Riassunto libro psicologia del lavoro di Guido Sarchielli

Riassunto libro psicologia del lavoro di Guido Sarchielli

 

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

 

 

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

 

 

 

Riassunto libro psicologia del lavoro di Guido Sarchielli

CAPITOLO 3 - ANALIZZARE IL LAVORO

Task Analysis e Job Analysis

Task Analysis e Job Analysis sono due modalità di rilevazione di informazioni che consentono di conoscere come si svolge un lavoro e quali siano i requisiti necessari per farlo al   meglio.

Considerando il risultato finale di un lavoro o di  un servizio reso è possibile osservare come esso   consti di molteplici operazioni, alcune molto elementari (ad es. rispondere  al  telefono,  spostare  oggetti, scrivere…), raggruppabili in categorie. Un Task (o Compito) è dunque un insieme di azioni elementari che permettono, svolte in successione, di pervenire ad un dato risultato standard,  e  vengono descritte attraverso un verbo all’infinito (ad esempio rispondere al telefono). L’insieme dei compiti costituisce una Mansione Assegnata ad un Lavoratore (ad es. quella di   receptionist).

Un insieme di Mansioni costituisce un Job, inteso come raggruppamento di posizioni simili in una organizzazione di lavoro, che si fondano cioè su insiemi di compiti  equivalenti.

Si può quindi Analizzare un Lavoro a due  livelli:

  1. Livello di Task: descriverlo nelle sue componenti essenziali, non tipiche di una data   mansione;
  2. Livello di Job: approfondire singole posizioni  lavorative.

La Task Analysis è un processo di rilevazione e interpretazione delle informazione ad un notevole dettaglio descrittivo, in cui il focus consiste nella descrizione delle operazioni elementari che rappresentano l’unità di analisi stessa. Essa si articola nella ricerca di gerarchie di operazioni da svolgere espresse in forma verbale o attraverso complessi algoritmi ed alberi   decisionali.

La Job Analysis (o Analisi del Lavoro) è invece il processo di  raccolta  e  valutazione  delle  informazioni sui processi lavorativi osservabili, su come il lavoro deve essere svolto e sui risultati che produce. Non ci si domanda più come sia fatto un lavoro, ma piuttosto cosa serva a compierne un’analisi. L’analisi del lavoro ha cinque Funzioni  Fondamentali:

  1. Politiche del Personale: si compone della valutazione delle prestazioni del personale, (ovvero la valutazione del lavoro in termini di soddisfacimento o meno delle richieste); e della selezione del personale, in quanto permette una precisa descrizione delle attività e delle esigenze  lavorative  richieste, espresse sotto forma di requisiti personali. Le Informazioni  che  derivano  dall’analisi  del lavoro hanno una rilevanza anche in termini di sistema premiante adottato da un’organizzazione per quanto riguarda la possibilità di premiare lo sforzo e  l’impegno;
  2. Job Design: le informazioni sulle relazione tra lavoratori, gruppi e strumenti permettono una progettazione ottimale delle procedure e delle modalità lavorative  programmate;
  3. Sicurezza Lavorativa: offre la possibilità di creare una mappa dei rischi connessi con i differenti processi di lavorazione, con i materiali da formare, con gli strumenti ed i mezzi di lavoro utile per conoscere in anticipo e evitare potenziali rischi del lavoro  stesso;
  4. Formazione: conoscere in cosa consiste e come va svolto il lavoro implica avere a disposizione informazioni precise su quali tipi di conoscenze e capacità accentuare nel lavoratore  in  termini  formativi;
  5. Orientamento: rivolto ai giovani al loro primo ingresso nel mondo del lavoro ed   agli

adulti in mobilità occupazionale, serve per mostrare i requisiti necessari per svolgere  quel  dato  impiego, in modo da modulare con realismo aspettative e  rappresentazioni.

I Risultati dell'Analisi del Lavoro sono di due  tipi:

  1. Descrizione del Lavoro (Job Analysis  Work-Oriented);
  2. Specificazione delle Caratteristiche del Lavoratore (Job Analysis Worker Oriented) Per quanto riguarda la Descrizione del Lavoro, vengono  definiti:
  3. Lavoro in Sé (in cosa consiste, quali sono i compiti , con che frequenza sono  svolti);
  4. Obiettivi dei Vari Compiti;
  5. Modalità e le Procedure (quali strumenti vengono utilizzati, sono standardizzati o   no);
  6. Condizioni di Lavoro (necessari per i processi di elaborazione mentale delle sequenze e degli   esiti);

 

 

  1. Risultati del Lavoro (intesi come risultati attesi in termini di prodotti e  servizi).

La Specificazione del Lavoro, invece, riguarda il lavoratore e deriva da una serie di inferenze, tratte dalla job analysis e dal buon senso, circa le qualità e gli attributi necessari per lo svolgimento delle attività e dei compiti di un lavoro. In sede di analisi del lavoro, quattro tipi di attributi risultano degni di nota:

  1. Job Knowledge: insieme di informazioni e nozioni formali ed informali direttamente applicabili nell’esecuzione di un compito;
  2. Skills: capacità messe in atto nella prestazione mediante gesti e sequenze di azioni che evidenziano capacità di agire messe all’opera in un  contesto;
  3. Abilities: abilità (numerica, spaziale, deduttiva, di sintesi…) per lo più  cognitive;
  4. Other Charateristics (estroversione, socialità, elementi del self): sono variabili latenti,  non direttamente osservabili ma inferite dal  comportamento.

