Consonanza emotiva nella clown-terapia

Consonanza emotiva nella clown-terapia

 

 

 

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Consonanza emotiva nella clown-terapia

LE EMOZIONI E IL CONTAGIO EMOTIVO

“ Non gusteremmo il comico se ci sentissimo isolati.
 Sembra che il riso abbia bisogno di un’eco”
(Henry Bergson)

1.1 Natura e classificazione delle emozioni

Le Emozioni: un Arcobaleno tra Corpo e Anima

La vita è un “continuum” di emozioni di intensità molto variabili: dalle più leggere e impalpabili, quasi impercettibili, a quelle più forti, intense, quasi “corpose”.
Già da sola, questa è una buona ragione per imparare a conoscerle, riconoscerle, controllarle e gestirle, in modo da esprimere e manifestare al meglio la personalità, in ogni momento della nostra vita. E’ così che consentiamo a noi stessi di avere a disposizione tutte quelle risorse che ci appartengono, proprio in quanto esseri umani, ma che determinate emozioni fanno andare in black-out. Quando siamo noi a gestire le nostre emozioni – e non viceversa – allora siamo in grado di scegliere consapevolmente quali azioni agire. Nell’altro caso, quando cioè siamo pilotati dalle nostre emozioni, trascorriamo la vita – consapevoli o meno – occupati a tempo pieno a re-agire a tutto e a tutti, senza potere scegliere consapevolmente nulla.
Ma non basta, perché è solo conoscendo il nostro mondo emozionale ed accettandolo che siamo in grado di comprendere e di accettare gli altri.

Le Emozioni e termini simili

In ambito psicologico, le emozioni vengono considerate come reazioni ad uno stimolo ambientale, di breve durata, che provocano cambiamenti a tre diversi livelli:
- fisiologico - Ci troviamo di fronte a modificazioni fisiche, fisiologiche, riguardanti la respirazione, la pressione arteriosa, il battito cardiaco, la circolazione, le secrezioni, la digestione, ecc;
- comportamentale - Cambiano le Espressioni Facciali, la postura, il tono della voce e le reazioni;
- psicologico - Si modifica la sensazione soggettiva, si altera il controllo di sé e delle proprie abilità cognitive.

Citazioni
Di seguito sono elencate le citazioni di Daniel Goleman, Sigmud Freud e di Stefan Klein sulle Emozioni:
“Tutte le emozioni sono, essenzialmente, impulsi ad agire, piani di azione di cui l' evoluzione ci ha dotato per gestire rapidamente le emergenze della vita. La radice stessa della parola emozione  è il verbo latino moveo, <<muovere>>, con l’aggiunta del prefisso <<e>> (<<movimento da>>), per indicare che in ogni emozione è implicita una tendenza ad agire.” ……… Queste inclinazioni biologiche a un certo tipo di azione vengono poi ulteriormente plasmate dall’esperienza personale e dalla cultura…  il modo in cui le emozioni sono esibite in pubblico o trattenute, è forgiato dalla cultura.
In senso letterale l’Oxford English Dictionary definisce emozione <<ogni agitazione o turbamento della mente, sentimento, passione: ogni stato mentale violento o eccitato>>. Io  riferisco il termine emozione a un sentimento, ai pensieri, alle condizioni psicologiche e biologiche che lo contraddistinguono, nonché ad una serie di propensioni ad agire. Vi sono centinaia di emozioni, con tutte le mescolanze, variazioni, mutazioni e sfumature. In effetti le parole di cui disponiamo sono insufficienti a significare ogni sottile variazione emotiva.” (Daniel Goleman  - INTELLIGENZA EMOTIVA)
“Esse hanno un ruolo ed una funzione importante nella vita, ma vanno conosciute, esercitate e controllate nella vita di relazione umana.” (Sigmud Freud, IL DISAGIO DELLA CIVILTÀ)
“Un’emozione è una risposta automatica del corpo a una determinata situazione: gli occhi che brillano per il piacere, il volto che arrossisce quando una nostra bugia viene smascherata. Proviamo invece un sentimento quando percepiamo consapevolmente tali emozioni, come gioia o come vergogna.
Le emozioni sono dunque inconsapevoli, mentre i sentimenti sono consapevoli. Noi percepiamo la maggior parte delle emozioni anche come sentimenti, poiché il linguaggio popolare non distingue granché fra le due cose. Ciò nonostante varie emozioni ci rimangono nascoste, per esempio quando arrossiamo e nessuno ce lo fa notare… Conseguiamo quindi coscienza di un’emozione solo dopo che è stata elaborata dal cervello. Ogni sentimento… si fonda sull’elaborazione da parte del cervello di segnali ricevuti dal corpo…”  (Stefan Klein – LA FORMULA DELLA FELICITÀ)
Adesso, attraverso citazioni di altri autori e definizioni tratte da differenti dizionari, vediamo di farci un’idea dei diversi significati dati ai termini Emozioni, Sentimenti, Umore.
Su questi concetti non è stato messo ancora un punto fermo: la ricerca e il dibattito continuano.
Definizioni
Definizioni di Emozione:
“(Emotion). Sentimento; umore; affetto. Nell’uso corrente i termini ‘emozione’ e ‘affetto’ hanno il medesimo significato, anche se alcuni impiegano ‘emozione’ soprattutto per indicare i sentimenti percepiti consciamente e le loro manifestazioni, e ‘affetto’ per comprendere anche  le energie pulsionali che si presume diano origine tanto ai sentimenti consci quanto a quelli inconsci. <<Il modo comune di intendere le esperienze emotive e il loro manifestarsi sul viso o a livello di altre parti del corpo è che l’esperienza emotiva viene suscitata dalla percezione di qualche oggetto e il sentimento emotivo si esprime, quindi, nelle manifestazioni somatiche in questione>> (Enciclopedia Britannica, 14° ed., vol 12, p. 885).” (Hinsie – Campbell – DIZIONARIO DI PSICHIATRIA)
“Reazione affettiva intensa con insorgenza acuta e di breve durata determinata da uno stimolo ambientale. La sua comparsa provoca una modificazione a livello somatico, vegetativo e psichico.” (Galimberti – Dizionario di Psicologia della UTET)
“Termine usato comunemente per indicare ciò che, traendo origine dalla vita istintuale, attiene in modo non mediato al piacere e al dolore, al desiderio di appropriazione e a quello di allontanamento. Le emozioni sono l’aspetto fondamentale e imprescindibile dell’esperire umano: distinguibili in qualche modo dall’aspetto conoscitivo, colorano di sé ogni attimo della vita cosciente in quanto vita affettiva. Esse si esprimono in modo solo parzialmente controllato dalla ragione e dalla volontà; sono legate a modificazioni somatiche, che riguardano soprattutto il sistema nervoso vegetativo, ma vengono identificate essenzialmente come dato soggettivo e preriflessivo, suscettibile solo di essere vissuto nella sua immediatezza….” (ENCICLOPEDIA EUROPEA GARZANTI – Vol 4)
“s.f. Vistoso turbamento provocato da commozione o da apprensione…..” (G.Devoto – G.C. Oli – DIZIONARIO ILLUSTRATO DELLA LINGUA ITALIANA) 
Definizioni di Sentimento:
(Feeling; Sentiment) Termine usato da molti <<con speciale riferimento a uno soltanto dei tre tipi di processo in cui viene oggi normalmente classificata la vita mentale, cioè con riferimento a quella parte che riguarda il ‘sentire’ nel senso più stretto del termine, distinto dal ‘conoscere’ e dal ‘volere’. In questo senso è talvolta chiamato ‘affetto’ e si contrappone a ‘cognizione’ e a ‘conato’>> (Flugel, J.C.)” (Hinsie – Campbell – DIZIONARIO DI PSICHIATRIA)
“Risonanza affettiva… più duratura dell’Emozione, con cui il soggetto vive i propri stati soggettivi e gli aspetti del mondo esterno.” (Galimberti – Dizionario di Psicologia della UTET)
“ s.m. 1. Momento della vita interiore, pertinente al mondo degli affetti e delle emozioni: s. di gioia, di orgoglio,..  di pietà, di vendetta. 2 L’affettività, talvolta in quanto contrapposta all’intelletto o alla ragione, spesso anche in quanto indicativa del carattere o dell’etica individuale: lasciarsi guidare dal s.; un giovane di s. onesti… 3 La facoltà di compiere determinati atti o di averne la coscienza o il controllo: il malato è fuori di s.” (G.Devoto – G.C. Oli – DIZIONARIO ILLUSTRATO DELLA LINGUA ITALIANA) 
Definizioni di Umore:
La parola umore derivò a noi naturalmente dal latino e col senso materiale che essa aveva di corpo fluido, liquore, umidità o vapore, e col senso anche di fantasia, capriccio o vigore.
“(Mood). Tono affettivo di base; disposizione emotiva generale. Indica uno stato ‘più durevole delle reazioni affettive, seppure modificabile dall’ambiente (Bini, L. Bazzi, T.) Lo stato dell’umore in un certo momento è, quindi, il tono affettivo, la disposizione emotiva generale in quel momento. L’umore fondamentale di una persona, inteso come sua caratteristica relativamente costante, è un concetto che alcuni autori chiamano anche temperamento. (M. C., G. Z.)” (Hinsie – Campbell – DIZIONARIO DI PSICHIATRIA)
“Tonalità di base dell’Affettività. Questa definizione si riferisce all’umore di fondo… con tratti di durevolezza e relativa indipendenza… dagli stimoli esterni.” (Galimberti – Dizionario di Psicologia della UTET)
2. fig … disposizione dell’animo, sia con riferimento alle qualità costanti dell’indole….. che a stati d’animo transitori…. Talvolta, la disposizione d’animo di una o più persone di fronte ad un dato fatto…”(G.Devoto – G.C. Oli – DIZIONARIO ILLUSTRATO DELLA LINGUA ITALIANA)
 Le Famiglie delle Emozioni
A proposito delle famiglie delle emozioni ecco cosa scrive Goleman:
“I ricercatori continuano a discutere su quali precisamente possano essere considerate le emozioni primarie – il blu, il rosso e il giallo del sentimento dai quali derivano tutte le mescolanze – o perfino sull’esistenza di tali emozioni primarie. Alcuni teorici propongono famiglie emozionali fondamentali, anche se non tutti concordano nell’identificarle.”….
Ed ecco come vengono da lui raggruppate all’interno di otto famiglie principali:
*Collera: furia, sdegno, risentimento, ira, esasperazione, indignazione, irritazione, acrimonia, animosità, fastidio, irritabilità, ostilità e, forse al grado estremo, odio e violenza patologici.
*Tristezza: pena, dolore, mancanza d’allegria, cupezza, malinconia, autocommiserazione, solitudine, abbattimento, disperazione e, in casi patologici, grave depressione.
*Paura: ansia, timore, nervosismo, preoccupazione, apprensione, cautela, esitazione, tensione, spavento, terrore; come stato psicopatologico, fobia e panico.
*Gioia: felicità, godimento, sollievo, contentezza, beatitudine, diletto, divertimento, fierezza, piacere sensuale, esaltazione, estasi, gratificazione, soddisfazione, euforia, capriccio e, al limite estremo, entusiasmo maniacale.
*Amore: accettazione, benevolenza, fiducia, gentilezza, affinità, devozione, adorazione, infatuazione, agape.
*Sorpresa: shock, stupore, meraviglia, trasecolamento.
*Disgusto: disprezzo, sdegno, aborrimento, avversione, ripugnanza, schifo.
*Vergogna: senso di colpa, imbarazzo, rammarico, rimorso, umiliazione, rimpianto, mortificazione, contrizione.
A dire la verità questo elenco non risolve ogni problema di classificazione delle emozioni….. Non ci sono risposte chiare: il dibattito scientifico sulla classificazione delle emozioni prosegue.” (Daniel Goleman – INTELLIGENZA EMOTIVA)

Nonostante l’impressione soggettiva che le informazioni vengano elaborate sequenzialmente, è dimostrato che il cervello umano è capace di elaborazione parallela (Gazzaniga, 1985; Le Doux 1986, Ohman, 1988: Papez, 1937).
Ad esempio mentre intratteniamo una conversazione, possiamo anche osservare continuamente le reazioni emotive del nostro interlocutore a ciò che diciamo. Possiamo leggere automaticamente e inconsciamente sul suo viso, attimo per attimo, informazioni sul suo stato emotivo. Starà provando felicità, amore, rabbia o paura? Disponiamo di una quantità di impercettibili indicatori (ad esempio movimenti dei muscoli facciali, “micro-espressioni”, espressioni tortuose, tempismo delle reazioni, ecc.) per stabilire se l’altro sta mentendo o dicendo la verità (Ekman, 1985). Si possono ottenere anche informazioni emozionali di altro genere. Ascoltando una persona che parla disponiamo di utili indicatori emotivi, come il volume della voce, la cadenza e la velocità di elocuzione, il tono, le esitazioni, le scelte lessicali e le pause del discorso.
Possiamo rilevare anche il modo in cui gli altri stanno in piedi, gesticolano, muovono le gambe, le mani e i piedi. Osservazioni di questo genere vengono fatte tanto di frequente che  tendono a diventare automatiche; ossia le informazioni vengono elaborate rapidamente, con un minimo impegno di risorse cognitive e un impatto minimo sulla sfera consapevole.

Intelligenza Emotiva

L'emozione è qualcosa che muove, è un segnale d'azione, è provare sensazioni intense e sentirsi vivi, reagire d'istinto come facevano i primi esseri viventi di fronte al pericolo (combattevano o fuggivano) e come facciamo noi stessi quando le situazioni di emergenza non consentono di perder tempo in ragionamenti e richiedono una reazione immediata, d'istinto appunto.
I processi emotivi sono più rapidi di quelli razionali, motivo per il quale, quando riusciamo ad avere la padronanza delle nostre emozioni, manifestiamo una grande capacità : significa che l'esperienza della vita ci ha insegnato moltissimo.
Avere autocontrollo non significa reprimere le nostre emozioni, che è in assoluto la cosa peggiore che potremmo fare, bensì la dimostrazione che siamo riusciti ad integrare le potenzialità  emotive con quelle razionali, l'emisfero cerebrale destro con quello sinistro. In poche parole siamo all'avanguardia nell'utilizzo del corpo e della mente.
Sviluppando le competenze emotive (consapevolezza, padronanza di sé, empatia, motivazione, abilità sociali), aumentiamo le nostre chance di successo nella vita e nel lavoro! Forse è il caso di meditare su questa verità, ormai condivisa da filosofi e da scienziati e, dopo aver meditato, agire tendendo al miglioramento personale.

  

Il contagio emotivo
Il contagio emotivo può essere meglio concettualizzato come una famiglia di fenomeni neurofisiologici, sociali e comportamentali determinata da più fattori, perché può essere prodotto da stimoli innati (ad esempio le espressioni e le azioni di una madre che nutre l’infante), da stimoli acquisiti e/o da simulazioni o immagini mentali.
Diciamo inoltre che il contagio emotivo rappresenta una famiglia di fenomeni perché esso può manifestarsi sotto forma di risposte agli stimoli che possono essere simili ( come quando ad esempio i sorrisi suscitano altri sorrisi) o complementari (come nel caso dell’individuo pauroso, che si ritrae alla vista di un pugno sollevato minacciosamente, una reazione che alcuni definiscono contagio emotivo inverso o controcontagio).
Inoltre il contagio emotivo è un fenomeno articolato su più livelli: gli stimoli scatenanti possono originare da un individuo, agire su uno o più individui diversi e generare emozioni corrispondenti o complementari (consapevolezza dello stimolo; espressioni facciali, vocali e gestuali-posturali; attività neurofisiologica e del sistema nervoso autonomo, evidenti reazioni comportamentali).
Pertanto, una conseguenza importante del contagio emotivo è una sincronizzazione dell’attenzione, della sfera emotiva e del comportamento che, per le entità sociali (coppie, gruppi), riveste la stessa utilità adattiva che l’emozione assume per l’individuo. Nel contagio emotivo primitivo, il fenomeno è relativamente automatico, involontario, incontrollabile e in larga misura inaccessibile alla coscienza del soggetto. Esso viene definito come «la tendenza a imitare e a sicronizzarsi automaticamente con le espressioni facciali, vocali, posturali e gestuali di un’altra persona e, quindi, a convergere emotivamente».
Questa tendenza è quella riscontrata nella maggior parte dei degenti degli ospedali e case di cura dove VIP svolge la “missione” di volontariato con la clown-terapia.  

1.2 COME SI POSSONO ASSORBIRE LE EMOZIONI ALTRUI

Teoricamente le emozioni possono essere assorbite in diversi modi, attraverso:

  1. processi cognitivi coscienti
  2. risposte emotive condizionate e non condizionate
  3. imitazione-feedback

 

- i primi che studiarono il problema di  come le emozioni possono trasmettersi da un individuo all’altro, chiamarono in causa complessi processi cognitivi attraverso i quali l’uomo può sapere e provare quel che provano gli altri. Essi ipotizzarono che questa trasmissione potesse essere spiegata da un’attività razionale, analitica e immaginativa a livello cosciente.
Uno dei meccanismi che i teorici hanno evidenziato nel tentativo di spiegare la trasmissione delle emozioni è l’elaborazione cosciente delle informazioni: l’individuo immagina cosa proverebbe se fosse nella situazione di un altro e così giunge a condividerne le sensazioni.
- alcuni ricercatori hanno suggerito che il contagio emotivo possa derivare da processi associativi più elementari , ossia da risposte emotive condizionate e non-condizionate che possono essere simili o molto diverse da quelle di chi le innesca: contagio emotivo primitivo o complementare.
- un altro meccanismo, basato sull’imitazione e sul feedback, ha ricevuto finora minore attenzione come possibile causa di contagio emotivo primitivo. Questo meccanismo psicologico può essere compendiato come segue:
Assunto 1: nella conversazione gli individui tendono continuamente e automaticamente a imitare e sincronizzarsi con l’espressione facciale , la voce. La postura, i movimenti e i comportamenti strumentali degli altri.
Assunto 2: le esperienze emotive soggettive sono influenzate, istante per istante, dall’attivazione di tale imitazione e/o dal relativo feedback.
Assunto 3: dati gli assunti 1 e 2, gli individui tendono ad “assorbire” le emozioni altrui istante per istante. Ecco quello che si chiama empatia.
Il termine “empatia” è stato usato in riferimento ad almeno tre condizioni distinte:

  1. come conoscenza di ciò che un altro sente;
  2. come percezione di ciò che un altro sente;
  3. come risposta solidale alle sofferenze di un altro

Sono stati suggeriti vari meccanismi di contagio emotivo, alcuni dei quali sono capaci di produrre la trasmissione automatica di sentimenti tra individui.
Questi ultimi vanno dalle risposte emotive condizionate e non-condizionate all’imitazione e alla sincronia reciproche.  

1.3 I MECCANISMI DEL CONTAGIO EMOTIVO

È stato definito il contagio emotivo come una famiglia di fenomeni psicofisiologici, comportamentali e sociali determinata da più fattori. È documentata l’esistenza di una forte tendenza a imitare le espressioni, le vocalizzazioni, le posture e i movimenti degli altri e a sincronizzarsi con questi atti.
Un’altra conseguenza importante ma spesso sottovalutata dell’imitazione è la tendenza delle azioni imitate a sviluppare una convergenza emotiva tra gli interagenti, un concetto così compendiato nell’assunto 2:
Le esperienze emotive soggettive sono influenzate, istante per istante, dall’attivazione di tale imitazione e/o dal relativo feedback.

