Riassunto Filosofia della scienza

Riassunto Filosofia della scienza

 

 

 

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Riassunto Filosofia della scienza

INTRODUZIONE ALLA FILOSOFIA DELLA SCIENZA. UN APPROCCIO STORICO

  1. Che cos’è la filosofia della scienza? 1.Questioni terminologiche

Origine del termine “epistemologia”

Il termine al quale la filosofia della scienza viene assimilata è quello di “epistemologia”.

Usato x la prima volta da Ferrier nell’800, indicava una delle 2 parti della filosofia, la seconda coo estituita dall’ontologia. Il termine veniva inteso da Ferrier come sinonimo di “teoria della conoscenza”, riferito alla “teoria della conoscenza scientifica”.

Il significato di “epistemologia” nella filosofia francese ed italiana

In Italia l’epistemologia tende a collocarsi nel campo della riflessione sul pensiero scientifico, viene assimilata alla filosofia della scienza. “EPISTEMOLOGIA” = “branca della teoria generale della conoscenza chesi occupa di problemi quali i fondamenti, la natura, i limiti e le condizioni di validità del sapere scientifico”. E’ concepita come “una teoria della scienzachericonosce l’esemplarità del sapere positivo e si propone di analizzarne metodi e strutture”.

Il significato di “epistemologia” nella cultura anglosassone

Nella tradizione filos inglese l’epistemologia è assimilata alla “teoria della conoscenza”.

Ne “La filosofia”, Rossi afferma di attenersi all’uso corrente nella letteratura inglese nel “considerare come sinonimi teoria della conoscenza, epistemologia e gnoseologia”.

EPISTEMOLOGIA = “branca della filosofiacheconcerne l’indagine nsulla natura, le fonti e

la validità della conoscenza”. Anche in Polonia prevale qst modo di intendere l’epistemologia: con Ajduchiewicz .


 

 

  1. L’epistemologia come teoria della conoscenza

I quesiti dell’epistemologia tradizionale

Il problema centrale dell’epistemologia è definire i criteri e i caratterichedevono essere presi in considerazione x giungere alla conoscenza del  reale.

Esso è articolato in qst classici quesiti:

  1. Ke cos’è la conoscenza?

La conoscenza è definibile come credenza vera giustificata: credenza, xkè consiste in uno stato psicologico del soggettoche possiede certe idee, di solito espresse in forma proposizionale; vera, xkè tali credenze non possono essere il mero frutto della fantasia, ma devono rispekchiare la realtàchehanno come oggetto; giustificata, in quanto non è sufficientechele nostre credenze siano vere, ma è necessario esibire ragioni e motivi x ritenerle tali.

 

  1. Come dovremmo arrivare ad essa?

E’ compito dei filosofi rispondere a qst quesito, concernente il quid juris, cioè quali siano le regolechebisogna seguire x pervenire alla conoscenza.

 

  1. Come ci arriviamo?

Compete agli psicologi la risposta a questa domanda, concernente il quid facti, cioè il modo in cui effettivamente si comportano gli individui nel procurarsi le loro conoscenze.

 

d)I processi con cui ci arriviamo sono gli stessi di quelli con cui dovremmo arrivarci?

E’ possibile fare una comparazione tra le risposte date alle domande b) e c), x poter risp ondere anche alla domanda d).

E’ tipico dell’epistemologia tradizionale cercare di risp a tali quesiti “mediante


la riflessione su casi possibili. Gli epistemologi descrivono i casi possibili, consultano le loro intuizioni x sapere se siano o no in presenza di una conoscenza e decidono se il caso esaminato dimostriche l’analisi proposta è errata...il compito è portato avanti solo da un epistemologo seduto in  poltrona, senza l’aiuto della scienza”. L’epistemologia

rivendica una priorità concettuale e metodologica sulla scienza.

Carattere normativo dell’epistemologia e suo attegiamento “fondazionalistico”: la prima philosophia

L’epistemologia è una disciplina normativa: non si limita a descrivere i processi conoscitivi effettivamente messi in atto, ma indica delle norme sul modo in cui si debbono condurre le nostre attività cognitive allo scopo di ottenere una conoscenza vera e giustificata. Ciò la porta a un compito ambizioso: trovare il fondamento delle pretese di conoscenza avanzate dall’umanità. Questa la prospettiva “fondazionalistica”: compito dell’epistemologia è fornire alla scienza una base sicura di credenze indubitabili sulle quali costruire l’intera conoscenza scientifica. Il filosofo ambisce alla fondazione della conoscenza scientifica, è lui solo in grado di risolvere il problema della conoscenza; e ciò deve essere attuato facendo ricorso solo alle proprie forze in uno sforzo teoreticochetrae argomentazioni e tesi dalla generale capacità razionale umana.

L’orizzonte problematico dell’epistemologia è definito dalla necessità di risp alla sfida scettica, dissipando l’ombra del dubbio dalle nostre conoscenze. L’epistemologia viene intesa come una filosofia fondamentale,o prima philosophia.

 

  1. La    filosofia    della    scienza    come    disciplina    autonoma Assimilazione della “epistemologia” alla filosofia della scienza e suo carattere metadiscorsivo

“Scopo di tale disciplina non è tanto costruire un fondamento oppure un’estensione delle scienze quanto affrontare o descrivere il proprio   oggetto


dal punto di vista metodologico e critico”. La filosofia della scienza viene considerata come un’attività “riflessa”: l’analisi dei concetti adoperati dalla scienza e dei risultati cui essa perviene è il dato di partenza x arrivare a delle considerazioni sul modo di procedere degli scienziati, sulla natura delle loro asserzioni e sul metodo da essi adoperato.

La rivendicazione dell’autonomia dell’epistemologia rispetto alla gnoseologia

Tale piena autonomia è stata rivendicata x la prima volta nella filosofia tedesca del 19 sec,cheha introdotto la distinzione tra Wissenschaftlehre (dottrina della scienza) e Erchentnisslehre (dottrina della conoscenza): la  prima indica l’epistemologia come metodologia o teoria della ricerca scientifica, mentre la seconda indica la tradizionale filosofia della  conoscenza.

La svolta con il Circolo di Vienna

Con il circolo di Vienna, fondato da Schlick nel 1929, la filosofia della scienza acquisisce una fisionomia autonoma. Nell’epistemologia si vede sempre + non lo studio della conoscenza in generale, bensì di quel suo particolare tipocheviene incarnato nella scienza. Si assume chela scienza sia la forma conoscitiva x eccellenza,cheha dato la prova concreta di sé nella spiegazione e comprensione della natura, sikkè compito del filosofo è capirne la struttura  e il modus operandi, senza influenzarla nei suoi contenuti.

Vi era la speranza che, una volta compreso l’arcanocherende la scienza conoscitivamente efficace, lo si potesse applicare agli altri campi dell’umana attività pratico-teorica.

L’epistemologia intesa in modo antifondazionista nel neopositivismo

Il modo nuovo in cui viene intesa la “teoria della conoscenza” da colorochegli hanno dato origine, fondandola su basi logico-linguistiche segna una svolta decisiva x liberare la filosofia della scienza dai caratteri posseduti dalla vekchia epistemologia. Riceve forte impulso la tendenza a distinguere scienza e metafisica, razionalità logico-analitica e razionalità storico-dialettica; vengono


posti in secondo piano gli aspetti fondazionisticiche gli pervenivano dalla tradizione della vekchia gnoseologia.

Il continuum di normatività e descrittività

Se si propende x un approccio normativo al problema della conoscenza, ci si pone nel campo della tradizionale epistemologia; se invece si opta x un approccio descrittivo, allora si prende come punto di partenza la conoscenza in atto e ci si pone sul piano della filosofia della scienza. Se si risp al dubbio scettico attraverso argomentazioni di carattere filosofico, allora abbiamo achefare con l’epistemologia nell’accezione criticata dagli antifondazionalisti; se invce si ritiene qst dubbio assorbito dalla pratica della scienza, allora ci si pone su di un piano non + fondativo, ma descrittivo. Non di rado è capitatocheil filosofo della scienza, partendo da una prospettiva iniziale meramente descrittivista, sia poi approdato a una posizione di tipo normativo. Dal fattochela scienza applica un particolare metodo, si è passati alla normacheimpone a tutte le indagini conoscitive di applicare il medesimo metodo, affinkè esse possano conseguire lo stesso grado di certezza conoscitiva. Se la scienza è conoscenza in quanto applica il metodo scientifico, allora ogni altra disciplina deve applicarlo se vuole essere anche conoscenza. E’ un passaggio dall’essere al dover essere, dal fatto alla norma.

 

  1. Alle origini della filosofia della scienza

Il programma della “filosofia scientifica”

All’inizio del 900 divenne parola d’ordine x molti scienziati e filosofi, specie di formazione scientifica, l’esigenza di rifondare la filosofia in modo da renderla “scientifica”. Si forma un’insistente campagna in favore della “filosofia scientifica”, il cui programma può assumere 3 diversi significati:

  1. La scienza costituisce il fondamento della filosofia, la quale viene intesa come una riflessione filosofica sulla scienza, chesi preoccupa di estendere i risultati al di là del loro ambito specialistico.
  2. La scienza è l’oggetto della filosofiachenon deve essere nient’altro che

teoria della scienza, indagine sulle sue assunzioni, finalità, metodi.

  1. La scienza deve costituire il modello della filosofia: filosofia scientifica in senso stretto, avente un proprio oggetto diverso dalla scienza, e quindi in grado di portare una conoscenza distinta da quella da essa fornitaci, ma ottenuta imitandone il metodo e le procedure.