Metodi e Strumenti per l'Analisi del  Lavoro

Il Percorso dell'Analisi del Lavoro può, a grandi linee, essere distinto in  fasi:

  1. Richiesta iniziale del Committente;
  2. Analisi della Domanda (precisazioni e specificazione degli  obiettivi);
  3. Prima Analisi di Massima (identificazione di vincoli e  opportunità);
  4. Scelta del Modello di Analisi, dei Metodi e degli  Strumenti;
  5. Rilevazione dei Dati, Scoring ed Elaborazioni  Statistiche;
  6. Report Finale Diagnostico (rappresentazioni numeriche, grafiche ed   interpretazione);
  7. Feedback (suggerimenti, proposte di intervento e di  soluzione);
  8. Verifica dei Risultati (confronto con gli obiettivi iniziali). Le Fonti di Informazioni sono:
  9. coloro che coprono la specifica posizione lavorativa interessata  dall’analisi;
  10. colleghi, responsabili e altri soggetti coinvolti

Ciascuna fonte fornisce informazioni non intercambiabili in quanto guardano l'oggetto da punti di vista diversi.

I Metodi di Analisi del Lavoro sono diversi e si raggruppano in tre   macrocategorie:

  1. Metodi Data Based o di Archivio. Essi sono utili specialmente nella fase iniziale dell’analisi, in quanto permettono di rilevare informazioni relative a tassi di frequenza ed altri indicatori statistici di fenomeni assai rilevanti per le condotte lavorative (ad es.  assenteismo,  turnover,  incidenti,  infortuni,  guasti, difetti di produzione). Le caratteristiche di  tali fenomeni (tipi, frequenza, ricorrenza in certi periodi, in  certi reparti, tra determinati tipi di lavoratori) possono fornire informazioni assai utili per l’analista prima ancora di effettuare l’indagine specifica;
  2. Metodi Diretti o Osservativi: osservazione sul campo, talvolta supportata da tecnologie. Esempi sono   la rappresentazione del processo lavorativo attraverso Flow Charts (schemi grafici che descrivono in sequenza), i Diagrammi che segnalano le Connessioni Causa-Effetto tra differenti  variabili  del  processo lavorativo (mettendo in evidenza il carattere più o meno cruciale della presenza di un lavoratore e delle azioni che deve svolgere) e il Work Sampling (osservazione dettagliata di segmenti    di attività lavorativa considerati mediante un campionamento nell’arco di una giornata o di una settimana). Si aggiungono poi misurazioni ti tipo psicofisiologico e rilievi sulle condizioni ambientali e sulle caratteristiche dei posti di lavoro.

Queste tecniche osservative consentono di ottenere informazioni quantitative sulla frequenza di certi eventi, sulla sequenza e durata delle attività, sull’accuratezza delle prestazioni e sugli errori   ricorrenti;

  1. Metodi Indiretti o Soggettivi: richiedono alle persone oggetto di analisi una forte partecipazione. Si richiede infatti esplicitamente al lavoratore di collaborare nella raccolta delle informazioni rilevanti, nell’identificazione dei passaggi cruciali dell’esperienza lavorativa, nella valutazione soggettiva dei vari fattori che incidono sulla condotta lavorativa e dei risvolti soggettivi ed emozionali del lavoro attuato. Si tratta di due categorie di metodi:
    1. partecipativi in senso stretto (si basano sulla narrazione e analisi di eventi attraverso strumenti come il focus group);
    2. di natura psicometrica (organizzato mediante check lists di eventi, rating e   ranking

 

 

scales, questionari self-report).

Con questi metodi si ottengono informazioni su abilità cognitive, preferenze per determinati tipi di compiti, sulla natura di eventuali incidenti e sulle strategie utilizzate per affrontare determinati compiti.   In ogni rilevazione appare però opportuno tenere conto di possibili Distorsioni ed Errori di rilevazione che riguardano:

  1. i lavoratori: spesso non possiedono le conoscenze verbali adeguate per utilizzare gli  strumenti  di  auto descrizione, oppure sottostanno ai classici bias di desiderabilità sociale e  gestione  dell’impressione che falsificano i risultati;
  2. la base dei dati (utilizzata per valutare gli esiti dell’analisi): specie se il campione utilizzato non risulta sufficientemente ampio;
  3. il contesto: le pressioni temporali, i costi, la resistenza degli attori possono spingere ad una minore accuratezza. Per evitare ciò possono essere usate differenti fonti di informazione, strumenti sia qualitativi sia quantitativi, una costante verifica degli strumenti ed una saggia amministrazione del tempo.