L’esperienza emotiva soggettiva può essere influenzata:
a) in primo luogo, dagli impulsi del sistema nervoso centrale che controllano questa imitazione/sincronia;
b) dal feedback di tale imitazione/sincronia facciale, vocale e posturale; o ancora;
c) da processi di autopercezione cosciente nei quali gli individui fanno deduzioni intorno ai propri stati emotivi sulla base del proprio comportamento espressivo.
I ricercatori hanno raccolto una notevole quantità di prove dello stretto collegamento tra esperienza emotiva ed espressività somatica. Saranno esaminate alcune teorie relative ai motivi per cui l’esperienza emotiva dovrebbe prendere forma in base all’attività specifica dei muscoli scheletrici.

Ipotesi del feedback facciale
Charles Darwin (1872-1965) era del parere che l’esperienza emotiva dovesse essere fortemente influenzata  dal feedback proveniente dai muscoli facciali.
“Dando libero sfogo ai segni esteriori di un’emozione, la si intensifica. Viceversa, la repressione nei limiti del possibile di ogni loro segno esteriore attenua le nostre emozioni”(p. 365)

William James (1890-1984) suggerì che l’uomo derivasse le proprie emozioni dalla percezione delle sue reazioni muscolari, ghiandolari e viscerali; inoltre sosteneva che “la nostra vita psichica sia intessuta, nel senso letterale del termine, nella nostra struttura corporea”.

Silvan Tomkins (1962-1963) suggeriva che l’esperienza emotiva dipendesse principalmente dall’espressione facciale naturale: “ il viso esprime emozioni che raggiungono gli altri e noi stessi mediante in feedback, che è più veloce e complesso di qualsiasi stimolazione di cui siano capaci i visceri…l’attività grossolana e lenta caratteristica del sistema degli organi interni fa da contrappunto alla melodia del volto, che ha l’importanza dello strumento solista”.
Tomkins riteneva che ogni emozione fosse associata ad un determinato assetto di espressioni facciali: la gioia è una sensazione diversa dalla tristezza perché un viso sorridente è percepito diversamente rispetto a un viso rabbuiato. Gli individui sanno quel che stanno provando entrando in sintonia con le loro espressioni facciali, e sanno quanto sono intense le loro emozioni entrando in sintonia con le reazioni del loro SNA.
Carroll Izard (1971-1990) ha sostenuto che l’emozione deriva dall’interazione di tre componenti distinte: l’esperienza soggettiva, l’attività neurale e l’attività dei muscoli volontari (soprattutto di quelli del volto).
Per concludere, si può affermare che la vista di un volto felice, innamorato, triste o spaventato possa far sì che l’osservatore imiti le espressioni di quel volto e, conseguentemente, assorba le emozioni a esse collegate.
Anche Paul Ekman ha osservato che le emozioni potrebbero essere plasmate da un’attività imitativa del genere, e ha rilevato che questa potrebbe essere la ragione per cui l’allegria o il dolore sono contagiosi.
Anche il feedback vocale può influenzare l’esperienza emotiva. Va detto che dei ricercatori nel campo delle comunicazioni (Clynes,1980; Scherer, 1982) hanno documentato che le emozioni elementari sono associate a specifiche configurazioni di intonazione, timbro, cadenza e scansione delle pause: ad esempio i suoni gioiosi hanno le caratteristiche del riso; quelli tristi , del pianto; quelli associati all’amore ricordavano dei teneri sospiri; quelli associati alla rabbia erano rumori aspri, di gola; quelli associati alla paura erano serie di grida e ansiti brevi e concitati.
I teorici hanno rilevato da molto tempo che gli atteggiamenti emotivi si riflettono sulla postura del corpo. Francis Galton (1884) riteneva che si potesse valutare quanto dei commensali fossero attratti gli uni dagli altri misurando l’orientamento del loro corpo. Anche Nina Bull (1951) ha osservato che gli atteggiamenti comprendono componenti sia motorie che mentali, e che queste sono strettamente collegate. Alcune posture tipicamente collegate ad emozioni sono ad esempio:
- depressione: pesantezza in tutto il corpo; sensazione di abbattimento nel torace.
- paura: corpo irrigidito; fatica a respirare.
- ira: muscoli delle mani e delle braccia tesi; mascella irrigidita.
- gioia: rilassamento e leggerezza di tutto il corpo.

La psicofisiologa Susana Bloch e alcuni suoi colleghi (Bloch, Orthous e Santibanez, 1987) hanno preparato attori della scuola di arte drammatica dell’Università del Cile a suscitare in sé e a proiettare le emozioni fondamentali (felicità, erotismo, tenerezza, tristezza, rabbia e paura) affidandosi al feedback facciale, respiratorio e posturale.
La Bloch ha ipotizzato quanto segue:

“Ogni  emozione elementare può essere suscitata da una particolare configurazione composta di: 1) un tipo di respirazione, caratterizzato dalla profondità e dalla frequenza degli atti respiratori; 2) un’attivazione muscolare caratterizzata dalla contrazione o dal rilassamento di gruppi muscolari specifici, definita da una particolare postura; 3) una espressione o imitazione facciale caratterizzata dall’attivazione di gruppi specifici di muscoli facciali”.

Gli attori hanno imparato come avvertire le sei emozioni basilari eseguendo l’attività respiratoria, posturale e facciale associata a ciascuna di esse. Con la pratica, ha osservato l’autrice, gli attori non avrebbero più avuto bisogno di provare le emozioni; sarebbero stati in grado di esprimere il “pacchetto emotivo” richiesto a loro piacimento.

Riepilogando si può allora affermare che l’esperienza emotiva dell’uomo sembra effettivamente influenzata, istante per istante, dall’attivazione dell’imitazione facciale, vocale, posturale e gestuale e/o dal relativo feedback.

Dagli assunti 1 e 2 si giunge a confermare l’assunto 3, i, quale afferma che le persone tendono ad «assorbire» le emozioni altrui, momento per momento.
Esperti in numerose discipline hanno fornito varie prove a sostegno di tale assunto.
Gli etologi ritengono che l’imitazione dell’espressione emotiva costituisca una forma filogeneticamente antica e fondamentale di comunicazione tra le specie. Tale contagio si manifesta in molte specie di vertebrati (Brothers, 1989).
Negli anni 50 molteplici studi hanno dimostrato che gli animali sembrano effettivamente assorbire le emozioni altrui.
Anche nel campo della psicologia evolutiva molti studiosi si sono interessati al contagio emotivo primitivo, all’empatia e alla simpatia (Eisenberg e Strayler, 1987).
La sequenza dello sviluppo sembrerebbe essere la seguente:
Gli studi hanno dimostrato che a partire dai primi mesi di vita fino al compimento del primo anno, i bambini reagiscono al dolore dei loro simili come se fossero coinvolti in prima persona. Intorno all’anno di età i bambini iniziano a rendersi conto che il dolore viene provato da qualcun altro.
Entro i due anni e mezzo i piccoli si rendono chiaramente conto che il dolore degli altri è differente dal proprio, e sono quindi in grado di confortarli nel modo giusto.(Goleman, 1989).
Inoltre è stato ampiamente dimostrato come i genitori e i figli siano in grado di comunicare emotivamente gli uni con gli altri sin dalla nascita. Essi si imitano vicendevolmente le espressioni facciali, le voci e i movimenti; così facendo, riescono a conoscere e/o  provare ciò che l’altro sta provando. In particolare Martin Hoffman (1987) scrisse:

«I bambini possono provare angoscia empatica attraverso i più semplici modelli di attivazione…molto prima che loro avvertano la percezione degli altri in quanto distinti da se stessi…I bambini sembrano anche assorbire le paure e le ansie dei propri genitori (p. 51)».

1.4 IL CORPO DICE CHI SIAMO: LA FISIOGNOMICA

Quando si parla, soltanto il 20% della comunicazione è verbale, cioè avviene tramite le parole, mentre il 55% dipende dal linguaggio del corpo e il 25% dal modo di fare, di comportarsi.
I gesti, il modo di ascoltare o di guardare, l’abbigliamento, persino la pettinatura trasmettono messaggi. Così come i movimenti inconsapevoli, i gesti istintivi, persino il modo di sedersi, di camminare, di guidare, forniscono a chi sa interpretarli un mucchio di informazioni interessanti per capire qualcosa in più su se stessi e gli altri.
Non solo: la comunicazione non-verbale è quella più efficace. Ciò spiega perché talvolta esprimiamo un giudizio positivo o negativo di una persona appena conosciuta. Frasi come “mi ha subito ispirato fiducia” o  “non so perché ma non mi è simpatico” indicano che l’altro ti ha trasmesso dei segnali raccolti dall’inconscio e che per interpretarli non occorre essere esperti psicologi: inconsapevolmente tutti possiamo farlo.
La fisiognomica è una disciplina pseudoscientifica che pretende di dedurre i caratteri psicologici e morali di una persona dal suo aspetto fisico, soprattutto dai lineamenti e dalle espressioni del volto. Il termine deriva dalle parole greche physys (natura) e gnosis (conoscenza). Fin dal XVI secolo questa disciplina godette di una certa considerazione tanto da essere insegnata nelle università. La parola fisionomia è collegata a questi concetti ma in seguito venne usata fra gli studiosi la parola fisiognomica per distinguerla dall'idea di fisionomia.
Esistono due principali tipi di fisiognomica:

  • la fisiognomica predittiva assoluta, che sostiene una correlazione assoluta tra alcune caratteristiche fisiche (in particolare del viso) ed i tratti caratteriali; queste teorie non godono più di credito scientifico.
  • la fisiognomica scientifica, che sostiene una qualche correlazione statistica tra le caratteristiche fisiche (in particolare del viso) ed i tratti caratteriali a causa delle preferenze fisiche di una persona dovute al comportamento corrispondente. La correlazione è dovuta al rimescolamento genetico. Questo tipo di fisiognomica trova fondamento nel determinismo genetico del carattere.

1.5 LA GIOIA COME EMOZIONE POSITIVA
L'uomo è soprattutto alla ricerca di quelle sensazioni ed emozioni che lo facciano star bene e lo appaghino, in una parola è alla ricerca di quello stato emotivo di benessere chiamato felicità.
Chi sono le persone felici? Sembra che le caratteristiche maggiormente associate alla felicità siano quelle relative alla personalità quali ad esempio estroversione, fiducia in se stessi, sensazione di controllo sulla propria persona e il proprio futuro. Sono le emozioni che ci fanno gustare la vita. La felicità, e dunque la gioia, sono anche legate al numero  e all’intensità delle emozioni positive come evento o processo emotivo improvviso e piuttosto intenso.
Cosa succede quando si è felici? 

  • Si sentono con maggiore intensità le sensazioni corporee positive
  • Le persone felici si sentono più libere e spontanee
  • Si ha un’attivazione generale dell’organismo
  • Chi è felice sorride spesso

Gli stati d'animo positivi possono influire in modo considerevole sia sul comportamento sia sui processi di pensiero. Le emozioni sono componenti fondamentali della vita, da esse, sovente, si traggono gli stimoli che muovono le giornate. Ogni singola emozione è importante e permetta a chi la sperimenta di sentirsi vivo. La gioia è data da un senso di appagamento generale e la sua intensità varia a seconda del numero e della forza delle emozioni positive che un individuo sperimenta. Questo stato di benessere, soprattutto nella sua forma più intensa, non solo viene esperito dall'individuo, ma si accompagna da un punto di vista fisiologico, ad una attivazione generalizzata dell'organismo. 
Molte ricerche mettono in luce come essere felici abbia notevoli ripercussioni positive sul comportamento, sui processi cognitivi, nonché sul benessere generale della persona. 
 Gli studi  evidenziano come la felicità non dipenda tanto da variabili anagrafiche come l'età o il sesso, né in misura rilevante dalla bellezza, ricchezza, salute o cultura.  
Le emozioni sono componenti fondamentali della nostra vita, danno colore e sapore all'esistenza, anche se, in una civiltà come quella occidentale impostata sul primato della ragione, spesso sono considerate con sospetto e timore. Del resto non potrebbe essere altrimenti: infatti se la ragione promette all'uomo il dominio su se stesso e le cose, le emozioni spesso producono turbamento e conflitto, non sono mai totalmente controllabili e a volte ci trascinano a dire o fare cose di cui,una volta cessato l'impeto emotivo, ci si pente. 
Eppure, ed è proprio dalle emozioni, piccole o grandi che siano, che l'individuo spera di ricavare nuovi stimoli che muovano le sue giornate. Del resto come si potrebbe dire di vivere appieno se non si sperimentassero mai la gioia, il tremito dello smarrimento o della  l'impeto della passione, l'abbandono alla nostalgia, il peso e la disperazione provocate dalla sofferenza?. 
Tuttavia, seppur ogni singola emozione sia importante e permetta a chi la sperimenta di sentirsi vivo, l'uomo è soprattutto alla ricerca di quelle sensazioni ed emozioni che lo facciano star bene e lo appaghino.
Il tema della felicità appassiona da sempre l'umanità: scrittori, poeti, filosofi, persone comuni, ognuno si trova a pensare, descrivere, cercare questo stato di grazia. La felicità a volte viene descritta come contentezza, soddisfazione, tranquillità, appagamento a volte come gioia, piacere, divertimento.
 Ma cosa succede dentro e fuori di noi quando siamo felici?
Alcuni autori riportano che le sensazioni esperite con più frequenza dalle persone che si trovano in una condizione di felicità o di gioia sono quelle di e con minore intensità la fatica fisica, di sperimentare uno stato di attenzione focalizzata e concentrata, di sentirsi maggiormente consapevoli delle proprie capacità.
Spesso, riferiscono una sensazione di benessere in relazione a se stesse e alle persone vicine e infine descrivono il mondo circostante in termini più significativi e colorati.
Uno sguardo luminoso e aperto è la manifestazione comportamentale più rappresentativa, inconfondibile e universalmente riconosciuta della felicità e della gioia. 
Probabilmente chiunque, passando in rassegna le persone che gli sono vicine, è in grado di identificare tra tutte un amico, un parente o un conoscente che è considerato da tutti la persona felice per antonomasia, la persona che non perde il buonumore anche quando deve affrontare delle situazioni difficili o fastidiose, quella che ha sempre la battuta pronta e che sembra serena in ogni circostanza. La persona estroversa è più felice perché ha più rapporti sociali, fa amicizie più facilmente, partecipa ad un maggior numero di attività pubbliche e collettive dove trova maggiori motivi di interesse e divertimento. Inoltre una persona felice è anche una persona che sta bene con se stessa e che ha fiducia nelle sue capacità e percepisce una fondamentale congruenza tra ciò che è e ciò che vorrebbe essere. In sostanza, più le persone riescono ad accettarsi per quello che sono, con tutti i loro pregi e i loro limiti, più sono felici. Analogamente, quanto più una persona ritiene di poter ragionevolmente controllare gli eventi che gli accadono nella sua vita affettiva, sociale, lavorativa, più è felice, e in particolar modo, è più felice di chi si considera in balia del caso o degli altri. E' poi ovvio che tutto questo si ripercuota positivamente sullo star bene dell'individuo con se stesso e gli altri. 
In effetti quando le persone sono di buon umore pensano alle cose in modo molto diverso rispetto a quando sono di cattivo umore. Ad esempio, si è trovato che il buon umore porta a descrivere in modo positivo gli eventi sociali a percepirsi come socialmente competenti, a provare sicurezza in se stessi e autostima.
Da questo punto di vista non c'è da stupirsi che infatti, hanno trovato una correlazione diretta tra grado di buonumore e probabilità stimata di eventi positivi.
In presenza di uno stato d'animo positivo, non solo il mondo sembra più colorato e desiderabile e le azioni più facili, ma anche le persone che ci circondano sembrano migliori. 
E' forse per questo che molti esperimenti rilevano come le persone felici siano più disponibili, generose e altruiste e provochino negli altri una maggior simpatia. 
In ultimo, per quanto riguarda gli aspetti cognitivi, si è visto che il buon umore ha degli effetti positivi sulle capacità di apprendimento e di memoria e sulla creatività: in sostanza quando si è felici si apprende con più facilità, in misura maggiore e in modo più duraturo e inoltre si è maggiormente creativi nella soluzione dei problemi. 
Inoltre quando si è felici si tende a valutare più positivamente la propria persona: ci si sente pieni di energia, si considerano meno gravi i propri difetti e si pensa meno alle proprie difficoltà. In ultimo, si è visto che più si è felici più si curano e si allargano i propri interessi sociali e artistici, si pone maggiore attenzione alle questioni politiche generali, ci si sente più inclini ad accettare dei compiti nuovi e stimolanti, anche se difficili.

