Relazione terapeutica

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Relazione terapeutica

LA TERAPIA CENTRATA SUL CLIENTE
di Carl Rogers

 

 

Rogers era un clinico, ma ha sempre lavorato presso delle strutture universitarie e aveva un metodo di lavoro rigoroso: osservava i dati che emergevano dalla sua pratica quotidiana di lavoro e costruiva delle ipotesi, che poi cercava di sottoporre a verifica sperimentale. Non fu solo la frequentazione dell’ambiente accademico a portarlo su questa strada; come dichiara in questo libro: “la ricerca nasce dal bisogno di ordine che è in me… la terapia è l’esperienza alla quale posso lasciarmi andare soggettivamente. La ricerca è l’esperienza in cui posso staccarmi un po’ dai problemi per considerare con oggettività un’esperienza soggettiva così ricca ed applicare tutti gli strumenti scientifici disponibili per verificare se non mi stia imbrogliando da solo.”

 

 

Rogers cerca di sintetizzare il suo percorso in 14  affermazioni, che descrivono esperienze molto personali, ma anche affermazioni teoriche generali:

  1. Mi sono reso conto che non produce alcun frutto nelle relazioni interpersonali comportarsi come se si fosse diversi da come si è
  2. Constato che sono più efficace quando posso ascoltarmi con accettazione
  3. Ha un grande valore per me il momento in cui posso permettermi di capire un’altra persona
  4. Ho scoperto che mi arricchisce aprire delle vie per mezzo delle quali li altri possano comunicarmi i loro sentimenti
  5. Ho tratto molte soddisfazioni dal fatto di poter accettare un’altra persona
  6. Più sono aperto alle realtà presenti in me e negli altri e meno mi trovo desideroso di adagiarmi su cose stabilite
  7. Posso fidarmi della mia esperienza
  8. La valutazione degli altri non mi serve da guida
  9. L’esperienza è per me la maggiore autorità
  10. Ho piacere nello scoprire l’ordine dell’esperienza
  11. I fatti sono amici
  12. Ciò che è più personale è più generale
  13. Nella persona vi è una forza che ha una direzione fondamentalmente positiva
  14. La vita nel suo aspetto migliore è un processo fluido e mutevole in cui niente è statico

 

 

La relazione terapeutica

L’obiettivo di Rogers è capire quali siano, nell’ambito di una relazione di aiuto, le condizioni di base, necessarie e sufficienti, per consentire una modificazione della personalità, in senso evolutivo.
Che cosa si intende per modifica evolutiva della personalità? la questione è tutt’altro che scontata, dice Rogers, ma per il momento propone di procedere considerando come obiettivo della terapia “l’evoluzione verso quello stadio che i clinici definirebbero di maggior integrazione e di minor conflittualità e di maggior disponibilità di energie per una vita produttiva”.
Le condizioni di base che consentono al cliente di modificare la propria personalità e che fanno riuscire la terapia sono sei:

  1. Il cliente e il terapeuta devono essere in contatto psicologico
  2. Il cliente è in uno stato di ansia e vulnerabilità che Rogers definisce incongruenza.
  3. Il terapeuta  è in uno stato di congruenza ovvero nella relazione è liberamente e profondamente sé stesso
  4. Il terapeuta prova verso il cliente un sentimento di accettazione positiva incondizionata
  5. Il terapeuta comprende empaticamente il mondo interno del cliente
  6. Il terapeuta riesce a comunicare almeno in parte la sua congruenza, la sua accettazione positiva incondizionata e la sua empatia

 

Queste condizioni valgono sia per clienti nevrotici che per clienti psicotici. Secondo Rogers inoltre queste caratteristiche sono essenziali in tutti i tipi di terapia, non solo in quella centrata sul cliente: un’interpretazione psicoanalitica, un lavoro sull’ipnosi, una strategia cognitiva, al pari di una risposta riflettente o di qualunque altra tecnica possono essere utili in quanto comunicano al cliente la congruenza, l’accettazione e la comprensione empatica del terapeuta. Per Rogers le tecniche non sono fondamentali, sono solo degli strumenti che servono per comunicare al cliente le condizioni di base.

I concetti cardine di questo discorso sono la congruenza, l’accettazione e l’empatia; vale la pena di vederli più da vicino.