La Distinzione degli Strumenti può essere fatta in base a varie   caratteristiche:

  1. strumenti qualitativi o quantitativi;
  2. strumenti per valutazione del lavoro o del  lavoratore;
  3. strumenti con grande applicabilità o molto specifici. Vi sono alcuni Tipi di Strumenti da  considerare:
  4. Diario delle Attività, strumento poco strutturato e facilmente applicabile che prevede che il  lavoratore, opportunamente istruito, registri sistematicamente le attività che svolge in un arco di tempo prestabilito, con la possibilità di analizzare il materiale durante un successivo   colloquio;
  5. Tecnica dell’Incidente Critico (Flanagan,  1954):  centrata completamente  sull’operatore,  consiste nel raccogliere informazioni sul tipo e sul numero di incidenti critici che si verificano in una data situazione per ricostruire le caratteristiche fondamentali della situazione e delle attività svolte. Il lavoro   di raccolta ed analisi delle informazioni viene svolto in gruppo oppure da più persone separatamente   per avere un maggior grado di  attendibilità;
  6. Check list e Questionari: permettono di valutare i diversi compiti concernenti la mansione. Un metodo di Task Analysis conosciuto e standardizzato è l’HTA (Hierarchical Task Analysis),  che  prevede la progressiva scomposizione della mansione in una serie di compiti e sottocompiti, da cui far derivare il piano generale di azione, che include piani ed obiettivi secondari, disposti gerarchicamente. La descrizione dei compiti viene effettuata con verbi di azione e deve includere lo standard di prestazione.

Una Job Analysis può avere invece un livello minore di dettaglio e limitarsi ad accertare alcune grandi dimensioni che descrivono il lavoro in sé. Un esempio tipico è la FIA (Functional Job Analysis) che combina osservazione diretta ed intervista al  lavoratore.

Infine uno strumento worker-oriented è invece il PAQ (Position Analysis Questionnarie), strumento formalizzato composto da 194 domande sulla mansione in base a sei livelli relativi alle caratteristiche della mansione stessa:

    1. acquisizione delle informazioni da parte del lavoratore (canali e  utilizzo);
    2. processi mentali richiesti dalla mansione;
    3. output del lavoro;
    4. rapporti interpersonali richiesti;
    5. contesto lavorativo (fisico, tecnico ed  organizzativo);
    6. altre caratteristiche che possono influenzare la  mansione.

Il risultato è la creazione di un profilo professionale e la comparazione tra diverse   mansioni.

 

CAPITOLO 5 - LA SOCIALIZZAZIONE  OCCUPAZIONALE

L’Ingresso nel Mondo del  Lavoro

L’ingresso lavorativo rappresenta l’incontro con persone, ambienti, regole sociali, ruoli e compiti da svolgere e l’ingresso in uno spazio fisico e in una nuova situazione sociale ricca di stimoli psicosociali  da decifrare, interpretare e sui quali impostare la propria  condotta.


 

 

Questa tappa iniziale della storia lavorativa di una persona è stata analizzata come una Transizione Psicosociale (sede di fenomeni e processi di cambiamento della persona). Assumendo quanto affermata da Lewin rispetto ai Fenomeni di Locomozione Sociale, si deve sottolineare che ogni transizione comporta consistenti modifiche nella considerazione del contesto di appartenenza, per cui    il passaggio in una situazione diversa e mal conosciuta dalla persona richiede un tempo più o meno lungo per far si che si realizzi un’adeguata Ristrutturazione Cognitiva. Ci si  sottopone  al  giudizio formale o informale degli altri e la situazione di ingresso rappresenta anche un momento di possibile conflitto.

L’incontro con il lavoro rappresenta il superamento di un confine, con l’abbandono di una situazione  nota (exit) e l’ingresso in una nuova realtà sociale  (entry).

Bisogna fare anche una Distinzione  Terminologica:

  1. Socializzazione al lavoro: periodo prelavorativo di preparazione alla futura esperienza   lavorativa;
  2. Socializzazione nel lavoro (o lavorativa): fattori personali e di contesto che determinano cambiamenti nelle condotte lavorative e nei modi di rappresentarsi la carriera e i propri progetti   futuri;
  3. Socializzazione occupazionale: entrambi i momenti precedenti  accomunati;
  4. Socializzazione organizzativa: fattori organizzativi e le interazioni  persona-contesto  organizzativo (tale processo risulta assai lungo e prolungato nel  tempo).

Rispetto all'Ingresso Lavorativo dal Punto di  Vista delle Persone Nicholson (1987) lo identifica   come il prototipo delle transizioni che caratterizzano l’esperienza lavorativa. Si tratta un processo rappresentabile come Ciclo Transizionale attivato dalla  situazione  di  passaggio.  Tale  Ciclo  è composto da quattro fasi:

  1. Preparazione (aspettative, desideri e  risorse);
  2. Incontro (fronteggiamento e attribuzione di  senso);
  3. Adattamento (cambiamenti personali e di  ruolo);
  4. Stabilizzazione (coinvolgimento e efficacia  operativa).

L’incontro con il lavoro può essere più o meno correttamente anticipato sul piano delle aspettative,    delle rappresentazioni e dei progetti elaborati nella fase prelavorativa, e può rappresentare un fattore motivante per far fronte alle difficoltà  iniziali.

Le strategie di risposta possono rilevarsi subito come adeguate o richiedere apprendimenti notevoli e aggiustamenti in vari ambiti (struttura cognitiva, motivazionale, atteggiamenti e capacità  di  prestazione). Tali modificazioni possono essere di tipo qualitativo o quantitativo, e tendono a  stabilizzarsi in relazione al loro grado di pertinenza con le richieste della   situazione.