 

1.6 IL RISO E IL SORRISO

 Il riso nell’antichità
Occuparsi approfonditamente del riso, considerandone minuziosamente le principali interpretazioni del passato, non è un compito semplice, né rientra negli intenti del presente capitolo; in questa sede ci si propone semplicemente di dare una panoramica degli studi, allo scopo di evidenziare la costante attenzione di cui esso gode e di osservare l’evoluzione del pensiero al riguardo, riscontrando gli aspetti maggiormente presi in esame dai grandi pensatori. Con questa premessa si vuole pertanto puntualizzare che, nell’effettuare la breve rassegna a cui accenna il titolo, non si è avuta alcuna pretesa di completezza ed esaustività.
Un’ulteriore precisazione si impone anche per quanto riguarda i vocaboli utilizzati; spesso, infatti, l’espressione riso viene sostituita con sinonimi o parole affini e questo è semplicemente dovuto alla necessità di evitare continue ripetizioni od alla scelta di attenersi alla terminologia utilizzata dagli autori trattati.
Ora, dopo essersi occupati dei necessari chiarimenti, è possibile addentrarsi nel cuore del discorso.
Nell’antichità si rileva una discreta attenzione per il fenomeno del riso, oltre che in alcuni miti e detti popolari, anche nel pensiero di alcuni filosofi. Nel trattare di questi studiosi si è scelto di seguire la linea interpretativa del sociologo Peter Berger, in quanto ritenuta adeguata al fine di effettuare una breve ma significativa analisi delle loro posizioni. Egli riscontra, anzitutto, una relativa scarsità di scritti circa la tematica in questione nell’epoca considerata e, nel tentativo di dare una spiegazione al riguardo, rileva la fragilità dell’esperienza comica, il suo sfuggire ad ogni tentativo di conoscenza razionale; evidenzia, inoltre, l’opinione condivisa da molti che, dato il reciproco escludersi di serio e comico, quest’ultimo non può rientrare nelle questioni serie e rimane perciò relegato ad aspetto marginale.  Fortunatamente le più illustri menti non si sono comunque esonerate dal soffermarsi a riflettere, anche solo brevemente, sul tema del riso. In sintonia con l’analisi compiuta da Berger, si è scelto di occuparsi principalmente delle opinioni di due noti filosofi: Platone ed Aristotele.
Accingendosi a considerare il pensiero di Platone, occorre subito chiarire il fondamentale valore che la sua teoria sul riso assume, per il semplice fatto di essere comunemente ritenuta la più antica. Entrando poi nel vivo della sua riflessione, è utile esaminare i commenti espressi circa la commedia, ritenuta in grado di rallegrare attraverso la messa in scena delle disgrazie altrui. Il filosofo, osservando come tendenzialmente si ride dinnanzi alle disavventure, soprattutto di coloro che si credono superiori, ipotizza la presenza nel riso di una componente maliziosa e ciò può forse spiegare perché egli nutre dei dubbi sulla risata. In particolare Platone teme che essa possa avere effetti negativi sul buon andamento delle istituzioni, compromettendone l’autorità.
Aristotele si avvicina al pensiero di Platone nel ritenere che si ride delle debolezze di coloro che si ritengono migliori, ma apporta ulteriori importanti contributi alla riflessione in atto. Egli sostiene infatti che, fra gli esseri viventi, solo l’uomo conosce il riso e definisce poi il ridicolo come qualcosa di “brutto”, che non può però causare dolore né danno per il fatto di garantire una certa astrazione dalla realtà; indica inoltre nella sorpresa e nell’inaspettato importanti fattori in grado di suscitare la risata. Anche Aristotele, infine, sembra sospettoso nei confronti del riso, poiché suggerisce moderazione e mette in guardia da un eccesso.
Le considerazioni dei filosofi appena esaminati hanno grande risonanza in tutta l’epoca antica e lo dimostra il fatto che molti altri studiosi le prendono attentamente in considerazione; nonostante questo vivo interesse non si ottengono però risultati di rilievo.
Cicerone ben esemplifica questa tendenza limitandosi perlopiù a richiamare concetti già espressi e dunque consigliando agli oratori di porre attenzione nell’uso dello scherno, per non correre il rischio di offendere i sentimenti altrui e riscontrando nell’ambiguità un elemento di rilievo del comico.
Il riso continua ad essere studiato con un approccio appesantito da scrupoli di carattere morale anche con il primo cristianesimo e con il pensiero medievale, senza che molto sia aggiunto alle intuizioni precedenti; solo con l’avvicinarsi dell’era moderna fanno finalmente la loro comparsa nuove tematiche ed idee.
Importante a questo riguardo è senz’altro il pensiero di Erasmo da Rotterdam; l’autore dell’Elogio della follia ritiene l’esperienza comica in grado di aprire ad un punto di vista diverso e probabilmente più profondo sulle cose e guarda al riso come ad un mezzo in grado di svilire i potenti, permettendo l’osservazione dei lati nascosti della realtà e conseguentemente una miglior comprensione del mondo. A parere di Erasmo chi ride è intelligente perché, consapevole delle manovre dei potenti volte ad oscurare alcuni aspetti del reale, usa contro di essi lo strumento della derisione. Alla luce di queste osservazioni si può perciò ipotizzare come alla base della tendenza a screditare il riso vi è probabilmente il timore nella sua capacità di sconsacrare il potere .
Prima di passare ad analizzare gli studi dell’epoca moderna, è necessario fare cenno ad alcune considerazioni provenienti sempre dall’antichità, ma da personaggi legati al mondo della medicina. Pare, infatti, che la scienza medica, sin dai suoi albori, suggerisce un atteggiamento allegro con i pazienti, allo scopo di sollevarli dalle sofferenze; questo, perlomeno, è quanto asserisce Ippocrate, uno dei primi medici della storia . Più tardi, altri medici hanno ulteriormente sviluppato l’argomento, affermando l’importanza della risata per le sue presunte virtù anestetiche .
Concludendo, è curioso notare come persino un proverbio biblico sembra sostenere il ruolo del riso nel farci sentire meglio, recitando: “Un cuore lieto fa bene al corpo”.

Il riso come simbolo di vita
In quanto esplosione di energia vitale la risata è stata sempre simbolicamente associata alla vita e alla fecondità quindi anche al piacere e alla gioia di vivere.
E proprio perché rappresenta il pulsare di una libera vitalità, essa veniva puntualmente contrapposta alla morte.
Troviamo molti miti - studiati in tutto il mondo da Levi Strass- in cui se un vivo per esempio uno sciamano, attraversa il regno dei morti, deve stare molto attento a non ridere. La risata è un segnale di vita ed è quindi un tabù nel regno delle ombre.
Questo aspetto è poi presente anche nei rituali d’iniziazione che si trovano nelle culture africane, nei miti eschimesi, siberiani.
Il rito dell’iniziazione, in cui si passa da uno stadio all’altro (per esempio da quello infantile a quello adulto), ha il valore simbolico della “messa a morte“ del precedente stato e della nascita della nuova condizione. C’è quindi un attraversamento simbolico della morte: per questo motivo il riso è vietato ai partecipanti.
In contrapposizione a questa usanza, ecco i rituali che segnalano la nascita, in cui è invece obbligatorio ridere, perché la risata è affermazione della vita. Molti sono i racconti i miti – per esempio quella della dea russa del parto – e anche rituali in cui la partoriente e le persone che le stanno vicino, compresa la levatrice mentre opera, devono ridere.

Ridere e sorridere
Il dizionario della lingua italiana, alla voce “ridere” sentenzia: ”Mostrare allegrezza, specialmente spontanea e improvvisa, con particolare contrazione e increspamento dei muscoli della faccia ed emissione di suoni caratteristici”.
Questa spiegazione, in realtà, non aumenta di molto le nostre conoscenze. Possiamo allora considerare quelli che sono i due poli all’interno dei quali il ridere si manifesta: la risata e il sorriso.
Ma che cos’è la risata? È l’elemento fondamentale del ridere. Essa è formata da una serie regolare di brevi monosillabi di timbro vocalico che, solitamente, sono rappresentati graficamente con: Ah – Ah, Eh – Eh, Ih – Ih, Oh – Oh, Uh – Uh.
Sa tratta di parole monosillabiche che fanno parte del vocabolario universale dell’uomo e che sono prodotte e riconosciute da tutti, indipendentemente dalla cultura (quindi dalla lingua) di chi le utilizza.
La risata costituisce, pertanto, una forma istintiva di comportamento geneticamente programmato. Ridendo vengono emessi dei suoni che manifestano emozioni provenienti dalla profondità biologica dell’individuo. La risata può essere considerata una funzione comunicativa bivalente. Infatti, può costituire sia un collante della relazione con l’altro sia un’arma in grado di valorizzare l’altro, umiliandolo.
Essa è una lingua misteriosa e universale, che costituisce una risposta inconscia ai diversi condizionamenti sociali e linguistici.
Dal punto di vista evolutivo filogenetico, la risata sembra rappresentare “un’antica vestigia vocale
Che ancora si mantiene e convive con il livello attuale del linguaggio verbale” (R. Provine).
È un gesto bio-psicologico, nato prima della parola, che l’uomo condivide, ma solo in parte, con i primati a lui più prossimi.
La risata viene anche considerata come l’esito finale di una serie di eventi, azioni, comportamenti espressi con discorsi, battute, disegni, rappresentazioni e altro che, volontariamente o meno, possono essere percepiti come ridicoli.
Abbiamo detto che la risata, nella sua espressione esterna, è basata sulla emissione di aria modulata in modi differenti a seconda del tipo di risata espressa. Tale emissione di aria produce un suono/rumore che è caratteristico di ogni personale modo di ridere. Ridere, tra l’altro, è più simile a un verso o un richiamo animale piuttosto che a un atto linguistico.
L’influenza sul comportamento umano del particolare tipo di suono emesso con la risata, sembrerebbe fare optare per la presenza (non accertata, ma solo ipotizzata) di un “rilevatore neurologico acustico” deputato a specifiche modalità di vocalizzazione. Il suono della risata consiste in una serie di note ilari di timbro vocalico e della durata di circa un sedicesimo di secondo regolarmente intervallata tra loro. Il loro tono va solitamente decrescendo con una riduzione graduale della sua intensità sonora quale conseguenza, a livello fisiologico, della riduzione dell’aria polmonare disponibile da parte di chi ride. La risata è costituita da note e suoni vocalici preceduti e seguiti da un lieve “sospiro”.
Ciò che permette di identificare l’emissione d’aria come risata sono le note vocali emesse e lo spazio che le separa.
La risata è in genere costituita da tratti stereotipati anche se non in maniera rigida: la maggior parte degli individui, infatti, ride in modo simile, ma non identico.
Inoltre, non è possibile ridere in maniera scollegata dal contesto e dalla personalità di chi ride. Un aspetto particolare e caratteristico della risata è proprio costituito dal suo essere innata e insita in ciascun individuo con l’intrinseca capacità di generarne altre (contagiosità della risata).

Perché ridiamo? Tutte le persone del mondo ridono. Ciò si fa spesso e con gusto, indipendentemente dall’estrazione sociale, dal sesso, dal colore della pelle ecc..
Gli adulti ridono in media venti volte al giorno, i bambini anche  dieci volte di più. Ridere è una componente così radicata nella nostra esistenza, che raramente ci fermiamo a riflettere sulle cause degli scoppi di ilarità. Perché si ride quando qualcuno racconta una barzelletta o fa il solletico sotto i piedi? Occorre dire, prima di tutto, che la natura non fa investimenti senza senso.
L’impulso di ridere deve dunque aver contribuito in qualche modo alla sopravvivenza della nostra specie, altrimenti le risate sarebbero scomparse dalla faccia della terra. Ma, anche se i filosofi hanno formulato varie teorie sull’esistenza dell’umorismo, in ambito scientifico la questione è rimasta a lungo un mistero. Negli ultimi anni, tuttavia, la scienza sta facendo passi da gigante. Così si è arrivati a comprendere che lo humour va preso sul serio, poichè sfrutta una particolare capacità del cervello e svolge un ruolo fondamentale nei rapporti interpersonali.
Secondo alcuni ricercatori la risata è stata addirittura la prima forma di comunicazione, un linguaggio universale in grado di unire tutti gli esseri umani.
Vilayanur Ramachandran, dell’Università della California, afferma che in origine la risata dava la possibilità a un soggetto di comunicare agli altri membri del proprio gruppo sociale che un’anomalia da lui riscontrata era banale, e che quindi non doveva essere fonte di preoccupazione. In poche parole, “ah ah ah “ significava: “nessun pericolo”.
Ridere è quindi comunicare, coinvolgere altri e trasmettere loro sentimenti ed emozioni di allegria e buon umore.
La capacità di parlare e di ridere utilizza, come organo finale comune, la bocca (e dintorni) che, tra l’altro, serve anche per altre funzioni. Mangiare, bere, respirare, vomitare, soffiare, baciare…
Il tutto regolato dal cervello impegnato nella necessaria armonica regolazione di funzioni diverse, sensoriali e motorie che, passando attraverso particolari circuiti neuronali, regolano l’emotività, l’affettività, le dinamiche metaboliche e quelle ormonali.

L’elemento inatteso provoca la risata
Ma che cosa ci fa ridere? Nell’osservare il camminare per esempio, noi mentalmente prevediamo l’andamento comportamentale di chi cammina. Se, nello sviluppo della serie dei movimenti previsti, interviene un elemento causale ed estraneo alla previsione e in tal senso incongruo, come una buccia di banana lungo il percorso con conseguente caduta, si verifica quella incongruità che determina il riso.
Già Kant scriveva, nella critica del giudizio che il riso è “un’affezione, affekt, che si origina dall’improvviso mutarsi di un’attesa in nulla” e cioè nell’interrompersi improvviso di quanto ci aspettavamo avvenisse. È proprio in ciò l’efficacia delle storielle e della gestualità che appartengono alla comicità, e che sono fondate sull’emergere inatteso di quanto non ci aspettavamo.

“il riso abbonda sulla bocca degli sciocchi” dice un famoso proverbio, ma qualcuno non è d’accordo. Sono i saggi di ogni tempo, che hanno parlato del ridere come di una vetta della spiritualità, il momento più alto di consapevolezza e di armonia dell’uomo nel cosmo.
Se ridere migliora la salute, chi più meritevole di un comico? La sua, oltre che pura arte, è una specie di missione sociale. E che missionari!

L’umorismo nei bambini
Nel suo saggio sul motto di spirito, Freud (1905) afferma: “I bambini non hanno il senso della comicità” (pag. 287). una tale affermazione può apparire molto sorprendente se si pensa che l’autore sia proprio lo studioso che ebbe l’attenzione e l’acutezza di riconoscere l’esistenza della sessualità infantile. Si rimane quindi perplessi a credere che Freud abbia negato l’esistenza della comicità. In realtà, egli non intendeva affermare che il bambino non fosse capace di ridere e sorridere in modo umoristico ma, precisamente, che questo avvenisse con caratteristiche marcatamente diverse da quanto accade nell’adulto. Del resto, come altri aspetti della personalità, il senso dell’umorismo ha una propria maturazione ed evoluzione.
Nell’età evolutiva si attraversano delle ampie trasformazioni nelle abilità cognitive, nelle motivazioni e nelle interazioni sociali, che determinano ed influenzano anche l’apprezzamento e la capacità di fare dell’umorismo.
Parlare di limitazione del senso del comico nel bambino, volendosi riferire alla qualità delle occasioni di comicità, può comportare un equivoco legato al paragonare l’orizzonte delle esperienze del bambino a quelle dell’adulto. È vero, infatti, che l’adulto ha più orizzonti a sua disposizione, ma è anche vero che essi sono intrisi di così tanti elementi morali e sociali da impedire il distacco, la trasfigurazione fantastica, che è alla base dell’apprezzamento del comico (La Porta, 1957).
Anche una semplice osservazione empirica in un gruppo di bambini ci mostra come le occasioni di riso siano non solo numerose ma anche varie. Probabilmente, gli stimoli che producono il riso e il sorriso non paiono all’occhio dell’adulto stimoli umoristici ma, d’altra parte, sui gusti umoristici non si discute. Anche tra gli adulti c’è chi preferisce un genere, piuttosto che un altro.
Se l’incongruità (ossia la percezione di uno stimolo incongruo come prerequisito dell’umorismo) è sempre presente nelle produzioni umoristiche degli adulti, non tutto ciò che è incongruo risulta umoristico. Questo è vero soprattutto nei bambini molto piccoli, per i quali la percezione d’incongruità può con più probabilità causare anche solo interesse e curiosità, oppure ansia e paura: una maschera di carnevale, strana e grottesca, che può divertire un adulto, è facile che renda perplesso, se non spaventato, un bambino piccolo.

L’umorismo è stato argomento trattato e discusso da filoni e letterati d’ogni tempo. Il celebre saggio "Il riso" in cui il filosofo Henry Bergson aveva cercato di interpretare unitariamente le varie forme del comico, distinguendo nel riso “ un lieve castigo sociale”contro gli automatismi che bloccano la fluidità del vivente, era stato pubblicato nel 1900 sulla «Revue de Paris». Il discorso sull’umorismo era di moda in quegli anni. Benedetto Croce lo aveva già sfiorato nel 1903. meritano, inoltre, di essere citati, con l’esplicita sottolineatura a favore del siciliano Pirandello, anche altri autori che hanno trattato il tema  dell’umorismo: Shakespeare, Goethe, jean paul Richter, Thackeray, Dickens; Heine, Manzoni, Twain, Bergson.
Una suggestiva immagine che ci offre Pirandello al termine del suo lavoro e che fornisce all’umorista un’affascinante intuizione, è la seguente:
L’artista ordinario bada al corpo solamente, l’umorista bada al corpo e all’ombra, e talvolta più all’ombra che al corpo; nota tutti gli scherzi di quest’ombra, com’essa ora si allunghi e ora s’intozzi, quasi a far le smorfie al corpo, che intanto non la calcola e non se ne cura…

Il sorriso e il riso nell’infanzia
L’evoluzione delle espressioni mimiche del sorriso e del riso è molto significativa, anche per lo sviluppo del senso dell’umorismo ( Ceccarelli, 1988). Fin dai primi giorni di vita e già nelle prime settimane, è stata osservata la presenza del comportamento del sorriso. Naturalmente non si tratta di una vera e propria risposta all’umorismo, ma è il risultato di un’attività spontanea del SNC durante il sonno. Versi il 2° anno di vita compare un fatto nuovo: “il far finta che”; questa è una procedura molto importante per coniugare realtà e fantasia. ( Il clown utilizza quasi sempre questo simpatico gioco, che gli permette di inventarsi storie e situazioni fantasiose). Questo comportamento è chiamato gioco simbolico. Il fatto che i bambini ridano sovente durante il gioco simbolico, fa pensare che esista un divertimento legato al manipolare le immagini in questo modo, poiché l’oggetto fantastico (es. dito) è associato all’oggetto reale (es. spazzolino) solo nella mente del fanciullo. Il processo in questione viene chiamato assimilazione fantastica.
Questo argomento è stato ampliamente trattato dallo psicologo Piaget, il quale afferma:

“Il gioco simbolico segna senza dubbio l’apogeo del gioco infantile… costretto ad adattarsi senza sosta ad un mondo sociale di grandi, i cui interessi e regole gli restano estranei, e ad un mondo fisico che afferra ancora male, il bambino non riesce come noi a soddisfare i bisogni affettivi ed anche intellettuali del suo io in questi adattamenti, che, per gli adulti, sono più o meno completi, ma rimangono per lui tanto più incompiuti quanto più è in tenera età. È dunque indispensabile al suo equilibrio affettivo ed intellettuale ch’egli possa disporre di un settore d’attività la cui motivazione sia l’assimilazione del reale all’io…: tale è il gioco…”

 

 

2.
LA CLOWN-TERAPIA E I SUOI BENEFICI

2.1 LE ORIGINI DELLA CLOWN-TERAPIA CON PATCH ADAMS

Inventata dal medico americano Patch Adams, resa famosa al grande pubblico dal film con Robin Williams, la clown-terapia è un approccio nei confronti del paziente basato sulla sdrammatizzazione della malattia e dell'ambiente ospedaliero. Attraverso la creazione di un clima di serenità e di buon umore, i clown-dottori si occupano di alleviare la paura, l'incertezza e la noia dei piccoli pazienti e dei loro famigliari e di stimolare, attraverso il gioco e lo scherzo, la fantasia.
Si parla sempre più spesso dell'importanza del buon umore, dell'ottimismo e dell'allegria per potenziare le difese dell'organismo e migliorare la risposta alle terapie; il successo dei clown-dottori sono una testimonianza dell'efficacia di quest’approccio.
Il Clown Dottore è un operatore socio-sanitario professionale che applica le conoscenze della Gelotologia e della PsicoNeuroEndocrinoImmunologia nei contesti di disagio.
Lavora rigorosamente in coppia con un altro Clown Dottore, utilizzando le arti del Clown (Umorismo, Improvvisazione teatrale, Prestidigitazione, Marionette, Musica etc.) per cambiare il segno delle emozioni negative delle persone che vivono un disagio sanitario o sociale. I Clown Dottori effettuano solitamente un giro visite nelle stanze, intervenendo sugli utenti con un rapporto 1 a 1. All'interno del loro intervento è sempre presente una "metafora terapeutica" che permette il cambiamento radicale delle emozioni negative. Ogni intervento è, perciò, totalmente personalizzato, ben calibrato nei confronti del target con il quale ci si vuole relazionare. Inoltre, il passaggio di una coppia di Clown Dottori permette la creazione e il consolidamento dei fragili rapporti che vengono instaurati tra malati, famigliari e personale sanitario. Questo delicato ruolo permette un netto miglioramento della qualità della vita all'interno di un reparto. Il contesto operativo del Clown Dottore non si limita solamente alla Pediatria. Gli studi della Gelotologia hanno infatti provato che l'utilizzo della comicità e della metafora terapeutica può essere utilizzata anche con target non Pediatrici (Adulti, Anziani, Diversabilità) ed in differenti contesti (Disagio sociale e scolastico).
Il Clown Dottore nella sua formazione riceve, oltre alle tecniche artistiche, delle nozioni di Psicologia (in particolare Psicologia dell'Età Evolutiva e Relazionale) in modo da essere in grado di poter rendere il proprio intervento il più mirato possibile a seconda dell'utente.



