Riassunto di storia la prima divisione del mondo

Riassunto di storia la prima divisione del mondo

 

 

 

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Riassunto di storia la prima divisione del mondo

Capitolo 1: “Dalla scoperta alla prima conquista: la prima divisione del mondo”.
Paragrafo 1.1: “Mondo Nuovo”.
Dopo la prima spedizione di Colombo, nel 1502, il fiorentino Vespucci a conclusione di una serie di viaggi attraverso l’oceano atlantico, scrive una lettera a Lorenzo de Medici parlando di Mundus Novus, di un gigantesco continente sconosciuto. Il 1492 non costituisce uno spartiacque rigido tra medioevo ed età moderna, ma di sicuro la scoperta dell’america ha un significato enorme per la genesi del mondo moderno. La “scoperta” significava entrare a contatto con terre sconosciute, convertire al cristianesimo popoli pagani, immettere nel mercato merci nuove. La “conquista” però comportava sempre costi alti: popolazioni sterminate, gli europei portarono nelle americhe epidemie, malattie virali, destrutturarono culture indigene, sconvolsero organizzazioni sociali, modi di vita, provocarono crolli demografici disastrosi (Messico). Le scoperte geografiche e le conquiste investirono tre continenti: Africa, America, Asia. Dopo la fase delle esplorazioni marittime iniziò quella di esplorazione interna del continente americano e del controllo delle regioni più ricche e popolate. Dalla scoperta dell’america il mondo è cambiato, il traffico si sposta dal mediterraneo all’atlantico; dal Messico e Perù affluiscono oro e argento, uno dei fattori principali dell’inflazione e della rivoluzione dei prezzi. L’incontro tra Europa e America provoca anche dei mutamenti nella produzione agricola, vengono trapiantati prodotti come la canna, caffé, patata, tabacco. Il capitalismo commerciale e finanziario riceve grande impulso dai traffici intercontinentali e porta alla nascita di nuove figure professionali quali il banchiere, grandi mercanti e lo sviluppo della concorrenza.
Paragrafo 1.2: “L’espansione portoghese e spagnola prima di Colombo”.
Fin dal primo 400 molti paesi erano spinti dal desiderio di scoprire, conquistare, esplorare, in particolare la Spagnae il Portogallo dove vi è una base economica-organizzativa, tecnologica, sviluppo di teorie e strumenti geografici. Il Portogallo poteva contare sulla disponibilità del capitale dei mercanti italiani, a metà XV secolo è pronta anche la base tecnologica: la caravella, cioè un’imbarcazione di piccole dimensioni, che può portare una maggior quantità di provviste anche perché richiede un equipaggio più ridotto. Può navigare più lontano dalle coste e rimanere in mare per lungo tempo. Un geografo, il greco Stradone, aveva invece incoraggiato l’idea che l’Africa potesse essere circumnavigata. Anche gli strumenti per navigare si affinano, la Spagna possiede già la bussola, gli altri paesi hanno mezzi diversi per misurare la latitudine, come il quadrante nautico.
“L’espansione portoghese”.
Aprire la via per il mare verso l’oriente, circumnavigare l’Africa per raggiunger l’oceano indiano e l’Asia e controllare il traffico delle spezie è l’avventura affrontata dai portoghesi nella seconda metà del 400. Già nella prima metà del secolo si spinsero verso l’Africa; i protagonisti sono veneziani e genovesi al servizio della corona portoghese. Nel 1445 scoperte le isole del Capo Verde, nel 1487 Bartolomeo Diaz tocca la punta meridionale dell’Africa che prenderà il nome di capo di Buona Speranza. L’Africa è circumnavigata, è aperta una nuova via oceanica verso l’Oriente. L’espansione portoghese in Africa ha consentito lo sfruttamento di enormi risorse: schiavi, l’oro, l’avorio, il cotone, pepe, zucchero.
L’espansione Portoghese e gli strumenti utilizzati per la conquista pongono importanti problemi di natura giuridica; come giustificare la conquista delle terre e l’assoggettamento delle popolazioni Africane? I giuristi inventarono la formula della TERRA NULLIUS, cioè la terra di nessuno, non sottoposta ad una signoria, senza ordinamento né leggi civili, di qui la possibilità di imporre la signoria portoghese. C’erano due limiti all’impero coloniale portoghese in Africa: difficoltà dello stato di gestire razionalmente le risorse commerciali e coloniali e la forte dipendenza dai mercati stranieri.
“Espansione spagnola”.
L’espansione spagnola prima di Colombo diede luogo all’occupazione castigliana delle isole canarie, proprio questa colonizzazione fu il tramite che collegò la Reconquista, cioè la guerra santa contro i Mori che occupavano ancora una vasta area della penisola iberica, all’espansione castigliana e aragonese. Questa occupazione ebbe un valore enorme come presupposto alla volta dell’America e fu la base dei 4 viaggi di colombo. La colonizzazione delle canarie fu portata a termine tra il 1477 e 79, anno in cui fu stipulato il trattato di Alcáçova tra Portogallo e Spagna, che segna la I spartizione del globo: in base a esso il Portogallo accettava di riconoscere i diritti castigliani sulle Canarie e la Spagna riconosceva i titoli portoghesi sulle altre isole dell’Atlantico e sulle coste africane.
Verso la fine del XV secolo Spagna e Portogallo hanno ormai accumulato un’esperienza considerevole nelle imprese d’oltremare. Più fragile sotto il profilo economico, sociale e politico è il Portogallo, tuttavia grazie a Giovanni II era riuscito a rafforzare l’autorità statale, a reprimere le spinte della grande nobiltà, a sfruttare le risorse d’oltremare, attraverso una politica monopolistica. L’interesse del Portogallo era orientato soprattutto verso l’india, mentre gli interessi della Spagna erano rivolti al completamento della Reconquista, consolidamento delle conquiste Africane, la politica italiana.
Paragrafo 1.3: “Cristoforo Colombo”
Colombo intraprende la via della navigazione a seguito di mercanti genovesi. Dal 1479 si stabilisce in Portogallo, Toscanelli (geografo umanista fiorentino) lo convince della sfericità della terra. Il progetto di Colombo è di raggiungere le Indie Orientali partendo dalle coste Atlantiche dell’Europa: una rotta esattamente antitetica a quella effettuata da Marco Polo via terra. Presenta il progetto a Giovanni II, re del Portogallo: la risposta del sovrano è negativa. Due gli ostacoli: le perplessità del re sulla fondatezza del progetto e la difficoltà di investire energie al di fuori della strategia africana dell’espansione portoghese. Colombo si rivolge allora a Isabella di Castiglia e a Ferdinando il Cattolico. Il 1° contatto nel 1486 dà esito negativo per le ristrettezze finanziarie e gli impegni della corona. Il 2° contatto nel 1491 dà esito positivo. È la vigilia della vittoria di Granada (1492), cioè del completamento della Reconquista, della definitiva liberazione della Spagna dai Mori. Gran parte dei soldi necessari per la spedizione vengono anticipati da Francesco Pinelli e da banchieri fiorentini. La prima spedizione effettuata con 3 caravelle: Santa Maria (comandata da Colombo), Pinta (Varez)e Nina (Pinzon). Il 12/10/1492 dopo una tormentatissima navigazione iniziata il 3 agosto, Colombo avvista finalmente terra. Crede di essere arrivato in Cina o in Giappone, invece arriva all’isola di Guanahanì, ribattezzata San Salvador, nelle Bahamas. È l’OTRO MUNDO. La scoperta è importantissima e al suo ritorno in Spagna Colombo è oggetto di onori e festeggiamenti. La seconda spedizione dopo pochi mesi è di proporzioni più grandi, in vista dell’oro. I suoi uomini sono molti Hildagos, ossia cavalieri che non godevano di alcun titolo nobiliare e che avevano partecipato alla Riconquista; pochi borghesi, molti artigiani e contadini che volevano arricchirsi, cambiare status sociale e diventare signori con vassalli, servi e maggiordomi. L’impresa di Colombo serviva a dare un senso a gruppi della società spagnola che si sentivano frustati ed emarginati: nelle Indie avrebbero potuto essere qualcuno. La delusione per la Corona e per molti di questi uomini è forte dopo la seconda spedizione. Il risultato è solo un piccolo carico di schiavi. Riesce tuttavia ad ottenere l’autorizzazione ad una terza spedizione. Nel 1498 parte con sole sei navi. Il bottino è cospicuo: oro, perle e preziosi. Ancor più importanti la scoperta di altre terre. Nei viaggi precedenti Colombo ha raggiunto il Messico. Ora tocca le coste dell’America latina. Intanto la gestione della conquista si fa difficile. La base più importante nel Nuovo Mondo, Santo Domingo, è in ebollizione: disordini, violenze, epidemie. Colombo fu accusato di corruzione, fu incarcerato nel 1500 e inviato in catene in Spagna. Isabella interviene e lo libera, gli affida un’ultima spedizione in cui egli si spinge ancora più a sud ma fu costretto a tornare in Spagna dove muore il 20/05/1506 abbandonato da tutti.