Il primo e più importante è sicuramente il concetto di congruenza; infatti Rogers si chiede se questa non sia alla fine l’unica vera condizione necessaria, che tra l’altro è proprio quello che distingue il cliente dal terapeuta. Quando c’è una forte discrepanza fra l’esperienza che passa in ogni istante nell’organismo e l’immagine di sé si ha una situazione di incongruenza. Per vari motivi il cliente considera alcuni sentimenti, che fanno parte della sua esperienza, minacciosi per la sua immagine di sé e pertanto questi ultimi compaiono alla coscienza in modo distorto. Ad esempio: si può immaginare il caso di uno studente che teme gli esami che si svolgono all’ultimo piano della sua facoltà universitaria, perché potrebbero mettere a nudo una sua fondamentale inadeguatezza; nel caso in cui questa inadeguatezza sia in netto contrasto con l’immagine che lo studente ha di sé, questa paura potrebbe prendere una forma distorta e apparire come il timore di salire le scale. A questo punto il nostro studente è in una condizione di vulnerabilità, che genera ansia. Allora per difendersi sviluppa un sintomo. Al terapeuta, d’altro canto, non si chiede di essere congruente 24 ore su 24 (anche se il pensiero di Rogers va in questa direzione), ma di esserlo durante la relazione col paziente. Questo sembra facile da dire, ma piuttosto difficile da fare. Richiede al terapeuta un monitoraggio costante dei sentimenti che prova verso il cliente, senza alcuna censura. A volte richiede che questi sentimenti vengano comunicati al cliente. Nel caso di sentimenti negativi, di noia o di irritazione, questo compito potrebbe non essere  troppo facile, ma secondo Rogers un atteggiamento genuino è sempre più produttivo di uno “di facciata”. Anche perché, dice Rogers, “nel momento in cui comunico, per esempio, la mia noia al cliente, succede una cosa molto interessante: il mio sentimento cambia, non sono più annoiato mentre cerco di definire cosa provo e cerco di comunicarglielo come un mio vissuto e non come una sua caratteristica e capisco che in realtà vorrei solo essergli più vicino. Poiché ho osato essere vero con lui, forse lui riuscirà ad essere vero con me e cominceremo a comunicare”. È chiaro che la terapia non consiste nel comunicare al cliente i propri sentimenti; è necessario però esserne costantemente consapevoli e non agire mai in un modo contrastante con essi.

Il secondo concetto importante è quello dell’accettazione positiva incondizionata. Il termine positiva può forse suscitare un equivoco: non si tratta di giudicare in modo benevolo il cliente. Al contrario, si tratta di non giudicarlo affatto, accettandolo esattamente per quello che è, non solo quando fa quello che al terapeuta sembra bene per lui. Quello che Rogers descrive è un atteggiamento non valutativo e non possessivo. Probabilmente è da questo concetto che è scaturita la definizione di metodo non direttivo. Anche in questo caso, è facile definire questo modo di fare, ma pare più difficile metterlo in pratica. In effetti, anche Rogers ammette che “una considerazione positiva completamente incondizionata esiste solo in teoria. … Il terapeuta prova una considerazione positiva incondizionata per il cliente in molti momenti del suo rapporto con lui, mentre in altri momenti sperimenta una considerazione positiva condizionata e in altri ancora, forse, una considerazione negativa.” Questa condizione è molto importante: permette al cliente di sperimentare in un clima non minaccioso, i sentimenti che gli fanno paura, perchè non corrispondono all’immagine di sé e lo aiuta a ricomporre la discrepanza fra esperienza e immagine di sé. Rogers ipotizza che la discrepanza del cliente abbia avuto origine nell’infanzia, quando i genitori o gli adulti significativi hanno concesso il loro amore in modo troppo condizionato. L’accettazione del terapeuta è una sorta di riparazione delle relazioni carenti sperimentate dal cliente.