I clown in ospedale: la medicina della risata
Carnevale porta il pensiero, come tradizione vuole, alle maschere… ma, mentre nella società comune solo il mese di febbraio prevede festeggiamenti e "mascherate", dentro gli ospedali ci sono medici e professionisti del divertimento che si mascherano ogni giorno dell'anno, travestendosi da clown per fare sorridere i bambini ricoverati.

Oggi la clown terapia è studiata e rispettata dalla grande parte del mondo medico e scientifico, numerosi studi cercano di valutare scientificamente quanto, ed in che modo, il sorriso aiuti a guarire. È incontestabile, poi, che suscitare il sorriso di chi non ha speranze di guarigione è uno dei regali più belli. Ma come si è trasformato, un atto spontaneo come quello di far divertire un bambino, in una vera e propria terapia?

I primi "dottori-clown" apparvero negli anni '80 a New York. Il signor Michael Christensen, clown professionista, impiegato all'epoca al Big Apple Circus, insieme a Paul Binder, fondò nel 1986 la "The Clown Care Unit" (l'unità di clown-terapia), per portare il sorriso e la fantasia negli ospedali pediatrici. Oggi questa fondazione senza scopo di lucro ha sviluppato le sue attività nel territorio dello stato di New York, dove è attiva con 35 "dottor clown" in sette ospedali.

Sulla base di questo modello "Le Rire Medecin" in Francia e la Fondazione Theodora in Svizzera hanno dato il via a programmi analoghi rispettivamente nel 1991 e nel 1993. E poi, come non ricordare il Dr. Patch Adams, fondatore dell'Istituto Gesundheit, casa-ospedale in West Virginia e famoso in tutto il mondo anche per avere ispirato il film magistralmente interpretato dall'azzeccatissimo Robin Williams.

L´associazione Medicus Comicus, di Bolzano, è nata nel gennaio del '98 e ha inizialmente svolto un servizio settimanale negli ospedali di Bolzano e Merano. Dal dicembre del 2000 i clown dell'Associazione visitano in tutti gli ospedali dell'Alto Adige (Bolzano, Merano, Silandro, Bressanone, Vipiteno, Brunico, e San Candido). Durante l'anno 2000 hanno fatto trascorrere a 3500 bambini delle ore piacevoli durante il loro ricovero ospedaliero.
La Fondazione Aldo Garavaglia ha iniziato la sua attività nel '96 ed attualmente opera in otto ospedali nelle province di Milano, Como e Varese.
A Roma l'Associazione "Ridere Per Vivere" opera al Centro Paraplegici di Ostia. Ha iniziato nel '99 la sperimentazione di un progetto pilota di comico-terapia per adulti mielolesi. L'Ospedale Meyer di Firenze, caposcuola nel genere, i fratelli Yuri e Vlad Olshansky hanno introdotto per la prima volta in Italia il modello terapeutico del Clown Care Unit (dati tratti da clownterapia.it).

Di certo vi sono in Italia molti altri professionisti che, senza apparire sui media, svolgono ogni giorno con dedizione il loro lavoro regalando un sorriso in più e ci dispiace non poterli segnalare nella nostra ricerca.
Ulteriori dati sulla clown-terapia nel mondo si trovano, per chi volesse approfondire l'argomento, sul sito Internet della American Association for Therapeutic Humor, e sul sito di Patch Adams.

Ridere: una medicina senza effetti collaterali

Clown Terapia, Humor terapia o terapia del sorriso. Ci sono molti modi per chiamarla, ma il concetto è uno solo: l’allegria aiuta a guarire!
Come dice il detto? Ridere fa buon sangue! Questa, ridotta all’osso, è la base su cui poggia la Terapia del Sorriso. Questo tipo di cura nasce in America. I primi dottori-clown sono Michael Christensen e Paul Binder. Il primo era un vero e proprio pagliaccio presso un circo a New York. Nel 1986 i due fondano “The Clown Care Unit”, l’unità di clown-terapia, che fa della risata una specie di medicina. Nei primi anni Novanta questo tipo di cura sbarca anche in Europa gli ospedali francesi e svizzeri sono i primi ad accoglierla. Nella naturalizzazione essa prende il nome d i “Le Rire Medicin”.
Il "vero" Patch Adams
Impressionante è la fortuna che l’insegnamento del dottor Adams ha riscontrato nel mondo. Nel corso di pochi anni molti ospedali si sono dotati di dottori alquanto speciali: i medici-clown. Armati di naso rosso di plastica, stetoscopi giganti di gomma, nonché di fiore col classico spruzzo d’acqua attaccato al camice bianco, questi colorati personaggi si aggirano tra i letti di centinaia e centinaia di ospedali di moltissime nazioni del mondo. Lo stesso Adams è stato negli ultimi anni in Israele e in Afganistan tra le giovani vittime della guerra. Con la sua spedizione anche medici-clown italiani. Le strutture che abbracciano questa filosofia terapeutica spesso, fanno affidamento soprattutto sui volontari: sono, infatti, molti tra i laici, cioè i non addetti ai lavori in ambito medico, che offrono qualche ora del proprio tempo per allietare le corsie. In Italia la maggiore associazione che si occupa dell’addestramento e della gestione di questi medici-clown volontari è la VIP, ViviamoInPositivo Italia Onlus, che può vantare sedi in tutto lo stivale, dal Piemonte alla Calabria, comprese le isole maggiori. Essa organizza periodicamente corsi per nuovi aspiranti clown da reparto in ciascuna sede.
Se andiamo a vedere nel nostro Paese ci sono poi la Fondazione Aldo Garavaglia, “Dottor Sorriso” Onlus che opera in diversi ospedali della Lombardia e l’Associazione “Ridere per Vivere” di Roma. A Firenze si trova uno dei pochi servizi professionali per medici-clown in Italia. In questa struttura vengono istruiti quelli che possiamo definire gli addetti ai lavori, perché la terapia del sorriso si basa non solo sui volontari, ma anche sulle figure professionali, medici e infermieri in primo luogo. Speriamo che le iniziative si moltiplichino e che presto per tutti i piccoli ricoverati nei nostri ospedali ci sia la possibilità di qualche ora di svago. Aggiungiamo anche il desiderio che queste iniziative si possano allargare anche per altre categorie di pazienti, ad esempio gli anziani, anch’essi bisognosi di trovare nelle strutture ospedaliere l’ambiente più accogliente possibile, perché la sofferenza non ha età.

 

Umorismo in ascensore
Provate a pensare a qualcosa come un ascensore. Ci si mette sempre tutti nella stessa posizione, in ascensore tutti cercano di non toccare gli altri e tutti stanno in silenzio aspettando di arrivare al piano giusto. Ma perché mai facciamo questo? L'ascensore è un ambiente magnifico per giocare perché nessuno può fuggire, sono tutti a tua disposizione. Così potete entrare in un tipico ascensore e pensarvi un po' alienato come l'umano moderno oppure potete entrare nell'ascensore e vedere come velocemente potete trasformarlo in un luogo da festa. Dipende dalla vostra intenzione. Se volete sempre far festa allora, entro breve tempo, vedrete come diventerà effettivamente facile coinvolgere il 99% delle persone in una festa in ascensore e potrete poi trasferire lo stesso atteggiamento nei negozi, ovunque andiate. Coinvolgere le persone nelle strade
Potete vedere come si può influenzare positivamente la società. Coinvolgere la vitalità delle persone nelle strade. Io porto dei clown in giro per il mondo, in luoghi con situazioni disastrose. Per esempio, porto trenta clown in Russia, di Solito a novembre, per due settimane, e quando ho iniziato con questo progetto la Russia era il nemico degli Stati Uniti. Ho iniziato questo progetto
circa 15 anni fa e per tutta la mia vita ho sentito chiamare la Russia il nemico ma io non ho
mai sentito i russi come miei nemici. Pensavo che per l'ideologia del nostro governo e per l'ideologia del loro governo, loro erano effettivamente i nemici e quindi volevo portare i clown proprio in quel posto che il mio paese considerava il posto peggiore dove stabilire  rapporti.
Lo faccio ormai da 15 anni e siamo riusciti a fare molto in Russia soprattutto per i bambini. Lì la situazione è brutta per i bambini. Abbiamo istituito anche degli orfanotrofi. Non dovete chiedervi quale sia il clown giusto o il clown sbagliato, non dovete prepararvi. Tutto può funzionare. Dovete
soltanto decidere di diventare qualcuno che sa diffondere la gioia in un albergo, in metropolitana, in ospedale, in piazza. Gli altri possono vedere che ovunque noi andiamo riusciamo a cambiare l'atmosfera ogni volta che ci mettiamo in azione. Basta essere delle persone felici che mettono in
comunicazione altre persone. Questo serve ad abbattere le barriere che rendono difficile la vita
sociale ed è quello che dobbiamo fare per fermare la violenza.
(Patch Adams)
Clownterapia o clowntherapy è il termine composto dall'unione di due parole chiave - clown + terapia - con cui si definisce un nuovo tipo di terapia medica alternativa.
Sebbene ad oggi parlare di terapia può apparire un azzardo (uno dei più noti clown-dottori o clown di corsia, Patch Adams, in diverse interviste ha negato l'esistenza di una 'terapia' in senso stretto) recenti studi dimostrano che il sorriso, la risata e il buon umore incidono in maniera considerevole sui tempi di guarigione di diverse patologie anche gravi.
Generalmente con il termine clownterapia si indica l'applicazione di un insieme di tecniche derivate dal circo e dal teatro di strada in contesti di disagio (sociale o fisico), quali ospedali, case di riposo, case famiglia, orfanotrofi, centri diurni, centri di accoglienza ecc. Il dibattito su cosa sia un clown-dottore, su quali siano le sue competenze e quali siano i limiti di intervento resta ancora aperto.
Poiché tale disciplina viene portata avanti soprattutto in maniera volontaristica e per iniziativa di privati (in Italia esistono ad oggi decine di associazioni sparse sul territorio ognuna con un proprio statuto e una propria visione della materia), non è ancora possibile dare una definizione univoca a tale termine.
Hunter "Patch" Adams (nato il 28 maggio 1945 a Washington, USA) è un medico statunitense generalmente riconosciuto come l'ideatore di una terapia olistica molto particolare: quella del sorriso, o anche nota come clownterapia
Trasferitosi con la famiglia nella Virginia del Nord, frequenta la George Washington University, dove consegue la laurea in Medicina nel 1967.
Divenuto famoso grazie al film Patch Adams, nel quale il suo ruolo viene interpretato da un brillante Robin Williams, che ne romanza la vita (pur rispettando in buona parte episodi realmente accaduti, come l'incredibile bocciatura per troppa gaiezza).
Secondo Adams, il vero scopo del medico non è curare le malattie, ma prendersi cura del malato. Tale concezione stravolge alcuni dei concetti cardine della medicina occidentale moderna, rendendo Patch Adams un personaggio rivoluzionario e scomodo che si contrappone in maniera forte alla medicina delle case farmaceutiche.
Ha fondato e diretto il Gesundheit! Institute, una comunità medica olistica, ed ha fornito medicine gratuitamente a migliaia di pazienti sin dal 1971.
La grande fortuna, però, arriva alla fine degli anni Novanta, quando dalla figura di un noto medico della West Virginia viene preso spunto per un celebre film. Lui è Hunter “Patch” Adams. Nel 1971 questo dottore alquanto originale fonda, con la collaborazione della compagna e di alcuni amici, l’Istituto Gesundheit. Il suo modo di interpretare il giuramento di Ippocrate mette parzialmente in crisi la professione medica come si è svolta fino a quel momento. Per molti aspetti il suo è stato un vero e proprio colpo di genio, i risultati denotano un incremento delle guarigioni che ha dell’incredibile. Anche i più remissivi e ottusi medici americani, quelli che non avevano molta fiducia nell’impresa del giovane Adams, si sono dovuti ricredere, ammettendo che, come motteggia Patch, la gioia è una fonte inesauribile di buona salute.
2.2 IL CASO DI NORMAN COUSINS
La filosofia di questo libro, universalmente noto negli ambienti medici col titolo originale Anatomy of an Illness (Anatomia di una malattia), si concentra tutta nel concetto che la solidarietà tra medico e paziente, la collaborazione fattiva del paziente, è il migliore aiuto opre il paziente.
L’autore illustra un caso particolare, un caso di paralisi, ma, anche senza estendere direttamente ad altri casi le conclusioni a cui è giunto, fa intravedere chiaramente la possibilità, anzi l’attendibilità di una generalizzazione, come è dimostrato soprattutto dalle testimonianze di migliaia di medici che hanno comunicato all’autore le loro esperienze.
La morale del libro, in pratica è questa: una buona parte di malattie si risolvono da sé.
In altre parole, il decorso della malattia è strettamente legato alla disposizione mentale del paziente.
Cousins illustra questa affermazione con una serie di esempi tratta dalla pratica clinica, ad esempio vari tipi di processi immunologici e fisiologici, che sono stati studiati col metodo sperimentale e sono o tali da influenzare  il corpo e la percezione della malattia: le difese del corpo dalle infezioni, la digestione dei grassi, la secrezione di certi ormoni, ecc…
Il libro di Cousin, tuttavia, non intende affatto sostenere l’inutilità dell’intervento medico, ritenuto invece indispensabile in moltissimi casi, utile in quasi tutti. Ma l’intervento medico ha migliori prospettive di successo quando è affiancato da quella vis medicatrix naturae che è rappresentata dalla disposizione e collaborazione attiva del paziente.
La collaborazione fattiva del paziente è il migliore aiuto per la guarigione da malattie che per gran parte possono risolversi da sé, com’è dimostrato da un grave caso clinico studiato da migliaia di medici.
La tesi fondamentale di questo libro è che ogni persona deve accettare una parte di responsabilità per guarire dalla sua malattia o dalla sua invalidità.
Anche se l’autore è un profano, le sue idee sono state largamente accettate dalla professione medica. Le sue intuizioni sulla natura dello stress e sulle capacità della mente umana ad attivare le risorse dell’organismo per combattere la malattia, concordano con le importanti conclusioni di rinomati centri di ricerca medica.
Cito testualmente le sue parole:
«Questo libro parla di una grave malattia di cui ebbi a soffrire nel 1964…: spondilite anchilosante. Mi era diventato difficile muovere il collo, le braccia, le dita e le gambe… il tessuto connettivo nella colonna vertebrale si stava disintegrando. Chiesi al dottor Hitzig quali fossero le mie probabilità di piena guarigione. Egli fu franco con me e dichiarò che, secondo uno degli specialisti, avevo una probabilità su cinquecento… fino a quel momento avevo lasciato che fossero i medici ad occuparsi delle mie condizioni. Ora, però, sentivo un impulso ad entrare in azione. Mi sembrava chiaro che se volevo essere quell’uno fra cinquecento dovevo essere senz’altro qualcosa di più che un osservatore passivo… ricordavo di aver letto, circa dieci anni prima, il classico libro di Hans Selye, the stress of life. Mi venne fatto di pormi una domanda: se le emozioni negative provocano nell’organismo alterazioni chimiche negative, le emozioni positive non potrebbero provocare modificazioni positive? L’amore, la fede, il ridere, la fiducia e la volontà di vivere non potrebbero avere un valore terapeutico? … ovviamente mettere in moto le emozioni positive non era cos semplice come aprire un rubinetto. Ma anche un ragionevole grado di controllo sulle mie emozioni poteva avere un salutare effetto fisiologico. Anche solamente sostituire all’ansia  una giusta dose di fiducia poteva essere utile. Nella mia testa cominciava a profilarsi un piano per una ricerca  sistematica di emozioni salutari e sapevo di volerlo discutere con il mio medico… cominciammo quella parte di programma relativo all’attivazione di emozioni positive in quanto fattori di stimolo della chimica dell’organismo… pensai che un buon punto di partenza fossero i film comici… funzionava. Feci la favolosa scoperta che dieci minuti di risate a crepapelle avevano un effetto anestetico e mi concedevano almeno due ore di sonno senza dolore… cosa c’era di scientifico nel ritenere che la risata – così come in generale le emozioni positive – agiva positivamente sulla chimica dell’organismo? Se la risata aveva veramente un effetto salutare sulla chimica dell’organismo, sembrava almeno teoricamente possibile che avrebbe stimolato la capacità del sistema a combattere l’infiammazione… la scoperta di una base fisiologica alla vecchia teoria secondo la quale ridere è la migliore medicina, mi esaltava… per me non c’era dubbio che avevo imboccato la strada del ritorno alla guarigione. Potevo di nuovo «funzionare», e questa sensazione era indescrivibilmente bella…
Di anno in anno la mia mobilità è aumentata… quali conclusioni traggo dall’intera vicenda? La prima è che la volontà di vivere non è un’astrazione teorica, ma una realtà fisiologica con caratteristiche terapeutiche. La seconda è che io sono stato incredibilmente fortunato ad avere come medico un uomo consapevole del fatto che il suo compito più grande consisteva nell’incoraggiare al massimo la volontà di vivere del paziente e di attivare ogni risorsa naturale del corpo e della mente per combattere la malattia… sono portato a credere che il principale contributo del mio medico al controllo e forse alla sconfitta della mia malattia sia consistito nell’incoraggiarmi a credere di essere un suo prezioso partner nell’impresa…».
Norman Cousins
Cosa esattamente avvenga nella mente e nel corpo dell’uomo come conseguenza dell’umorismo, è difficile da dire. Ma le testimonianze dei suoi effetti hanno stimolato la riflessione non solo di medici, ma anche di filosofi e di studiosi nel corso dei secoli. Anche  la Bibbia ci dice che un cuore allegro agisce come un medico.

  • Sir Francis Bacon ha richiamato l’attenzione sulle caratteristiche fisiologiche della risata.
  • Robert Burton, nel suo Anathomy of melancholy, quasi 400 anni fa, si basa su testimonianze autorevoli per osservare che «l’umorismo purifica il sangue, rende il corpo giovane, vivo e idoneo a qualunque attività». Comunemente, diceva Burton, l’allegria è «il principale motore che abbatte i muri della malinconia e… una cura sufficiente in se stessa».
  • Hobbes ha descritto la risata come «un’emozione di gloria improvvisa».

