanno altri bambini, come lo stare davanti alla televisione, giocare ai videogiochi o fare i compiti non finiti. È importante che il giovane dorma un numero sufficiente di ore che gli permetta di recuperare la stanchezza fisica dovuta agli allentamenti.
Prima della competizione ciascun bambino può gestire lo stress in modo diverso: alcuni si tengono occupati per non pensare al tempo che passa, altri hanno voglia di sfogarsi per liberare la propria energia, altri ancora hanno bisogno di essere lasciati tranquilli per potersi isolare e rilassare. L’educazione ha una grande influenza sulla personalità del bambino e sul suo modo di reagire alle vittorie e alle sconfitte in ambito sportivo. Un bambino troppo viziato sarà abituato ad ottenere tutto senza sforzo, con un atteggiamento passivo e poco combattivo nella voglia di superare se stesso anche nello sport.
La vittoria, come la sconfitta, sono difficili da gestire. Come le vive un bambino? Egli potrebbe continuare con umiltà il suo percorso oppure adagiarsi sugli allori o ancora arrendersi perché il successo e l’attenzione di tutti lo spaventano. La sconfitta invece scatena bisogni diversi: c’è il bambino che va lasciato piangere sotto la doccia e quello che va abbracciato e confortato. È importante il momento in cui il giovane riesce a parlare e a valutare lucidamente la sua gara. L’allenatore deve ascoltarlo per capire la differenza tra ciò che il bambino ha fatto e ciò che ha creduto di fare, mettendo sempre in evidenza (soprattutto per i bambini più piccoli), l’aspetto ludico dello sport e della gare senza che sia percepito solo come un insieme di obblighi. Quando un bambino perde una competizione, è importante che i genitori non lo critichino, ma gli insegnino a rimanere calmo e obiettivo. Il figlio va consolato, gli va fatto capire che non ha deluso nessuno e ne vanno evidenziati i progressi. Una prestazione sportiva è anche una prestazione psicologica. Per avere successo ed ottenere risultati, oltre al talento, è necessario essere sereni e avere fiducia in se stessi e nelle proprie capacità.
Le motivazioni primarie allo sport risiedono in due fattori: il gioco e l’agonismo. Il gioco ha un’importante ruolo fin dall’infanzia nella crescita di un bambino e attraversa varie fasi durante il processo evolutivo. L’agonismo è altrettanto importante poiché rientra nella natura dell’uomo misurarsi con il mondo circostante, con gli altri e con se stesso. L’esito positivo di questi confronti rende la persona più sicura di sé e con un livello di autostima maggiore.
La psicologia dello sport interpreta l’agonismo come un aspetto raffinato dell’aggressività che consente alla persona di essere competitiva. Pertanto un precoce avviamento allo sport fa sì che vi sia una primaria educazione della pulsione aggressiva. Il bambino impara a direzionare positivamente e per scopi socialmente utili il suo bisogno di autoaffermazione. L’adolescente impara così a concentrarsi per raggiungere con costanza e determinazione i suoi obiettivi senza disperdere energie. Egli acquisisce dallo sport (oltre che dalla famiglia) valori come la coesione, la collaborazione, la resistenza allo sforzo, la perseveranza, la progettualità. Inoltre, impara a curare il proprio fisico in modo sano per garantire la performance, evitando comportamenti fisicamente dannosi come l’uso di alcol o stupefacenti.

Il gruppo dei compagni in un’età difficile come l’adolescenza rappresenta un’importante elemento di confronto, soprattutto in un periodo in cui il giovane tende a rifiutare il mondo dell’adulto. L’ambiente sportivo, attraverso l’allenatore, diventa quindi un ponte forte tra l’adolescenza e l’età adulta. La figura dell’allenatore ha un ruolo sia didattico sia educativo per il giovane; un buon allenatore, per lo sportivo, rappresenta la speranza del suo futuro sviluppo.