Il terzo concetto fondamentale nel pensiero di Rogers è l’empatia. Si definisce come la capacità del terapeuta di sentire i sentimenti del cliente come se fossero i suoi, senza perdere mai la connotazione del come se. Sentire l’ira, la paura, la confusione del cliente come se fosse mia, ma senza aggiungervi la mia ira, la mia paura, la mia confusione; questa è empatia. Rogers utilizza una metafora spaziale per descriverla: sapersi muovere nel mondo interno del cliente come se fosse il nostro. Immaginando che il mondo interno del cliente sia una stanza, una comprensione empatica si raggiunge quando conosco così bene com’è arredata la stanza che so che se mi muovo da quel lato andrò a sbattere contro un tavolo, mentre so che da un altro c’è spazio per camminare. Quando si arriva a una conoscenza “geografica” così precisa, si può fare luce su aspetti della stanza che sono in ombra e che il cliente non vede. La tecnica della risposta riflettente fu lo strumento con cui Rogers cercò di affinare la comprensione empatica del cliente. Anche nella sua applicazione più semplice, che consiste nel riformulare il contenuto appena espresso dal cliente, questa modalità fa sentire al cliente che non è da solo, che qualcuno lo ascolta e che cerca di capirlo. Inoltre gli permette di mettere a fuoco meglio quanto sta dicendo; infatti è del tutto istintivo per il cliente cercare di capire se la riformulazione fatta dal terapeuta gli corrisponde oppure no; in questo modo ha la possibilità di esplorarsi. Ci sono poi livelli più raffinati, come la risposta al sentimento contrastante, in cui si cerca di evidenziare una situazione conflittuale. A volte il terapeuta può cogliere un aspetto di cui il paziente non è per nulla cosciente; in questo caso rigetta la risposta del terapeuta. Altre volte il terapeuta coglie qualcosa che sta al confine tra consapevole e inconsapevole e il cliente può avere la sensazione di scoprire un nuovo aspetto di sé. Quest’ultima situazione credo che potrebbe essere definita un insight e in questi casi la risposta empatica di tradizione rogersiana non differisce poi molto da quello che in ambito psicoanalitico si chiamerebbe un’interpretazione.

 

Il processo terapeutico

Quando congruenza, accettazione ed empatia convergono nel colloquio, si crea un clima non minaccioso, che renda possibile l’esplorazione, l’accettazione e quindi il cambiamento. Analizzando le dinamiche di tale cambiamento Rogers individua un continuum: a un polo avremo una personalità rigida e poco evoluta, al polo opposto avremo invece la massima espressione delle potenzialità individuali. Rogers divide il continuum in 7 stadi. Di solito la terapia va dallo stadio 2 allo stadio 4, quindi si interrompe molto prima della completa realizzazione del cliente. È molto raro che una persona parta dal primo stadio e arrivi al settimo, se ciò accade richiede certamente molti anni. Quando, comunque, il cliente arriva allo stadio 6, poi si evolve autonomamente allo stadio 7. Ogni stadio ha le sue caratteristiche; nel libro sono descritti tutti, qui per brevità parleremo solo dei due estremi.

Caratteristiche dello Stadio 1:

  1. è improbabile che la persona richieda volontariamente una terapia;
  2. tende a comunicare molto poco e solo su aspetti esterni, non ama parlare di sé.
  3. non avverte alcun desiderio di cambiamento;
  4. i problemi avvertiti sono proiettati tutti all’esterno (è il mondo che deve cambiare);
  5. non avverte alcuna responsabilità nelle situazioni problematiche in cui è coinvolta
  6. i costrutti personali sono rigidi, tende a pensare in termini di bianco e nero (“sono sempre … non farò mai …)
  7. tende a costruire la propria esperienza presente facendo riferimento al passato e a categorie prestabilite (“sono sempre stata una persona curiosa per cui ora sono interessata a quello che mi sta dicendo…”

 

caratteristiche dello stadio 7:

  1. i costrutti personali sono formulati in modo provvisorio per confrontarli con la dinamica dell’esperienza,
  2. la persona non si stupisce se le sue opinioni e sensazioni cambiano rispetto a uno stesso oggetto/persona e se non è coerente (si sorprende, ma non si dispiace di fronte all’incoerenza)
  3. sperimenta con ricchezza di particolari sentimenti nuovi sia nella relazione terapeutica che al di fuori
  4. usa l’esperienza  di tali sentimenti come un referente per capire in modo più chiaro chi è e cosa vuole
  5. accetta questi sentimenti  e ha fiducia nel processo di cambiamento
  6. il sé come oggetto percepito scompare e diviene solo la coscienza dell’esperienza attuale (il sé si sovrappone all’esperienza)