Bisogna poi considerare alcuni elementi:

  1. Compiti ed Esiti Primari della Situazione di Ingresso Lavorativo: il work entry può essere rappresentato con un insieme di compiti di sviluppo che la persona deve affrontare con successo per divenire membro a pieno titolo di un’organizzazione di lavoro. Questi compiti rappresentano outcomes primari del processo di socializzazione, e permettono alla persona di gestire la sua esperienza  lavorativa e arrivare a outcomes di secondo livello (benessere,   soddisfazione...);
  2. Apprendimenti Generali e Specifici: Morrison (1993) fa riferimento  a:
    1. perfezionare le capacità tecniche;
    2. riconoscere e acquisire gli elementi della struttura produttiva e organizzativa. Sono poi necessarie     le conoscenze sulle aspettative del ruolo professionale assegnato, informazioni di carattere sociale, i valori e le caratteristiche della specifica cultura  organizzativa.

Chao (1994) mette in luce alcune dimensioni che caratterizzano il processo di apprendimento sociale, ovvero i Contenuti della Socializzazione Lavorativa dal punto di vista del   neoassunto:

    1. efficienza e efficacia della prestazione;
    2. relazioni interpersonali;
    3. consapevolezza rispetto alle relazioni di  potere;
    4. differenze di posizione nella scala  gerarchica;
    5. valori, storia e cultura locale;
    6. linguaggio e espressioni comunicative  interne;
    7. regole sociali e rituali.

 

 

  1. Proattività: con questo termine si intende considerare il tipo di impegno personale nel risolvere i problemi dell’inserimento lavorativo attraverso la ricerca di informazioni (o information seeking), la richiesta di ricevere un feedback su quanto viene fatto, l’autogestione delle proprie risorse  e  le  strategie per compensare le lacune  conoscitive.

Le persone si presentano come proattive in quanto capaci di individuare le fonti informative corrette e    di raccogliere e processare le informazioni utili per facilitare una soddisfacente interpretazione della nuova situazione e la scelta delle strategia di azione adeguate alle effettive   esigenze;

  1. Innovazione di Ruolo e Cambiamento Personale: nella teoria di  Nicholson si da molta importanza    alla distinzione tra questi due termini:
    1. Innovazione di Ruolo: cambiamenti di piccola o grande portata riferiti ad esempio  a modifiche nelle procedure o negli strumenti di  lavoro;
    2. Cambiamento Personale: cambiamenti delle routine quotidiane, degli stili di condotta fino a ridefinizione importanti nell’immagine e nel concetto di  sé.

La necessità di adattamento può derivare dal bisogno di sopravvivere, dal livello di autonomia o dalle aspettative non corrisposte.

Intersecando i due tipi di cambiamento (basso o alto) si osservano i seguenti   tipi:

    1. Replica: il lavoratore svolge la sua attività nel modo previsto senza particolari contrasti e sorprese;
    2. Assimilazione: transizioni che non sono caratterizzate da cambiamenti nel ruolo lavorativo ma implicano forti cambiamento nella  persona;
    3. Determinazione: situazioni che sono affrontate modificando il ruolo lavorativo senza intaccare la persona;
    4. Esplorazione: la persona e il ruolo lavorativo si modificano di pari  passo.
  1. Differenze Individuali: le modalità di affrontare la transizione e di gestire l’inserimento lavorativo dipendono dalle risorse che la persona possiede per negoziare il proprio ruolo in vari   ambiti:
    1. Esperienze Prelavorative: contribuiscono a creare l’assetto delle risorse personali con cui ci si presenta nel mercato del lavoro. I compiti di apprendimento e di attribuzione di significato, le possibilità di mantenere una posizione di proattività derivano infatti anche dal possesso di schemi interpretativi per decifrare le esperienze attuali. Se queste appaiono similari o almeno congruenti con quelle precedenti vi saranno minori sorprese e minori percezioni di  mismatches;
    2. Caratteristiche Personali: Berzonsky parla di differenti stili di identità: persone con un’identità orientata sulle informazioni (esplorazione) si sforzano di cercarle nelle diverse situazioni, non temono modifiche del self, sono ricettivi ai nuovi stimoli e hanno strategie proattive. Le persone con un orientamento normativo (assimilazione) invece si limitano a conformarsi alle richieste delle persone significative, difendendo la loro attuale identità anche dalle nuove  informazioni.

Individui con orientamento di evitamento (replica) cercano di evitare un interessamento degli aspetti personali con la situazione lavorativa risultando quindi poco proattive. Anche la stima di sé ha un rilievo nel differenziare le modalità di affrontare l’ingresso  lavorativo.

Sono poi state considerate anche la self efficacy, il locus of control (capacità di esercitare un controllo sulla situazione e impegno a padroneggiarla) e il self monitoring (sensibilità agli stimoli  ambientali).

Considerando invece l'Ingresso Lavorativo dal Punto di Vista  dell'Organizzazione,  bisogna  valutare che anche il contesto lavorativo utilizza precise modalità di intervento per influenzare il neofita  e orientarne le direzioni di condotta, gli atteggiamenti e i valori. Si parla in proposito di Tattiche di Socializzazione Lavorativa. La differente rilevanza psicologica di un trasferimento lavorativo dipende    da diversi fattori:

  1. grado di novità della situazione di arrivo e numero di elementi  caratteristici;
  2. valenza positiva o negativa della nuova  situazione;
  3. volontarietà del passaggio;

 

 

  1. continuità/discontinuità rispetto alle esperienze  precedenti:
  2. discrezionalità (controllo degli eventi e degli elementi in  gioco);
  3. facilitazione e presenza di sostegni  sociali;
  4. valore attribuito a gestire positivamente la  transazione.