Dopo la prima spedizione di Colombo si posero due problemi: la legittimazione della conquista e l’esigenza di rinegoziare il trattato di Alcáçova: ossia la definizione delle aree di influenza di Spagna e Portogallo. Nel 1493 con la bolla Inter Cetera, Papa Alessandro VI Borgia, assegnava alla Corona di Castiglia “ogni isola o terraferma, scoperta o ancora da scoprire, avvistata o non ancora avvistata, che non fossero ancora di un altro re o principe cristiano”. Arrivava dunque la legittimazione dell’occupazione e il via libera per le future espansioni. Tale bolla decreta la linea di demarcazione tra territori spagnoli e portoghesi nei territori d'oltreoceano. Tutto ciò che sta ad est della linea alessandrina è territorio del Portogallo, quello ad ovest è della Spagna. Tale linea così tracciata dà in pratica alla Spagna la possibilità di dominio su tutto il nuovo mondo. Ma il Portogallo non era d’accordo con tale divisione. Nel 1494 il trattato di Tordesillas definiva le zone di influenza della Spagna e Portogallo. La storiografia spagnola ha sostenuto che questa nuova divisione era più favorevole al Portogallo; essa in realtà salvaguardava i principali interessi delle due potenze: l’impero commerciale  portoghese sulla rotta della circumnavigazione dell’Africa e l’impero coloniale spagnolo, verso il Nuovo Mondo. Era la seconda tappa della spartizione del globo, destinata a scatenare in breve tempo il malcontento delle altre grandi potenze europee e la conflittualità internazionale.
Paragrafo 1.4: “Dalla scoperta alla conquista: l’espansione portoghese”.
Dopo l’avventura di Colombo e il trattato di Tordesillas vanno disegnandosi le grandi direttrici dell’espansione transoceanica. Le prime due, quelle portoghesi, sono: la via delle Indie orientali e la progressiva scoperta del Brasile. Partito nel 1497 Vasco de Gama doppia il capo di Buona Speranza, attraversa il Mozambico e l’Africa orientale musulmana, nel 1498 è a Calicut (India). Torna con un carico pieno di spezie. Dopo un altro viaggio di Vasco de Gama, il Portogallo entra nella politica indiana. Nel 1519-22 Ferdinando Magellano, navigatore portoghese al servizio della Spagna, costeggia l’America meridionale, supera lo stretto (che rappresenta il più importante passaggio naturale tra l'Oceano Pacifico e Atlantico, ma è considerato una rotta difficile da percorrere a causa del clima inospitale e della strettezza) che porterà il suo nome, si avventura nel nuovo oceano Pacifico e raggiunge le isole Filippine dove muore ucciso dagli indigeni (fase eroica delle spedizioni e delle conquiste).
La più grande risorsa dell’economia del vecchio mondo è il commercio delle spezie. La Corona Portoghese ne possiede il monopolio, ma non è in grado di gestirne la distribuzione dei prodotti esportati soprattutto nell’Europa settentrionale. Un’innovazione radicale nella struttura dell’impero portoghese è rappresentata dalla conquista del Brasile. L’Inghilterra è interessata alla parte settentrionale dell’America. A spingere il Portogallo verso la colonizzazione dell’America meridionale sono le aspirazioni della Francia, proprio per contrastarle il Portogallo crea insediamenti militari in Brasile. Ma il periodo di prosperità durerà poco. Le attività primarie non sono in grado di soddisfare le esigenze della popolazione in aumento. Il Portogallo è dipendente dal Baltico, dalla Francia, dal Nordafrica.
“L’espansione spagnola”.
L’altra grande direttrice dell’espansione transoceanica è quella spagnola. È soprattutto con la spedizione nel Messico del 1519 di Cortès che l’impero ispano-americano compie un grande salto di qualità. Un impero e una civiltà vengono distrutti. Si dà inizio ad un’azione sistematica di conquista che in circa 50 anni sottometterà tutte le principali civiltà del nuovo mondo. Cortès riesce a sconfiggere gli Aztechi, li sottomise, massacra tutti i principali locali, reprime rivolte, bombarda, semina il terrore. La fase finale della conquista fu eseguita da Pizzarro e De Almagro che attaccano l’impero inca, in Perù. Le brutalità e le violenze sono superiori a quelle commesse da Cortès: raggiri, stermini di popolazioni e stragi. Lo spirito dei conquistatori consiste nel “servire Dio e il re e anche diventare ricchi”. A spingere questi uomini è la fede missionaria, la loro forza sta nell’incrollabile convinzione della superiorità della civiltà. Gli uomini di Cortès sono castigliani che vogliono la ricchezza attraverso la guerra, feudi, vassalli, titoli e fama.
Il primo problema che la colonizzazione pone è l’organizzazione della conquista, l’individuazione di un equilibro tra il riconoscimento del potere statale sui territori d’oltremare e la soddisfazione delle aspettative dei conquistadores. Il 1° strumento del rapporto tra la Corona spagnola e  i conquistatori fu la licenza reale: in cambio di investimenti e servizi per la Corona, l’impresario riceveva titoli, privilegi, autorizzazioni commerciali, fino al titolo di adelantado, che conferiva un diritto di signoria non trasferito ma donato dal sovrano, un potere amministrativo e militare, a volte il privilegio di fondare città e distribuire terre. Il re designava il comandante, l’adelantado, che in genere era il 1° governatore delle terre conquistate. Non aveva comunque un’autorità assoluta sui membri della spedizione: si doveva consultare con essi per prendere le decisioni più importanti, anche per prevenire disordini, rivolte.  Nominava, a sua volta, dei capitani per il comando delle compagnie. Criteri di scelta erano lo stato sociale, l’amicizia, parentela con il capo-missione. Un tentativo di razionalizzare e giustificare la conquista fu quello di farla accettare agli indigeni tramite il requerimiento. In base ad esso gli indios dovevano riconoscere il papa come signore del mondo e il re di castiglia come suo vicario, destinatario delle terre d’oltremare, offerte  dal pontefice; solo se gli Indios accettavano tali condizioni, venivano riconosciuti come leali vassalli. Il sistema non funzionò; gli indios non potevano capire le sottigliezze del messaggio giuridico del requerimiento. Quindi lo strumento più importante della colonizzazione fu l'encomienda, si trattava di un’istiruzione casigliana medioevale: l’encomienda era una concessione temporanea fatta dalla Corona a singoli soggetti, di diritti, di signoria su terre, città, castelli. L’assegnazione non comportava alcun titolo di proprietà; L’Encomendero riceveva temporaneamente diritti di signoria su un certo numero di Indios, in cambio di una loro sistemazione in comunità stabili, dotate di Chiese e parroci. Per alcuni storici l’encomienda garantì agli Spagnoli i possedimenti  americani, per altri invece era qualcosa simile ad una signoria schiavista. Le comunità create dall’encomendero non erano altro che prigioni di manodopera forzata. Tutti gli stoici sono d’accordo sul fatto che l’encomienda non indebolì lo Stato spagnolo. Alla fine gli encomenderos furono posti sotto il rigido controllo della Corona.
Anche il resto dell’Europa si impegnò nella conquista dell’America. L’Italia partì con esperti viaggiatori e navigatori ma anche con uomini d’affari. L’Inghilterra cercò di invadere le conquiste spagnole. L’idea dell’oro e il mito del meraviglioso erano i primi elementi che attiravano, ma ben presto si sviluppa anche un sentimento di superiorità della civiltà europea.
Capitolo 2: “Rinascimento e Stato Moderno”.
Paragrafo 2.1  : “Le tre tappe del Rinascimento”.
Il periodo compreso tra il 15° e 17°secolo è chiamato Rinascimento; esso ha origini italiane ed è caratterizzato da una forte carica di modernità in contrapposizione al medioevo. Esso rappresenta cioè un’epoca di reali trasformazioni che investono gran parte dell’Europa. Si possono distinguere: un’origine nel 14° secolo, al tempo di Petrarca; una maturità tra il 15°secolo e la prima metà del 16°; uno stadio finale nella seconda metà del ‘500. Le innovazioni non erano poche: il fiorire delle arti, della letteratura, della scultura, ma soprattutto ci fu una nuova visione del mondo e dell’uomo inteso come “individuo”. C’è un ritorno all’antico; il mondo classico diventa anche una guida per la vita pratica. Nell’arco di questi due secoli e mezzo si sono avuti mutamenti culturali, economici, sociali e politici. I mutamenti nella struttura politica fanno dello Stato la nuova forma di organizzazione politica interna e internazionale.
Paragrafo 2.2: “Gli stati moderni e le nuove forme di politica”.