2.3 IL CONCETTO DI SALUTE

Il concetto di salute ha subito profonde evoluzioni nel tempo: da una visione prettamente riparativa, intesa come assenza di malattia, ad una più complessiva di salute, intesa come stato di benessere non solo fisico, ma anche psichico e sociale.
Da sempre il corpo e la mente sono state considerate due entità ben distinte e separate dell’essere umano. Inoltre, tutte le ricerche in ambito emotivo  localizzavano l’attività emozionale  unicamente in alcune zone del cervello dell’essere umano.
Nel tempo, così come si è cercato di ridurre il divario fra emozioni e razionalità, si è anche cercato di leggere in una visione più unitaria gli aspetti che legano mente e corpo.
Il collegamento tra stati mentali e sistema immunitario, assieme alle vie biologiche tra sistema nervoso e sistema immunitario è stato progressivamente riconosciuto nel corso degli anni ’60 , fino a ricevere una concettualizzazione  definitiva col termine psiconeuroimmunologia (“psiche” per la mente, “neuro” per il sistema nervoso e “immunologia” per il sistema immunitario), che possiamo definire (Biondi, 1984) come la disciplina che studia in modo sistematico il sistema immunitario quale sistema in grado di reagire e modificare la sua reattività anche sulla base delle interazioni tra individuo e ambiente madiate dal sistema nervoso relazionale.
I dati scientifici dimostrano che il legame tra emozioni e salute è particolarmente forte per quanto riguarda l’effetto di sentimenti negativi come ansia, rabbia e depressione. Queste condizioni, specialmente se intense e protratte nel tempo, possono aumentare la vulnerabilità alle malattie, peggiorarne i sintomi e ostacolare la guarigione.
Da questi studi nasce l’importanza di portare nei reparti degli ospedali la figura del clown attraverso l’arte della clown-terapia, non solo nei reparti di pediatria, ma anche nei reparti per adulti. Spesso il clown utilizzato in ambito ospedaliero diventa per il bambino quello che Winnicott chiama un “oggetto”transizionale”vale a dire qualcosa di simile a un oggetto che lo aiuta a staccarsi dalla madre. Nel nostro casi il pagliaccio ha il compito di permettere al piccolo di distinguere fra se stesso e la malattia. Troppo spesso durante il soggiorno in ospedale, il bambino viene definito attraverso la sua malattia e purtroppo perde il contatto con la persona sana che è in lui. Non è più un ragazzino colpito da leucemia ma lui stesso si considera soltanto un leucemico.
Il dottore-clown aiuta non solo il paziente ma anche chi lo cura e soprattutto i genitori, a ritornare ad un atteggiamento più positivo. Con le sue tecniche il dottore-clown non è più solo un oggetto transizionale  ma diventa un oggetto di cui servirsi, un “giocattolo” che permette al piccolo di abbandonarsi ad un “gioco di proiezione”.

2.4 RIDERE AIUTA A GUARIRE

Ricerca Usa: E' scientifico: ridere fa bene al cuor dilata i vasi sanguigni, bastano quindici minuti al giorno
Uno studio dell’università di Baltimora conferma quanto intuito dal medico clown Patch Adams.
Ridere fa buon sangue, dice un vecchio proverbio. Ridere fa bene al cuore, conferma un’originale ricerca scientifica appena presentata a Orlando, in Florida, all’American College of Cardiology , l’appuntamento più importante dell’anno per i cardiologi di tutto il mondo. La risata è un vero e proprio farmaco, ci suggeriscono i ricercatori, con tanto di indicazioni. Dosaggio: una somministrazione di quindici minuti al giorno. Effetti: miglioramento della circolazione del sangue e prevenzione delle malattie cardiovascolari. Controindicazioni: nessuna. Una medicina che va bene per tutti, grandi e piccoli, uomini e donne. La terapia del sorriso non è una novità: tutti ormai conoscono la storia di Patch Adams, il medico americano con il naso da clown che prima ha intuito, poi trasformato in cura il potere benefico della risata.
SEQUENZE DI FILM - Ora gli studiosi dell’Università del Maryland a Baltimora ci dicono che la risata è capace di stimolare l’espansione dell’endotelio, il rivestimento interno dei vasi sanguigni, favorendo così il passaggio del sangue, esattamente come succede con l’esercizio fisico. E lo dimostrano in un modo originale, ma scientifico: misurando con gli ultrasuoni il flusso sanguigno nell’arteria del braccio di venti volontari, prima e dopo la proiezione di due film, uno allegro e uno drammatico. Il primo, «King Pin», è una commedia dei fratelli Farrelly (quelli di «Tutti pazzi per Mary»), uscito in Italia soltanto in cassetta. E’ bastata una serie di gag fra un ex campione di bowling, senza la mano destra, e un Amish naturalmente portato al gioco, ma contrario per motivi religiosi, perché tutti i partecipanti all’esperimento, tranne uno, mostrassero arterie rilassate e un aumento del flusso di sangue per un tempo che andava dalla mezz’ora ai 45 minuti dopo la visione della pellicola. Esattamente l’opposto succedeva a quelle stesse persone quando assistevano alle sequenze, tanto spettacolari quanto violente, dello sbarco in Normandia con cui si apre il film «Salvate il soldato Ryan» di Spielberg: in quattordici dei venti spettatori volontari le arterie si restringevano e il flusso sanguigno si riduceva.
«Mediamente - ha precisato uno dei ricercatori americani, Michael Miller - il flusso aumenta del 22 per cento come conseguenza della risata e diminuisce del 35 per cento durante uno stress mentale. C’è una grande variabilità fra persona e persona, ma tutto quello che condiziona lo stato emozionale di un individuo ha un impatto importante sul cuore». L’endotelio è il punto di partenza dei processi che portano all’alterosclerosi, cioè all’indurimento delle arterie e al loro restringimento, situazioni che aumentano il rischio di infarto e di ictus. E se è vero che la risata aiuta a mantenere un endotelio sano, è immaginabile che possa ridurre il rischio di malattie cardiovascolari. «La risata, come l’esercizio fisico - ha continuato Miller - stimola la produzione di endorfine, sostanze chimiche che hanno un effetto benefico sul sistema cardiovascolare. Le modificazioni che noi abbiamo visto nell’endotelio sono simili a quelle che si osservano come conseguenza dell’attività aerobica, ma senza i dolori, gli indolenzimenti e le tensioni muscolari associate a quest’ultima».
Se la risata appare efficace quanto l’esercizio fisico nello stimolare la salute dei vasi, questo non significa che si debba rinunciare all’attività fisica come sistema di prevenzione delle malattie cardiovascolari. «L’esercizio fisico - commenta Calogero Calcullo, coordinatore nazionale per la prevenzione dell’Associazione dei cardiologi del territorio - provoca una dilatazione diretta dei vasi sanguigni, a differenza della risata, dove sono i mediatori chimici, come le endorfine, ad avere l’effetto dilatante. A questo si aggiunge la funzione d’allenamento sul muscolo e sulla capacità dell’emoglobina di trasportare ossigeno ai tessuti. L’esercizio fisico ha dunque un effetto più completo su tutto l’organismo». Una buona ricetta pratica per uno stile di vita salutare, suggeriscono i ricercatori, dovrebbe prevedere trenta minuti di attività fisica tre volte alla settimana e un quarto d’ora di risate al giorno. «E’ dimostrato che un’attività fisica regolare come il salire e scendere tre o quattro piani di scale al giorno - conclude Calcullo - Riduce l’incidenza di malattie cardiovascolari del 10-15 per cento. Basterebbe, dunque, rinunciare all’ascensore per rischiare meno l’infarto».

“Ridere fa buon sangue”, si diceva un tempo e ora arrivano anche le prime conferme scientifiche. Una buona risata è un ottimo antidoto a tristezza e depressione. Se ne accorse anche Freud, padre della psicoanalisi, che al tema dedicò il libro Il motto di spirito nel 1905.
I primi studi sistematici sulle virtù terapeutiche della risata, tuttavia, cominciarono solo negli anni Settanta negli Stati Uniti. La guarigione straordinaria di Norman Cousin, noto giornalista scientifico, fece rivalutare gli studi sugli effetti delle emozioni sul sistema immunitario.
Cousin venne improvvisamente colpito da spondilite anchilosante, una grave alterazione delle articolazioni che porta progressivamente alla paralisi e alla morte. Il giornalista decise di curarsi anche con dosi massicce di risate guardando film comici per 3-4 ore al giorno.
Nacque così la “geloterapia” (dal greco ghelos = risata), conosciuta oggi in Italia come “comicoterapia”, che studia in modo sistematico l’attività del ridere come rimedio a numerosi disturbi e malattie psicofisiche.
Sì, ridere fa bene. La moderna ricerca medica ha confermato quella intuizione che all’inizio del secolo ha dato avvio alla medicina psicosomatica: il corpo e la mente non sono due entità separate, ma due aspetti di un insieme che costantemente interagiscono tra loro.
La psiche, che si trova in strettissimo contatto con il sistema immunitario, influenza così le nostre capacità di contrastare una malattia e di mantenersi giovani.

 

2.5 GLI EFFETTI DEL RIDERE

Che cosa accade quando ridi?
Una ricerca che ha preso in esame alcuni volontari sottoposti a una risonanza magnetica funzionale mentre guardavano dei cartoni animati, ha rilevato che le immagini più divertenti attivavano sia le aree dedicate al linguaggio che il sistema lipidico e una particolare struttura chiamata nucleo accumbens, che regola i meccanismi di ricompensa.
Sono diverse le teorie che possono spiegare che cosa renda umoristico uno stimolo, alcune si basano sull’aspetto della sorpresa, altre ritengono che lo stimolo susciti ilarità e risate quando è incongruo e che è necessaria una certa dose di acutezza e intelligenza per cogliere l’incongruità e trovarla divertente.
Altre mettono sullo stesso piano gli stessi stimoli e l’ilarità deriverebbe dal fatto che contengono un contenuto aggressivo o sessuale.
Secondo queste teorie la risata scaturirebbe dal superamento di una forte inibizione indotta dalla censura sociale. In realtà non si può dire che una teoria abbia la meglio sulle altre, ma più semplicemente hanno tutte una loro validità ed entrano in gioco a seconda delle situazioni.

Il meccanismo fisiologico
Nel cervello dell’animale, ma anche in quello dell’uomo, un sistema biologico sovrintende alla ricerca del piacere. Legato a due differenti tipi di neurotrasmettitori, la dopamina e le endorfine, il sistema del piacere permette di ricercarlo, per avere benessere.
L’area anatomica che unisce la zona ventrosegmentale e il nucleo accumbens, fino alla corteccia frontale, se si stimola elettricamente o con altri mezzi diversi (cibo, sesso, risata, droghe, sport, gioco d’azzardo) risponde rilasciando dopamina a livello dei recettori che reagiscono determinando benessere. La ricerca del piacere fa quindi parte della fisiologia dell’uomo.
La risposta del corpo
-Quando noi ridiamo, tutto il nostro corpo ride e si rilassa. Da quando s’inizia a ridere, il cuore e la respirazione accelerano i ritmi, la tensione arteriosa cala e i muscoli si rilassano. Ciò contribuisce a creare una condizione di relax.

- ridere è anche un esercizio muscolare (s’impegnano più di 60 muscoli) e respiratorio, che permette un processo di purificazione e liberazione delle vie respiratorie superiori.

- ridere può far cessare una crisi d’asma, provocando un rilassamento muscolare delle fibre dei bronchi, per azione del sistema parasimpatico. È un vero e proprio “massaggio interno”che si ottiene senza ricorrere a farmaci.

- ridere combatte la stitichezza, perché stimola i movimenti intestinali. Sullo stato generale di salute, ridere combatte la debolezza fisica e mentale: la sua azione, infatti, causa una riduzioni degli effetti nocivi dello stress.

- ridere aumenta il flusso sanguigno nelle aree che secernono endorfine, stimolando la secrezione delle sostanze antidolorifiche prodotte spontaneamente dall’attività del cervello.

- ridere modifica addirittura la chimica del sangue. Quanto più la risata è spontanea ed esplosiva, tanto più si assiste a una caduta generalizzata della tensione e all’evidenziarsi di un’inconfondibile sensazione liberatoria a livello di tutti gli organi e delle funzioni corporee, che appaiono regolarizzarsi.

- ridere stimola le difese, potenziando l’azione dei linfociti T, i guardiani della nostra salute. Inoltre determina una diminuzione dell’immunoglobina A, presente nella saliva, che ci preserva dalle infezioni alle prime vie respiratorie.

- ridere ci tiene in forma più della ginnastica: fare almeno 10 risate al giorno equivale a 10 minuti di vogatore ed è una vigorosa ginnastica per i muscoli facciali, delle spalle, del diaframma e dell’addome…pertanto aiuta anche a mantenere un corpo tonico e in forma.

- ridere migliora la memoria, l’apprendimento e la qualità della vita.

 

Alcuni stati emotivi cronici come lo stress, l’ansia, l’aggressività e la depressione fanno molte più vittime di quanto crediamo.
«Il 50% di coloro che sono colpiti da un attacco di cuore non ha un alto livello di colesterolo», spiega Edward Suarez, professore associato di psichiatria alla Duke University. Il rischio dei fattori psicologici e sociali è quasi altrettanto alto quanto quello dell’obesità, del fumo e dall’ipertensione.
Si prenda la depressione: come minimo raddoppia il rischio di un attacco di cuore in una persona sana. Negli individui che hanno già subito un infarto in passato, poi, la depressione arriva a quadruplicare o quintuplicare il rischio di averne un secondo. Anche l’aggressività è un fattore di rischio cui si dà sempre maggiore importanza: alti livelli aumentano le possibilità di morire in seguito a una malattia cardiaca del 29%, come è emerso da un recente studio americano.
Alcuni ricercatori americani hanno monitorato i valori della pressione sanguigna e le funzioni dell’apparato cardiocircolatorio di un gruppo di persone che stavano guardando Salvate il soldato Ryan, un film drammatico e commovente.
Il risultato? Pare che lo stress mentale che comporta la visione di scene drammatiche, ansiogene e/o commoventi si rifletta sull’organismo, provocando un rialzo della pressione sanguigna e un ridotto flusso sanguigno al cuore.
Se le situazioni di depressione o malumore e quelle stressanti contribuiscono alle malattie cardiache, possiamo presumere che i loro opposti presentino una strada affidabile per la cura o la prevenzione?
Ridere pare essere un elisir cardiaco di per sé: in uno studio recente, il dottor Michael Miller della facoltà di medicina dell’Università del Maryland ha osservato che la visione di un film divertente per 15 minuti rilassa le arterie periferiche e aumenta il flusso sanguigno per oltre 45 minuti, un effetto comparabile a quello di un esercizio aerobico. Il dottor Miller, pertanto, insieme ad uno stile di vita salubre, oggi prescrive anche 15 minuti di risate di cuore al giorno.
Un altro studio ha dimostrato che le persone affette da diabete che ridono durante il pasto riescono a “controllare” i livelli di glucosio nel sangue anche nelle ore successive. In particolare, l’esperimento prevedeva la visione di un film comico mentre il soggetto diabetico stava mangiando…e ricordiamo che mantenere i livelli glicemici stabili nei diabetici permette di evitare le complicanze della malattia (problemi alla vista, agli arti ecc..).
Pare dunque evidente che ridere allunga veramente la vita.

Si può addestrare la mente?
Se puoi risolvere i problemi sorridi, se non puoi risolverli sorridi…questo atteggiamento non serve a cambiare le cose , ma dispone la mente a lasciare fluire i pensieri che potranno portare ad una soluzione creativa ed isperata del problema.
Per diventare atleti, musicisti o matematici è necessario allenarsi. La stessa cosa è necessaria per far sì che il pensiero divenga naturalmente positivo. All’inizio non solo è intenzionale, ma anche faticoso perché l’abitudine mentale è difficile da modificare; poi diventa tutto molto più semplice e automatico.
Questo nuovo atteggiamento positivo attiva varie parti del cervello e riduce l’attivazione dell’amigdala, che è più attiva nelle persone depresse e ansiose. Di conseguenza la ricerca consapevole di pensieri positivi attraverso l’auto-addestramento può facilitare la disgregazione dell’emozione negativa automatica ed aumentare l’attivazione della corteccia prefrontale sinistra. Tutto ciò porta inoltre anche ad una più alta creazione di anticorpi contro l’influenza. Per di più, se nello stato di veglia si sceglie il positivo in ogni cosa , la notte si avranno bei sogni. Possiamo decidere di non essere schiavi delle emozioni negative creandoci ogni giorno all’interno della giornata un momento di allegria. Aumentando poco per volta la quantità di tempo passato in pensieri positivi, l’ansia diminuisce automaticamente e noi potremmo arrivare ad avere una realtà interiore che non scompone di fronte alle avversità delle circostanze esterne.
Nell’ultimo libro scritto da Goleman insieme al Dalai Lama “Emozioni distruttive – Come liberarsi dai tre veleni della mente: rabbia, desiderio, illusione” si evince che “dal punto di vista neurologico la pratica consiste nel ripetere un’abitudine, un numero sufficiente di volte a cambiare i circuiti cerebrali…quando la pratica è più sistematica alcune prove indicano che una parte del nostro cervello è cambiata in modo relativamente definitivo” infatti “ le emozioni negative attivano l’area prefrontale destra, quelle positive la sinistra”.
Il nostro cervello è plastico e può cambiare a qualsiasi età, anche se è più difficile da anziani, è possibile: prima si comincia e meglio è.