Van Maanen e Schein (1979) parlano di Socializzazione Istituzionale per indicare  una  serie  di  modalità di intervento che incoraggiano il neofita ad aderire ai ruoli previsti e di Socializzazione Individuale per riferirsi invece a tattiche incentrate sulle persone, stimolandole  a  mettere  in  discussione lo status quo e sviluppare un approccio personale allo svolgimento dei ruoli   lavorativi.

Possiamo distinguere sei Tattiche:

  1. Tattica Collettiva: consiste nel raggruppare i neofiti ed esporli ad un comune set di informazioni ed esperienze, piuttosto che indirizzarli verso un’esperienza differenziata e tendenzialmente unica (tattica individuale);
  2. Tattiche Formali: implicano la segregazione dei neofiti in un contesto specifico, separato dai membri esperti, si contrappone alle tattiche informali di apprendimento diretto del  lavoro  mediante  osservazione della realtà lavorativa;
  3. Tattiche Sequenziali: prevedono con chiarezza una serie di passi da seguire per assumere il ruolo definito (al contrario di quelle Casuali);
  4. Tattiche Prefissate: provvedono a stabilire i tempi da rispettare nell’assunzione dei ruoli (al contrario    di quelle Variabili);
  5. Tattiche Seriali: si basano sull’affidamento del neofita a persona esperta mentre quelle Separatiste lasciano il neoassunto nella condizione di dover trovare le soluzioni adatte per gestire i compiti e i ruoli assegnati;
  6. Tecniche di Investitura: si basano sul riconoscimento esplicito dell’identità del neofita. Al contrario le Tecniche di Non Investitura si propongono di negare o disconfermare il valore di alcuni aspetti dell’attuale identità dei neoassunti.

Rispetto agli Esiti del Processo di Socializzazione Occupazionale si può affermare che ben socializzata è una persona adattata, conforme alle aspettative organizzative e non troppo dissimile   dalle altre persone che operano nello stesso  contesto.

Altri autori sottolineano invece che essa possiede atteggiamenti, credenze e stili di condotta che facilitano l’impegno e il coinvolgimento anche affettivo con  l’organizzazione.

Una misura del buon andamento del processo di socializzazione occupazionale deriva dal riconoscimento di una accettabile congruenza tra aspettative, interessi e scopi. Si possono delineare due estremi nel continuum degli esiti della  socializzazione:

  1. Ultrasocializzazione: quando vi è conformità e rigida adesione ai modi di pensare e alle condotte dell’organizzazione senza un’effettiva reinterpretazione  personale;
  2. Socializzazione Non Riuscita: caratterizzata da incapacità di interloquire, disinteresse a capire la situazione e trasgressione delle regole  sociali.

Una possibile Classificazione degli Esiti (che tiene conto di aspetti personali, interpersonali e situazionali) dovrebbe considerare questi  aspetti:

  1. Caratteristiche e Forma della Traiettoria della Carriera (posizioni ricoperte, livelli di remunerazione, livelli di responsabilità ed efficienza);
  2. Benessere Psicologico (congruenza tra attese e  realtà);
  3. Capacità di Prestazione;
  4. Livello di Impegno e Continuità nell’Apprendimento (flessibilità cognitiva e interesse all’approfondimento);
  5. Tipo di Identità Personale e Sociale (stima di sé e sentimenti di   appartenenza);
  6. Tipo di Interazione Sociale Sperimentata (cooperare e gestire le   relazioni);
  7. Interazione con l’Organizzazione.

La Selezione del Personale come Incontro tra Persona e   Organizzazione

La Selezione del Personale costituisce un’area di intervento per la quale si è venuta definendo gran parte dell’immagine sociale dello psicologo di  lavoro.

Il Processo di Selezione riguarda, in senso lato, l’ammissione di persone in cerca di lavoro e la loro


 

 

distribuzione ottimale all’interno di un’organizzazione di lavoro. Le attività di selezione e il modo in cui sono impostate risultano avere un ruolo nel quadro generale delle tattiche di socializzazione programmate da un’organizzazione per i nuovi  assunti.

È evidente il ruolo decisivo dei responsabili della funzione di selezione, sia nell’analisi del lavoro sia nell’avvio del Reclutamento, che costituisce l’insieme di modalità con cui l’organizzazione esplicita la  sua richiesta di candidati da valutare per l’assunzione. Si attua mediante richieste interne o all’esterno della sede lavorativa mediante ad esempio inserzioni sulla stampa, richieste alle sedi formative o raccolta di domande spontanee.

La correttezza e chiarezza delle procedure di reclutamento può ovviamente semplificare l'analisi delle domande, le quali rappresentano lo Screening Iniziale da cui si attuano poi le diverse Tecniche Operative Selettive:

  1. Prospettiva Psicometrica: basata sull’uso di test tra  cui:
    1. test di efficienza (mentale, motoria e  sensoriale);
    2. reattivi che indagano la struttura della  personalità;
    3. test di situazione (capacità di risolvere problemi o prendere  decisioni);
    4. test dei "campioni di lavoro" (esempi significativi della realtà  lavorativa).