Quasi tutti gli stati europei hanno una organizzazione politica simile. Al vertice c’è il sovrano, unico titolare del potere che proviene direttamente da Dio, giudice supremo e legislatore, assistito nella sua attività da un Consiglio del Re. Un insieme di organismi amministra i diversi settori dello stato chiamato moderno perchè presenta elementi nuovi rispetto alle organizzazioni politiche medievali. La novità più eclatante fu la divisione tra la proprietà o titolarità del potere spettante al sovrano e il suo esercizio affidato all’amministrazione. Si tratta di una forma di Stato assai differente da quella affermatasi 2 o 3 secoli dopo: i poteri legislativo, esecutivo e giurisdizionale non sono ancora distinti; c’è molta confusione tra le competenze dei diversi uffici; i confini tra pubblico e privato sono ancora confusi e non ancora affermati. Si tratta di uno stato in cui esistono ancora molti privilegi, infatti la Chiesa e la nobiltà feudale avevano tribunali separati da quelli statale. I concetti di Stato moderno e Stato del Rinascimento indicano un’organizzazione del potere diversa rispetto al medioevo, mentre Stato nazionale indica le entità politiche che corrispondono a insiemi etnicamente e geograficamente omogenei. La formazione dello Stato nazionale si è avuta nel XV secolo in Spagna, Inghilterra e Francia. Il 500 ha conosciuto altri 2 modelli di Stato: l’autocrazia e il dispotismo. Il 1° rappresenta la centralizzazione statale russa, il 2° l’impero ottomano. A metà del ‘500 in molti paesi europei si iniziò ad avvertire una crescita dei prezzi rispetto ai primi anni del secolo ed a cambiare il rapporto tra domanda ed offerta; ciò fu attribuito alla scoperta del nuovo mondo e ad una notevole crescita demografica. I contemporanei la definirono: “rivoluzione dei prezzi”, cioè quando i metalli preziosi arrivarono in Europa, i prodotti da acquistare erano pochi, così avendo a disposizione molta moneta e poche merci, quest’ultime presero a salire di prezzo, visto che chi aveva più denaro era disposto ad acquistarle a qualunque prezzo. Il fenomeno dell’urbanizzazione comincia a diventare ben visibile. Molta importanza assume la cultura e la sua trasmissione. Il rinascimento si identifica con le grandi opere della pittura, scultura e architettura, ma anche con il libro moderno. Venezia domina il mercato dei libri, con Aldo Manuzio che pubblica la prima collana di tascabili in volgare e usa per la prima volta il carattere corsivo. Il protagonista di tutti i libri di questo periodo è l’uomo, oggetto di una nuova attenzione come individuo e come artefice di relazioni, di rapporti, come soggetto e oggetto di comportamenti.
La Francia: Con la sconfitta di Carlo il Temerario nel 1477, la conquista della Borgogna ad opera di Luigi XI e l’annessione della Provenza nel 1481 si compie l’unificazione geopolitica della Francia. Il re in Francia è al vertice del sistema politico e tale potere ha alcune caratteristiche feudali: è capo di una gerarchia di vassalli, conserva un legame personale e contrattuale con la nazione. Tutte le province hanno un sistema di rappresentanza (Parlamenti e stati provinciali) autonomo, ma in realtà non c’era una vera e propria autonomia in quanto tutti i decreti legislativi, finanziari e a volte giudiziari provenivano dal re. Al vertice del sistema di governo, su cui reggeva la monarchia francese, c’era il Consiglio del Re, formato dai grandi dignitari e dagli ufficiali della corona. Durante il regno di Francesco I lo strumento reale sarà il consiglio degli affari, segreto, formato da pochi consiglieri intimi del re, questi deliberano su tutte le questioni (politiche, militari, finanziarie, amministrative). Altro gruppo alla fine del 400 saranno i maitres des requetis: utilizzati dal re come suoi fedeli commissari per ispezionare e controllare le province, essi siedono nei parlamenti e partecipano alle sedute del consiglio del re. Il consiglio si articolava in: una Sezione di Stato, in un Consiglio “des Parties” ed un Consiglio delle Finanze; questo per garantire le competenze in ciascun settore: politica, giudiziarie e finanziarie. Nel 1547 furono creati i 4 segretari del re: responsabili dei 4dipartimenti in cui era diviso il regno; erano le persone su cui il re poteva contare per l’esecuzione delle sue volontà.
L’Inghilterra: La monarchia inglese andava consolidandosi e restaurandosi alla fine della guerra delle Due Rose. Grazie a Enrico VII Tudor la monarchia inglese, comprendente anche il Galles e parte dell’Irlanda, riesce ad affermare la sua autorità. Combatte con successo i poteri residui dei grandi feudatari, istituendo la “Camera Stellata”, cioè una sorta di tribunale per le cause contro le famiglie feudali ribelli, e lo stesso sovrano permise a persone non nobili di ricoprire cariche politiche e giudiziarie. Ma è soprattutto con Enrico VIII che si verifica una vera rivoluzione nel governo: il centro dell’amministrazione è assunto dal 1° segretario e dal Consiglio Privato, sono soppressi ineguaglianze costituzionali e speciali privilegi nel paese. L’artefice di questa rivoluzione amministrativa è Thomas Cromwell che cerca di attuare il progetto della concentrazione del potere nello Stato. La struttura e le funzioni del parlamento si differenziano dagli istituti simili presenti in altri paesi europei. Vi sono 2 camere: quella dei Lord (ereditaria) che rappresentava la grande nobiltà e dei Comuni (elettiva) che rappresentava la piccola nobiltà terriera, ceti non nobili e coltivatori diretti. La funzione legislativa è riconosciuta al Parlamento; il riferimento dei parlamentari è a una legge comune (Common Law), indipendente dal sovrano. Un’altra caratteristica del governo inglese è costituita dall’autogoverno delle contee, affidato agli sceriffi, nobili e ai giudici di pace. Si sviluppa nel ‘500 la teoria dei 2 corpi del re: oltre al corpo naturale, mortale, soggetto alle malattie e alla vecchiaia, il sovrano è dotato di un corpo politico incorruttibile, non soggetto a malattie, invecchiamento e morte. In questo secondo corpo, che passa da un re all’altro, si concentra l’essenza della sovranità.
La Spagna: Nel 1469 Ferdinando (re di Sicilia ed erede al trono di Aragona) e Isabella (erede al trono di Castiglia) si uniscono in matrimonio. Essi creano dalla loro unione le premesse per la formazione dello Stato iberico. Sono soprattutto le condizioni interne ed internazionali a rendere opportuno e conveniente un matrimonio tra Aragona e Castiglia. In seguito alla liberazione di Granada che segnò il compimento della Reconquista cristiana, a Ferdinando e Isabella furono concessi i titoli di “Re cattolici”, conservati anche dai loro successori. L’unione delle Corone sotto i Re Cattolici riunì realtà diverse: il territorio Castigliano molto esteso ( tre volte quello aragonese), con società ancora pastorale e densità di popolazione assai elevata; e l’Aragona che ha dato vita, nel corso del tardo Medievo, al grande impero commerciale catalano-aragonese. Un sistema rappresentativo più articolato rispetto a quello casigliano e a fondamento di quello aragonese sono: le Cortes, cioè delle assemblee degli Ordini, dei Ceti, in Catalogna godono di potere legislativo. Nel tardo medioevo i sovrani casigliani, a differenza di quelle aragonesi, non sono obbligati a convocare le Cortes a scadenze regolari.
La Russia: Ivan III fu l’artefice dell’unità della Russia, liberata dai mongoli. Lo zar si sentiva erede dell’impero Romano d’Oriente e dei sovrani bizantini. L’ideale politico di Ivan era “un’aristocrazia ortodossa sinceramente cristiana” di tipo patriarcale benedetta nella sua missione dalla divina provvidenza. Mal’autocrazia era appunto un ideale. Nella realtà lo zar doveva far fronte alle forti opposizioni dell’antica nobiltà feudale, i boiari. Lo zar crea organismi rappresentativi locali e affida alla piccola nobiltà provinciale alcune funzioni di amministrazione della giustizia e di polizia. Per contrastare e ridimensionare la potenza dei boiari, prima Ivan III e poi Ivan IV il terribile distribuirono la terra alla nobiltà di servizio, cioè la piccola nobiltà. Ivan III concesse l’usufrutto delle terre conquistate a questi nobili. Ivan IV trasformò l’usufrutto in diritto ereditario, concesse ai nobili di servizio un’ampia zona equivalente alla metà dell’intero territorio e costruì con loro una forza militare autonoma. Le conseguenze furono notevoli. Molti territori dell’antica nobiltà furono espropriati con la forza e passarono alla piccola nobiltà di servizio. La centralizzazione del potere corrisponde all’indebolimento dell’aristocrazia boiara.
La Germania: nel XVI secolo non appare come entità politica unitaria. Lo sviluppo statale ha avuto luogo su 2 piani: quello dell’impero e quello degli Stati territoriali. Il 1° ha perso i 3 requisiti medievali della sacralità, universalità e continuità. L’impero  pur essendo elettivo è affidato agli Asburgo. Il sistema politico imperiale presenta debolezza costituzionale. È assai scarso il potere che l’imperatore riesce ad esercitare sui principi territoriali e sulle città. Per quanto riguarda il 2° piano il processo di formazione dello stato si presenta  condizionato dal rapporto tra principe e i ceti. La costituzione per ceti è una struttura politica dualistica: da un lato il Consiglio del signore territoriale, dall’altro la Dieta organismo rappresentativo dei ceti, della città, del clero. I ceti godono di ampi poteri giudiziali, militari e finanziari. Nella 1° fase della formazione dello stato in Germania i ceti avevano appoggiato il potere del principe sul piano centrale, ma l’avevano indebolito sul piano locale. Nella 2° fase i ceti sono stati i partner indispensabili del principe nella formazione dello stato.