La formazione del primo nucleo del “Circolo di Vienna”

A partire dal 1907 cominciarono a riunirsi un gruppo di amici accomunati da un comune modo di vedere la filosofia e la scienza. Qst gruppo di discussione, x la cui formazione si era adoperato il matematico Hahn, era in particolare interessato alla nuova immagine di scienzachesi andava delineando in seguito al declino del paradigma meccanicistico ottocentesco eche faceva parlare di “crisi delle scienze”. Nasce come una riflessione di studiosi di formazione scientifica. E’ all’interno di essocheemerge l’esigenza di discutere dei problemi della scienza anche con chi fosse  maggiormente fornito di competenza filosofica, con un “ filosofo autentico”cheavesse familiarità in campo epistemologico. Il progetto verrà a realizzarsi solo dopo la guerra, quando Hahn ritornerà da Bonn nel 1921 e rikamerà a Vienna il filosofo Schlick.

Le conseguenze della prima guerra mondiale sulla filosofia scientifica viennese

La prima guerra mondiale, con lo smembramento dell’impero asburgico e la creazione di nuove entità nazionali, incise profondamente sullo sviluppo della filosofia scientifica austriaca. Si smarrì quel terreno comune di dibattitocheprima aveva caratterizzato la cultura della grande Vienna.

Schlick a Vienna nel dopoguerra e l’influenza di Wittgenstein

Gli studiosichesi raccolsero nel Circolo di Vienna nella sua configurazione matura, pur condividendo il programma generale di Brentano e riconoscendo ad esso il merito di aver attirato l’attenzione sulla riflessione logica grazie alla conoscenza della scolastica, lo innestarono con influenze ed esigenzechene trasformarono i connotati, specie in direzione del rifiuto dello psicologismo. La


trasformazione + rilevante fu il progressivo abbandono del programma della “filosofia scientifica” (scienza come modello della filosofia) in favore di una concezione della filosofia intesa come metascienza, trasformata in filosofia della scienza. Grazie all’opera di Wittgenstein la filosofia è giunta ad un “punto di svolta”, sorgendo una sua “nuova epoca”: essa viene ormai intesa non come un sistema di conoscenza ma di atti tesi a chiarire il senso degli enunciati, laddove la verità di questi è demandata esclusivamente alla scienza. Non esiste una filosofia come scienza sui generis, con un proprio insieme di problemi, e il filosofo non è detentore di un particolare tipo di conoscenza. La logica non è il metodochepermette la scientifizzazione della filosofia, ma lo strumentocheqst utilizza nella sua attività tesa a dissipare le confusioni derivanti dalle parole e dal linguaggio, in modochei suoi problemi possono essere risolti sul terreno scientifico. E’ la  dichiarazione dell’abbandono della tesicheesistano autentici problemi filosofici a segnare il nuovo periodo del pensiero di Schlick, successivo all’influenza di Wittgenstein: la filosofia non è conoscenza e quindi è assurdo pensarechesia possibile “scientificizzarla”. La “filosofia scientifica” è ormai ritenuta impossibile. Non restachepraticare, al suo posto una filosofia della scienza. La filosofia della scienza si propone consapevolmente come teoria della scienza, senza dimenticare mai del tutto l’ambizione rettificatrice nei confronti della filosofia.

 

2. Le trasformazioni della scienza tra 800 e 900 1. Il mondo secondo Laplace

La sistemazione del newtonianismo con Laplace

La sistemazione della fisica classica aveva ricevuto una sua formulazione esemplare con Laplace. Egli coltivò l’idea di scienza come conoscenza x eccellenza, contrapposta alla filosofia tradizionale, caratterizzata x l’applicazione del “metodo induttivo”. La sua opera consiste nell’elaborazione, perfezionamento  ed  estensione  della  scienza  newtioniana.  Egli edifica un


“sistema  del  mondo”  in  cui  ceca  di  coniugare  visione                meccanicistico- deterministica del reale e consapevolezza dei limiti della conoscenza umana. La metafora della intelligenza divina

La visione del reale di Laplace è resa dalla metafora: “Raffiguriamoci lo stato presente dell’universo come l’effetto del suo stato anteriore, e come la causa di quellocheseguirà. Un’intelligenzachex un dato istante conoscesse tutte le forze da cui la natura è animata e la situaz rispettiva degli esserichela compongono abbraccerebbe in un’unica e medesima formula i movimenti dei

+ grandi corpi dell’universo e quelli del + lieve atomo: niente sarebbe incerto x essa. Lo spirito umano offre una pallida immagine di qst intelligenza”.

I caratteri della concezione di Laplace: unitarietà e semplicità dell’universo, meccanicismo, riduzionismo e determinismo

V’è in Laplace l’idea dell’unitarietà e semplicità dell’universo. Tale unitarietà si esprime nelle leggichene governano il divenire echehanno natura meccanica, si basano sull’applicabilità della dinamica settecentesca e sulla possibilità di risolvere con equazioni differenziali ogni problema di calcolo. Alla base della dinamica v’è la «tendenza a considerare ogni sistema reale come l’aggregato di componenti elementari e l’evoluzione del sistema come il risultato dell’interazione di qst unità elementari»; ne deriva la predilezione x un approccio atomista alla natura. Qst’impostazione meccanicistica esprime una concezione della scienza riduzionistica, esiste una scienza fondamentale i cui concetti devono consentire di ottenere i concetti base delle altre scienze. Si esprime anche una posizione determinista: la conoscenza esatta dello stato iniziale di un certo sistema fisico è sufficiente x prevedere con certezza il suo futuro, ogni sua componente elementare è soggetta ad una causachene determina in maniera univoca l’evoluzione. Alla base dell’impostazione riduzionistica stava la convinzionecheil mondo microscopico fosse + semplice di quello macroscopico: x comprendere qst’ultimo è sufficiente scomporre i sistemi complessi x trovare le loro componenti semplici. Fatto ciò, si pensava fosse possibile formulare un’espressione matematica (lagrangiana), con la


quale ricavare le equazioni dinamichechedescrivono il divenire del sistema. Trovata la lagrangiana tutto era spiegato.

Il calcolo della probabilità come rimedio alla limitatezza della conoscenza umana

L’ipotesi dell’Intelligenza infinita mette in luce il fattochel’ideale della perfetta conoscenza non è realistico: l’uomo non potrà mai ottenere qst infinita precisione delle misure. Conosciamo solo in modo inesatto lo stato di un sistema. L’avvicinarsi al vero è un processo infinito e l’uomo resterà sempre lontano           dalla           conoscenza               completa,                 pur             allontanandosi           sempre  + dall’ignoranza. Qst scarto sempre esistente tra la nostra conoscenza e la verità giustifica x Laplace l’introduzione del calcolo delle probabilità.

Qst ragionamento si applica alla conoscenza della natura: l’impossibilità di conoscere con esattezza lo stato di un sistema fisico in un dato momento non ci consegna irrimediabilmente all’ignoranza, in quanto grazie alla teoria della probabilità possimo gettare un ponte tra essa e la natura, in modo da procedere ad un calcolo approssimato e probabilistico del suo divenire. Negata all’uomo la possibilità dell’onniscienza, resta uno spazio enorme e fruttuoso tra essa e l’ignoranza. La scienza diventa probabilistica senza perdere il suo carattere meccanicistico e riduzionistico e l’uso del calcolo delle probabilità diventa uno strumento indispensabile in fisica. Il modello teorico proposto da Laplace segnò tutto l’800 ed ebbe un immenso successo grazie alle sue applicazioni in molteplici campi.

  1. Il calore e la termodinamica

La termodinamica di Fourier mette in crisi l’idea laplaciana di scienza unitaria

Il fisico francese Fourier aveva dimostrato all’inizio dell’800 come fosse possibile edificare una scienza dei fenomeni termici prescindendo da una visione meccanicistica della realtà. Egli partiva da grandezze macroscopiche e quindi da fatti ‘generali’ che permettevano la previsione e la formulazione di teoremi ed equazioni sulla propagazione del calorecheavevano altrettanta


validità e rigore matematico di quelli tipici della meccanica. La teoria del calore di Fourier metteva in crisi la fisica laplaciana.

La termodinamica si poteva costituire come scienza autonoma, indipendentemente dalla meccanica e senza condividerne le ipotesi di fondo. Il modello della fisica molecolare si rivelò inadeguato al compitoche Laplace  gli aveva assegnato, quello di riunificare la fisica. Gran parte della storia della scienza dell’800 è storia del riconoscimento dei limiti sempre nuovi, sempre + numerosi all’applicabilità del modello di Laplace al mondo empirico.

I fenomeni termici e la freccia del tempo

I fenomeni connessi alla propagazione del calore manifestavano un comportamentochecontraddiceva alcuni dei principi basilari della dinamica classica. E’ un’evidenza empirica il fattocheil calore si trasmette secondo una direzione: va sempre dal corpo + caldo a quello + freddo, mai avviene il contrario. Qst comportamento metteva in luce la circostanzache certi fenomeni naturali seguono spontaneamente una direzione temporale; si evolvono solo in una direzione, diversamente dai fenomeni descritti dalla meccanica,chesono indifferenti rispetto al tempo e possono svolgersi in un senso o in un altro. Al mondo senza tempo della meccanica si contrappone un mondochesegue la cosiddetta freccia del tempo.