Un test richiede una complessa procedura di costruzione, verifica e di standardizzazione  che  ne dimostri l’Attendibilità (coerenza interna e grado di concordanza tra due variabili) e la Validità (il test misura effettivamente l'elemento per cui è stato  creato).

Riguarda alla costruzione dei test in ambito lavorativo si è progressivamente definito uno Schema di Azione:

    1. analisi del lavoro ed elaborazione del criterio (descrizione compiti e comportamento lavorativo ottimale);
    2. scelta delle variabili di previsione (della  prestazione);
    3. predisposizione dello strumento di  somministrazione;
    4. determinazione della forma finale del  test.

Infine vi sono da considerare Aspetti Pratici di  rilievo:

    1. Tasso Base: percentuale dei candidati scelti a caso che potrebbero ben riuscire sul lavoro (se è molto alto l’uso del test appare poco  ragionevole);
    2. Rapporto di Selezione: numero di candidati rispetto al numero di posti da ricoprire (se è troppo basso non vale la pena di affrontare procedure di selezione, se è troppo alto può risultare irraggiungibile un realistico rendimento del processo selettivo);
  1. Approccio Clinico: il Colloquio (o intervista di selezione) rappresenta lo strumento principale dell’approccio clinico alla selezione. Esso costituisce ancora uno degli strumenti più usati per l’assunzione poiché permette al candidato e all’organizzazione di conoscersi a vicenda. Il candidato cercherà, nel poco tempo disponibile, di fornire una buona immagine  di  se  stesso,  di  conoscere meglio cosa si richiede da lui nel lavoro, di avere un’idea del contest organizzativo in cui intenderebbe inserirsi, mentre l’intervistatore come testimone dell’organizzazione cercherà di capire gli stili di comportamento, la personalità e le competenze del candidato. Il  colloquio può essere svolto da un    solo intervistatore o più intervistatori e si presenta in forme  diverse:
    1. intervista di preselezione;
    2. intervista psicologica orientata alla diagnosi motivazionale e di   personalità;
    3. intervista tecnico professionale;
    4. intervista mista, personale e  professionale;
    5. intervista finale o di assunzione.

Le conclusioni del colloquio possono però risentire dei pregiudizi dell’intervistatore e delle sue aspettative.

Pur essendo una tecnica selettiva assai diffusa il colloquio non sembra poter essere utilizzato con risultati univoci. Il suo grado di validità predittiva è molto basso, come il grado di attendibilità. Al fine di migliorare le potenzialità del colloquio si cerca di elevare il suo grado di strutturazione, ovvero di renderlo   più   simile   a  una   Conversazione  Guidata,   con  una   sequenza   di   domande   precise e


 

 

l’utilizzazione dello stesso schema per i vari  candidati:

  1. cercare di fare comprendere la natura dei compiti e dei ruoli  assegnati;
  2. dare indicazioni precise sulle esigenza della realtà  lavorativa;
  3. esplicitare e chiarire i criteri della selezione;
  4. attribuire valore a tali criteri;
  5. determinare la struttura finale  dell’intervista.

Si sono poi sviluppati anche i metodi di gruppo per la selezione: si configurano come riunioni di discussione, spesso senza leader predefinito (ad es. roleplaying, assessment   center...).

I fattori situazionali, di carattere organizzativo, individuali e sociali tuttavia possono influenzarne  i risultati.

La Formazione come Ambito di  Socializzazione

La Formazione, come insieme strutturato di opportunità di trasmissione, di  acquisizione  e arricchimento di un sapere tecnico-professionale e psicosociale, ha acquisito un ruolo importante sia  per il sistema sociale sia per le organizzazioni di lavoro. Sono esplicitabili tre grandi Funzioni della Formazione:

  1. Funzione di Mantenimento: rende possibile ridurre le discrepanze tra ciò che richiede il lavoro e ciò che viene fatto utilizzando le conoscenze e le capacità disponibili, raggiungere  e  mantenere  aggiornato uno standard accettabile di qualità e quantità delle prestazioni   professionali;
  2. Funzione di Socializzazione: serve come canale di trasmissione e come stimolo di riflessione sulle priorità comportamentali, sui valori organizzativi, sulle regole sociali e la cultura di riferimento, sugli atteggiamenti da valorizzare;
  3. Funzione Motivante: è un’opportunità per considerare sempre più realistiche le proprie aspettative di riuscita e crescita professionale in un dato  contesto.

Bisogna poi considerare alcuni Elementi della  Formazione:

  1. Utenti: molti e diversi risultano i fruitori della formazione (soggetti al loro primo ingresso, coloro che si specializzano su particolari mansioni, chi deve riconvertire il proprio bagaglio professionale, coloro che  in seguito al licenziamento intendono prepararsi a un nuovo  lavoro);
  2. Sistema di Formazione Professionale: sono programmate attività e percorsi di  formazione  non solo per i giovani con ridotta esperienza scolastica ma anche per coloro che necessitano di ampliare le conoscenze professionali. Si è diffusa l’istituzione di raccordi tra mondo della scuola e ambienti lavorativi, si sono avviati contatti sistematici tra sedi formative e sedi lavorative, si sono ampliate le possibilità di far effettuare agli allievi esperienze di formazione sul  lavoro  mediate  appositi  stage. Anche la formazione aziendale si è notevolmente ampliata: esiste infatti una formazione di base per i neoassunti, formazione per i cambiamenti aziendali, formazione di tipo manageriale  solo  per  ricordarne alcuni.