L’Impero Ottomano: Nel 1453, con la conquista di Costantinopoli, comincia la 2° fase dell’espansione turca. In meno di un secolo i turchi conquisteranno una vasta area dei Balcani. Il XVI secolo rappresenta il secolo del maggiore sviluppo e del principio della crisi della potenza ottomana. A metà 500 con Solimano I l’impero ottomano è il più potente del mondo; ma alla fine del 500 quell’impero è in declino. La struttura dello Stato turco è assai diversa da quelle degli stati europei: manca la proprietà privata; esistono 2 istituzioni parallele: quella di governo e quella religiosa musulmana. Nei paesi dell’Islam non c’è separazione tra Chiesa e Stato; non esiste il feudalesimo: i cavalieri musulmani ricevono dal sultano terra in cambio del servizio militare; lo Stato ottomano comprende diverse etnie lasciate libere di mantenere in vita leggi e costumi preesistenti. Nessun tentativo di unificazione.
Capitolo 3: “L’Italia nelle guerre per il predominio europeo”.
Paragrafo 3.1: “Il sistema degli Stati italiani”.
Nel 400 tre sono le grandi potenze in Europa: la Francia, la Spagna e l’Impero ottomano. Esse sono organismi politici solidi, fondati sul consolidamento del potere monarchico, su una progressiva unificazione nazionale e su una politica espansionistica verso l’esterno. Guerre, matrimoni e alleanze diplomatiche sono gli strumenti della politica di potenza. Secondo la storiografia, la vicenda politica italiana tra metà 400 e 500 attraversò 3 fasi:
a) dalla pace di Lodi (1454) alla discesa di Carlo VIII, dall’equilibrio di Lorenzo il Magnifico alla fine dell’indipendenza italiana;
b) durante le guerre d’Italia, dipendenza assoluta da Francia e Spagna;
c) con la Pace di Cateau-Cambrésis l’Italia entra nei secoli bui dell’egemonia spagnola.
Tra XIV e XV emergono con evidenza le difficoltà nella formazione di un sistema politico peninsulare. Queste difficoltà erano state in parte aggravate dalla pace di Lodi. I 5 potenti della penisola: Milano, Venezia, Firenze, Stato della Chiesa e Regno di Napoli avevano esercitato un controllo vigile sulla “libertà d’Italia”: cioè la sopravvivenza del sistema dell’equilibrio politico capace di fermare qualsiasi mira di potenze straniere sul territorio italiano. Alla fine del 400 questo sistema entrava in crisi. Nei primi del 500 il predominio sull’Italia è considerato il problema centrale, le parti in gioco sono 2: Milano e il Regno di Napoli. Queste nel sistema degli Stati italiani sono anche i punti più deboli: non possono contare né sul principio del  legittimismo dinastico, né su una signoria locale (come Firenze), né su una struttura aristocratica o oligarchica (come Venezia). Ma vi erano anche dei punti forti quali il Ducato di Savoia, lo Stato della Chiesa, Venezia, ma nessuno di questi poteva realizzare una supremazia riconosciuta. Permaneva quindi il divario tra l’Italia e le altre potenze europee nella disponibilità di strumenti politici e militari.
Paragrafo 3.2: La spedizione di Carlo VIII e la fine dell’indipendenza del Regno di Napoli: Rapidità e facilità: sono le 2 caratteristiche assunte dalla spedizione di Carlo VIII in Italia. Il ducato di Milano era uno dei deboli del sistema degli stati italiani. Dopo l’uccisione di Galeazzo Maria Sforza in una congiura nobiliare nel 1476, i poteri passano al figlio Gian Galeazzo II, ma di fatto governò lo zio Ludovico Sforza detto “il Moro”, che nel 1494 fece assassinare il nipote e si proclamò duca. Gian Galeazzo aveva sposato Isabella, figlia del re di Napoli Ferrante D’Aragona. La situazione instabile, la non legittimità del suo potere, le mire degli Aragonesi sul ducato e la necessità di stringere una alleanza con il sovrano di una potenza straniera, lo spinsero ad allearsi con Carlo VIII nel 1492. Essa era necessaria al Moro anche per consolidare il suo potere di principe territoriale nell’area padana. Per questo e per far fronte alla minaccia aragonese il Moro chiamò in soccorso il re di Francia e lo invitò a far valere le su aspirazioni angioine sul Regno di Napoli. La preparazione politico-diplomatica fu molto curata da Carlo VIII in tutti i suoi dettagli. Innanzitutto doveva assicurarsi la neutralità della Spagna e dell’Inghilterra. Papa Alessandro VI Borgia cercava di creare, attraverso il figlio Cesare, un forte stato nell’Italia centrale e aveva grande bisogno dell’appoggio di una potenza straniera. Venezia avrebbe potuto trarre vantaggio e, a sua volta, aspirava a nuove conquiste territoriali grazie all’intervento straniero in Italia. L’identità del paese come nazione e patria era completamente assente nella cultura e nella mentalità collettiva. L’apparato militare di Carlo era il più moderno e sviluppato nell’Europa del tempo. Il successo della spedizione di Carlo fu dovuto anche alla sua netta superiorità militare. In pochi mesi il re attraversò l’Italia, avanzava rapidamente verso Firenze senza trovare resistenza. Il successore di Lorenzo il Magnifico, Piero de’ Medici, provocò, con il suo atteggiamento di totale soggezione a Carlo VIII, la ribellione dei fiorentini, che lo cacciarono da Firenze e la proclamarono repubblica. A dicembre Carlo entra a Roma e prosegue fino al Regno di Napoli. Dopo la morte di Ferrante d’Aragona, il figlio Alfonso aveva provveduto a contrastare i progetti francesi di invasione del Regno di Napoli. Aveva mandato inviati a Milano, Venezia, Firenze, aveva stretto legame con il papato, aveva persino sollecitato aiuti dai turchi, dagli spagnoli e dagli Asbrurgo. Fortificazioni, progetti di intervento militare a Genova, in Lombardia e Romagna avevano dimostrato che Alfonso non era totalmente impreparato di fronte al pericolo francese. Ma non aveva le doti e le capacità politiche, tattiche e strategiche del padre. Al principio del 1495 Alfonso abdicava a favore del figlio Ferdinando II, detto Ferrandino. Carlo ebbe poco tempo per svolgere a Napoli una vera e propria azione militare, cercò soprattutto consensi tra gli strati borghesi e artigiani. A tale scopo confermò tutti i privilegi delle potenti corporazioni della lana e seta, e allargò il potere della rappresentanza popolare. Il 31 marzo 1495 era stata firmata a Venezia un’alleanza antifrancese, formata da Venezia stessa, da Ludovico il Moro, da papa Alessandro VI, da Massimiliano d’Asburgo, da Ferdinando II d’Aragona che era dovuto fuggire da Napoli con tutta la corte, dai Re Cattolici. Nella battaglia di Fornovo gli alleati cercarono di impedire, senza successo, la ritirata di Carlo VIII. Era comunque la fine della sua spedizione in Italia. Il 7 Luglio Ferrandino riconquista il Regno di Napoli, ma la restaurazione aragonese fu carica di problemi; l’assedio ai castelli si protrasse per mesi, il regno visse in uno stato di tensione. Per controbilanciare il potere dell’aristocrazia, la Corona favorì l’ascesa delle componenti popolari. Nel 1495 muore Ferrandino; erede al trono lo zio Federico. Iniziava un nuovo corso politico, fondato sul ridimensionamento del potere dei popolari, su un compromesso di interessi tra la Corona e la feudalità del Mezzogiorno e l’anno seguente ci fu una tregua tra Francia, Spagna e Stati italiani e Federico veniva incoronato a Capua. Nel 1498 Carlo VIII moriva; il suo successo,  Luigi XII, riprese il progetto di conquista di Milano. Stabilì inoltre degli accordi con Venezia e con il papa Alessandro VI Borgia, incoraggiato a creare per il figlio Cesare un principato per l’Italia centrale. Luigi XII rivendicava anche una discendenza, quindi titoli di legittimità su Milano. Dopo la conquista di Milano, puntava su Napoli. Poteva scegliere tra 2 opzioni: accogliere la proposta di Federico, cioè conservare il Regno di Napoli come feudo della Francia o spartirlo tra Francia e Spagna (ipotesi già elaborata ai tempi di Carlo VIII). Dopo il trattato di Granada tra Francia e Spagna, si passò alla spartizione del Regno di Napoli; Luigi XII otteneva la metà settentrionale del napoletano e Ferdinando il Cattolico la Puglia e la Calabria. Ma l’equilibrio raggiunto era precario. Vi era l’impossibilità di far coincidere gli interessi francesi con quelli spagnoli. Per Ferdinando il Cattolico Napoli era troppo importante; utilizzò tutte le risorse per associare il Regno di Napoli al nuovo impero spagnolo: la strategia matrimoniale, l’alleanza con il pontefice, l’intesa con Luigi XII, la spartizione con il trattato di Granada. Nel 1500 con la battaglia di Cerignola l’esercito francese è sconfitto. La conquista spagnola del regno di Napoli veniva coronata dalla giornata del Garigliano del 1503. Le truppe italo-spagnole coglievano il nemico di sorpresa, l’impiego della fanteria era più articolato. Era la genesi della guerra moderna, l’inizio di una lunga dominazione straniera nel Mezzogiorno d’Italia che sarebbe durata oltre 2secoli. Paragrafo 3.3: Savonarola e Borgia
In Italia dopo la cacciata dei Medici da Firenze e la costituzione della repubblica, ruolo importante nel nuovo sistema di governo era assunta dal frate domenicano “Savonarola”; spinto da una fede profonda vuole attuare una radicale renovatio cristiana e combattere contro la politica temporale dei papi, più che pontefici, governanti corrotti e immortali. Savonarola aveva trasferito i valori cristiani della fratellanza e dell’uguaglianza anche al campo delle relazioni politiche. Erano state abolite le imposte, era stato fondato un Monte di Pietà per l’assistenza ai più bisognosi; il potere dei sostenitori di Savonarola era aumentato e si esercitava in tutti gli aspetti della vita. Presto si organizzarono gruppi di oppositori: nacquero i Palleschi che volevano il ritorno dei Medici. A favorire il successo dei gruppi coalizzati contro il frate fu anche la sua scomunica lanciata dal papa. Savonarola continua la sua campagna contro i vizi della Chiesa, il partito dei Medici lo fa arrestare, processare per eresia, impiccare e poi ardere in Piazza della Signoria insieme a due suoi fedelissimi, concludendo così la stagione della repubblica fiorentina. “Cesare Borgia” aveva l’ambizioso progetto di eliminare le piccole signorie locali e di annetterle allo Stato della Chiesa, conquistare l’intera Toscana e creare un vasto complesso politico nell’Italia centrale. Di questo tentativo Cesare Borgia riuscì a realizzare solo la prima parte. Il piano di espansione dei borgia fu troncato dalla morte di Alessandro VI Borgia e dall’elezione del nuovo papa, Giulio II della Rovere, acerrimo nemico di Borgia.