Il secondo principio della termodinamica e l’entropia

Il solco tra i fenomeni descritti dalla termodinamica e la visione  meccanicistica sembrò approfondirsi quando venne scoperto da Clausius il secondo principio della termodinamica,cheintrodusse il concetto di entropia. Qst nuova grandezza fisica stava ad indicare il processo necessario di decadimento dell’energia derivante dal fatto che, in un sistema chiuso, i corpi prima o poi assumono la stessa temperatura, qualunque sia la loro differenza iniziale. E’ un processo irreversibile,checontrasta con il divenire della meccanica,cheviene descritto sempre come reversibile. Essendo  la differenza tra temperature essenziale affinché si possa produrre lavoro ne derivavacheun sistema in cui l’entropia giunge al suo massimo (tutte le sue


parti hanno la stessa temperatura) non è in grado di generare alcun lavoro; diremocheè inerte. L’universo tenderebbe ad evolvere nel senso di un progressivo aumento dell’entropia. Il tempo non ècheun’espressione del processo entropico. Diversamente dalla meccanica, x la quale il tempo era indifferente, nei processi termodinamici esso è un elemento essenziale,chescorre nel senso dell’aumento progressivo ed inesorabile dell’entropia.

La morte termica dell’universo e le sue implicazioni filosofiche

Se si assumechel’universo è un sistema chiuso e finito, prima o poi tutte le sue parti avranno la stessa temperatura e in esso non sarà possibile + alcun tipo di lavoro: andrà incontro alla morte termica. Qst la conclusione cui giunse Thomson. Qst prospettiva della fine del mondo contrasta con la tesi, sostenuta da materialisti e meccanicisti, di un universo infinito ed eterno,chesi basava sull’idea della conservazione dell’energia formulata  dal  primo principio della termodinamica (in nessun caso l’energia viene creata o distrutta, ma viene continuamente scambiata fra i vari sistemi fisici sotto  forma di calore o lavoro). L’ammissione della morte termica dell’universo  dava fiato a coloroche volevano combattere il materialismo ed il positivismo col negare l’autonomia e l’eternità della natura e miravano ad introdurre la necessità di un intervento esterno in grado di spiegarne la nascita e di scongiurarne l’altrimenti inevitabile fine: l’ammissione dell’esistenza di Dio. Non tutti accettavano una tale prospettiva. Spencer, rigettava l’ipotesi della morte termica sostenendo l’ideacheil nostro universo fosse parte di un universo + ampio ed infinito in grado di intervenire dall’esterno e di impedirne il degrado entropico. E’ imp rilevarecheemerge una discrepanza, in seno stesso alla termodinamica, tra il primo e il secondo principio.

Il primo principio sostiene la conservazione dell’energia e la persistente capacità di lavoro; il secondo afferma il necessario degrado dell’energia e l’impossibiltà di compiere lavoro una volta raggiunto l’equilibrio termico. Il primo è del tutto in linea con una visione meccanicistica della natura; il secondo, con la freccia del tempo e l’irreversibilità, è in palese contrasto  con


la reversibilità propria della dinamica classica.

 

Maxwell e la formulazione della teoria cinetica dei gas

Maxwell formulò una convincente teoria cinetica dei gas. In essa il comportamento delle molecole veniva trattato in modo probabilistico, riuscendosi a calcolare sia il percorso medio da ciascuna effettuato nel suo moto casuale prima di collidere con un’altra particella, sia la distribuzione statistica della loro velocità,cheviene compresa entro certi valori con un addensamento intorno a quelli medi (secondo la curva a campana di Gauss). Maxwell rappresenta le molecole paragonandole a sfere di piccolissime dimensioni, dure e elastiche,chesi muovono caoticamente all’interno di un recipiente, sikké possono occupare indifferentemente qualsiasi posizione: tutte le direzioni e le posizioni da esse tenute sono pertanto equiprobabili. Considerandochele molecole hanno massa e velocità media – dunque una certa energia cinetica – nel loro movimento caotico un certo numero di esse finisce x urtare contro una delle pareti del recipiente, trasmettendole parte della propria energia e quindi esercitando una certa spinta. Se si consideracheqst avviene x milioni e milioni di molecolechecompongono il gas, sarà facile immaginare come l’energia così trasmessa alle pareti non sia altrochela pressione, una delle grandezze macroscopiche fondamentali della termodinamica. Qst ragionamento permetteva a Maxwell di derivare una grandezza macroscopica (la pressione) dal comportamento di grandezze microscopiche (le molecole),cheubbidiscono solo alle leggi classiche della dinamica newtoniana. Il meccanicismo e l’idea laplaciana del reale sembrava risorgere.

La teoria cinetica permette di superare il contrasto tra primo e secondo principio della termodinamica

Maxwell è così in grado di fornire un’interpretazione della termodinamicachepermette di superare il contrasto tra il primo e il secondo principio. L’energia non  si  annulla,  non  scompare,  solo  si  distribuisce  in  modo  da   risultare


inutilizzabile.

 

 

La spiegazione dell’entropia su base statistica: il diavoletto di Maxwell E’ possibile spiegare con la teoria cinetica dei gas il contrasto tra la reversibilitàchecaratterizza i processi meccanici e l’irreversibilità dei fenomeni termodinamici. La seconda legge della termodinamica è il risultato a livello macroscopico di un comportamento statistico delle molecolechecompongono il gas echeubbidiscono alle normali leggi della meccanica.

Boltzmann e la connessione tra probabilità ed ordine: l’entropia come evoluzione verso il disordine

Boltzmann, fondatore della meccanica statistica, approfondì il significato della distribuzione probabilistica delle molecoleche compongono un gas e interpretò l’entropia come lo stato macroscopico + probabile verso il quale evolve il sistema. La condizione di maggiore probabilità veniva ad essere identificata con la condizione di maggior disordine del sistema e l’aumento dell’entropia poteva essere considerato come l’evoluzione dall’ordine al disordine. Ogni lavoro utile,chepresuppone la trasformazione dell’energia, necessariamente produce entropia e aumenta il disordine complessivo del sistema. Affinké si possa ancora produrre lavoro è necessario mettere in contatto il nostro sistema con un altro sistemachepossa accollarsi l’entropia in eccesso e fornire l’ordine mancante: un sistema dal quale il nostro gas possa trarre “negaentropia”. Un es di una makchina del genere è fornito dal frigoriferoche trae dall’esterno – energia elettrica + ambiente circostante – la negaentropia chegli permette di mantenere una temperatura interna bassa con l’espellere entropia sotto forma di calore verso l’esterno.

 

La  natura  probabilistica  e  non  assoluta  del  secondo  principio  della

termodinamica

Diventa ancora + evidente in in tal modo la natura non assoluta, ma semplicemente probabilistica,  della  seconda  legge  della  termodinamica e


nulla in linea di principio escludecheil processoche porta al “mescolamento” delle molecole calde e fredde non possa essere invertito.

Discontinuità tra conoscenza del macroscopico e del microscopico

La meccanica statistica introduce nel modo di considerare la conoscenza della natura una discontinuità tra la conoscenza sensibile dei suoi stati macroscopici e la conoscenza concettuale di quelli microscopici: uno stato di quiete empiricamente constatabile era il risultato di un moto di miliardi di particelle, il cui comportamento non poteva essere direttamente osservato ma solo ipotizzato grazie all’utilizzo di sofisticate tecniche matematiche e probabilistiche. La trattazione statistica dei processi fisici segna un’imp svolta nella fisica dell’800 xkè segna il passaggio dall’interpretazione causale deterministica, propria delle leggi della meccanica, a un’interpretazione di tipo probabilisticochecontribuisce a mettere in luce i nessi tra determinismo e predicibilità.

 

  1. L’elettromagnetismo e l’idea di campo

I problemi suscitati dallo studio dei fenomeni magnetici ed elettrici

Altro punto di crisi della concezione meccanica sorgeva nel campo dei fenomeni magnetici ed elettrici. Oersted evidenziò come sia possibile generare effetti magnetici mediante la corrente elettrica, mettendo in relazione fenomeni diversi: magnetismo ed elettricità. Ancora + interessante era il fattochel’esperimento ed il tipo di interazioni messo in luce tra elettricità e magnetismo non seguiva le leggi della dinamica newtoniana. Sembravachegli esperimenti di Oersted non fossero riconducibili ad interazioni tra particelle di tipo newtoniano, ma fossero il sintomo di forzecheoperavano in tutto lo spazio circostante al conduttore, secondo delle traiettorie circolari. Ke equivaleva ad ammettere una concezione della materia non + discontinua, ipotizzata dalla fisica newtoniana, ma continua.

La Fisica cartesiana del continuo contro fisica newtoniana del discontinuo


X Cartesio l’universo non può ammettere vuoti, esso è un plenum di materia: anche dove sembrachei corpi siano separati da una distanza priva di materia è necessario ammettere l’esistenza di un mezzo continuo, un fluido etereo, nel quale “nuotano” i corpi celesti. In un approccio meccanicistico come quello di Cartesio la reciproca interazione è ammissibile solo mediante il contatto tra materia, assicurato da qst fluido etereo. X Newton, al contrario, è ammissibile il ricorso a forzechesi comunicano a distanza in modo istantaneo e senza contatto meccanico tra materia, come avviene nei fenomeni gravitazionali; in qst’ottica tutte le forze agenti in natura avrebbero dovuto essere ridotte alle attrazioni e repulsioni istantanee e a distanza tra particelle, tra loro separate dal vuoto.

Supremazia del programma newtoniano e il problema della azione a distanza

Lasciava perplessi gli scienziati l’idea di un’azione a distanzachesembrava far rivivere passati tentativi di spiegazione dei fenomeni naturali facendo ricorso a cause occulte.

Newton, consapevole delle difficoltà, aveva rifiutato di indagare sulla natura di questa forza, affermandochead essere imp era determinare come essa agisse, e a tal fine era sufficiente la legge matematica da lui fornita.