Vi sono tre Contributi Psicologici alla  Formazione:

Caratteristiche dell'Apprendimento negli Adulti e in Ambienti  Lavorativi

Nei contesti di lavoro vi è poi un notevole consenso circa i Fattori o Condizioni di Facilitazione dell’Apprendimento  Professionale:

  1. Apprendimento dall’Esperienza;
  2. Feedback (informazioni di ritorno connesse a un processo, ad un evento e ad un comportamento);
  3. Forme di Rinforzo.

Fra le indicazioni della Psicologia Cognitiva che hanno rilevanza per l’apprendimento lavorativo si possono ricordare:

  1. Apprendimento di Compiti Semplici e Complessi (si deve insegnare alle persone prima i compiti semplici e poi quelli più  articolati);
  2. Metacognizione (aiutare chi apprende a monitorare i propri progressi e a valutare cosa si sa o non si conosce man mano che si procede  nell’attività);
  3. Modelli Mentali (accurata rappresentazione degli oggetti e delle rappresentazioni tra loro facilita i compiti di apprendimento).

I cambiamenti della tecnologia fanno inoltre aumentare la richiesta di    persone mentalmente efficienti e


 

 

capaci di affrontare compiti cognitivi complessi e l’astrazione del lavoro necessità maggiore impegno cognitivo, attenzione focalizzata e manipolazione dei  simboli.

Si devono ricordare poi due Direzioni di Indagine Psicologica assai promettenti per la formazione in ambito lavorativo:

  1. Studi sull’Expertise: ovvero sulla prestazione di persone esperte permettono di riconoscere  l’esistenza di strategie di autoregolazione che rendono tipica la performance   competente;
  2. Apprendimento Esperienziale e Self-Direction: riguarda i gesti , le posture, i linguaggi , gli stili e le sequenze di azioni che si accumulano e si consolidano col tempo e si modificano con il variare delle esigenze pratiche.

Individuazione di Metodi di  Progettazione

È condivisa l’utilità di concepire gli interventi formativi in un’ottica progettuale (Training Design). Un modo di procedere che mette alla base delle azioni formative una specifica analisi psicologica del contesto lavorativo che si articola nelle seguenti  Fasi:

  1. Analisi Organizzativa: tesa a focalizzare il ruolo della formazione nel contesto più vasto dell’organizzazione di lavoro;
  2. Analisi del Lavoro: identificazione delle conoscenze applicate e delle  skills;
  3. Analisi delle Persone: specificazione delle caratteristiche dei soggetti-utenti e del livello di  conoscenze e capacità possedute dai futuri corsisti, messe in relazione con i requisiti necessari per lo svolgimento dei compiti e dei ruoli  previsti.

Metodologie e Tecniche di Realizzazione e Conduzione dell'Intervento   Formativo

L’apporto più noto della psicologia è caratterizzato per l’introduzione di strumenti e modalità  partecipative di formazione in contrasto con le più tradizionali lezioni e conferenze. Tra queste si possono ricordare:

  1. Modalità Partecipative di Tipo Individuale (ad es. istruzione programmata, assistita da computer, simulazioni di attività tramite  computer);
  2. Modalità Partecipative di Gruppo (ad es. training group, gruppi di discussione con o senza leader, brainstorming, gruppi di soluzione di problemi, focus  group).

Le tecniche formative più avanzate tendono ad incorporare i principi assunti delle esperienze più avanzate di Action Research:

  1. usare il linguaggio con cui le persone configurano il proprio  mondo;
  2. comprendere i processi mentali con cui vengono trattati i  problemi;
  3. comprendere gli elementi chiave delle persone (intenzioni, cambiamento e progetti   realistici).

Tali strumenti vanno usati ovviamente in corrispondenza con obiettivi e risultati, e quindi scelti in base   al tipo di progettazione formativa.

 

CAPITOLO 6 - MOTIVAZIONI AL LAVORO E CONTRATTO  PSICOLOGICO

Definizioni e Orientamenti  Motivazionali

Dal punto di vista soggettivo essere motivati significa cose molto diverse da persona   a

persona e nei diversi momenti dello sviluppo della carriera personale. I  dirigenti  invece  sono  interessati ad assicurarsi che le persone agiscano in modo da migliorare l’efficienza e l’efficacia del   loro lavoro e che evitino quelle condotte che possono intaccare la quantità e la qualità  dei risultati  attesi. Sono a disposizione numerosi modelli teorici sulle motivazioni al lavoro. Lo Studio delle Motivazioni al Lavoro riguarda un set di forze che hanno diversa origine e che, in determinate circostanze, danno avvio o sostengono una condotta lavorativa,  influenzando:

  1. Direzione: quale dei possibili corsi di attività viene scelto dal lavoratore (funzionale al perseguimento degli scopi personali, di quelli dell'organizzazione o di  entrambi);
  2. Intensità: livello dello sforzo con cui si svolgono le attività  scelte;
  3. Persistenza: come il lavoratore attua la sua presentazione con continuità anche di fronte a ostacoli, condizioni difficili o imprevisti.