Paragrafo 3.4: Francesi, Spagnoli nella penisola.
L’elezione di Giulio II rappresentava una svolta sia nella storia del potere pontifico, sia nel rapporto tra il sistema degli stati italiani e le potenze europee. Seppe sviluppare una politica estera aggressiva e costruire intorno a sé forse il più imponente sistema di alleanze del tempo. Promosse il consolidamento della monarchia papale e una politica di centralizzazione del potere. Si impegna a riordinare i territori dello Stato della Chiesa, facendo nuove annessioni e scacciando i signori di Romagna. Ciò lo fece scontrare con Venezia. Giulio II allora promosse nel 1508 la Lega di Cambrai in funzione antiveneziana, riuscendo a mettere insieme avversari come Luigi XII, Massimiliano d’Asburgo e Ferdinando il cattolico e a sconfiggere l’esercito veneziano. Con sorpresa si assistette alla ripresa veneziana. Il problema politico tornava a essere la supremazia francese nell’Italia settentrionale. Giulio II nel 1512 si rese protagonista di una lega antifrancese (Lega Santa), cui aderirono Ferdinando il cattolico, la Confederazione svizzera e persino Venezia. Nella Battaglia di Ravenna riuscirono a vincere le truppe della lega ei francesi dovettero lasciare Milano. A Firenze, dopo 18anni di esilio, rientravano i Medici. Poco era cambiato nel sistema degli Stati italiani: lo Stato della Chiesa e Venezia continuavano a essere gli elementi più forti del sistema. Francesco I, successo a Luigi XII, si preoccupa di riconquistare la Lombarda e ci riesce nella battaglia di Marignano. Nel 1516 con la Pace di Noyon si attribuisce alla Spagna il Regno di Napoli e alla Francia il Ducato di Milano.
Paragrafo 3.5: L’Impero di Carlo V.
L’autorità imperiale, elettiva, aveva realizzato nel corso del ‘400 una relativa concentrazione del potere nelle basi territoriali degli Asburgo d’Austria. Massimiliano I D’Asburgo, re di Germania dal 1493, aveva ereditato le Fiandre dal matrimonio con Maria di Borgogna. Fece in modo che il proprio figlio ed erede al trono, Filippo, detto il bello, prendesse in moglie Giovanna di Castiglia, detta la Pazza, figlia di Ferdinando il Cattolico e Isabella di Castiglia. Ma iniziano a nascere numerosi problemi: pezzi di impero si staccarono dal fragile edificio germanico ed entrarono in conflitto con l’imperatore. Altro insuccesso di Massimiliano si ebbe in Ungheria. Un accordo stabiliva il diritto degli Asburgo a succedere sul trono d’Ungheria in assenza di eredi della dinastia Jagelloni: ma la nascita di Luigi vanificò i progetti dell’imperatore. Gli interessi italiani di Massimiliano, malgrado un notevole impegno politico-militare contro Venezia a fianco di Giulio II, non furono soddisfatti. Non ci furono vantaggi neppure dalla partecipazione militare alle guerre d’Italia. Tuttavia la strategia matrimoniale di Massimiliano cambiarono nel corso del ‘500 lo scenario politico mondiale. Nel 1500 da Filippo e Giovanna la Pazza, nasceva Carlo che diventava erede delle Fiandre, dell’Austria, dei regni D’Aragona e Castiglia. Nel 1516 alla morte di Ferdinando il Cattolico, Carlo venne proclamato re di Spagna, e fu incoronato imperatore ad Aquisgrana. Carlo V aveva tutti i titoli per governare un Impero universale. Ferdinando aveva completato prima di morire l’unificazione della Spagna annettendo Navarro che controllava il passaggio tra Spagna e Francia. Castiglia però non accettò una condizione di dipendenza da una dinastia nuova e straniera come gli Asburgo. Contraria alla candidatura di Carlo V all’impero era la Francia. Carlo riuscì a cavarsela grazie ai principi tedeschi. Lo scontro tra Francia (Francesco I) e Spagna (Carlo V) si ebbe nella Battaglia di Pavia nel 1525. Motivo della guerra: Possesso del Ducato di Milano che per Carlo V aveva una importanza strategica poiché metteva in comunicazione Germania e Spagna; per Francesco I era importante altrimenti la Francia sarebbe stata soffocata territorialmente.
Paragrafo 3.6:Da Pavia a Cateau-Cambrèsis.
Nel 1525 sconfitto e catturato a Pavia, Francesco I è costretto a rinunciare a Milano. Al termine di un anno di prigionia, il sovrano francese firma la pace con Carlo V. Nel 1526 col trattato di Madrid Francesco I, in cambio della libertà, si impegna a concedere a Carlo V Milano e la Borgogna (ma tornato in Francia disse che il trattato gli era stato estorto e di non volerlo rispettare, così la Borgogna restò in mani francesi). Nel 1526 Francesco I riapre le ostilità alla testa di una nuova lega santa, la Lega di Cognac, in cui riesce a coinvolgere l’Inghilterra di Enrico VIII, Venezia, Milano, Genova, Firenze e il pontefice Clemente VII della famiglia Medici, in precedenza uno dei maggiori sostenitori di Carlo V. Qualche iniziale vittoria nel milanese da parte delle truppe di Carlo V, di cui l’imperatore si serve per impartire una severa lezione a Clemente VII. Le sue truppe entrarono a Roma che fu distrutta dal rinnovamento protestante (SACCO DI ROMA del 1527). Nel 1529 col Trattato di Barcellona stipulato tra Carlo V e il papa Clemente VII si sanciva che: il papa si impegna ad incoronare Carlo V re d’Italia, in cambio Carlo V si impegna a reinserire i Medici a Firenze, dove gli abitanti avevano ristabilito un governo repubblicano). Nel 1529 con la pace di Cambrai, detta delle due dame perché stipulata da Luisa di Savoia, madre di Francesco I, e Margherita d’Austria, zia di Carlo V, si stabilisce che Carlo V rinuncia alle sue pretese sulla Borgogna e Francesco I riconosce a Carlo V il possesso di Milano. Nel 1530, dopo il congresso di Bologna (un incontro tra il papa e l’imperatore durato circa 4mesi), Carlo V é incoronato Re d'Italia e imperatore del Sacro Romano Impero. Una fase della storia d’Italia si conclude, tutti gli Stati minori riconoscevano il predomino spagnolo nella penisola. Ma i tentativi francesi di contestare il primato spagnolo in Italia non si fanno attendere. Dopo la pace di Cambrai Francesco I attua una politica di riamo e di consolidamento della difesa militare. Stipula 2 alleanze: la prima con il nemico di  Carlo V, i turchi di Solimano I il Magnifico; la seconda con un altro nemico dell’imperatore, i principi luterani della Germania. Così riprendono le ostilità tra Francia e Spagna. Il successore di Francesco I, Enrico II, continua la politica diplomatica e militare del padre. Sposta il conflitto dall’Italia alla Germania dove era accesa la lotta tra cattolici e luterani. Enrico II offre appoggio ai principi luterani ed in cambio occupa i tre vescovati imperiali, appartenente all’impero ma abitate da una popolazione in prevalenza francese. Carlo V sconfitto dai principi protestanti è costretto a firmare la pace di Augusta, dove riconosce la libertà di coscienza ai luterani e il libero esercizio della nuova fede religiosa. Tale pace sancisce la divisione della Germania tra cattolici e luterani; per la prima volta due forme di religione, la cattolica e la luterana, ottengono pari riconoscimento legale. Nel 1556 Carlo V abdica dove aver diviso i suoi stati tra il figlio Filippo II e il fratello minore Ferdinando I (vedi 6° capitolo). Nel 1557 ci fu la lotta tra Francia e l’impero: Enrico II contro Filippo II (alleato con l’Inghilterra). L’esercito spagnolo riportò una vittoria sui francesi. La pace venne ristabilita con il trattato di Cateau-Cambrésis (1559), che significò la preponderanza spagnola in Italia, ma anche necessità di salvaguardare l’integrità degli stati nazionali emersi tra il ‘400 e il ‘500 e l’impossibilità di dar vita nel cuore dell’Europa a un Impero universale fondato sul potere del papa e su quello dell’imperatore. 