L’idea di “campo” e le linee di forza- La scoperta dell’induzione elettromagnetica di Faraday era una nuova realtà fisica: quella di campo. Faraday x spiegare i fenomeni di induzione elettromagnetica faceva uso di linee di forza e di azioni x contatto,chepotevano essere ammesse solo se si ipotizzava un continuo materiale, contraddicendo

la descrizione dualistica del mondo fisico fatta dai newtoniani. La materia infatti era x

lui “ovunque”: un continuo dove non sussistono distinzioni tra gli atomi e l’ipotetico

spazio intermedio e dove non risultavano + ammissibili l’azione a distanza e la


propagazione istantanea di forze fisiche. Si affacciava l’intuizione di un “campo unificato

di forze”,che risiederebbe nell’intero spazio echepermetterebbe di spiegare in maniera

unitaria i fenomeni elettrici, magnetici, chimici e gravitazionali.

Maxwell cerca di dare rigore matematico alle idee qualitative di Faraday Concezioni qstchesembravano ai fisici contemporanei troppo qualitative e oscure: Faraday aveva cercato sì di descrivere il campo come un insieme di linee di forza esten- dendosi nello spazio a partire dalle cariche elettriche, ma non era stato in grado di dare loro quell’elegante veste matematicacheinvece era caratteristica della scuola francese.

Maxwell darà vero e proprio statuto scientifico a qst idee.

Maxwell: dal meccanicismo alla formalizzazione matematica facente a meno di modelli meccanici

Maxwell si preoccupa di sviluppare una teoria matematica dei fenomeni elettromagnetici, in modo da ottenere una serie di equazioni da cui poi derivare logicamente tutte le conseguenzecheerano state riscontrate empiricamente nei numerosi esperimenti condotti da Faraday e da lui stesso. Perde anche interesse x lui la costruzione di un’immagine visualizzabile dell’etere, al cui posto subentra il desiderio di formulare le equazioni differenzialiche regolano i fenomeni in esso verificantesi. Egli vuole costruire una “teoria dinamica del campo elettromagnetico”. Egli ritienechemodelli e interpretazioni diventano irrilevanti quando si sono trovati le leggi generali in grado di ordinare un certo ambito fenomenico.

Le “equazioni di Maxwell” e la loro importanza per la fisica successiva Come affermano     Einstein     ed                  Infeld    «la            formulazione            di    qst      equazioni costituisce l’avvenimento + importante verificatosi in fisica dal tempo di Newton». Sono leggi valide nell’intero spazio e non soltanto nei punti in cui materia o cariche elettriche sono presenti, com’è il caso x le leggi meccaniche. Rammentiamo come stanno le cose in meccanica. Conoscendo posizione   e


velocità di una particella, in un dato istante, e conoscendo inoltre le forze agenti su di essa, è possibile prevedere l’intero futuro percorso della  particella stessa. Nella teoria di Maxwell invece basta conoscere il campo in un dato istante x poter dedurre dalle equazioni omonime in qual modo l’intero campo varierà nello spazio e nel tempo. Le equazioni di Maxwell permettono di seguire le vicende del campo, così come le equazioni della meccanica consentono di seguire le vicende di particelle materiali. Grazie ad esse viene fornito in forma matematicamente ineccepibile un quadro unitario nel quale descrivere sia i fenomeni elettromagnetici sia quelli luminosi. E difatti negli anni successivi si estese il vocabolario introdotto da Maxwell alla teoria newtoniana della gravitazione, iniziandosi a parlare di “campo gravitazionale”. L’azione istantanea a distanza viene definitivamente respinta in favore dell’azione per contiguità anche nei fenomeni gravitazionali.

L’etere quale punto di unificazione tra meccanica ed elettromagnetismo Il concetto di campo e le stesse equazionichelo descrivono sono in netto contrasto con il concetto di particelle e le equazioni tipiche della meccanica classica. Ma nessun fisico ortodosso di fine 800 avrebbe mai accettato l’idea di una scienza della natura divisa in 2 fisiche diverse e inconciliabili. Avrebbe piuttosto cercato di ricondurre la teoria elettromagnetica alla meccanica classica, ipotizzando un supporto materiale del campochene spiegasse l’azione. Così vanno le cose e a venire in soccorso è l’analogia delle onde elettromagnetiche con le onde in un liquido: qst ultime possono avvenire xké vè un mezzo elastico (x es l’acqua) nel quale si formano; analogamente le onde            descritte      da Maxwell      avvengono          in             un  mezzo     materiale     che  ne costituisce il supporto: è il vekchio concetto di etere a essere utile. Qst’etere cosmico finisce x svolgere l’importante funzione di unificare 2 settori della scienza fisica altrimenti inconciliabili: la teoria meccanica e il concetto di campo.

Fiducia nella scienza ed ottimismo sul suo sviluppo futuro tra 800 e 900- I       grandi       progressi     nei     campi     della         scienza    facevano               pensare      che      la


conoscenza umana si fosse incamminata su binari sicuri e chenon restassecheapplicare ed estendere a nuovi domini dell’esperienza umana i metodi e le teorie note x accumulare nuove conoscenze e scoperte.

 

  1. La teoria della relatività

Il rivolgimento + radicale della scienza del 900 si deve ad Einstein il cui nome ben presto divenne un punto di riferimento x indicare una rivoluzione scientifica paragonabile a quella operata a suo tempo da Copernico.

Il principio di relatività formulato da Galileo: l’esempio della nave

Punto di partenza di Einstein è la riflessione sul principio di relatività galileiana. Qst principio era stato formulato da Galileo x sostenere la mobilità della terra durante la controversia x l’affermazione del sistema copernicano. Una delle obiezioni fondamentali mosse dai tolemaici consisteva nell’osservare che, qualora la terra fosse in moto, un peso lasciato cadere da una torre dovrebbe giungere al suolo non alla sua base, ma spostato di un spazio corrispondente al moto nel contempo effettuato dalla terra. X risp a tale obiezione Galileo aveva concepito un esperimento: immaginiamo di essere rinchiusi nella stiva di una nave, sul pavimento della quale vi è un vaso con una piccola apertura e sopra di esso un sekchio dal quale delle gocce d’acqua si stakchino versandovisi; se la nave è ferma vedremoche tutte le gocce cadendo verticalmente si verseranno entro il vaso a terra. Facciamo ora muover la nave a qualsivoglia velocità, ma con moto uniforme e non fluttuante; non vedremo alcuna differenza nel comportamento delle gocce,che cadranno dal sekchio sempre in modo da centrare la bocca del vaso. Lo  stesso accadrà x ogni altro fenomeno fisico cheavviene nella stiva della nave, a condizione però che il moto sia rettilineo e uniforme, ovvero non subisca oscillazioni e fluttuazioni. Applicando il principio di relatività alla teoria di Copernico, Galileo era così in grado di sostenerechenon è possibile con esperienze di tipo meccanico affermarechela Terra è ferma.


 

 

I sistemi inerziali e la ricerca del sistema di riferimento per eccellenza:  lo spazio assoluto

La velocità è una quantità relativa al sistema di riferimento rispetto al quale viene effettuata la sua misura; nel caso della nave di Galileo qst sistema di riferimento è rappresentato dalla terra. Quando il sistema di riferimento in cui si trova l’osservatore si muove di moto rettilineo uniforme o sta in quiete si dicecheè un sistema inerziale, un sistema x il quale vale il primo principio della dinamica di Newton: «ogni corpo persiste nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme finké forze esterne ad esso applicate non lo costringano a mutare qst stato». Un sistema di coordinate spaziali inerziale è detto sistema di coordinate galileiane. Newton sentì l’esigenza di assumere come sistema di riferimento per eccellenza lo spazio assoluto, considerato il contenitore immobile di tutti i corpi, cioè quel sistema inerziale di riferimento privilegiato nel quale valgono tutte le leggi della meccanica e al quale devono essere riferite tutte le nostre misure.

Equivalenza dei sistemi inerziali per le leggi della meccanica e trasformazioni galileiane

La sostanza del principio di relatività meccanica è dunque l’idea secondo la quale tutti i sistemi inerziali sono tra loro equivalenti, cioè i fenomeni meccanici avvengono in modo identico sia entro un sistema in moto rettilineo uniforme, sia in un sistema in quiete rispetto allo spazio assoluto. Tra i sistemi in moto rettilineo uniforme non vi sono sistemi di riferimento privilegiati. 2 osservatori, uno in quiete e l’altro in moto rettilineo uniforme, vedono un qualunque fenomeno meccanicoche avvenga nel proprio sistema nello stesso modo dell’altro; x entrambi il comportamento meccanico dei corpi è identico. Matematicamente qst proprietà si esprime dicendochele equazioni della meccanica non cambiano, sono cioè invarianti, nei diversi sistemi di riferimento  inerziali.  E’  sempre  possibile  “tradurre”  la  descrizione  di    un


fenomeno fisico effettuata da un osservatore a nel sistema fisico inerziale S nella descrizione effettuata da un altro osservatore a’ appartenente ad un altro sistema fisico inerziale S’, grazie alle cosiddette  trasformazioni galileiane.

Esempio del treno e applicazione delle trasformazioni galileiane

Le trasformazioni galileiane ci permettono di conoscere la posizione di un corpo (il passeggero) rispetto a diversi sistemi di riferimento inerziali (quello del passeggero e quello dello spettatore sul marciapiede).

Un corollario importante delle trasformazioni galileiane: la legge della somma delle velocità

Nell’effettuare il passaggio da un sistema di riferimento all’altro, si effettua la somma delle velocità tenute dal treno (rispetto al marciapiede) e del viaggiatore (rispetto al treno). Ciò viene espresso nella meccanica classica dalla cosiddetta legge della somma delle velocità.