 

2.6 L’IMPORTANZA DELLA POSITIVITA’

Siamo quello che pensiamo

I pensieri come fattori che predispongono alle emozioni: l’utilità di imparare a pensare in modo positivo

di Chiara Svegliado

Questi sono anni di cambiamento: da una società in cui i problemi umani venivano posti in termini di benessere materiale, stiamo passando ad una in cui il tema politico più importante sta diventando quello della FELICITA’. Si sente la necessità di far fronte alla realtà contemporanea, travolta da innumerevoli cambiamenti e ormai priva del rassicurante sostegno di prospettive facilmente pianificabili, che portano ad un disagio e ad una confusione che si manifestano con crescente insistenza.
Se confrontiamo lo stile di vita e il ritmo lavorativo di oggi con quello di una decina di anni fa, ci rendiamo conto di quanto siamo molto più stressati e sotto pressione per le questioni economiche e costretti ad un ritmo di vita assai più frenetico. Le fonti di stress provengono dal nostro ambiente più immediato, come i datori di lavoro, i familiari, e gli amici, ma nascono anche dentro di noi, dai nostri problemi personali, le nostre insicurezze e la mancanza di fiducia in noi stessi.
Oggi ci si rende però sempre più conto di quanto lo stress sia nocivo per la salute  e la sfida di oggi è quella di trovare la strada verso un equilibrio tra una realtà esterna in trasformazione e una interna in evoluzione verso il raggiungimento di un proprio benessere.
E’ proprio la neuroscienza che oggi sostiene la necessità di prendere molto seriamente le nostre emozioni, sulle quali possiamo esercitare molto più controllo di quanto siamo abituati a credere.
Le emozioni sono il sale della vita, in determinati momenti ci aiutano e se sono positive, sono bellissime. Le nuove scoperte scientifiche  ci assicurano che se cerchiamo di aumentare l’autoconsapevolezza, di controllare più efficacemente i nostri sentimenti negativi, di conservare il nostro ottimismo, di essere perseveranti nonostante le frustrazioni, di aumentare la nostra capacità di essere empatici e di curarci anche degli altri, possiamo sperare in una vita e in un futuro migliore.
Le soluzioni esistono. Ma ogni grosso cambiamento comincia con un piccolo passo. Per influire in modo positivo sul nostro ambiente, dobbiamo cercare di fare qualcosa di positivo personalmente. Via via che ci sforziamo di superare i nostri problemi personali, ci sentiamo più rilassati dentro di noi, riusciamo quindi a lavorare in modo più efficiente, nutriamo più interesse per la vita. Possiamo così occuparci anche maggiormente del nostro ambiente perché, anziché consumare tutte le nostre energie per risolvere i nostri drammi interiori, abbiamo le forze per guardare quello che accade intorno a noi, imparando ad avere rapporti più efficaci e sereni con gli altri. Se ci sentiamo sereni, le persone che ci stanno intorno iniziano a rilassarsi anch’esse e a sentirsi a loro agio.
Per riuscire a far questo, possiamo imparare ad organizzare la nostra mente in funzione della vita, imparando a coltivare fiducia  in noi stessi, nelle nostre capacità e possibilità,   attraverso l’elaborazione di nuovi processi di pensiero che si traducono in serenità, sicurezza e alla fine felicità.
A tal fine, è importante renderci conto che noi utilizziamo solo una minima parte del nostro enorme potenziale mentale: in genere solo l’ 8% e al massimo il 10 % delle nostre potenzialità: le persone di genio che raggiungono risultati eccellenti, usano forse il 20% delle loro capacità mentali, il resto va gettato dalla finestra; è come guidare una Ferrari e andare a 30 km all’ora!
Basta semplicemente aumentare anche solo un po’ l’utilizzo delle nostre capacità mentali, per raggiungere i risultati desiderati, per sviluppare la nostra creatività, uno dei beni più preziosi dell’uomo, indispensabile per farci trovare nuove vie, anzitutto per quanto concerne la nostra vita, il nostro modo di essere, le nostre aspirazioni personali, i nostri obiettivi professionali, per renderci più facili i rapporti umani. Lo sviluppo della creatività in Occidente è stata impedita, o quanto meno rallentata e sminuita, da una scuola razionale, nozionistica e rigida.
E’ noto come il cervello si divide in due emisferi congiunti fra loro dal corpo calloso.
L’emisfero sinistro, che controlla la parte destra del corpo, è preposto prevalentemente al linguaggio, alla ragione, all’analisi, alla logica, alla rigidità del “TU DEVI”; l’emisfero destro, che controlla la parte sinistra del corpo, più dolce e più soave, è preposto prevalentemente alla creatività, all’intuizione, alla musicalità, alla visualizzazione, alla combinazione in modi nuovi.
Tenuto conto che molti problemi e molte incomprensioni nascono dall’utilizzo prevalente o esclusivo di uno dei due emisferi, è oltremodo opportuno l’addestramento a far lavorare ambedue gli emisferi cerebrali, ad armonizzare ed integrare il loro funzionamento congiunto.
Fino ad oggi è stata data la prevalenza alla logica e alla ragione ed era quasi una colpa sognare ad occhi aperti, essere spontanei e creativi. Ora finalmente si è arrivati ad incoraggiare le persone ad  usare e a mettere a frutto tutte le risorse del loro cervello, a sognare ad occhi aperti ed essere spontanee. Crescono sempre più gli investimenti sugli studi del cervello e sulle tecniche di realtà simulata. La nostra cultura è ammalata perché utilizziamo troppo il pensiero razionale. Dobbiamo lasciar fluire le emozioni, imparare a star soli con noi stessi, fantasticare liberamente, trovare uno spazio nostro, così come fanno i bambini che vivono liberamente e felicemente.
Le tecniche del pensiero positivo permettono di fare tutto questo. Sono tecniche che ciascuno di noi potrà e dovrà fare  proprie per utilizzarle da solo, perché come sostiene Galileo “Non puoi insegnare qualcosa ad un uomo. Lo puoi solo aiutare a scoprirla dentro di sé”.
Le tecniche del pensiero positivo permettono all’essere umano di ottenere un aumento delle capacità mentali e raggiungere quell’equilibrio psicosomatico, quella tranquillità e quella serenità nel lavoro o nella vita di tutti i giorni, necessarie per evitare di cadere nello stress.
La nostra mente è divisa tra conscio e inconscio, ma di questo inconscio sappiamo ben poco, trascurandone la notevole importanza. E’ come se possedessimo un palazzo, ne abitassimo solo il piano superiore ma ci fosse totalmente sconosciuto l’inferiore. E’ possibile dare degli ordini precisi alla nostra mente: una volta che abbiamo raggiunto uno stato di rilassamento, possiamo suggestionare in modo positivo il nostro subconscio facendo delle esperienze mentali ripetute.

La relazione tra fenomeni fisici e psichici è costante e, ad esempio, sotto l’influenza dello stress, alcuni ormoni producono un eccesso di secrezioni, quali l’andrenalina e il comportamento mentale influenza gli effetti psicosomatici. Se siamo stressati o tesi, il nostro organismo reagisce male. Sintetizziamo adrenalina e quando questa è eccessiva, fa male. Ma come sintetizziamo adrenalina, abbiamo anche la possibilità di sintetizzare endorfine, i famosi ormoni della felicità; sono sostanze che danno uno stato di euforia e ci aiutano a sentire meno il dolore e a ridurre lo stress. Quando ci poniamo in stato di rilassamento, portiamo il nostro encefalogramma a un livello più lieve, in quel modo produciamo più endorfine e quindi ci sentiamo meglio.
Attraverso il rilassamento psicofisico è possibile migliorare la concentrazione, mantenere la calma, quando ci si sente sotto stress, dormire meglio e svegliarsi meglio, migliorare in genere il proprio umore. Ciò che abbiamo nel nostro subconscio e che magari avevamo completamente rimosso, determina i nostri comportamenti automatici e ci fa reagire negativamente, scattare, innervosire, arrabbiare e talvolta “scoppiare”.
E’ pur vero che a volte situazioni e bagagli interiori molto pesanti frenano nel cammino per raggiungere quell’atteggiamento mentale positivo che ci mantiene in buona salute e che ci consente di rimanere sereni ed equilibrati dinnanzi a qualsiasi evenienza della nostra vita. Quella specie di pentola a pressione che è il nostro subconscio poi, se non ha una valvola, è sempre a rischio di scoppiare.
Chi è stato compresso come una molla e chi nella sua infanzia e nella sua giovinezza non ha ricevuto che rimbrotti e mortificazioni, e mai i gratificanti riconoscimenti e gli appoggi psicologici amorevoli e positivi che sono necessari come l’aria che si respira, dovrà lavorare molto per ripristinare la perduta dignità e ritrovare la fiducia in se stesso. Quanti errori sono stati compiuti e vengono compiuti nei nostri riguardi anche da parte delle persone che ci amano..
E così oggi noi siamo il frutto di ciò che è stato inserito in noi nel passato. I fattori che ci hanno determinato sono fattori ereditari e ambientali. Può essere che non abbiamo ereditato il fisico che avremmo voluto, né i genitori che avremmo sognato, né la culla d’amore a cui ogni creatura che viene al mondo avrebbe diritto, né l’ambiente stimolante e rassicurante indispensabile per la piena fioritura di quell’essere unico che è ciascuno di noi. Come risultato di queste carenze e di queste inadeguatezze può accadere che ci sentiamo talvolta infelici o depressi, o incapaci o senza entusiasmo.
Può capitare che l’immagine che abbiamo di noi stessi non riveli la potenza intrinseca che potrebbe essere espressa da ogni essere umano. E intanto ciascuno di noi si rapporta agli altri e alle situazioni della vita, a seconda dell’immagine che ha di se stesso. Se tale immagine è statica e se nulla mettiamo di nostro per modificare le situazioni, se ci sentiamo sempre delle vittime, la nostra vita non può mutare.
Ma per fortuna, ogni individuo ha la facoltà di trasformare la propria vita, cambiando i pensieri, perché i nostri pensieri determinano il nostro destino. Per farlo, è indispensabile andare dentro di noi a vedere cosa accade, cosa determina comportamenti sbagliati, a volte inconcepibili: atteggiamenti di negativismo ad oltranza, di villania, di reazioni violente, anche con le persone che rispettiamo e che amiamo. Sappiamo tutti che se rimaniamo compressi e chiusi nella nostra rigidità possono venirci tanti malanni, come l’ulcera, l’asma, la colite, quelle malattie chiamate psicosomatiche, che altro non sono se non il risultato del problema o dei problemi che dalla mente passano al corpo. E si può arrivare anche a malattie più serie.
Grazie alle tecniche del pensiero positivo, possiamo inserire quanti pensieri positivi vogliamo, per frantumare un po’ alla volta quelli negativi, per il ripristino del sentimento di umana dignità, ove sia crollato o sminuito, e per l’acquisizione o il recupero della totale fiducia in noi stessi e nelle nostre positive potenzialità. Possiamo trasformare la rabbia repressa in forza propulsiva orientata al successo, aumentare la nostra autostima individuando ed affrontando i meccanismi di autosabotaggio e i propri condizionamenti inconsci, trasformare i nostri errori e le esperienze negative in occasioni di crescita.
Abbiamo la tendenza a vedere il negativo negli altri, nelle situazioni, negli oggetti. E’ molto meglio cercare di vedere ciò che c’è di positivo nelle cose, nelle situazioni della nostra vita, nelle persone.
Pensare positivamente significa riconoscere innanzitutto che i pensieri che scegliamo di concepire danno origine alle esperienze che viviamo, determinando la qualità della nostra vita. L’unico modo per influire sul nostro comportamento o sulla riuscita delle nostre azioni è agire sul subcosciente, selezionando esclusivamente pensieri nuovi e positivi. I pensieri negativi, invece, ripetuti continuamente, influiscono negativamente sul subcosciente, portando a risultati negativi nel momento stesso in cui desideri e idee vengono tradotti in realtà. Se per esempio pensiamo di non essere capaci  di fare qualcosa, questa idea diventa per noi vera e le nostre azioni tenderanno a confermare questa convinzione. Dobbiamo pertanto cambiare i nostri pensieri, in modo da ottenere comportamenti positivi.
Per concludere: il pensiero positivo non è, come un’interpretazione semplicistica potrebbe suggerire, un invito all’ottimismo forzato ignorando i dolori e le frustrazioni che ognuno di noi ha incontrato nella propria esperienza. E’ riconoscere il potere di scelta che abbiamo a disposizione ogni volta che interpretiamo la nostra realtà, poiché  i pensieri che scegliamo di concepire  danno origine alle esperienze che viviamo.
La maggior parte di noi crede di poter essere felice nel momento in cui si verificheranno determinate condizioni nella propria vita: un nuovo amore, un lavoro migliore, una casa più bella…… e se invece fosse il contrario? Se fossero la felicità, la gioia di essere vivi, la fiducia in se stessi e nelle proprie capacità a creare il terreno ideale per attirare a sè relazioni costruttive, amicizie sincere, successi professionali, e tutto quello che si desidera?
2.6.1 Trascrizione di una trasmissione radiofonica

TRASMISSIONE RADIOFONICA DI RADIO UNO
Di sabato  9 giugno 2007
PUNTO SETTE Condotta da Enrica Bonaccorti

E: Buongiorno, benvenuti alla nuova trasmissione di radio uno: Punto Sette
Il sorriso. Parliamo dell’atteggiamento positivo, parliamo di come si può affrontare meglio anche il momento più buio, dando la luce del nostro sorriso , del nostro atteggiamento positivo. Ridere fa bene.

MUSICA Ridere ridere di Roberto Vecchioni
C: Roberto Vecchioni lo abbiamo sentito qualche giorno fa su Radio Uno ed era tornato da una lunga giornata di prove…continua a mettersi in gioco sempre con la determinazione e il sorriso. Insomma, qui c’era un richiamo alla canzone più famosa: ridere.
E: Senti, a proposito di ridere e  di atteggiamento positivo, io credo che si possano ricoprire i ruoli più importanti e cambia la ricezione del pubblico, come accolgono le parole che sentono a seconda di come vengono poste. Sicuramente l’atteggiamento positivo che assume, che adopera Domenico De Masi, che io ho al telefono, è un veicolo meraviglioso per far arrivare la sua idea, molto positiva anche questa, di solito pure ironica a volte, eh?! Buongiorno Mimmo.

M: Grazie, grazie a te. Sei molto gentile.

E: Senti, sei all’interno di Punto Sette, nuovo programma di Radio Uno che parte oggi e la tua positività porterà fortuna anche al nostro programma. Parliamo di atteggiamento positivo. Ognuno è artefice del proprio destino, il nostro faber che deve lavorare dentro di noi. Che cosa può cambiare nella società se si riesce a inoculare, credo anche dall’alto, insomma, come atteggiamento naturale, la positività. Perché a me pare che il nostro paese sia molto così…sul pessimista. Da cosa dipende?

M: Ma guarda, ci sono alti e bassi nella storia di un paese come nell’umore durante la giornata di qualsiasi persona. Il guaio è che quando ci si sente in crisi c’è un effetto devastante e l’effetto è che ci si sente in crisi, i paesi che si sentono in crisi, smettono di progettare il loro futuro.

E: Eh eh! e questa è la cosa più grave.

M: Quando qualcuno smette di progettare il proprio futuro, altri gli incaricano di progettarglielo, non per il suo vantaggio ma naturalmente per il vantaggio dei progettisti. Questo è gravissimo. Noi stiamo smettendo di progettare il futuro in tutti i settori. Abbiamo provato a tappare i buchi del presente e del passato laddove invece occorre un grande lancio verso il futuro. Io amo molto per esempio un paese come il Brasile.

E: Noi lo pensiamo un paese positivo, ottimista. Ma io ho un dato qui Mimmo De Masi, poi voglio lasciare lo spazio ad un ascoltatore. Ho un dato qui. Ogni volta che si fa un’inchiesta sulla felicità globale, i Filippini con la loro intensa vita sociale e familiare risultano uno dei popoli più soddisfatti, dunque né la povertà, né il fatto di vivere in un posto dove, insomma, le calamità naturali arrivano molto spesso, non intaccano questa loro visione positiva; mentre nella vicinissima  Hong Kong la stessa indagine lo porta, a questo paese, vicino ma diversissimo, lo porta agli ultimi posti di questi sondaggi. Dunque, possiamo forse pensare che afferrare la felicità non è un fatto di beni materiali?

M: Non dipende solo da quello, dipende da una serie di fattori. Ma… il principale è quello di avere un senso di non-disorientamento, perché quello che caratterizza noi in Italia in questo momento è un totale senso di disorientamento.

E: Sentiamo un po’ come sono disorientati i nostri ascoltatori. Anna maria da Brescia, Mimmo sentiamo insieme , buongiorno benvenuta.

A: Buongiorno, io mi chiamo Brizzolotta in arte e sono un clown di corsia da cinque anni sono stata alunna della Aureola.

E: Per cui lei va in corsia in modo volontario…

A: Sì, da cinque anni ogni giovedì vado in ospedale e spero di continuare a farlo anche perché ho 63 anni.

E: Io credo che questo abbia avuto un riflesso positivo anche sulla sua vita, oltre che su quella delle persone per cui lei si adopera.

A: Sì certo bisogna fare in modo che sia sempre il mio giovedì e trasportarlo agli altri giorni perché non è sempre facile.

E: Certo, certo grazie della sua testimonianza

A: Grazie buona trasmissione!

E: Giovanna da Verona, buongiorno

G: Buongiorno sono Giovanna ho 53 anni e sono caposala della pediatria di Ieso della Scala in provincia di Verona. Io personalmente ho fato il corso col figlio della signora Mirabella. Io in arte mi chiamo Pillola.

E: Per cui prima abbiamo parlato con Brizzolotta  e adesso con Pillola; non me l’aspettavo oggi, beh, sono felice!

G: Anche la dottoressa Spettini ha fatto un corso e tutti si approcciano coi piccoli ma anche coi grandi e anche con le mamme che son quelle che hanno più bisogno.

E: Certo!

G: Un’altra cosa importantissima. Abbiamo messo in pratica queste nostre tecniche anche con le nuove mamme, con le puerpere.

E: L’atteggiamento positivo è trasversale, attraversa appunto ogni stato, così ogni passaggio della vita. Grazie. c’è ancora la dottoressa Mirabella fra l’altro in linea, ha sentito quanti complimenti, quante testimonianze positive

M: Eh sì, siamo 2000 volontari in Italia abbiamo rivoluzionato un po’ tutta l’Italia e ancora continuiamo a farlo.

E: Mimmo de Masi, ma un’attività del genere in parlamento potrebbe portare il sorriso su quelle poltrone?

M: Io penso che molti politici sorridano anche …

E: Si ma a volte sembrano un ghigno…

M: Ma guarda se un Paese riesce ad essere tra i primi 8 su 194 in fondo significa che ha funzionato abbastanza bene nel suo complesso, compreso i politici i quali sono il risvolto della popolazione che li vota, perché comunque siamo un paese democratico.. nessuno è andato in parlamento senza che migliaia di persone abbiano messo la crocetta sul suo nome.

E: Comunque questo sorriso pubblico è molto utilizzato in politica. E… perché trasmette sicurezza, vicinanza, simpatia. A volte proprio studiato, però, eh?

M: In politica mancano in questo momento leader carismatici, ma questo non è detto che sia un male, significa che tutti noi sappiamo di dover contare su noi stessi e che dallo stato, dalla politica ci possono venire delle dritte ma non ci può venire la salvezza. La salvezza siamo noi stessi.

E: Sentiamo un po’ di musica che ci accompagna sempre verso la positività  e la felicità. Ci si può andare bene. È vero Folleraro?

F: Io volevo aggiungere qualcosa che riguarda quelli che fanno questo mestiere. Io mi ricordo, è stato un momento anche illuminante, che i primi tempi che facevo questo  mestiere, dice, mi raccomando tu quando arrivi e parli alla radio , sorridi!

E: Perché si sente il sorriso anche alla radio!

F: E da quando ho cominciato a sorridere parlando alla radio, beh, le cose sono andate un po’ meglio.
E: Hai sentito Mimmo? È fantastico!

M: Alla fine però è un fatto di predisposizione. Si dice che Paolo VI che, come ricorderete, non rideva troppo, era un volto abbastanza sereno abbia chiesto una volta al segretario:  “cosa dicono di me? “Santità dicono molto bene, l’unica lamentela è che lei ride poco”. E lui disse: “ma perché cosa c’è da ridere?”

E: Questa mi ha fatto ridere…musica

MUSICA……………………..Franco Battiato aspettando l’estate

F: Franco Battiato con aspettando l’estate. Battiato è nuovamente gran protagonista e anche a proposito degli argomenti che stiamo trattando, qui è Punto Sette, le 14:01, Battiato, una delle cose che lo fa arrabbiare è proprio il fatto di essere indicato spesso, da noi addetti ai lavori, come un musone. Dice non è vero! Io nella vita quando sto con gli amici sono estremamente positivo e sorrido molto.