Capitolo 4: “La Riforma Protestante”.
La Riforma protestante fu un movimento europeo che coinvolse persino paesi di forte tradizione cattolica come Francia, Spagna e Italia. I promotori furono in maggioranza uomini di Chiesa: Lutero (monaco agostiniano), Zwigli (sacerdote), Calvino (si avviò presto verso la carriera ecclesiastica). La Riforma nacque dentro, e non fuori, l’istituzione ecclesiastica. Fu un moto di reazione alla corruzione del clero, agli abusi ecclesiastici, al commercio delle indulgenze che garantiva la liberazione delle anime dalla permanenza in purgatorio e denaro al tesoro della Chiesa. Promotore della Riforma fu Lutero che denunciava la corruzione papale di Alessandro VI Borgia, di Giulio II ecc. A differenza di Calvino, egli non ha lasciato un’opera sistematica dalla quale sia possibile rilevare i fondamenti della sua dottrina. I suoi scritti sono occasionali. La sostanza del problema di Lutero è la giustizia di Dio, quindi l’assoluta dipendenza dell’uomo da Dio e la svalutazione di tutte le opere buone compiute dall’uomo. L’uomo è peccatore nella realtà della sua condizione originaria e della vita quotidiana, ma è giusto nella fede in Dio. L’obiettivo di Lutero fu espresso con la pubblicazione delle 95 tesi sulla porta della Chiesa di Wittenberg nel 1517. I tre punti di partenza della  Riforma luterana sono:

  • Solo la fede salva, non le opere.
  • Solo le S.S contiene tutte le verità di dio e non ha bisogno della tradizione e meditazione della Chiesa.
  • No ai 7sacramenti; libertà di culto e disciplina.

Contesta al papato il diritto di convocare i concili, la prerogativa di essere depositario della vera e unica interpretazione delle sacre scritture. Elimina tutti quei sacramenti (cresima, penitenza, estrema unzione, ordine sacro, matrimonio) che presuppongo la mediazione ecclesiastica tranne il battesimo (che dona la grazia attraverso la fede) e l’eucarestia (in quanto memoria del sacrificio della croce). Le tesi di Lutero si diffusero velocemente fino ad arrivare a Roma. Il 1° intervento della Chiesa è del 1520: papa Leone X lo condanna minacciando la scomunica se entro 60 giorni egli non ritrattava. Nel dicembre egli brucia la bolla nella piazza di Wittenberg. Nel gennaio una nuova bolla papale pronuncia la sua scomunica. Intanto la dottrina luterana si diffonde in vaste aree della Germania. Tutte le gerarchie e i ceti sociali ne sono coinvolti grazie alla semplicità del messaggio luterano e alla sua duttilità tale da soddisfare bisogni e domande di soggetti tra loro assai diversi. L’intervento ecclesiastico ha bisogno del supporto dell’ autorità politica. Nella Dieta di Worms riunitasi alla presenza dell’imperatore Carlo V, avviene l’alleanza tra potere secolare ed ecclesiastico per la repressione del riformatore, ma non raggiunge il suo fine. Lutero sostiene fino in fondo la sua testimonianza di fede, rivendicando ancora la sua piena appartenenza alla Chiesa. Temendo per l’incolumità di Lutero, il principe suo protettore, Federico il Saggio di Sassonia, decide di provvedere alla sorveglianza del monaco durante il viaggio da Worms a Wittenberg. Il monaco trova protezione nel castello di Wittenberg. È questo un periodo importante perché avviene la traduzione del Nuovo Testamento. La Bibbia già esisteva in tedesco, la novità sta nell’efficacia espressiva e linguistica della traduzione letterale. Nel 1524 Erasmo da Rotterdam pubblica l’opera De libero arbitrio. L’anno successivo Lutero replica con De servo arbitrio. È la rottura fra i due più grandi spiriti religiosi dell’epoca; è anche il segno della diversità di intendere il rapporto tra fede e ragione. Il libero arbitrio di Erasmo è l’esaltazione della religione naturale. I suoi fondamenti sono: unità e pacificazione cristiana attraverso la tolleranza, il primato della volontà dell’uomo di fare bene e di evitare il male. Il servo arbitrio di Lutero è all’opposto l’esaltazione della religione soprannaturale. I suoi fondamenti sono: l’assoluta certezza delle Sacre Scritture, della salvezza attraverso la fede, l’impotenza della volontà umana, divergenza tra fede e ragione. Nel 1°decennio del ‘500 la Germania è in fermento dal punto di vista non solo religioso ma anche sociale e politico. I conflitti hanno un punto in comune: l’intreccio tra il rinnovamento dello spirito religioso, promosso da Lutero e il programma di riforma politica. Influenzati dalle idee luterane, i leader dei cavalieri accentuarono la rivolta contro la Chiesa di Roma, contro i beni del clero e cercarono di formare una Germania imperiale, libera dal potere del papa, fondata sul primato della forza politica dei cavalieri e sulla fine del potere della grande feudalità laica ed ecclesiastica. I cavalieri del medio e alto Reno si coalizzarono contro l’arcivescovo di Treviri. Ma i principi protestanti si schierarono con l’arcivescovo e sconfiggono i cavalieri. La grande feudalità e i principati territoriali escono vincitori, mentre i cavalieri sono definitivamente vinti come forza politica. Più complessa è la guerra dei contadini. L’obiettivo è abbattere la particolare struttura per ceti, caratteristica della Germania; formare una federazione di leghe, ispirati al vangelo, al bene comune, all’amore cristiano e fraterno; espropriare ecclesiastici e religiosi. Nel 1° intervento di Lutero, l’Esortazione alla pace, la sua preoccupazione fondamentale è di mediare tra i contadini e i signori. Ai primi dice di non abusare del nome di cristiano e di non servirsene come copertura alla loro ribellione: i contadini devono obbedienza al re perché il Vangelo condanna qualsiasi forma di ribellione. Poi esorta i signori a non abusare del proprio potere giurisdizionale. I principi seguono alla lettera i consigli di Lutero. Dopo alcuni successi i contadini vengono sconfitti. Finisce così nel 1525 la Riforma come movimento popolare e trionfa quella dei principi in Germania. Un’altra Riforma è quella delle comunità nella Confederazione svizzera, promossa da Zwingli. Egli è l'uomo che ha rappresentato la Riforma protestante nelle Svizzera. Conobbe tardi l'opera di Lutero, solamente nel 1518 quando venne chiamato a Zurigo, ma in lui rimasero sempre molto forti le influenze umanistiche rispetto a quelle luterane. La Riforma compiuta entro il 1525 ebbe alcuni passaggi chiave che furono: rimozione delle "immagini" dalle chiese, l'eucarestia divenne non solo una cerimonia commemorativa, ma presenza reale di Cristo: non attraverso il pane od il vino o attraverso il singolo credente, ma attraverso tutta la comunità dei credenti. Egli riformò anche la società, facendo esercitare alla collettività il peso della responsabilità nelle decisioni, fu il primo esempio di democrazia applicata. La cosa più importante è che Zwingli voleva che laici e teologi si fondessero in un'unica entità: cioè per lui la santità non era personale, ma comunitaria, ovvero per sentirsi benedetti da Dio la comunità doveva rispondere con compattezza e con disciplina morale. Egli ammette che con la disciplina morale il peccato possa essere liberato, cosa che Lutero non concepiva. Questa liberazione secondo Zwingli permetteva all'uomo d'adempiere alla volontà di Dio. Ben presto si trova in condizioni simili a quelle di Lutero, deve fare i conti da un lato con i cattolici e dall’altro con l’ala sinistra della Riforma, rappresentata dagli anabattisti (così chiamati perché predicano il battesimo degli adulti), che esigono una rigida disciplina comunitaria e una Chiesa libera da ogni rapporto con l’autorità civile. Gli anabattisti furono perseguitati e in parte distrutti. Calvino matura il suo distacco dalla Chiesa romana e inizia ad elaborare il progetto che più gli sta a cuore: la nuova organizzazione della chiesa su basi politico-comunitarie. L’essenza della Chiesa sta nella rivelazione della parola divina attraverso le Sacre Scritture. Come Lutero anche lui abolisce la mediazione del clero. A differenza sua però Calvino accentua la dipendenza assoluta dell’uomo da Dio attraverso la dottrina della predestinazione: “Dio non crea gli uomini nella stessa condizione ma destina gli uni alla vita eterna e altri alla eterna dannazione”. Per Calvino la Chiesa non è solo una comunità di fedeli ma anche di santi. Solo facendo parte della Chiesa si rende visibile e comprensibile al cristiano il disegno della provvidenza divina. La Chiesa è un grande organismo che mette in comunione reale il credente con Cristo attraverso la fede, la preghiera, i sacramenti, in particolare l’eucarestia. Anche il potere politico ne faceva parte. L’ordinamento ecclesiastico nel suo modello comprende 4 istituzioni: i pastori che predicano e amministrano i sacramenti; i dottori che insegnano; i diaconi che badano all’assistenza; gli anziani che si occupano della disciplina comunitaria. Come per Lutero, anche per Calvino le opere non possono essere un mezzo per raggiungere la salvezza, ma per Calvino sono indispensabili come segno dell’elezione divina, della predestinazione. Per l’uomo medioevale le opere buone erano un premio di assicurazione dell’eternità (Weber); per l’uomo calvinista non assicurano la salvezza ma liberano solo dall’ansia della salvezza. Per Lutero l’identità del cristiano è nella fede (credo ergo sum: credo dunque sono), per Calvino è nella corrispondenza delle sue opere all’elezione divina (ago ergo credo: opero perciò ho fede).