L’esistenza dell’etere come sistema di riferimento privilegiato

Come stanno le cose quando passiamo dalle leggi della meccanica a quelle dell’elettromagnetismo? Una delle conseguenze teoriche + imp delle equazioni di Maxwell e della sua teoria elettromagnetica èchela velox di propagazione della luce è costante, equivale a c (circa 300.000 Km al secondo nel vuoto), indipendentemente da qualsiasi sistema di riferimento. Qual’è il sistema di riferimento nel quale la velocità della luce è uguale a c? Era naturale rispondere, con Newton: lo spazio assoluto,chepoi di fatto veniva ad essere identificato con l’etere immobile. L’etere finisce x costituire un sistema di riferimento privilegiato,cheha la stessa funzione assunta dallo spazio assoluto x le leggi della meccanica di Newton. Era qst una situazione assai strana: la fisica si trovava ad ammettere una dualità di comportamenti: mentre x le leggi della meccanica erano equivalenti tutti i sistemi inerziali, invece x quelle dell’ottica e dell’elettromagnetismo ne era valido uno solo, quello definito rispetto al solo sistema privilegiato, costituito dall’etere immobile. Tale situazione  porta  ad  un  evidente  ed  insanabile  contrasto  col        principio


fondamentale della relatività galileiana,chesta alla base della meccanica classica, x la quale vale la legge della somma delle velocità.

L’esempio del treno e la contraddizione tra teoria elettromagnetica e meccanica classica

In base alla relatività galileiana, se dal centro di un treno in moto rettilineo uniforme viaggiante alla velocità di 150 Kmh facciamo partire un raggio di luce esso possiede x il viaggiatore achesta all’interno del treno la velocità c, qualunque direzione si consideri.

Invece x lo spettatore a’chesta sul marciapiede, il raggio di lucecheva nella stessa direzione del treno dovrebbe possedere la velocità di c+150 Kmh, ovvero la velocità del treno sommata alla velocità della luce; quellocheva invece in direzione opposta del treno dovrebbe avere invece la velocità di c- 150 Kmh, cioè la velocità della luce meno quella del treno. Qst è quanto si deve evincere dalla legge della somma delle velocità.

Ma qst è proprio quanto viene negato dalla teoria elettromagnetica, x la quale il raggio di luce ha la stessa velocità c sia x il passeggero, sia x l’osservatore sul marciapiede della stazione: è come se la luce dentro il treno si muovesse “ignorando” l’esistenza del treno e del suo moto e quindi percorresse comunque 300.000 Kms, rispetto a qualsiasi sistema di riferimento  inerziale.

2 delle teorie fondamentali della fisica classica – la meccanica e l’elettromagnetismo – sono in contrasto tra di loro.

L’esperimento di Michelson e Morley

Era fondamentale poter accertare l’esistenza di qst etere. Michelson e Morley fecero una serie di eperimenti aventi lo scopo di verificare se esistessero delle differenze nella velocità di un raggio di luce viaggiante in 2 direzioni tra loro perpendicolari, una delle quali in direzione del moto della terra. Si riteneva che, se la terra viaggia attraverso l’etere, un raggio luminoso viaggiante nella direzione del moto orbitale avrebbe dovuto essere rallentato dal “vento d’etere”chele veniva incontro controcorrente, mentre un raggiocheviaggia    in    direzione    opposta    avrebbe    dovuto    essere     accelerato;


analogamente a come avviene x il suono, la cui velocità dipende dal moto dell’ariachene permette la trasmissione. Il risultato dell’esperimento non faceva rilevare alcuna differenza nella velocità della luce e pertanto non sembrava lasciar vie di scampo: era impossibile rilevare in alcun modo l’esistenza dell’etere, in quanto gli effetti sulla velocità della luce non avevano luogo.

Einstein: abbandono del concetto di etere e primo postulato della teoria della relatività ristretta

Perchè non abbandonare tale concetto? Come conclude Einstein “tutti i tentativi di fare dell’etere una realtà sono falliti”. Quando Einstein scrisse il suo articolo del 1905 in cui propose x la prima volta la teoria della relatività era motivato dalla necessità di risolvere il dissidio nel campo della fisica tra elettromagnetismo e meccanica classica.

Era tale esigenza alla base della sua decisione di abbandonare il sistema di riferimento privilegiato o assoluto costituito dall’etere e di accettare la validità generale del principio di relatività galileiana,chesi applica non solo ai fenomeni meccanici, ma anche a quelli elettromagnetici: non è possibile fare alcuna distinzione tra due sistemi in moto rettilineo uniforme. È questo il  primo postulato fondamentale da cui parte Einstein x formulare la sua teoria: le leggi della fisica hanno la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento inerziali. Con qst postulato si estende a tutta la fisica il principio di relatività galileiana.

Il secondo postulato della teoria della relatività

Il secondo postulato consiste nel sostenerechela velocità della luce è sempre la stessa (uguale a c) in tutti i sistemi di riferimento inerziali, siano in moto o in quiete. Ma l’accettazione di qst 2 principi porta a rigettare il presuppostocheera alla base della meccanica classica, cioè la legge della somma della velocità: qst non può più essere rigorosamente valida e di conseguenza si impone la necessità di riformulare le trasformazioni galileiane. Einstein dovette costruire una nuova fisica, della quale la vekchia fisica newtoniana


rappresenta un’approssimazione utile solo nel caso in cui si prendono in considerazione velocità molto piccole rispetto a quella della luce.

Cambia anche il concetto di tempo: analisi della simultaneità

In qst nuova fisica viene sottoposto a radicale modifica non solo il concetto di spazio ma anche quello di tempo. Ciò viene effettuato con l’analisi del concetto di simultaneità di 2 eventi,cheporta Einstein a concluderechein 2 diversi sistemi inerziali eventichesono contemporanei x l’osservatore posto in uno di essi non sono contemporanei x un osservatore posto nell’altro sistema di riferimento. Ne concludiamocheun orologio cambia il suo ritmo quando è in moto echequanto + un sistema inerziale si muove ad una velocità vicina alla luce, tanto + il tempo in esso scorre lentamente. Anche il tempo, oltre allo spazio, non è assoluto e non scorre uniformemente in tutti i sistemi di riferimento.

Il continuo quadridimensionale di Minkowschi

La teoria di Einstein comportava una radicale modificazione dell’intera fisica e dava l’avvio a una nuova fisica relativistica che, lasciati cadere i concetti assoluti di spazio e di tempo, considerava gli eventi fisici rispetto a spazi e tempi relativi all’osservatore.

Veniva a crollare il quadro concettuale in cui era iscritto il grande e glorioso universo-makchina newtoniano. Spazio e tempo sono strettamente correlati tra loro in modo da formare un’unica entità chiamata spazio-tempo: è qst il continuo quadridimensionale (o spaziotemporale) con il quale il matematico Minkowschi sintetizzò in elegante forma geometrica le conseguenze della relatività speciale.

Le trasformazioni di Lorentz sostituiscono quelle di Galileo

Nasce il problema di trovare il modo x passare da un sistema di riferimento all’altro.

Qst fu assicurato dalle trasformazioni di Lorentz, esse permettono di trovare le coordinate di spazio e di tempo in un sistema se qst sono note nell’altro sistema e se è nota anche la velocità relativa tra i 2 sistemi. La differenza


rispetto alle trasformazioni galileiane consiste nel fatto di considerare ora la variabile tempo non più uguale in ogni sistema, ma diversa, dipendente dal ritmo degli orologi,chevaria al variare della velocità del sistema al quale essi appartengono. Tuttavia la discordanza tra i 2 tipi di trasformazioni è avvertibile solo x velocità assai prossime a quella della luce, x velocità molto piccole le trasformazioni galileiane rappresentano una buona approssimazione.

L’importanza delle trasformazioni di Lorentz consiste nel fattochetutte le leggi di natura sono invarianti rispetto ad esse. E’ possibile costruire una nuova fisica: è qst quanto volle fare Einstein, unificando così le 2 branche della fisica, la teoria meccanica e quella dei campi x mezzo del suo nuovo principio di relativitàcheassicura l’invarianza delle leggi di natura mediante le trasformazioni di Lorentz.

La convertibilità tra massa ed energia

Altra imp conseguenza della teoria della relatività è consistita nell’unificazione delle 2 leggi classiche di conservazione accettate nel 19 secolo: la legge della conservazione della massa e la legge di conservazione dell’energia. X il fisico classico massa ed energia sono entità nettamente distinte sia qualitativamente che quantitativamente: un corpochericeve energia non cambia di massa; e viceversa l’energia può generare solo lavoro, ma non massa. Invece grazie alla teoria della relatività Einstein dimostrache l’energia non è qualcosa di imponderabile, ma possiede una massa ben definita, anche se estremamente piccola; ed a sua volta la massa ha un’energia. Non vi sono 2 principi di conservazione, ma solo uno, il principio di conservazione della massa-energia,cheviene sintetizzato nella celebre formula E=mc2 cioè l’energia è uguale alla massa del corpo moltiplicata x il quadrato della velocità della luce.

La velocità della luce come limite insuperabile

Qst conseguenza deriva dal limite della velocità della luce. Se nessun corpo può   superare  la   velocità   della   luce,  ciò  significa  che   non   può  essere


ulteriormente accelerato; ma qst avviene solo se al crescere della sua velocità, e cioè della sua energia cinetica, cresce anche la sua massa  inerziale. Man manocheil corpo si approssima alla velocità della luce la sua massa aumenta sempre + rapidamente richiedendo x la sua ulteriore accelerazione una quantità di energia sempre maggiore; alla velocità della luce, la sua massa diventerebbe infinita, in modo tale da richiedere x la sua accelerazione un’energia infinita. Ilche significachenessun corpo può raggiungere la velocità della luce, a menochenon sia privo di massa (come x i fotoni). Ma se la massa varia al variare della velocità, allora l’energia cinetica deve possedere una massa, x quanto piccola e trascurabile alle velocità cui siamo normalmente abituati. E il rapporto tra massa ed energia cinetica è dato dalla formula E=mc2,cheintroduce il nuovo principio della conservazione della massa-energia. Da come si evince dalla formula, x produrre una grandezza estremamente piccola di massa occorre una grande quantità di energia; ciò spiega xké nei normali fenomeni termici non si avverte nessun cambiamento della massa quando a qst viene fornita energia: esso è così piccolo da non poter esser rilevato neanche con le bilance più sensibili.