E: Le risate con Battiato….

F: Quindi, insomma, non è vero che sono…però a volte c’è un aspetto pubblico che non risponde a quello che…

E: Ma è anche una conformazione proprio facciale, no? Mimmo de Masi sei sempre in linea con noi o sei già partito?

M: Penso di sì… io sono molto amico di Claudio Baglioni e di Lucio Dalla. Hanno due modi diversi tutto sommato si essere positivi e allegri.

E: Certo!

M: Uno è un pò più immediato, diciamo Baglioni la sua… anche come si muove sul palcoscenico.

E: Ma forse c’è anche una fisiognomica di riferimento?

M: Brava brava c’è anche una fisiognomica…

E: Noi magari vediamo, oh che simpatico quello, perché è tutto tondo, magari invece è cattivissimo, crudelissimo; invece uno tutto secco, con la faccia tutta lunga, è quello magari…
M: Baglioni e Dalla sono diversissimi ma poi hanno due modi diversi di arrivare a una grande positività

E: Certo! Senti ma…io so che tu devi prendere un aereo, per cui ci hai fatto la cortesia di essere al telefono e ti ringrazio per la tua disponibilità , ci vuoi dare, tu che sei trasmettitore di positività, parlando sociologicamente di tutta la nostra società, dovendo fare nell’affresco tutti i colori, dare spazio a tutti cosa ci puoi dire? Cosa dobbiamo fare come popolazione? C’è un segreto?

M: C’è un segreto per recuperare la positività: è quello di dare grande senso alle cose, anziché accumulare cose senza senso , che è quello che cerca di farci fare il consumismo, dare molto senso alle cose che abbiamo, capire quante cose abbiamo così ricche di densità, perché una sedia è particolare perché si è seduta una persona cara, un altro oggetto e così di seguito. C’è un grande filosofo inglese Russell  che dice una frase molto bella dice: da quando ho saputo che le albicocche sono originarie della Cina e che un imperatore della dinastia Ming ne mandò in omaggio al Giappone e di lì un samurai le portò in Persia e che dalla Persia arrivarono in Europa, da allora, quando mangio le albicocche  mi sembrano più dolci e mi piacciono molto di più.

E: Ma io ti ringrazio a nome di tutti noi perché adesso anche noi alla prima albicocca che mangeremo penseremo a questo viaggio infinito e la sentiremo dolcissima.
Grazie Mimmo de Masi, alla prossima volta

M: Arrivederci

E: E continuiamo con Anna da Acropoli. è in linea? Ciao Anna sei una persona positiva credi nella positività?

A: Sì abbastanza però non sempre è così.

E: Quand’è che non ce la fai?

A: Quando la paura ti assale non riesci ad essere positiva, quando la superficialità ti prende, ti soffoca.

E: Beh, la paura ti assale mi fa venire in mente qualcuno, una persona molto competente che mi ha detto: il cervello è stupido non bisogna rivolgersi al cervello perché ti frena. È l’istinto che…

A: E lo so ma quando ti piace una persona la cosa è naturale, ma tu hai paura, ma di che?

E: Bisogna rilassarsi internamente per offrire il meglio di sé, o anche il peggio, però non essere travisati

A: Comunque io le ho provate tutte. L’unica cosa che mi ha aiutata a vincer questa paura, timidezza, superficialità degli altri è la musica il ballo cose che mi piacciono, i disegni, il gioco,  lo scherzo magari quindi ci sono delle file da fare, da aspettare, mi viene il mal di stomaco, divento nervosa, io faccio l’uncinetto, così non ci penso passo il tempo faccio qualcosa di positivo.

E: Devi avere sempre una distrazione, nel senso etimologico della parola, ti devi un po’ prendere in giro dentro, ti oggettivizzi, ti tiri fuori da te. Guarda, io una volta avevo molta paura, ti faccio una confessione intima, dovevo fare un debutto per una trasmissione televisiva molto importante a mezzogiorno e la sera prima ero disperata. Ho parlato con una persona che mi disse queste cose che io ti trasmetto: “va davanti allo specchio , guardati in faccia, negli occhi, non guardare gli occhi ma lo sguardo e dì : tu sei brava, tu sei forte , tu ce la fai, tu sei brava, tu sei forte , tu ce la fai. Non è la fine del mondo, un sano distacco, sei forte, non ti preoccupare” vai oh, mi sono convinta, io ho convinto quella lì dello specchio e il giorno dopo ho cominciato e mi pare che non sia andata tanto male, l’unica cosa, per farti ridere ancora un pò , è che lo specchio, l’unico in cui potevo guardarmi così da vicino, era uno specchio fatto a listine di bambù, sai quelli che proprio si comprano per strada, io quello c’avevo.

A: Sì sì

E: E c’avevo la lista di bambù proprio sugli occhi, per cui per guardarmi sugli occhi e dirmi sei brava sei forte o mi dovevo piegare sulle ginocchia o andare in punta di piedi. Mi ricordo che misi un paio di sandali col tacco per guardarmi in alto, e a parte questo aneddoto scherzoso, pensa che anche fare un sorriso , intanto si mettono in moto molto meno muscoli che quelli per, così, incupirsi, e questa semplice reazione muscolare, non capisco come, non me lo chiedere, ma ha un riflesso organico interno che ci fa affrontare veramente meglio le parole che diciamo, ,come prima diceva Folleraro, se parlo alla radio, col sorriso le parole arrivano meglio, io sono più accettato e trasmetto meglio, per cui non facciamoci dei male da soli.

A: Sì però tu l’hai vinta la paura, però è naturale, una trasmette questo ma la persona che sorride con un sorriso finto?

E: No, non deve essere un sorriso finto, devi da sola farti un sorriso e convincerti che ce la fai. Devo lasciare lo spazio. Ciao Anna

E: Siamo arrivati alle 14:55 ciao Maurizio

M: Sì, gli appuntamenti continuano su Radio Uno e ricordiamo che c’è Enrica Bonaccorti un sacco di gente per regalarvi un sabato pomeriggio con Punto Sette

MUSICA
E: Ora concludiamo l’argomento con un riassunto di quello che si è detto affidato al mio menestrello , vai menestrello Covatta.

C: Questa ballata vi svelerà qual è il segreto della felicità, non è un panino o un bicchier di vino basta avere positività e se vogliamo stare bene come quando siamo innamorati dobbiamo vivere in positivo, anche se siamo sfortunati, anche all’interno di un ospedale tra endovenose e borse del ghiaccio si può portare il buonumore con un vestito da pagliaccio. C’è stata Anna  Maria che vive a Brescia e si chiama Brizzolotta e poi Giovanna da Verona che invece è Pillola e cuccioletta e c’è stata anche Anna da Agropoli che a volte presa dalla paura ma basta darle un po’ di musica e la sua vita sarà meno dura…la la la  la

E: Avete sentito?  E proprio all’impronta con i nomi delle persone che hanno telefonato bravo menestrello. Ricordiamo che per entrare in trasmissione con noi il numero è 800-050111

F: Noi saremo insieme fino alle 19:00

E: Possiamo concludere questo nostro primo spazio sentendo cosa ha da dire Folleraro con questa musica che c’è in sottofondo, pare che sia la nostra sigla

F: Si dobbiamo ringraziare anche uno che trasmette positività che è Tullio de Piscopo. Abbiamo scelto anche apposta questo, perché lui e la sua napoleitaneità ci infondono naturalmente positività e quindi voglia di sorridere.

E: Ciao a tutti  ci sentiamo dopo il gr

 

2.7 IL PERSONAGGIO CLOWN

Oggi la gente ha bisogno di ridere, di positività, di speranza. E chi meglio di un clown può portare la missione della gioia nel mondo?
Perché un clown? È una moda, una tendenza? No!  L’idea iniziale è stata quella di unire un bel po’ di gente colorata, allegra e soprattutto pronta ad essere amica del suo prossimo positivamente cioè senza pregiudizi e giudizi. Tutti hanno bisogno di ridere per lasciare da parte i pensieri molesti e le preoccupazioni almeno per un po’. E se chi sta bene ha bisogno di ridere e rilassarsi, a maggior ragione ne ha bisogno chi sta male. Il malato ha bisogno di non pensare alla sua malattia, di distrarsi. È nata così l’idea del clown da portare in ospedale e non solo; il clown va ovunque ci sia sofferenza. Il clown di corsia è un personaggio colorato, preparato all’improvvisazione come un attore, ma non è solo un attore o un circense: è l’amico di tutti bambini e adulti.
Il clown ha il compito di spostare l’attenzione del degente dalla malattia e di creare un cambiamento positivo di atmosfera in un luogo di sofferenza.
Il clown si presenta in reparto con un “personaggio” che ha una sua camminata, una sua voce, un suo “tormentone” e che permette al volontario di esprimersi con libertà, senza imbarazzo e mantenendosi in un certo qual senso distaccato dal dolore che vede intorno a sé.
Il clown è un grande strumento di gioia: il naso rosso apre le porte, è una maschera piccola e magica, toglie le barriere, crea una confidenza immediata, fa sorridere, incuriosisce la gente, semplifica le comunicazioni.
Bisogna ammettere che il film in cui Robin Williams interpreta Patch Adams ha favorito non poco la pubblicità sulla clown-terapia.
Il clown è la chiave per aprire la porta delle relazioni e per comunicare in maniera aperta e immediata con il malato in ospedale, con i suoi parenti, con il personale medico e ospedaliero, interagisce con la gente in strada, apre le porte delle missioni.
A proposito delle relazioni che legano il paziente con tutte le persone che ruotano attorno a lui, è significativo l’apporto di Anna Freud che nel suo lavoro Il trattamento psicoanalitico dei bambini afferma:
“Lavorando con un adulto dobbiamo limitarci ad aiutarlo ad adattarsi al suo ambiente… non è certo nelle nostre intenzioni, e del resto non sarebbe neanche in nostro potere, trasformare il suo ambiente in base alle sue esigenze. Col bambino invece possiamo farlo senza grandi difficoltà. Le necessità dei bambini sono più semplici e più facili da accertare e da soddisfare… così facendo, tentando cioè di adattare l’ambiente al bambino, gli facilitiamo il processo di adattamento”.

 

 

 

3.
IL VOLONTARIATO DEL SORRISO

 

“Quando un bambino entra in ospedale , è come se fosse portato nel bosco, lontano da casa.
Ci sono bambini che si riempiono le tasche di sassolini bianchi, e li buttano per terra, in modo da saper ritrovare la strada di casa anche di notte, alla luce della luna.
Ma ci son bambini che non riescono a far provvista di sassolini, e lasciano delle briciole di pane secco come traccia per tornare indietro.
E’ una traccia molto fragile e bastano le formiche a cancellarla: i bambini si perdono nel bosco e non sanno più tornare a casa”.
A. Canevaro

3.1 LA FEDERAZIONE VIP ITALIA ONLUS: UN PO’ DI STORIA
Vip Italia ONLUS è la federazione che coordina le attività nazionali ed internazionali delle associazioni e dei gruppi VIP in Italia.
Vip Italia è una ONLUS (Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale).
La prima delle associazioni VIP, ViviamoInPositivo, è nata a Torino il 15 febbraio del 1997. Nel 2001 è diventata associazione di volontariato e ONLUS (vedi la Storia di VIP), dando luogo ad altre associazioni e estendendosi a livello nazionale.
Ad oggi si contano circa 1800 volontari-clown, in Italia, appartenenti alle 36 associazioni federate, tutte nate da un’unica idea, che è "ViviamoInPositivo".
ViviamoInPositivo è il primo dei nostri valori. Il secondo valore è "Uniti per crescere insieme " e vale all'interno di ciascuna associazione come pure tra le associazioni stesse, che il 19 maggio 2003 hanno costituito questa Federazione per restare unite nello "Spirito clown" (terzo valore) e, insieme, poter realizzare anche dei progetti più grandi, in Italia e all'estero.
Avere costituito la Federazione VIP Italia ci consente anche di portare avanti un programma di formazione (quarto valore) serio e continuo. In VIP Italia, una delle associazioni (VIP Formazione) si occupa di sviluppare e offrire la formazione di base per i nuovi volontari (il volontariato è il quinto nostro valore) e programmi di formazione avanzata (artistica e personale) volti alla "crescita" delle associazioni, dei loro membri e al miglioramento del servizio clown (sestovalore).
Il servizio clown è lo strumento che abbiamo scelto per sviluppare e diffondere la gioia e speranza, perché "portare la gioia è la nostra missione" e crediamo non vi sia modo migliore del nostro esempio (settimo valore) per compiere efficacemente questa missione.
Torino, 15 febbraio 1997, nasce VIP - Maria Luisa Mirabella e Sergio Pinarello fondano e registrano l'Associazione VIP ViviamoInPositivo a Torino.
1998 - Adozioni a distanza - Inizia l'attività di collaborazione con le Suore della Provvidenza per il sostegno a distanza di bambine in West Bengala, India.
2000 - Ospedali - I primi volontari-clown prestano servizio presso la pediatria dell'Ospedale Martini e dell'Ospedale infantile Regina Margherita di Torino.
2001 - Myanmar - Le Suore della Provvidenza affidano all'associazione VIP il progetto di sviluppo e sostegno delle loro missioni in Myanmar.
2002 - Vip Formazione - Da altre città italiane giungono richieste per la formazione di gruppi di volontari clown. Per questo sorge il 21 marzo, l'Associazione VIP Formazione. Si formano gruppi nuovi di volontari-clown, che diventeranno in seguito associazioni VIP locali.
2002 - Solidarmondo - Vip insieme ad altre associazioni e organismi e gruppi che collaborano con le Suore della Provvidenza, fondano la Federazione Solidarmondo Onlus, dove confluiranno le quote dei sostegni a distanza di ciascuna delle associazioni/gruppi soci.
2002 - Myanmar - Due volontari dell'Associazione Vip Formazione in collaborazione con le Suore della Provvidenza si recano nelle missioni in Myanmar per mettere in opera il progetto in ambito socio-educativo "Formazione all'affettività"
2003 - Myanmar - prosegue per il 2° anno il progetto in ambito socio-educativo: "Formazione all'affettività". I due volontari ampliano il programma iniziato l'anno precedente e includono nell'insegnamento materie quali pedagogia, educazione sessuale, lingue straniere. Il programma è rivolto a suore, novizie e aspiranti venute da tutte le missioni alla casa-madre di Kengtung.
2003 - Federazione Vip Italia Onlus - il 16 maggio 10 associazioni VIP si ritrovano al 1° Raduno nazionale VIP e - uniti per crescere insieme - in quell'occasione nasce la Federazione ViviamoInPositivo VIP Italia ONLUS.
2004 - Myanmar VCM - Vip dà il via al Progetto "VCM Volontari Clown in Missione": 4 volontari si recano in Myanmar per proseguire il progetto iniziato 2 anni prima e per assistere all'inaugurazione dell'Orfanotrofio "Bonetta" a Kengtung, costruito con l'apporto dei progetti di raccolta fondi dell'Associazione Vip. Prosegue il lavoro di organizzazione burocratica di sostegni a distanza.
2004 - Romania VCM - Nell'ambito del progetto "VCM", 7 volontari si recano nelle missioni delle Suore della Provvidenza a Iasi e ad Adjudeni con lo scopo di Formare 80 volontari locali come clown per portare solidarietà in ospedali e orfanotrofi locali.
2004 - India VCM - Nell'ambito del progetto "VCM", 9 volontari si recano nelle missioni delle Suore della Provvidenza a Barrackpore (Calcutta), Thakurnagar, Putiram, Khumarganj, in West Bengala per un progetto di sviluppo e di prevenzione rivolto alle donne dei villaggi.
2004 - Torre del Greco (NA) - VCM "Amicizia" - nell'ambito del progetto "VCM Amicizia" 10 volontari presentano nella periferia della città un progetto intitolato "Il circo di strada", il progetto si rivolge ai ragazzi a rischio e ai bambini della casa famiglia, in collaborazione con le Suore della Provvidenza. Viene messo in scena uno spettacolo finale organizzato dai ragazzi stessi.
2004 - Vip Italia Onlus - circa 1300 Volontari VIP-Clown, portano gioia e sorrisi negli ospedali italiani. Vip Italia conta 22 Associazioni federate.
2005 - Estero - 45 VCM (Volontari Clown Missionari) sviluppano progetti in Bolivia, Brasile, Guatemala, Myanmare Romania.
2005 - Vip Italia Onlus -1400 volontari attivi e 30 associazioni formano il team di Vip Italia Onlus.
2005 - Nasce la 1^ Giornata del Naso Rosso - 30 associazioni VIP ViviamoInPositivo nelle piazze italiane per una raccolta fondi in favore dei progetti "Circostanza-Italia" e Cittadella della Vita-Somalia".
2006 - 2^ Giornata del Naso Rosso - 35 associazioni VIP con circa 500 volontari portano gioia e allegria nelle piazze e in 70 ospedali in Italia raccogliendo fondi per gli Ospedali e per i progetti VIP Circostanza e Un Clown In Famiglia.
2006 - Estero - 50 VCM (Volontari Clown Missionari) sviluppano progetti in Argentina, Bolivia, Brasile, Guatemala, Myanmar e Romania.
2006 - Vip Italia Onlus: 1800 volontari attivi e 34 associazioni formano il team di Vip Italia Onlus.
2006 - "Circostanza Carceri" - Inizia la collaborazione con l'Istituto Ferrante Aporti, carcere minorile di Torino
2006 - Torre del Greco - Vip forma un gruppo stabile di volontari locali in grado di proseguire il progetto Circostanza a Torre del Greco (NA).
2007 - 15 febbraio: VIP compie 10 anni!
2007 - 1° aprile: Terza Giornata del Naso Rosso
2007 - 15-26-27 maggio: 4° raduno Nazionale VIP Italia ONLUS