 

Questo continuum nelle intenzioni di Rogers è la base per costruire una scala, uno strumento operativo, che ci permetta di capire ogni soggetto a che punto è del suo processo terapeutico. La scala dovrebbe funzionare in assenza di informazioni sulla storia personale del cliente, sulla diagnosi o sulla durata del trattamento.. Il gruppo di studi di Rogers ha dedicato alcune ricerche per capire se questo continuum, con i relativi stadi può essere uno strumento utile. Uno di questi studi seguì la seguente procedura: si scelse un caso interamente registrato, si scelse un tema – la famiglia – a cui il paziente era particolarmente interessato. Vennero scelti 5 colloqui (il 1°, il 7°, il 13°, il 19° e il 25°); da questi colloqui si estrasse il primo riferimento del cliente alla situazione familiare. Vennero così creati 5 campioni, dattiloscritti e registrati su nastro. Questi campioni vennero fatti ascoltare ad alcuni giudici, che conoscevano l’idea di fondo del continuum e avevano una descrizione dei 7 stadi; i campioni vennero presentati a coppie e ogni campione fu confrontato con ogni altro. Ai giudici si chiese quale campione descriveva uno stadio più avanzato e qual era lo stadio di ogni campione. Il risultato principale che emerse fu una notevole concordanza fra i giudici nello stabilire questi aspetti. La scala di processo  trovò così la sua prima conferma. Va sottolineato però che tale strumento non potrebbe essere applicato a situazioni in cui il cliente si sente frainteso e accettato in modo condizionato e non così com’è.

 

La ricerca in psicoterapia

La terapia centrata sul cliente fin dall’inizio ha stimolato ricerca. I motivi sono essenzialmente quattro. In primo luogo tale teoria nasce e si connota fortemente come un’ipotesi di ricerca e non come un dogma o una verità. In secondo luogo i costrutti della teoria sono formulati in modo da prestarsi a definizioni operazionali e quindi facilmente misurabili. Ad esempio il concetto di della terapia centrata sul cliente si limita agli elementi di cui il soggetto è conscio e quindi ha potuto essere studiato attraverso al tecnica del Q-sort. (In questa tecnica il soggetto descrive se stesso - il suo - attraverso una serie di cartoncini, che riportano item descrittivi di vario tipo, mettendoli in ordine da quello più rappresentativo a quello meno rappresentativo). In terzo luogo Rogers e i suoi collaboratori ebbero fin da subito l’accortezza di registrare su cassetta tutti i loro colloqui terapeutici; si rese così disponibile una gran massa di dati, relativamente oggettiva (o perlomeno più affidabile del ricordo) su cui poter fare delle analisi. Infine la terapia centrata sul cliente si è sviluppata interamente in un ambito universitario, naturalmente portato alla ricerca.
In ogni caso la ricerca in psicoterapia è stata a lungo trascurata: prima del 1940 era stato fatto molto poco in tal senso. Le ricerche che riporta Rogers sono per lo più datate tra la fine degli anni ‘50 e l’inizio dei ’60 e sono quindi anch’esse abbastanza pionieristiche.

Ecco alcune fra le ricerche più interessanti: quella di Raskin sulla dipendenza dai giudizi altrui in psicoterapia, quella Bergman sull’effetto delle valutazioni del terapeuta, quella di Butler e Haig sulla riduzione della differenza fra sé reale e sé ideale in terapia, quella sugli effetti della terapia sul comportamento e quella di Barret – Lennard  sulla qualità del rapporto terapeutico.