La relatività generale come estensione di quella speciale

La teoria presentata da Einstein nel 1905 era limitata ai sistemi in moto inerziale (rettilineo e uniforme). Negli anni successivi Einstein affrontò il problema di una fisica relativistica x i sistemi non inerziali, quei sistemichesubiscono una forza, la quale può derivare o dall’influsso del campo gravitazionale, oppure dall’applicazione di un’accelerazione. «Le leggi della fisica devono essere di natura tale che esse si possano applicare a sistemi di riferimento comunque in moto. Seguendo questa via giungiamo a una generalizzazione della teoria della relatività [ristretta]». Qst generalizzazione fu appunto la teoria della relatività generale proposta nel 1916 da Einstein.

Il principio di equivalenza tra massa gravitazionale e massa inerziale

Il principio di equivalenza affermachequalunque sistema di riferimento posto in  un  campo  gravitazionale  uniforme  e  costante  nel  tempo  è  del     tutto


equivalente, x quanto riguarda i fenomeni fisici, ad un sistema sottoposto ad una opportuna accelerazione costante e posto in una zona di spazio in cui il campo gravitazionale è nullo. E’ sempre possibile scegliere un opportuno sistema di riferimento in modo da simulare l’esistenza di un dato campo gravitazionale uniforme o, reciprocamente, in modo da eliminare l’effetto della forza di gravità costante. Un passeggero chiuso in un sistema isolato non ha la possibilità di distinguere se la forzachelo tiene attaccato al pavimento derivi dalla forza gravitazionalechelo attrae verso una data massa oppure sia causata da una accelerazione del suo sistema in direzione opposta alla forza: non è possibile distinguere in alcun modo una forza gravitazionale da una forza inerziale, essendo gli effetti dell’una spiegabili come dovuti all’altra. Una conseguenza di tale equivalenza è il fattocheun raggio di luce dovrebbe essere deviato da un campo gravitazionale, come se fosse costituito da particelle dotate di massa e quindi di peso: viene gettato un ponte fra gravitazione ed elettromagnetismo.

La curvatura dello spazio-tempo per effetto del campo gravitazionale Einstein propose un’interpretazione geometrica della gravitazione, x la quale lo spazio, sinora ritenuto come euclideo, in effetti non è “piatto”, ma curvo in quanto “piegato” o “distorto” dalle masse gravitazionali in esso esistenti. Egli pervenne alla conclusionechela luce si propaga seguendo il cammino + breve tra 2 punti, come previsto dalle leggi dell’ottica e dell’elettromagnetismo, ma qst cammino non coincide con la retta euclidea se nello spazio è presente un campo gravitazionale. Dal principio di equivalenza fra inerzia e gravitazione Einstein trasse la conseguenzacheanche il tempo viene influenzato dal campo gravitazionale: un orologio posto in un campo gravitazionale rallenta il suo moto. Qst effetto è noto come “dilatazione gravitazionale dei tempi”. X spiegare sia il rallentamento degli orologichela curvatura dello spazio Einstein postulacheil campo gravitazionale renda non euclidea la struttura dell’intero spazio-tempo, x cui abbiamo achefare con un unico fenomeno fisico: la curvatura dello spazio-tempo dovuta al campo gravitazionale. In tal modo   lo


spazio ed il tempo non solo non sono + assoluti, come riteneva Newton, e non sono neanche indipendenti dai fenomenichein essi avvengono, i quali ne definiscono la geometria attraverso la distribuzione di masse ed energia,chedetermina il campo gravitazionale.

Il significato filosofico della relatività: Einstein ‘filosofo implicito’

L’opera di Einstein ha comportato delle consequenze rilevanti sul piano filosofico. Come ha sostenuto Reichenbach, sarebbe un errore crederechela teoria della relatività non sia anche una teoria filosofica; infatti, benké Einstein sia rimasto sostanzialmente un «filosofo implicito» e non si sia addentrato in un esame filosofico della sua teoria, tuttavia essa «ha conseguenze radicali per la teoria della conoscenza». X Schlick, la teoria della relatività è strettamente legata alla filosofia, da un duplice punto di vista: metodologico, xkè Einstein rigettò l’ipotesi puramente fisica di Lorentz e Fitzgerald sulla contrazione dei corpi in movimento sulla base di un principio puramente epistemologico, e qst è un requisito filosofico, non una proposizione sperimentale. X cui si può affermarechela teoria della relatività tende x  propria natura verso la filosofia e cerca qui le sue basi e il suo compimento. Ma la teoria della relatività ha anche conseguenze sulla filosofia, ed è qst il suo secondo aspetto, quello materiale: essa può fornire contributi diretti alla soluzione di vekchi problemi filosofici e dare sostegno alla filosofia dell’empirismo, come quella + adeguata x intenderne le caratteristiche.

Un possibile equivoco: confondere relatività fisica e relativismo filosofico

Occorre eliminare un possibile equivoco cui induce lo stesso termine di “relatività”. Si potrebbe pensarechetale teoria deponga a favore di una visione relativistica della conoscenza, una sorta di scetticismo. Nulla di più errato.

«La “soggettività” di cui parla la teoria della relatività è una soggettività fisica,cheesisterebbe anche se nel mondo non ci fosse proprio niente di simile ai cervelli e ai sensi. Inoltre, si tratta di una soggettività limitata. La teoria non dice  che  tutto  è  relativo;  al  contrario  mette  a  disposizione  una  tecnica  x


distinguere quelcheè relativo da quelchea buon diritto fa effettivamente parte di un fenomeno fisico». Sachs commenta «secondo le idee di Einstein quello che isogna considerare come relativo è il linguaggiocheil singolo osservatore deve usare x esprimere delle leggi assolute della materia; qst sono invece indipendenti da ogni sistema di riferimento. Cosikké la teoria della relatività è da considerare in realtà una teoria degli assoluti; infatti concentra l’attenzione sulle leggi della natura +ttostochesul linguaggiochele esprime. Non ha niente achefare col relativismo filosofico, contrariamente a ciòchemolti hanno voluto credere».

L’incidenza filosofica della relatività: la crisi della concezione kantiana  di spazio e tempo e l’abbandono del senso comune

All’epoca in cui Einstein propose la relatività speciale, aveva un particolare credito la concezione di Kant, x la quale lo spazio e il tempo costituivano forme a priori dell’intuizione sensibile, preesistenti ai fenomeni: nulla si può concepire se non nello spazio e nel tempo. Qst impostazione,chesi rifaceva alle idee di Newton, finisce x concepire lo spazio secondo il modello euclideo ed il tempo come qualcosa di universale e comune a tutti gli uomini. Come si concilia la posizione di Kant con le nuove idee portate avanti da Einstein? Mentre i seguaci del filosofo tedesco cercavano in qualche modo di conciliarne le idee con quelle della nuova teoria, sul versante dei filosofi della scienza il verdetto fu univoco: la relatività fa cadere il carattere a priori di spazio e tempo, mostrando come la presunta loro naturalezza nasca solo da un pregiudizio psicologico, dal fatto chenella nostra esperienza quotidiana abbiamo achefare con velocità assai distanti da quella della luce e con campi gravitazionali deboli, circostanze nelle quali gli effetti relativistici non si fanno notare. Assume sempre + consapevolezza, da una parte, il fattocheè pericoloso erigere i concetti derivanti dalla nostra esperienza quotidiana a principi generali echele novità introdotte dalla relatività avrebbero finito x ripercuotersi sul modo con cui sono stati concepiti i rapporti di causalità, l’evoluzione, il tempo ecc, creando un nuovo senso comune; dall’altro, si


afferma l’ideachela filosofia non può non tener conto delle nuove acquisizionichevengono effettuate nel campo della scienza,chesono direttamente rilevanti x dare una risp non + metafisica a molti problemi tradizionali della storia del pensiero.

 

  1. La meccanica quantistica

Relatività e meccanica quantistica: la messa in discussione del  concetto di determinismo

La seconda grande rivoluzione della fisica del 900 è costituita dalla teoria dei quanti. Si passa dalla fisica del macroscopio alla fisica del microscopio o mocrofisica. Nasce la necessità di rivedere concetti e modi di pensare radicati nella nostra intuizione e fatti propri anche dalla scienza fisica, in particolare l’idea laplacianachela natura sia governata da leggi rigorose e deterministiche echesiano solo i nostri limiti umani a non permetterci la conoscenza perfetta della posizione e del moto di ogni oggetto esistente nel mondo. La rivoluzione quantistica inizia con lo studio dell’assorbimento delle onde elettromagnetiche, nel corso del quale vengono evidenziati fatti sperimentali non spiegabili con i metodi della fisica classica. Prosegue con lo studio dell’effetto fotoelettrico di Einstein, dove ancora una volta si trattava di capire come mai i risultati sperimentali non si accordassero con quanto sarebbe dovuto accadere in base alle leggi dell’elettromagnetismo di Maxwell.