3.2 ESPERIENZA IN REPARTI PEDIATRICI

Il primo aspetto di cui i volontari devono necessariamente occuparsi giunti in ospedale, è il reperimento d’informazioni sulla situazione generale del reparto e sulle condizioni di salute, sia fisica che psicologica, dei singoli bambini; a questo proposito possono essere utilmente organizzate brevi sedute informative con le infermiere ed i medici responsabili. Questi momenti sono fondamentali, poiché consentono anzitutto la scelta del tipo d’intervento più adeguato alle necessità di ogni bambino, ma anche per il fatto che rappresentano un’importante mezzo per stabilire una stretta e proficua collaborazione con l’équipe ospedaliera. E’ infatti indispensabile ottenere la fiducia del personale per poter effettuare un lavoro a lungo termine e di qualità con i piccoli pazienti, godendo del sostegno e della collaborazione di chi si occupa quotidianamente di loro. 
Adeguatamente informati, i volontari si preparano ad entrare nel ruolo indossando i loro buffi abiti e truccandosi; così trasformati si avventurano nel reparto per iniziare un particolarissimo giro annunciando il loro arrivo con la musica di semplici strumenti, perlopiù flauti, tamburelli, fisarmoniche, maracas, allo scopo di suscitare la curiosità e la meraviglia dei piccoli degenti. La musica è uno strumento fondamentale e permette una migliore comunicazione nelle situazioni delicate, consentendo secondo le necessità la distensione o la distrazione.
Ogni paziente è naturalmente libero di scegliere se giocare o meno con i clown, quindi essi devono chiedere il permesso di entrare nella stanza al bambino stesso ed ai suoi genitori; questo accorgimento è cruciale poiché, lasciando al piccolo la possibilità di rifiutare l’intervento, gli si restituisce un potere che non può sperimentare con nessun’altra figura operante nel reparto. Raramente si ottiene un rifiuto, ma nel caso ciò accada è consigliato lasciare un piccolo dono, quale può essere ad esempio un palloncino; solitamente, dopo qualche tempo è il bambino stesso a cercare i clown.
Il clown agisce in coppia, preferibilmente mista, poiché ciò consente di sostenersi a vicenda, di operare su più fronti contemporaneamente e di dare luogo alle tipiche scenette clownesche in cui l’augusto e il bianco bisticciano tra loro. Improvvisano giochi e scherzetti divertenti, simpaticissime magie, canti e fiabe, sculture di palloncini, scenette, esercizi di giocoleria e via dicendo.
Nel fare tutto ciò coinvolgono attivamente non solo il bambino, bensì tutte le persone che sono nella stanza, dai parenti al personale sanitario. Soprattutto il coinvolgimento dei familiari assume una certa rilevanza, in quanto anch’essi necessitano di essere sostenuti e di ritrovare un po’ di serenità in una situazione spesso contraddistinta da vissuti di ansia. Aiutare i genitori ad uscire dallo stato d’angoscia in cui frequentemente si rinchiudono, attraverso un’azione comica non invasiva, fa necessariamente migliorare anche la condizione del piccolo, il cui dolore è logicamente aggravato dalla loro preoccupazione.
Tornando ai bambini, è evidente che la scelta del tipo di azione da effettuare dipende da numerose variabili, tra le quali certamente l’età, la patologia, la presenza di parenti, il livello di energia, lo stato d’animo. Particolare attenzione i volontari devono prestare alla variabile età, in quanto la fase di sviluppo in cui si trova il bambino ha un’influenza fondamentale sul suo modo di interagire, di comunicare e di pensare.
Fino ai sei mesi i bambini vivono un rapporto simbiotico con la madre e ne consegue che i clown devono intervenire sulla diade madre-figlio; i neonati sono poi disturbati dai suoni forti e comunicano principalmente attraverso un linguaggio di contatto, perciò occorre agire con pacatezza, evitando rumori e movimenti rapidi e se è permesso si può azzardare un delicato contatto fisico. Con i bambini molto piccoli occorre prestare particolare attenzione, poiché è frequente che si spaventino trovandosi davanti strampalati personaggi colorati e chiassosi; in questi casi non è appropriato forzarli all’interazione.
Tra i due e i tre anni i bambini apprezzano molto pupazzi e marionette, i quali possono essere utilizzati con profitto per far trapelare e sfogare le emozioni attraverso l’identificazione; un pupazzo può facilmente diventare un mezzo per comunicare col bambino e prestarsi per giochi violenti attraverso i quali canalizzare paura, collera, frustrazione, solitudine, noia, tristezza. Più spesso però i bambini sfogano la loro rabbia e aggressività sui clown; infatti, più grande è la loro sofferenza più trovano divertenti i giochi nei quali il clown fa la parte della vittima. Il clown può diventare addirittura una sorta di oggetto da controllare e dirigere e ciò permette ai bambini malati di sperimentare giochi di proiezione e di riappropriarsi di un potere.
Un’ulteriore strategia adottabile per suscitare divertimento, consiste poi nel fare da specchio al bambino imitandolo. Utili in questa fase anche fiabe e storie, in particolare quelle aventi per protagonisti gli animali; i bambini ospedalizzati hanno infatti un grande bisogno di rifugiarsi nell’immaginario per sfuggire alla traumatica realtà dell’ospedale.
Con piccoli di 4 o 5 anni si può proficuamente giocare con la magia, mentre dal sesto anno di età, con lo sviluppo della criticità, è consigliabile evitare i giochi di prestigio per impegnarsi piuttosto nella sdrammatizzazione e nell’ironia. E’ importante soprattutto che il clown conosca il mondo proprio dei bambini e quindi i cartoni animati, i giocattoli, le canzoncine, in modo da poterli utilizzare e richiamare nei suoi interventi.
Dai 12 anni, con la pubertà e l’ingresso nella delicata fase adolescenziale, il clown può utilmente lavorare con l’ironia e l’auto-ironia e sfoderare tutta la sua fantasia in scenette spiritose; frequente ed apprezzato è in particolare il gioco del fidanzamento e del matrimonio. In generale comunque, l’atteggiamento più saggio da adottare con gli adolescenti consiste nell’ascoltarli, poiché solo in questo modo li si stimola ad aprirsi, suggerendo l’atteggiamento più consono da adottare per entrare in contatto con loro.
Alla fine della visita, che è sempre breve e può durare un massimo di 20/30 minuti, è bene che i clown-dottori congedandosi dal bambino o dal ragazzo gli lascino un piccolo dono, come, ad esempio, una cartolina con la foto dei clown, degli adesivi, dei palloncini colorati modellati a forma di animali; questo aspetto è molto importante perché, seppur piccolo, il dono assume la funzione di ancoraggio, consentendo al clown di lasciare un segno di sé e ricordando al bambino i momenti spensierati vissuti.
In tutto questo delicato e complesso lavoro il clown deve rispettare le norme igieniche e di sicurezza ospedaliere ed è legato al segreto professionale.
Il lavoro del volontario riguarda infatti tre campi di competenza e precisamente quello artistico e quelli relazionale e terapeutico, strettamente collegati tra loro; ecco da dove nasce la necessità di una formazione pratica e teorica completa, adeguata e continua. 

3.3 ESPERIENZA IN CASE DI CURA PER ANZIANI

L’esperienza dei volontari presso la casa di cura “Villa Lisa” sita in Misterbianco è di particolare interesse, in quanto mette in evidenza il fatto che la terapia del sorriso non ha età, diversamente da quanto molti credono. Sicuramente cambiano le modalità d’approccio con i pazienti che, data l’età, hanno esigenze, bisogni, preferenze diverse.
La musica è certamente uno strumento utilissimo per lo sviluppo e il mantenimento della sanità mentale ed il benessere. Le attività creative, come la realizzazione di lavori artistici, sono la chiave per il raggiungimento dell'equilibrio psichico. Attraverso esse si può mirare all'evoluzione dell'essere umano nella sua totalità e far emergere tutte le capacità potenziali.
Attività come il cantare, suonare, danzare, sono direttamente creative, essendo la musica sì una disciplina mentale che ha bisogno d’ordine, d’attenzione e concentrazione, ma che permette la manifestazione della propria espressività.
È proprio la musica infatti ad essere la protagonista indiscutibile dei servizi di volontariato con degenti della “terza età”.
La musica si trasforma nella narrazione di un viaggio nelle terre dei ricordi e della memoria, seguendo le "vie dei canti", una sorta di viaggio rituale nel quale il canto, stimolo per la rievocazione di altri canti e di ricordi ad essi collegati, non ha mai rappresentato un fine in sè, ma un mezzo per entrare in contatto con il proprio mondo interno, valorizzando l’elemento comunicativo e simbolico, e l’interscambio nel gruppo.
Sono sempre più numerosi gli studi e le esperienze che attestano l'utilità della musicoterapia con gli anziani, soprattutto se vivono l'ultima parte della loro vita in istituto. E' solitamente proprio nelle strutture residenziali che i pazienti geriatrici hanno l'opportunità di iniziare un percorso preventivo/terapeutico con la musica, che diventa aiuto e sostegno psicologico per l'anziano, che spesso vive il ricovero con forte disagio fisico ed emotivo.
Nel 2001 l’America Accademy of Neurology ha indicato la musicoterapia come una tecnica per migliorare le attività funzionali e ridurre i disturbi del comportamento nel malato di Alzheimer. Ciò è possibile perché la musica sembra rivelarsi una via di accesso privilegiata per contattare il "cuore" dei malati che preservano intatte certe abilità e competenze musicali fondamentali nonostante il deterioramento cognitivo dovuto alla malattia.
Un ulteriore approccio usato dai volontari è sicuramente l’atteggiamento dell’ascolto.
La parola è linguaggio, in quanto tale scaturisce nella e dalla comunicazione interpersonale. Il paziente ha bisogno di essere ascoltato, per uscire dal suo stato di malinconia, di solitudine e per rievocare i momenti più belli della sua vita e della sua giovinezza.
Così spesso i volontari si ritrovano di fianco ad una persona anziana che racconta la sua vita col sorriso sulle labbra e qualche lacrima di commozione; che ti stringe forte la mano, ti dà qualche pacca sulla spalla e non smette più di ringraziarti: questi sono i “teneri” anziani.

3.4 ESPERIENZA IN CARCERE MINORILE

È sempre più frequente, ai giorni nostri, vedere come non solo in ambito educativo, ma anche e soprattutto in contesti dove il disagio sociale è molto forte, si cerchi di trovare una strada “alternativa” per entrare in comunicazione e relazionarsi con tale disagio.
Nasce così la necessità di utilizzare linguaggi diversi da quello orale per andare alla fonte di problemi che hanno radici molto profonde.
Quando la comunicazione verbale non basta e soprattutto non crea quei legami che dovrebbero portare ad una comunicazione efficace con l’altro, si ricorre ai linguaggi non verbali, come approccio che può essere l’unica via per creare dei ponti, delle relazioni.
Proprio nell’ottica di creare una comunicazione vera e soprattutto biunivoca è nata questa esperienza. Tale esperienza all’interno del carcere minorile “Bicocca” ha visto un’applicazione dei linguaggi della performance, dove il ruolo principale ovviamente l’ha avuto il corpo.
Attraverso i linguaggi della performance si è cercato di far fronte al disagio sociale che, come può risultare evidente, è molto forte in una struttura come quella carceraria.
Con un lavoro puramente basato sul corpo e i suoi linguaggi si è intrapreso un vero e proprio percorso che ha visto al suo interno numerose difficoltà ma che ha prodotto anche numerosi successi.
Lavorando sul corpo attraverso le tecniche del teatro, e tecniche più specifiche come quelle della clownerie e della giocoleria, si siano potuti ottenere risultati che non sarebbero stati possibili utilizzando solo mezzi più comuni, come per esempio il dialogo con gli educatori della struttura o le sedute con lo psicologo. L’efficacia di tali presidi infatti non esaurisce le potenzialità espressive offerte invece da attività creative e/o artistiche; le due modalità espressive, razionale e irrazionale, logica e creativa, dovrebbero anzi affiancarsi, integrandosi e aiutandosi vicendevolmente. Ciò è stato di supporto e di aiuto in un’ottica che va verso una politica di rieducazione dei detenuti, ottica che però, al di là dei principi che informano la normativa vigente, non è sempre frequente all’interno delle carceri nel nostro paese. Il lavoro compiuto sul corpo non è stato altro che un ulteriore tassello inserito in un programma di reinserimento sociale, che non può avvenire quando le persone coinvolte non abbiano intrapreso un cammino di ristrutturazione della propria personalità. Tale ristrutturazione deve passare attraverso una riaffermazione e rielaborazione del proprio sé: in quest’ottica dunque lavorare sul corpo assume una rilevanza particolarmente importante. Riappropriandosi del proprio corpo non solo infatti il detenuto ha iniziato ad intraprendere un lavoro su se stesso ma anche un lavoro di se stesso in relazione al gruppo in cui è inserito.
Le connotazioni spazio temporali all’interno di un carcere perdono qualsiasi riferimento dal mondo esterno: le ore e le parti della giornata acquisiscono un’altra dimensione, si può parlare di un micro-mondo a sé, completamente slegato dal resto. La realtà diventa duplice: esiste ciò che c’è fuori e ciò che invece c’è dentro al quel muro di recinzione.
Attraverso la giocoleria, che mette in esercizio diverse componenti,si è cercato di stimolare la concentrazione, l’allenamento, la coordinazione corporea, il gioco, l’ascolto. Questo tipo di lavoro sul corpo ha permesso loro di creare nuove dinamiche all’interno del gruppo e di interiorizzare il lavoro fatto.
In campo rieducativo si ha come scopo principale quello di fare esternare i sentimenti negativi che sono causa di disagio psichico e comportamentale. Essere riusciti a far esternare un sentimento come quello della violenza in un gruppo di detenuti, è stato per noi un grande passo avanti e un grande successo.
In questo senso la clownerie e il teatro hanno rappresentato un momento di svolta molto importante: sono stati elementi di rottura rispetto alla realtà circostante così forte che hanno iniziato ad agire sui comportamenti dei ragazzi in maniera decisamente positiva.
Con il termine “performance” infatti si intendono tutti quegli atti comunicativi che hanno al centro il corpo e la sua espressività, come specchio di una particolare situazione psicologica. Il corpo diventa soggetto e oggetto contemporaneamente: soggetto perché è il vero protagonista di tutto il lavoro, è il punto di partenza delle attività svolte; oggetto perché è attraverso le sue espressioni che si possono comprendere problematiche e stati d’animo, e quindi si può riuscire, sempre per suo tramite, a trovare delle soluzioni.
Quando si parla di soluzioni in questo contesto della performance, non si parla di soluzioni univoche, ma di tentativi e prove che attraverso il corpo potranno essere un canale di comunicazione efficace.
Il percorso è stato finalizzato alla rieducazione, perché i risultati ottenuti non devono essere solo una parentesi, ma un punto di partenza in un processo rieducativo diverso da quello tradizionale, spesso basato sulla trasmissione di nuovi schemi e strutture, a tutto svantaggio di quella mediazione e interpretazione personale che l’atto creativo sempre comporta.
Solo attraverso una programmazione mirata si potranno ottenere risultati non isolati ma che avranno dei riscontri nel cambiamento della qualità della vita dei detenuti, nei loro rapporti interpersonali, e nel modo di concepire la vita stessa.

CONCLUSIONE

 

Nel suo procedere, il percorso compiuto attraverso il presente lavoro, ha mirato al raggiungimento di una molteplicità di obiettivi.
Anzitutto ho osservato l’importanza rivestita dalle emozioni nel corso della vita: positive o negative che siano, esse ci segnano in maniera indelebile.
Concentrandomi principalmente su emozioni positive come la gioia e la felicità, ho ripercorso il fenomeno del riso e dell’umorismo nell’ottica della consonanza emotiva e della possibilità (anzi certezza) che assorbiamo dagli altri e, nello stesso tempo, emaniamo verso gli altri, i nostri stati d’animo.
L’avere notato in particolare, i positivi risvolti del riso e della clown-terapia sulla vita sociale e sulla salute fisica e psichica, ha infatti portato ad auspicarne l’introduzione soprattutto nei luoghi dove si sperimentano quotidianamente sofferenza, paura, solitudine, noia e dunque certamente negli ospedali.
Concentrandomi sui benefici apportati dal sorriso, ho voluto dare risalto al valore terapeutico della positività e, di conseguenza, del clown in corsia  e in qualunque luogo ci sia disagio e sofferenza.
Il proficuo inserimento della clown-terapia nel più ampio progetto di umanizzazione, sostiene le sue assodate funzioni ludiche, socializzanti, psicologiche ed educative.
Nell’uomo esiste un’innata propensione a ricercare il divertimento e il riso, nella consapevolezza che sono elementi essenziali per permettere di affrontare al meglio le avversità.
L’uomo, infatti, ha bisogno di ridere e per questo va continuamente alla sua ricerca.
Sarebbe bello se tutti quanti se ne rendessero pienamente conto; se tutti lo coltivassero e gli riconoscessero il giusto spazio nella loro vita…se tutti quanti capissero che il ridere è una cosa veramente seria!
Infine, descrivendo in breve il lavoro dell’associazione VIP Italia, ho cercato di dare un’idea di una realtà che solo negli ultimi anni sta prendendo piede, con l’intento di incuriosire e dunque stimolare approfondimenti, nella ferma convinzione che chiunque s’impegna a far fiorire sorrisi sulle labbra di chi soffre, contribuisce alla creazione di un mondo migliore e merita pertanto di essere riconosciuto e valorizzato.

 

 

BIBLIOGRAFIA

Sonia Fioravanti, Leonardo Spina, La terapia del ridere. Guarire con il buonumore Como, Red Edizioni, 1999

G. Gulotta, G. Forabosco, M.L. Musu, Il comportamento spiritoso McGraw-Hill, Milano, 2001

P. Parietti, E. Faretta, Ridere allunga la vita Edizioni Riza, Milano, 2006

E. Hatfield, J.T. Cacioppo, R.L. Rapson, Il contagio emotivo L’incidenza delle emozioni nei rapporti con gli altri Edizioni San Paolo, Milano, 1997

Maria Luisa Mirabella, Clownterapia Volontari clown in corsia e missionari della gioia Neos edizioni, Torino, 2005

Norman Cousins, La volontà di guarire. Armando Editore, Roma, 1982

Freud Sigmud, Il disagio della civiltà, Borighieri, Torino, 1971

Freud Sigmud, Il motto di spirito e altri scritti Paolo Boringhieri, 1981

Freud Anna, Il trattamento psicoanalitico dei bambini editore Boringhieri, Torino, 1972

Pirandello Luigi, L’umorismo Baldini & Castaldi, Milano, 1993

Piaget Jean, Psicologia e sviluppo mentale del bambino Einaudi editore, Milano, 1970

Goleman Daniel, Intelligenza emotiva Rizzoli, 1997

Klein Stefan, La formula della felicità, Longanesi, 2003

Hinsie – Campbell Dizionario di psichiatria

Galimberti -  Dizionario di psicologia della UTET

Enciclopedia europea Garzanti Vol.4

G.Devoto – G.C. Oli Dizionario illustrato della lingua italiana

Fischer K.W. et al, Cognition and emotion, 1990 p. 90

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James W., What is an emotion? New York

Tomkins S., Emotion: theory, research and experience, New York

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SITOGRAFIA

www.clownterapia.it
www.riderepervivere.it
www.giornatadelnasorosso.it
www.vip-missione.org
www.viviamoinpositivo.org
www.wmrconsulting.it
www.wikipedia.org
www.benessere.com

 

FILMOGRAFIA
Titolo: Patch Adams (Id.)
Regia: Tom Shadyac
Sceneggiatura: Steve Oedekerk
Fotografia: Phedon Papamichael
Interpreti: Robin Williams, Monica Potter, Daniel London, Philip Seymour Hoffman, Bob Gunton, Josef Sommer, Irma P. Hall, Frances Lee McCain, Harve Pressnell, Daniella Kuhn, Peter Coyote, James Greene, Michael Jeter, Harold Gould, Bruce Bohne, Harry Groener, Barry Shabaka Henley, Steven Anthony Jones, Richard Kiley, Douglas Roberts, Don West
Nazionalità: USA, 1998
Durata: 1h. 46'

 

Fonte: http://www.clownterapia.it/download/tesi/ts1004_(Nunziatina_Antonuzzo)_Consonanza%20emotiva.doc

Sito web da visitare: http://www.clownterapia.it/

Autore del testo: ANTONUZZO NUNZIATINA

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