Raskin
L’ipotesi che la ricerca voleva verificare era questa: è vero che il cliente durante la terapia tende a dipendere meno dal giudizio degli altri e a fidarsi di più della propria esperienza? Si tratta di un’ipotesi di base per la teoria centrata sul cliente, secondo la quale il compito del terapeuta non è di pensare per il paziente, ma con il paziente. Raskin scelse 10 casi, i cui colloqui erano stati tutti registrati su cassetta e chiese a 3 giudici  di trovare, operando indipendentemente, tutte le affermazioni fatte dai clienti relative all’origine delle loro idee, distinguendo tra quelle basate sulla propria esperienza e quelle basate sul giudizio degli altri. Da questo materiale (la concordanza dei giudici fu dell’ 80%) scelse 22 interazioni, le stampò su di altrettanti cartoncini e le sottopose a 20 giudici che le dovevano suddividere in 4 categorie. La prima categoria conteneva tutte le interazioni che rivelavano una dipendenza cieca dalle valutazioni altrui, la seconda categoria le interazioni che esprimevano dipendenza dal giudizio altrui, ma insoddisfazione per questa dipendenza, la terza conteneva espressioni in cui il cliente metteva sullo stesso piano il suo parere e quello degli altri, la quarta riguardava la situazioni in cui il paziente si basava interamente sulla propria esperienza. A questo punto Raskin misurò il valore medio (le quattro categorie vennero assunte come scala ad intervalli, validata attraverso altre procedure) che emergeva dai primi e dagli ultimi colloqui: all’inizio della terapia si registrò un valore di 1,97, alla fine un valore di 2,73. In altre parole alla fine della terapia i clienti tendevano a utilizzare di più i riferimenti personali rispetti ai giudizi altrui, di quanto non facessero all’inizio della terapia. L’ipotesi era confermata.

Bergman
L’ipotesi che la ricerca voleva verificare era questa: è vero che le valutazioni espresse dal terapeuta non aiutano il cliente ad esplorarsi e a procedere verso l’insight? La teoria centrata sul cliente ha su questo aspetto una posizione molto netta e ritiene che i giudizi del terapeuta non siano d’aiuto e che vadano evitati. Bergman utilizzò gli stessi 10 casi registrati di Raskin e individuò tutti le volte che il paziente chiedeva al terapeuta una soluzione, un giudizio o un suggerimento. Classificò poi le riposte dei terapeuti in 5 categorie; nella prima categoria mise le risposte che esprimevano una valutazione (accordo, disaccordo, interpretazioni e suggerimenti), nella seconda le risposte che tendevano a strutturare la relazione (il terapeuta parla del suo ruolo o della sua idea di psicoterapia), nella terza le risposte che consistevano in una richiesta di chiarificazione, nella quarta le risposte che riflettevano il contesto globale della domanda e nella quinta le risposte che riflettevano il contenuto specifico espresso dal paziente. A questo punto Bergman esaminò le risposte dei pazienti e le classificò in 4 categorie: 1) il paziente poneva di nuovo la domanda, precisandola 2) il paziente abbandonava l’esplorazione e abbordava un argomento meno importante 3) il paziente continuava ad analizzare i propri problemi 4) il cliente prendeva coscienza di un aspetto di sé sino a quel momento sconosciuto. Infine determinò la frequenza con cui certe categorie si presentavano insieme ad altre. I risultati furono i seguenti: le risposte appartenenti alla prima e alla seconda categoria (valutazioni e asserzioni sul ruolo e sulla terapia) provocavano spesso nel cliente l’abbandono dell’esplorazione di sé; le risposte della terza categoria (chiarimenti) provocavano la ripetizione della domanda e una diminuzione dell’esplorazione. Al contrario le risposte della quarta categoria inducevano un aumento dell’esplorazione e della presa di coscienza. Pertanto risultò che le risposte che riflettono i sentimenti del clienti aiutano l’esplorazione di sé e l’insight, mentre le valutazioni e i giudizi non lo facilitano. L’ipotesi era confermata.