I quanti di Planck: le radiazioni vengono assorbite ed emesse per quantità discrete

Planck fornì una formula in grado di accordarsi con i risultati sperimentali; a tale scopo era però necessario supporrechele radiazioni sono trasmesse o assorbite da parte di un corpo non in maniera continua, ma x quantità discrete, multiple di una quantità minima – detta quanto di Planck -, al di sotto della quale non è possibile scendere. Tale quanto è indicato dalla relazione: E

= hv dove E indica l’energia, v (lettera graca equivalente alla n) indica la frequenza ed h è la costante di Planck,cheha un valore fisso corrispondente a


6,62618 x 10-34 Js. X Planck qst relazione rappresenta la minima quantità di energiachepuò essere scambiata; di essa si possono avere solo multipli interi.

Le perplessità di Planck: i quanti artificio matematico o proprietà reali del mondo?

Planck si mostrò incredulo e scettico circa la propria scoperta,chenon era giustificabile in base a nessuna legge della fisica allora conosciuta ed implicava la rinuncia alle leggi dell’elettrodinamica fondata da Maxwell. Cercò a lungo di dedurre la sua formula dalla teoria classica della radiazione e solo quando tutti i suoi tentativi fallirono si convinseche l’interazione tra materia e radiazione non avviene in modo continuo, come previsto dalla fisica classica. Del resto l’idea da lui presentata sembrava così bizzarra ed in contrasto con una radicata convinzione della scienza sin dai tempi di Aristotele – secondo la quale natura non facit saltus, ovvero la natura cambia con gradualità, senza salti – da risultare incredibile ai suoi contemporaneicheesistesse una costante universale hchesegnasse il limite minimo di energia scambiabile. Ciononostante la costante di Planck sarà destinata a divenire una delle + feconde ed importanti scoperte teoriche,che entra in gioco ogni volta si studino fenomeni del mondo microscopico.

Einstein e i quanti: i fotoni

Nel 1905 Einstein nel primo dei 3 articoli pubblicati quell’anno utilizza  il quanto allo scopo di spiegare l’effetto fotoelettrico, altro fenomenochenon era compreso nel quadro della fisica classica. Einstein ribaltò la concezione della lucechesi era affermata con Maxwell (intesa come fenomeno ondulatorio) e, facendo ricorso alla quantizzazione, ipotizzòchela radiazione fosse quantizzata non solo quando interagisce con la materia, ma anche quando viaggia nel vuoto; ovvero l’energia raggiante avente una certa frequenza è costituita da uno sciame di quanti di energia (i fotoni),cheviaggiano alla velocità della luce ed aventi ognuno un’energia indivisibile pari a h v. Quanto proposto  da  Einstein  ingloba  l’ipotesi  di  Planck:  se  infatti  la    radiazione


elettromagnetica è fatta di fotoni, ciascuno dei quali trasporta una quantità di energia indivisibile, allora è evidentechela materia può assorbire o cedere energia solo in quantità discrete, equivalenti a multipli interi della quantità h v, posseduta da ciascun fotone. Da osservarechela quantità estremamente piccola di energia quantizzata posseduta da un fotone fa sìcheil modello proposto da Einstein non entri in contrasto con la teoria elettromagnetica di Maxwell quando si tratti di studiare e spiegare i fenomeni su scala macroscopica ordinaria: l’enorme quantità di fotoni posseduti da un fascio di luce ordinario si comporta come un’onda, rivelando i fotoni la loro “individualità” solo in particolari condizioni. Si arriva così alla conclusionechela luce si comporta come onda o corpuscolo a seconda del tipo di esperimento svolto: nel caso dell’effetto fotoelettrico la radiazione presenta  un carattere corpuscolare; nel caso di fenomeni di interferenza e diffrazione, essa ha invece carattere ondulatorio.

Bohr e la quantizzazione dell’atomo

Nell’arco di un decennio, agli inizi del 900, una serie di decisivi esperimenti fece uscire l’atomo dalla scomo9da condizione di ipotesi utile solo x spiegare certi fenomeni, ma priva di conferma sperimentale, x farlo diventare un oggetto avente piena cittadinanza nella fisica,cheè possibile studiare e descrivere. Fu Bohr a utilizzare nel 1913 l’idea della quantizzazione anche x spiegare il comportamento degli atomi.

Il modello dell’atomo di Bohr e la rottura con la fisica classica

Bohr, pur consapevole delle limitazioni e delle difficoltà presenti nel modello  di atomo di Rutherford, lo riteneva troppo utile x rigettarlo del tutto. Propose di abbandonare la fisica classica x la spiegazione dei fenomeni atomici in favore di una nuova teoria, il cui punto di partenza è costituito dall’ammissione di 3 postulati:

  1. il raggio delle orbite percorse dagli elettroni può avere solo certi valori particolari,chedefiniscono le cosiddette orbite stazionarie, sulle quali un elettrone può ruotare senza emettere energia;

 

 

  1. le orbite stazionarie sono caratterizzate dal fattocheil momento angolare dell’elettrone è pari ad un multiplo della costante di Planck, secondo la formula mvr = n h/2 , con n = 1, 2, 3, chiamato numero quantico principale;
  2. un elettrone può passare da un’orbita stazionaria ad un’altra avente diverso livello energetico e questa transizione è accompagnata da emissioni o assorbimenti di energia, determinati sempre secondo la costante di Planck. I primi 2 postulati sono in netto contrasto con quanto ammesso dalla fisica classica, x la quale è impossibilecheuna carica elettrica possa ruotare senza irraggiare. Inoltre non si capisce xkè sia proibita l’esistenza di un elettrone in orbite diverse da quelle stazionarie e inchemodo avvenga il “salto” da un’orbita  stazionaria all’altra:     l’elettrone,               infatti,      x                 uno       dei postulati fondamentali della teoria di Bohr, non può esistere nella orbite intermedie; esso dovrebbe scomparire da un’orbita e riapparire in un’altra.

La “vecchia meccanica quantistica” e il principio di corrispondenza

Per spiegare il rapporto tra la nuova meccanica quantistica e la fisica classica, Bohr propose il cosiddetto principio di corrispondenza. In base ad esso, la meccanica classica è contenuta come caso limite della teoria quantica, così come la dinamica newtioniana è contenuta nella teoria della relatività x velocità molto distanti da quella della luce. Egli cercava di  garantire una certa continuità tra vekchia teoria e nuova teoria: la prima non era completamente abbandonata a favore di quella nuova,chenon avrebbe + nulla achefare con essa; la fisica classica non può essere considerata un cumulo di errori se è verocheha spiegato con successo numerosi fenomeni. Il principio di corrispondenza diveniva il cardine intorno a cui ruotavano i lavori dei fisici chehanno lavorato intorno alla cosiddetta “vecchia meccanica quantistica”. Alla costruzione della nuova teoria si giunge attraverso 2 strade diverseche finiscono x edificare nel giro di pochi anni 2 concezioni alternative dei fenomeni macroscopici: la prima con De Broglie e Schrödinger, prende   il


nome di meccanica ondulatoria; la seconda con Heisenberg, Born e Jordan è la meccanica delle matrici.

La meccanica ondulatoria

Punto di partenza della meccanica ondulatoria è l’idea di De Brogliecheanche la materia, come le radiazioni elettromagnetiche, possiede sia natura corpuscolare, sia natura ondulatoria. La relazione E = h v introdotta  da Planck vale anche x una particella materiale, come l’elettrone. Ad ogni particella materiale avente quantità di moto p (uguale a mv, cioè massa x velocità) deve essere associata un’onda avente lunghezza , secondo la formula = h/p , la quale, grazie alla mediazione della costante di Planck h, mette insieme grandezze caratteristiche di un corpo materiale con la grandezza tipica di un’onda. Nel 1927 la concezione di De Broglie viene confermata sperimentalmente. Nel 1926 Schrödinger costruisce con successo un modello ondulatorio dell’atomo, ottenendo un’equazione le cui soluzioni, dette funzioni d’onda, coincidono con i valori postulati nel modello atomico di Bohr. X lo studio della struttura intima della materia una meccanica di tipo nuovo ha sostituito la meccanica classica: è la meccanica ondulatoria. Tuttavia Schrödinger, pur consapevole della profonda inadeguatezza della fisica classica x la spiegazione dei fenomeni della microfisica, pensavachela nuova meccanica dovesse mantenere uno stretto rapporto di continuità con la vekchia, costituendone uno sviluppo organico, piuttostoche una radicale sostituzione.

La meccanica delle matrici

Heisenberg cercava di stabilire le basi della meccanica quantistica facendo riferimento a grandezze sperimentalmente osservabili, le solechex lui hanno significato fisico.

Secondo lui, le difficoltà incontrate derivavano dall’aver fatto uso di  grandezzechenon erano direttamente osservabili. X realizzare qst  programma egli fece uso del “calcolo matriciale”, poi sviluppato da Born, Jordan e Heisenberg stesso, in un formalismo assai rigorosochegettò le  basi


di una nuova meccanica quantistica matriciale. Era una teoriachesembrava ottenere lo scopo di contenere nelle proprie basi i postulati stessi della fisica quantistica e permetteva inoltre di calcolare e spiegare gran parte degli aspetti sconcertanti presentati dagli atomi. Diversamente dalla meccanica ondulatoria, l’impostazione matriciale insisteva sugli elementi di discontinuità tipici della teoria quantistica, come i salti quantici, dunque privilegiava il carattere corpuscolare dell’elettrone. Nel 1926 Schrödinger mostròchela meccanica delle matrici e quella ondulatoria, pur essendo diverse nella  forma, erano in realtà matematicamente equivalenti. Siccome il formalismo della meccanica ondulatoria era molto + semplice e familiare ai fisici del tempo, qst preferirono servirsi dell’equazione ondulatoria x risolvere gran parte dei problemi.