Due anni dopo la pubblicazione delle 95 tesi, Carlo V genera la Costituzione imperiale: in base ad essa nessuno può essere messo al bando dall’impero senza processo. L’imperatore ha bisogno dell’alleanza con i principi territoriali e con le città imperiali della Germania per la sua strategia internazionale volta al Mediterraneo, dove deve fronteggiare i turchi e verso l’Italia dove è in guerra contro i francesi per il predominio europeo. L'imperatore firmò l'editto di Worms, che condannava Lutero come eretico, ma la definitiva soluzione della questione, proprio su proposta dell’imperatore, è rinviata alla convocazione del Concilio. L’idea di Carlo V non è solo di temporeggiare ma risponde anche al bisogno di una Riforma interna alla Chiesa. A conclusione della guerra dei contadini, i principi cattolici della Germania meridionale stringono un’alleanza contro quelli luterani. Questi a loro volta stabilisco un’analoga intesa. Gli stati luterani protestarono (da qui il nome “protestanti”) e formarono un’ulteriore alleanza difensiva. La Germania è ormai spaccata in due fronti, proprio negli anni in cui Carlo V è impegnato a ridefinire gli aspetti politici italiani. Il nuovo tentativo di pacificazione è rappresentato dalla Dieta di Augusta del 1530. L’imperatore deve pensare all’invasione dei turchi in Ungheria, ai suoi possedimenti spagnoli in Italia, non può permettersi di aprire un conflitto con i protestanti. Ma il Concilio è continuamente rinviato; il papa Paolo III cercò seriamente di migliorare la situazione ecclesiastica, per questo emise una bolla che convocava un Concilio generale a Mantova. Sono questi gli anni in cui tra l’imperatore e i principi protestanti si stabilisce un vero braccio di ferro e i tentativi di conciliazione falliscono. Nel 1542, alla Dieta di Spira, i protestanti chiedono all’imperatore il riconoscimento ufficiale della loro posizione in cambio degl’aiuti militari e finanziari contro i turchi. La guerra tra la lega e l’imperatore scoppia nel 1546. Carlo V infligge una dura sconfitta alle forze protestanti. Ma negli anni successivi le truppe imperiali sono battute; Carlo V viene sconfitto insieme dai protestanti, dai turchi, dai francesi. Così nel 1555 Carlo è costretto a firmare la pace religiosa di Augusta. In base ad essa è ammessa la libera scelta confessionale solo per gli Stati imperiali e per i loro principi, non per i sudditi. A questi ultimi è concessa l’emigrazione in caso di non condivisione della religione del principe. In sostanza con tale pace si mirava solo a raggiungere una pace duratura in campo ecclesiastico e politico tra gli Stati dell’Impero di diversa confessione religiosa Il protestantesimo era accettato come parte integrante dell’Impero tedesco e i principi protestanti vi erano ammessi con gli stessi diritti dei principi cattolici. Con tale pace si ha quindi la divisione religiosa della Germania. La Riforma religiosa in Inghilterra fu un momento-chiave nella formazione dello Stato moderno inglese. Re Enrico VIII in un 1° momento aveva condannato gli scritti di Lutero. La difesa dei 7 sacramenti contro il Riformatore, aveva fruttato a Enrico VIII il titolo di difensore della fede. Nella seconda fase del rapporto tra Enrico e la Chiesa di Roma c’è una rottura. L’occasione fu determinata dal desiderio del re di avere un erede maschio (dal matrimonio con Caterina D’Aragona aveva avuto 5 femmine di cui una, Maria, sopravvissuta) e dalla passione per una dama di corte, Anna Bolena. Enrico VIII chiese l’annullamento del matrimonio, perchè secondo il sovrano egli non avrebbe potuto sposare Caterina perché questa in precedenza era stata sposa di suo fratello maggiore. Caterina sosteneva che il fratello morì all’età di 14 anni e che quindi il matrimonio non era stato consumato. Nel 1529 la regina si appellò al papa; Carlo V nipote di Caterina, convinse papa Clemente VII a trasferire il processo a Roma. Clemente VII non prendeva una decisione. Fu l’arcivescovo di Canterbury che dichiarò nullo il matrimonio di Enrico VIII già segretamente sposato con Anna Bolena. La scomunica di Clemente VII non servì a nulla. L’Atto di supremazia nel 1534 conferì a Enrico VIII il titolo di unico e supremo capo della Chiesa d’Inghilterra, chiamata Chiesa anglicana: tale chiesa è sciolta da ogni vincolo di obbedienza verso il papa, considerato vescovo di Roma. La distinzione tra sovranità temporale e spirituale veniva a cadere; era abolita la giurisdizione papale in virtù del principio che solo il re è la fonte della giurisdizione temporale e spirituale. La rottura con Roma era compiuta. E si compiva anche la rottura tra il re e chi si rifiutò di giurare fedeltà al nuovo assetto costituzionale, sancito dal parlamento. Grazie al 1° ministro Cromwell furono promosse importanti riforme economiche: confisca dei beni, di conventi e istituzioni religiose. Enrico VIII aveva promosso, più che una riforma religiosa, una riforma politico-costiutuzionale. La vera Riforma in materia teologica fu opera di Edoardo VI. Egli riconosceva 2 soli sacramenti: battesimo ed eucarestia, sopprimeva il carattere sacrificale della chiesa ed aboliva il celibato ecclesiastico.Gli eretici del ‘500 furono tutti coloro che interpretavano liberamente l’esperienza religiosa e che si ribellavano alle diverse Chiese. L’Italia non fu investita dalla Riforma protestante. Non si formarono comunità di protestanti, si svilupparono invece in alcune aree gruppi, circoli sensibili alla dottrina luterana e calvinista, ma furono ferocemente perseguitati dalla Chiesa Cattolica.
Capitolo 5: “Controriforma e Riforma Cattolica”.
Il concetto di Controriforma per gli storici ha assunto un triplice significato: la repressione antiprotestante, il consolidamento dei dogmi e delle strutture ecclesiastiche, la riorganizzazione interna della chiesa cattolica. Si tratta di una reazione che si opponeva al protestantesimo, rappresentanti in 1° luogo dai re di Spagna, principi cattolici, che avevano stabilito un’alleanza solida con il pontefice e che avevano bisogno dell’aiuto della Chiesa per far rispettare nel loro vasto Impero l’obbedienza del sovrano. Il 2° potere era quello della Chiesa che aveva bisogno di consolidare la gerarchia e di ripristinare la sua autorevolezza, fondata sui dogmi, sulla morale, disciplina del clero e dei fedeli. La Chiesa non poteva fare a meno di una potenza secolare come la monarchia spagnola, l’unica in grado di mantenere un potente esercito e di aiutare il papa anche sul piano finanziario. Il 3° dei teologi e della cultura accademica cattolica. Infine il 4° potere i gesuiti nuovo ordine religioso che costituì forse lo strumento principale della reazione cattolica alla Riforma protestante. Negli anni successivi alla II guerra mondiale, si è venuta a creare una nuova interpretazione del concetto di controriforma; in pratica attraverso il concetto di Riforma cattolica, l’attenzione si spostava dalla reazione al protestantesimo al rinnovamento religioso. L’aspirazione era quella di agire prima sui fedeli e poi sulle strutture.