Butler e Haig
L’ipotesi da verificare era questa: dopo la terapia diminuisce la differenza fra sé ideale e sé reale? La teoria centrata sul cliente ritiene infatti che la sofferenza, che porta alla terapia, nasca quando c’è uno scollamento fra queste due istanze. Butler e Haig usarono un gruppo sperimentale di 25 pazienti in terapia e un gruppo di controllo di 25 persone omogenee per età, sesso, e condizione socio economica, non in terapia. Fu impiegata la tecnica del Q-sort (descrizione del proprio sé reale e del proprio sé ideale attraverso items descrittivi); il Q-sort venne somministrato al gruppo sperimentale prima della terapia, alla fine della medesima e un’altra volta 6 mesi dopo. Alla stessa serie di somministrazioni fu sottoposto il gruppo di controllo. La correlazione media fra sé reale e sé ideale dei soggetti sperimentali prima della terapia era di 0,1; alla conclusione fu di 0,34, dopo 6 mesi fu di 0,31. Quindi aumentò sensibilmente per poi stabilizzarsi su di un livello leggermente inferiore. Nel gruppo di controllo la correlazione media fu di 0,58 all’inizio e di 0,59 al momento dell’ultimo controllo. O,58 indica un buon accordo fra sé reale e sé ideale, che i soggetti del gruppo di controllo mantenevano. Ci fu anche una procedura di controllo interno: a un gruppo di pazienti venne somministrato il Q-sort quando manifestarono il desiderio di intraprendere una terapia, ma venne poi chiesto loro di aspettare 60 giorni; scaduto quel termine furono nuovamente sottoposti al Q-sort. E poi iniziarono la terapia. Le prime due somministrazioni non rivelarono alcuna variazione, a prova del fatto che era proprio la terapia a provocare il cambiamento e non il semplice passare del tempo o la motivazione al cambiamento. Anche questa ipotesi si rivelò quindi vera.

(Gruppo di lavoro di Rogers)
L’ipotesi da verificare era la seguente: è vero che dopo la terapia  il cliente si comporta in modo meno difensivo, più socializzato, più realista e in una parola, più maturo? Per valutare tale cambiamento Rogers e i suoi collaboratori utilizzarono la scala di maturità emozionale di Willouhhby (EMS). La procedura seguita fu la seguente: la scala fu somministrata al cliente prima della terapia, alla fine della medesima e 6/12 mesi dopo. Al cliente vennero anche chiesti i nomi di due amici che lo conoscevano bene e che avrebbero acconsentito a fare da “giudici”; anche costoro compilarono la scala (con riferimento al comportamento dell’amico) prima della terapia, alla fine e dopo 6/12 mesi. Inoltre ogni amico-giudice compilò un’altra scala relativa ad un altro amico, in modo che si potesse valutare l’attendibilità delle sue descrizioni. Si utilizzò anche un gruppo di controllo, omogeneo, ma non in terapia, che seguì la medesima procedura. I risultati di questa ricerca sono interessanti perché non validarono l’ipotesi, ma portarono alla luce aspetti nuovi. Infatti non si rilevò, secondo gli amici-giudici, nessuna modificazione media rilevante nel comportamento dei clienti prima e dopo la terapia. A questo punto si cercò di analizzare i dati in un altro modo. Si divisero i pazienti in 3 gruppi a seconda che avessero tratto un beneficio notevole, moderato o scarso dalla terapia, secondo la valutazione del terapeuta. I dati si differenziarono molto: per i clienti che avevano tratta beneficio dalla terapia la modificazione osservata dagli amici-giudici si rivelò sostanziale; per quelli che avevano tratta un beneficio lieve si rivelò più moderata, ma per quelli che avevano tratta un beneficio scarso si rivelò addirittura negativa! In questi casi il comportamento dei clienti dopo la terapia era meno maturo che in precedenza. Non solo, ma l’osservazione degli amici-giudici non combaciava con l’auto-osservazione del paziente, che si riteneva migliorato! Questa è forse la prima ricerca che mette in evidenza come una terapia fallita possa avere effetti disintegrativi sulla personalità del paziente, che peraltro tenderà a mettere in atto dei comportamenti difensivi per nasconderlo a sé stesso e agli altri.