Born e l’interpretazione probabilistica della funzione d’onda

Born si era posto il problema di capire cosa esattamente descrivesse la funzione d’onda introdotta da Schrödinger. Il cardine dell’interpretazione di Born sta nella interpretazione probabilistica della funzione d’onda ψ, x cui questa fornisce soltanto la probabilità che, ad es., un elettrone si trovi durante un certo intervallo di tempo in un determinato volume. In tal modo l’elettrone torna ad essere un corpuscolo, il cui movimento non è però descrivibile con precisione assoluta, ma solo probabilisticamente:è una chiara sfida alla concezione ondulatoria di Schrödinger e alle esigenze di interpretare la funzione d’onda ψ come una entità fisica reale. Le probabilità calcolate a partire da ψ sono le informazioni + dettagliatechein linea di principio è possibile avere sul sistema quantistico sotto esame; non è quindi ipotizzabile alcun perfezionamento nelle nostre capacità di misura o di conoscenzachepossa superare qst limite. Ne seguechel’elettrone si muove non in base a leggi deterministiche, ma a leggi intrinsecamente indeterministiche.

Heisenberg e il principio di indeterminazione

Heisenberg imboccò la strada dell’abbandono dei vekchi concetti cinematici giungendo   nel   1927   alla   formulazione   del   suo   famoso   principio    di


indeterminazione. Qst stabilisce in generale l’impossibilità di conoscere esattamente la posizione e la velocità di una particella atomica. + esattamente, quanto + si aumenta la precisione con cui si conosce la quantità di moto di una data particella, tanto meno si conosce la probabilità della posizione da essa occupata; sikkè una determinazione assolutamente precisa della quantità di moto dell’elettrone implica l’assoluta ignoranza riguardo alla sua posizione, e viceversa. Dal punto di vista fisico, tale indeterminazione è dovuta alla perturbazione introdotta dallo strumento di misura sul processo osservato, in quanto ogni processo di misura deve far uso di quantità di energia, sia pure piccole,chemodificano lo stato microfisico alterandolo irreversibilmente.

Bohr e il principio di complementarità-

Nel 1927 Bohr introduce una nuova categoria logoca, alla quale è stato dato il nome di complementarità. La complementarità ruota intorno all’ideachela complessità del reale non può essere colta con un solo sistema coerente di concetti, mache dobbiamo far ricorso a loro coppiecheforniscono prospettive reciprocamente inconsistenti, e tuttavia indispensabili x comprendere il reale. Nello specifico il principio di complementarità ammettecheesistano aspetti della realtà fisicachesono tra loro complementari, nel sensocheciascuno di essi rende conto di certi fenomeni e non di altri, e ad un tempo incompatibili, ovvero non presenti simultaneamente, sikkè ogni esperimentochemostri l’uno, al tempo stesso impedisce la possibilità di osservare l’altro.  Heisenberg, dopo una iniziale resistenza, finì x accettare qst prospettiva: nasceva così la scuola di Copenaghen.

L’interpretazione della scuola di Copenaghen

La scuola di Copenaghen, sorta tra il 1920-30 intorno alla figura di Bohr, costituisce il tentativo + riuscito di conciliare l’aspetto corpuscolare con quello ondulatorio dei fenomeni. L’accettazione dell’interpretazione di Copenaghen implica la messa in dubbio di principicheavevano retto ogni indagine fisica e scientifica del reale: il principio di casualità e il carattere deterministico   della


natura, di impostazione laplaciana.

L’ammissione di una indeterminazione intrinseca nei processi della microfisica faceva svanire l’esistenza di una connessione rigorosa tra cause ed effetti. Non si tratta di una limitazione della conoscenza umana o di una impossibilità dei metodi di misura, ma di una vera e propria impossibilità di ordine concettuale. Inoltre, quanto affermano Born e Heisenberg circa l’indissolubile implicazione tra oggetto osservato e soggetto osservatore, ha dato luogo ad una serie di interpretazioni di tipo soggettivistico, x le quali il fenomeno sembra perdere ogni oggettività x divenire o un mero formalismo matematico oppure un puro fatto psicologico. Si è arrivati a sostenere con Jordan non solochela misura disturba inevitabilmente ciòcheviene misurato, ma addirittura lo produce. Diventa problematico parlare di un ”oggetto” indipendente dal soggetto osservatore, avente una sua esistenza autonoma a prescindere dall’atto osservativo.

Non tutti i fisicicheparteciparono allo sviluppo della meccanica quantistica accettarono le concezioni della scuola di Copenaghen,che portavano a conseguenze così sconvolgenti. I cosìdetti “fisici berlinesi” (Einstein, Planck e Schrödinger) concordavano nel rifiuto di una teoria acasuale e del principio di complementarità, sostenendo la necessità di una spiegazione dei fenomeni in termini di modelli spazio-temporali. Einstein criticava il concetto di indeterminazione ed insisteva sulla necessità di mantenere il principio di causalità rigorosa come strumento di intelligibilità della natura.

Schrödinger criticava in particolare la complementarità, ritenuta una mera escogitazione linguistica: ”quando non si capisce una cosa si inventa un nuovo termine e si crede di averla capita”. Planck difendeva sia il principio di causalità, sia l’irrinunciabilità dell’esistenza di un metodo oggettivo del tutto indipendente dall’attività conoscitiva. De Broglie si schierò dalla stessa barricata. Le discussioni tra i protagonisti della rivoluzuine quantistica  mettono anche in luce come la meccanica quantistica abbia costituito  un deciso allontanamento dal dato concreto dell’intuizione sensibile. È quanto


mette in luce Heisenberg, quando sottolinea come col passaggio alla fisica atomica i corpi vengono a perdere la possibilità di poter essere determinati in uno spazio e in un tempo oggettivo.

L’incidenza filosofica della meccanica quantistica

I principali protagonisti furono influenzati dalle idee filosofiche diffuse in Germania  dopo la    prima    guerra   mondiale e      lo   stesso         concetto          di in indeterminismo aveva avuto il terreno preparato sia dalla filosofia della scienza di Poincarè, sia dalla filosofia di Kirchegaard. Qst background fece sì cheessi meglio si rendessero conto della fondamentale importanza della riflessione filosofica sui fondamenti della scienzachepraticavano, sikkè pensavano fosse giunto finalmente il tempo di stabilire tra esse un nuovo fecondo rapporto. Ad emergere vigorosa è la sempre + sentita esigenza, tra i grandi fisici teorici dell’inizio del secolo, di un’apertura verso la filosofia. Il bisogno di un ripensamento filosofico delle teorie scientifiche nasce innanzi tutto         all’interno  della  scienza.  Il  +   deciso  sostenitore  di  qst         reciproca integrazione  tra scienza  e        filosofia è  stato              proprio Heisenberg cheha dimostrato una notevole sensibilità e competenza filosofica. Avere una buona filosofia è indispensabile x lo scienziato, in quanto una concezione ingenua e arretrata del mondo,cheritiene addirittura di poter fare a meno della filosofia, porta a deprecabili errori nel campo stesso della teoria della particelle elementari. Era dunque un clima nuovocheveniva ad instaurarsi sempre + nell’ambito della comunità degli scienziati, avvertito anche in Italia, dove Vailati notava il nuova interesse x i problemi filosofici da parte degli scienziati. E’ giunto il tempo – afferma Schlick –chetra filosofia e scienza cessi la reciproca inimicizia iniziata nel XVIII secolo con nla filosofia idealistica di Schelling, Fiche ed Hegel, quando qst si dichiarava superiore alla scienza xkè in possesso di “una sorta di via regalecheportava ad una verità riservata solo ai filosofi”. Ormai non è + concepibile uno scienziatochenon sia al tempo stesso filosofo: “Lo scienziato deve essere un filosofo se vuole comprendere e ulteriormente costruire appoggiandosi ai concetti di base della sua   scienza”.


La filosofia non è + vista come un ostacolo affinkè si possa dispiegare la chiara razionalità scientifica, ma è ritenuta indispensabile al suo sviluppo.

Il bisogno di nuovo modo di filosofare adeguato alla nuova fisica

Se la scienza rischiedeva la filosofia, a sua volta la filosofia non poteva + farsi senza tener conto dei risultati della scienza: si trattava di 2 facce della stessa medaglia, alla prima della quale erano in particolare sensibili gli scienziati, alla seconda invece i pensatori aventi una formazione filosofica. La filosofia – sostiene Russel – non può ignorare la scienza, in quanto molti dei suoi problemi trovano soluzione in qst. I filosofi si trovano a riflettere sul portato specifico delle nuove teorie scientifiche, ed innanzi tutto su quella scissione nel corpo della scienzachevedeva da una parte la fisica classica con le sue leggi deterministiche , dall’altra il mondo del microscopico in cui non valgono + le leggi clessiche. È qst la situazioneche hanno di fronte i fondatori del Circolo di Vienna e i filosofi della scienza dei primi decenni del 900. Essi si pongono il compito di trovare x tale crisi nuovi strumenti concettuali ch emeglio permettano di comprenderne la natura eche siano diversi da quelli forniti dalle vekchie filosofie delle scuole. Si trattava come dice Frank, parafrasando una parabola evangelica, di mettere il vino nuovo in otri nuovi, dove «gli otri  vecchi erano gli schemi della filosofia tradizionale, e il vino nuovo la scienza del Novecento». E, una volta fatto il vino, bisogna trovare le botti filosofiche adatte,chenon ne rovinino il sapore. Alla costruzione di queste “botti” avevano mirato le discussionicheavevano luogo in quellocheabbiamo chiamato il “primo Circolo di Vienna”.

 

Fonte: http://www.riassuntisdf.altervista.org/wp-content/uploads/2012/10/Introduzione-alla-filosofia-della-scienza.Un-approccio-storico.pdf

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