Paragrafo 5.2: “Il Concilio di Trento”.
L’idea della convocazione di un Concilio si affaccia sia negli ambienti imperiali di Carlo V sia in quelli pontifici. Per Carlo V il rinvio di tutta la questione luterana rispondeva all’esigenza di collegare la Riforma della Chiesa al sogno dell’Impero universale. Il 1° papa che ebbe la consapevolezza della gravità della situazione fu Adriano IV, che rese assai attiva la presenza cattolico romana alla Dieta di Norimberga: qui presentò numerosi progetti di Riforma dell’istituzione ecclesiastica, che furono ripresi durante il Concilio di Trento. Il successore, Clemente VII, dei Medici, si trova ad esercitare il suo pontificato durante la fase più calda delle guerre d’Italia. L’eventuale convocazione di un Concilio era temuta dal papa per il rischio che potesse essere messa in discussione l’autorità papale. Fu Paolo III che si rese conto della situazione critica vissuta dalla Chiesa di Roma. L’esito della Dieta di Augusta aveva segnato la fine delle possibilità di conciliazione sia all’interno del movimento protestante sia in quello cattolico. Era stata anche sancita la divisione religiosa della Germania. Proprio in questi anni diviene forte l’aspettativa di un Concilio. Papa Paolo III convocò più volte il Concilio ma vi era sempre il problema dei protestanti. Nonostante i dissensi tra papa e principi italiani alla scelta della sede, il Concilio si aprì a Trento nel 1545, in concomitanza con la crisi profonda della Chiesa di Roma. Tre erano gli obiettivi che si proponeva: 1)recuperare i territori protestanti (obiettivo realizzato solo in parte); 2)arginare l’eresia; 3)riaffermare il primato papale in una Chiesa cattolica riformata. Il secondo e terzo furono raggiunti pienamente dal Concilio di Trento e dalla Chiesa. Non si trattò di un concilio universale, sia per il numero assai limitato dei vescovi partecipanti (circa 50), sia per la scarsa rappresentatività geografica dei padri conciliari, in maggioranza italiani e spagnoli. Il potere decisionale definitivo spettava al papa, unico depositario della verità soprattutto in materia dogmatica. La tradizione storiografica suddivide il Concilio in 3 fasi:

    • 1545-47: le delibere conciliari riguardavano soprattutto le questioni teologiche: era necessario che la Chiesa cattolica riacquistasse l’autorità dottrinale, scossa dalla contestazione luterana. 5 furono le materie e si riferirono proprio ai punti che erano stati oggetto della Riforma di Lutero: l’origine della fede, la verità delle Sacre Scritture, il peccato originale, la giustificazione e i sacramenti. Ci furono 2 modi di concepire la Riforma della Chiesa: il papa la intendeva soprattutto  come sbarramento dell’eresia protestante, Carlo V come ultimo tentativo di pacificazione religiosa. La dura sconfitta di Carlo V alla lega dei principi luterani parve segnare un punto a favore della Chiesa cattolica, ma il definitivo ingresso dell’Inghilterra nell’orbita protestante dopo la morte di Enrico VIII e l’affermazione della Chiesa anglicana furono un duro colpo per il papato. Prima di essere sospeso il Concilio emanò un importantissimo decreto: l’obbligo della residenza per i vescovi.
    • 1551-52: Il successore del papa, Giulio III riaprì a Trento il Concilio nel 1551. In questa seconda fase ci fu la partecipazione dei protestanti. La ripresa del conflitto tra imperatore e re francese Enrico II appoggiato dai protestanti, indusse a rimandare il Concilio. L’unico intervento di rilievo fu in materia sacramentale: a proposito dell’eucarestia fu ribadito il dogma della transustanziazione. Con il papa Paolo IV, la Controriforma entra nella sua fase più acuta. Fu il suo successore Pio IV che decise di riconvocare il Concilio.
    • 1562-63: Nella terza fase fu perfezionato il progetto di definizione dottrinale e disciplinare della Chiesa cattolica. La vera questione fu il problema dell’origine del potere episcopale. Su questo terreno si scontrarono 2 tendenze: la prima attribuiva solo al papa la fonte del potere dei vescovi; la seconda faceva discendere l’autorità dal sovrano statale. Su questa posizione vi erano i francesi, gli spagnoli e l’imperatore. A Trento fu stabilita una via intermedia: i vescovi dipendevano dal papa, ma avevano l’obbligo della residenza e la loro responsabilità era definita su “mandato divino”.

Al di là dei conflitti interni, il Concilio pervenne ad alcune conclusioni; 4 furono i livelli principali su cui operò: a)l’ordinamento della materia dogmatica e sacramentale; b)l’affermazione decisa della giurisdizione ecclesiastica e allargamento della sfera di influenza; c)disciplina del clero; d)organizzazione delle forme della pietà e religiosità popolare. Alla metà del ‘500 il papa va accentuando la sua doppia fisionomia: pontefice, cioè capo di una comunità universale e potente; sovrano dello Stato Pontificio, alle prese coi problemi di natura politica, amministrativa, finanziaria. La bolla istitutiva, promulgata da Paolo III Farnese, prevedeva di indagare contro tutti coloro che deviano dalla fede cattolica o sono sospetti di eresia; di procedere e punire i colpevoli o sospetti col carcere e confiscare i beni dei condannati alla pena capitale. Nella lotta contro l’eresia il papa chiedeva la collaborazione degli stati italiani. Paolo IV effettuò il controllo sociale e culturale dell’ortodossia cattolica. Importante fu l’istituzione dell’Indice dei libri proibiti, che distribuiva gli autori in 3classi: alla prima appartenevano gli autori totalmente condannati; alla seconda quelli condannati per una singola opera; alla terza gli scritti anonimi. Sotto il rigido controllo caddero anche gli stampatori e in Italia ebbero inizio i roghi dei libri proibiti. Il Concilio promosse numerosi provvedimenti per la riorganizzazione della Chiesa. Fu riaffermata la sua struttura gerarchica: al vertice il papa, autorità infallibili; i vescovi a cui era affidato il compito di controllare i fedeli e il comportamento gli ecclesiastici; alla base le parrocchie, guidate dal parroco. Altro obiettivo fu quello della formazione del clero. Tra le denuncie di Lutero c’era stata anche quella dell’ignoranza dei sacerdoti sull’intera materia religiosa, ignoranza che andava di pari passo con la corruzione. Era quindi urgente educare e istruire gli ecclesiastici, di stimolare la consapevolezza della loro missione. Ma l’obiettivo più importante fu la riconquista delle anime: le milizie della Controriforma furono gli ordini religiosi. Alcuni integrarono attività assistenziali con quella scolastica. Ma l’ordine che seppe meglio interpretare lo spirito della Controriforma fu quello dei gesuiti della Compagnia di Gesù. Il suo fondatore Ignazio Della Lodola, il suo ideale è “combattere per Dio sotto il segno della croce e servire il Signore e il pontefice romano, suo vicario in terra”. Per seguire questa regola era necessario trasferire nel nuovo ordine religioso lo schema della gerarchia militare basata sulla subordinazione alla volontà del capo. Fu per questo che Ignazio aggiunse ai voti tradizionali della professione monacale (povertà, castità e obbedienza) un quarto voto: quello dell’assoluta obbedienza al papa, cioè fino al sacrificio della vita. Il reclutamento dei gesuiti era severo, il loro periodo di formazione prevedeva 2anni di noviziato e quasi 10anni di studi di teologia, filosofia, retorica, letteratura, scienze. I gesuiti bloccarono l’avanzata della Riforma e ne fecero fallire gli obiettivi. Politica culturale dei gesuiti: Ignazio si assunse il compito di rinnovare una Chiesa contrastata nei suoi fondamenti dal protestantesimo. Quindi era necessario ricostruire i fondamenti della Chiesa, quelli di Ignazio e dei gesuiti furono 2: la teologia medievale di San Tommaso, la Scolastica, che divenne anche il fondamento filosofico della Controriforma; il metodo umanistico dell’analisi, dello studio e della ricostruzione dei testi. Quello dell’istruzione diventò uno dei primi campi di intervento della Compagnia di Gesù nella sua opera di riconquista delle anime. Fu così che i collegi dei gesuiti divennero progressivamente vere e proprie scuole in cui andavano a prepararsi le classi dirigenti delle città. Introdussero nelle loro scuole il gioco organizzato e guidato, la danza come educazione del corpo, il teatro, la musica e altre discipline il cui apprendimento era ritenuto utile e importante per il perfetto gentiluomo cattolico. Il secondo terreno fu l’iniziativa missionaria. L’obiettivo principale era quello di ridurre la distanza, venutasi a creare nel primo ‘500, tra la religione dei semplici e la religione dei dotti. Il catechismo, istituito da un decreto del Concilio, divenne il punto di riferimento per quest’opera.

 

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