Barret – Lennard
L’ipotesi da verificare era la seguente: è vero che se in una relazione terapeutica esistono le condizioni di 1) empatia, 2) considerazione positiva incondizionata, 3) congruenza e 4) disponibilità a lasciarsi coinvolgere dal cliente si verificherà un cambiamento terapeutico? Le prime tre condizioni sono quelle indicate da  Rogers come necessarie e sufficienti per il successo terapeutico, quindi la ricerca va proprio al cuore della teoria centrata sul cliente. La quarta invece fu aggiunta da Barret –Lennard. Per valutare il successo terapeutico furono usati varie scale, come l’MMPI e vari test proiettivi, come il TAT ; questi test vennero somministrati prima e dopo a terapia. Per analizzare la relazione fra cliente e terapeuta Barret – Lennard mise a punto uno strumento il Relationship Inventory, un questionario che contiene gli stessi items , ma che ha una formulazione diversa per il cliente e per terapeuta. Tale questionario fu somministrato ai pazienti dopo il 5° colloquio. I risultati mostrarono che l’intensità dell’empatia, della considerazione positiva incondizionata e delle congruenza (da parte del terapeuta) si correla in modo positivo con la modificazione della personalità, rilevata sia con le misurazione “oggettive” ovvero test e questionari che con la valutazione del terapeuta interessato. I risultati erano più marcati con i pazienti maggiormente disturbati. La correlazione più elevata si ebbe con la comprensione empatica, ma anche la considerazione positiva incondizionata e la congruenza registrarono forti correlazioni. Per la disponibilità a farsi coinvolgere si ebbero invece risultati meno significativi. Tra l’altro emersero altri dati interessanti: i terapeuti più sperimentati possedevano le prime 3 qualità in misura maggiore che non i terapeuti meno sperimentati. Per la disponibilità a lasciarsi coinvolgere era vero il contrario. L’ipotesi centrale di Rogers sulle condizioni necessarie e sufficienti ricevette quindi una conferma.

 

Le prospettive future della psicoterapia

 

Riprendendo esplicitamente il lavoro di Goldstein, anche Rogers vede ogni organismo come intrinsecamente motivato verso la realizzazione. “C’è nell’organismo una sorgente di energia, che lo spinge al completamento, alla conservazione e al miglioramento”. Rogers chiama questa spinta motivazionale di base tendenza attualizzante. È questo il fondamento della fiducia di Rogers nella capacità dell’individuo ed è un fondamento di importanza cruciale, al punto tale che si potrebbe riassumere tutto il suo pensiero con la frase “l’uomo è un organismo fondamentalmente degno di fiducia”. Questa tendenza può esprimersi in una vasta gamma di comportamenti e in risposta a una vasta gamma di bisogni. La gerarchia dei bisogni di Maslow cerca di spiegare il fatto che debbono essere in qualche modo soddisfatti certi bisogni fondamentali prima che altri divengano urgenti. Ma per Rogers il concetto principale è che l’uomo è un organismo sempre motivato, sempre intento a qualcosa.
La tendenza attualizzante è visibile in ogni essere vivente, ma è più evidente negli organismi inferiori che nell’uomo; nell’uomo mantiene la possibilità di operare, ma deve fare un percorso più lungo; sulla sua strada si trova l’autocoscienza. Nella persona “ben funzionante” la coscienza è semplicemente il riflesso di una parte del fluire dell’esperienza: non è che questa persona debba essere cosciente di tutto quanto avviene in lui, come un millepiedi che diventi consapevole di tutte le sue zampe. Una tale persona può provare amore o sofferenza e può rappresentare a sé stesso tale sentimento, ma non ci sono barriere, non ha inibizioni che gli impediscano di provare sino in fondo qualsiasi cosa avverta a livello organismico. Un livello di coscienza molto netto, interviene  solo quando il “funzionamento” viene interrotto; il compito maggiore del pensiero cosciente potrebbe essere proprio quello di identificare e di eliminare i fattori che lo chiamano in causa. Il punto di vista di Rogers, in altre parole è che l’uomo sia più saggio del suo intelletto;  egli vede in una luce positiva l’aspetto non conscio della vita umana. La grande tragedia della condizione umana, soprattutto quella Occidentale –dice Rogers- è l’aver perso fiducia nelle forze proprie interiori non coscienti. Se però il pensiero conscio viene considerato come una parte della vita e non una guida, se la capacità di simbolizzare dell’uomo può svilupparsi come una parte della tendenza al completamento che esiste nell’uomo come in ogni altro essere vivente, allora l’armonia “animale” non sarà perduta , ma diverrà un’armonia tipicamente umana, perché la specie umana è capace più di tutte le altre di avere delle ricche esperienze.

 

 

Fonte: http://psicologi-psicoterapeuti.it/blu/listing_documents.php?action=download&download_id=263&id=452

Sito web da visitare: http://psicologi-psicoterapeuti.it

Autore del testo: sopra indicato nel documento di origine

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