Tra gli aspetti che possono motivare un bambino o un adolescente ad iniziare uno sport emergono: i familiari, l’allenatore, i compagni, il successo, modelli da emulare. In particolare, le influenze dell’allenatore risiedono principalmente nel modo in cui egli fornisce le sue istruzioni e le sue valutazioni, i genitori per quanto riguarda il modo di sostenere il figlio nella partecipazione e nell’apprendimento, i compagni attraverso la competizione, la collaborazione, la comunicazione e i rapporti sociali.

Le motivazioni allo sport variano a seconda dell’età. Durante i primi anni di attività l’atleta attraversa un periodo di generalizzazione caratterizzato dal bisogno di movimento, di riuscita e di esplorazione; successivamente vi è un periodo di differenziazione in cui un’atleta è spinto da motivazioni socioculturali verso una determinata disciplina anziché un’altra. Il passaggio successivo è la fase di specializzazione che riguarda solo gli atleti che svolgono sport ad alto livello e gli atleti professionisti e concerne in particolar modo la motivazione e i feedback prestazionali.

L’ultima fase involutiva riguarda il periodo in cui l’atleta, pur avendo buone performance, mostra una tendenza verso la regressione motivazionale. In questa fase permangono le motivazioni sociali, ma aumenta il desiderio di mantenere la forma fisica e di non invecchiare.

È molto importante determinare la motivazione dell’atleta prima di impostare qualsiasi training mentale. Secondo la tecnica del goal setting occorre definire prima di tutto gli obiettivi a breve, medio e lungo termine così da monitorare costantemente i propri progressi ed avere la sensazione di controllare le proprie attività. Tali obiettivi devono risultare: concreti, realistici, stimolanti, gratificanti rispetto alle proprie motivazioni interne, flessibili per essere modificati nel corso del tempo. La definizione degli obiettivi (che possono essere giornalieri, stagionali o di carriera), dovrebbe essere impostata insieme all’allenatore. Ciò significa che vengono selezionati obiettivi di carriera, obiettivi stagionali e dei sotto-obiettivi per ogni allenamento, per ogni stagione e per ogni competizione.

Gli obiettivi devono essere sempre riformulati in modo positivo, altrimenti vi è il rischio che l’atleta sviluppi sentimenti negativi e di sfiducia nei confronti della prestazione e che mantenga in memoria l’elemento negativo, mentre invece è importante che abbia un pensiero positivo nei confronti della propria prestazione. Infatti, considerare la motivazione un elemento fondamentale per chi intraprende uno sport è ancora più evidente se si osservano gli aspetti che possono portare all’abbandono di un’attività sportiva.

Alcuni ricercatori hanno messo in evidenza che vi sono differenze in base all’età: i più giovani si ritirano principalmente per problemi con il coach, per mancanza di divertimento e per eccessiva competizione, mentre gli adolescenti a causa dell’emergere di nuovi interessi. Va anche detto che chi abbandona uno sport a livello agonistico, poi spesso continua a praticarlo a livelli di intensità inferiori. In tal senso quindi la motivazione, insieme al talento, è un elemento imprescindibile per praticare uno sport a livello agonistico.

Il talento è un dono, ma la motivazione è qualcosa che si può migliorare a livello psicologico. Per questo sono utili sia i rinforzi estrinseci (l’incitamento, il sostegno e l’incoraggiamento dell’allenatore, dei compagni e dei familiari e il ricevere premi) sia i rinforzi intrinseci (la voglia di vincere e la capacità di raggiungere gli obiettivi prefissati).
In conclusione, gli atleti che hanno un’alta motivazione dimostrano una persistenza al compito, considerano le situazioni avverse come parte della competizione, si applicano per risolvere i problemi, aspettano l’esito della gara prima di tirare conclusioni, hanno un buon livello di autostima, si aspettano di vincere e di riuscire nei loro obiettivi, sanno trarre vantaggio sia dalla vittoria che dalla sconfitta e si divertono durante la competizione.

 

Fonte: http://www.mugellonuoto.it/files/agonismo_e_psicologia.doc

Sito web da visitare: http://www.mugellonuoto.it

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