Studiare le motivazioni in un’accezione moderna significa cercare di comprendere e prevedere determinati esiti del rapporto tra persona e contesto lavorativi in due  direzioni:

  1. Teorie  Motivazionali  Processuali:  fenomeni  e  processi  psicologici  intesi  come  intermediari  di tale

 

 

rapporto;

  1. Teorie di Contenuto: fattori o variabili  indipendenti.

Soprattutto nel senso comune si sono enfatizzati fattori motivazionali di tipo individuale, dando minore importanza alla relazione tra persona e contesti lavorativi.  Tuttavia

appare riduttiva una concezione delle motivazioni al lavoro che si focalizza sull’individuo e che  prescinda dalla situazione concreta e dall’effettivo interscambio tra la persona e il suo contesto  lavorativo quotidiano.

Bisogna quindi iniziare anche a considerare Fattori Sociali e Fattori Esterni Non Sociali. Gli Elementi che Definiscono lo Scambio Lavorativo  sono:

  1. Input (impegno, tempo, competenza,  disciplina...);
  2. Prestazione ( quantità e qualità del  lavoro...);
  3. Risultati Attesi (stipendio, sicurezza, benefit, riconoscimenti sociali…). Bisogna considerare poi i diversi Approcci  Teorici:

Approcci Tradizionali

Sul piano storico si sono dapprima sviluppati approcci alle motivazioni al lavoro fondati     sull’attribuzione di importanza a elementi di rinforzo esterno (ad es. Taylor ipotizza la  funzione  motivante dell’interesse economico individuale) e solo successivamente si sono sviluppati gli approcci disposizionali, che privilegiano alcune caratteristiche individuali. Le diverse Teorie di tale Approccio sono:

  1. Teorie dei Bisogni: la Teoria della Gerarchia dei Bisogni di Maslow (1954) postula che le persone possiedano un comune set di bisogni organizzati secondo una scala gerarchica di   importanza:
    1. bisogni fisiologici;
    2. bisogni di sicurezza;
    3. bisogni sociali;
    4. Bisogni di stima di sé;
    5. Bisogni di autorealizzazione.

Prima si soddisfano i bisogni di ordine inferiore e poi quelli a livello superiore. La teoria tuttavia non ha avuto effettive dimostrazioni empiriche, anche perché si dimostra troppo generale. Le Teorie  dei  Bisogni si sono sforzate di sperare i modelli meccanicistici precedenti, derivanti dalla  scuola  economica, identificando una gamma di esigenze interne a cui i lavoratori sono sensibili nell’orientare    le loro condotte;

  1. Teoria delle Caratteristiche del Lavoro (l’importanza della progettazione): invece di cercare di soddisfare le mancanze (i  bisogni) individuali si possono progettare e creare le condizioni lavorative    più adatte a produrre le prestazioni migliori e più significative. Si tratta un approccio che deriva dalla pratica del job design. Hackman e Oldham (1976) attraverso il JDS  (job  diagniostic  survey)  individuano 5 fattori critici per la motivazione e la soddisfazione  lavorativa:
    1. Varietà delle capacità richieste (skill variety);
    2. Identità del compito (task identity);
    3. Compito significativo (task significance);
    4. Autonomia (autonomy);
    5. Feedback.

La skill variety, la task identity e la task significance influenza la percezione del significato del lavoro, l’autonomia modula la percezione della responsabilità circa gli esiti, e il feedback incide  sulla  percezione dei concreti risultati.

  1. Approcci della Scelta Cognitiva: con le teorie cognitive ci si sposta sui meccanismi  di  elaborazione cognitiva della condotta. Le esperienze vissute vengono rielaborate e tradotte in aspettative su cosa può avvenire in una data situazione lavorativa e la persona imposta e affronta la   sua relazione con il contesto del lavoro come un problema da risolvere nel migliore dei modi possibile. Vroom (1964) afferma che la Motivazione al Lavoro è la risultante di tre  variabili:
  2. Valenza (V): preferenza, desiderabilità e attrattiva di un certo  risultato;
  3. Strumentalità (I): relazione percepita tra qualità-quantità della prestazione e ricompensa   attesa;
  4. Aspettativa (E): percezione di quanto lo sforzo nella prestazione possa effettivamente condurre alla

 

 

ricompensa attesa.

Tali variabili sono legate in forma moltiplicativa (M=V*I*E) in maniere tale che è sufficiente che una di esse sia nulla per determinare un azzeramento del livello  emozionale.

Si ricorda anche il contributo di Porter e Lawler (1968) sulla Motivazione-Prestazione, secondo i quali    le differenti risposte individuali alle richieste del contesto organizzativo dipendono dall’investimento del lavoratore correlato a diversi fattori di natura cognitiva attivati  nell’interazione  con  l’ambiente  lavorativo.

La connessione impegno/sforzo, rispetto alla teoria di Vroom, è modulata da altre due   variabili:

  1. abilità nel ruolo lavorativo;
  2. chiarezza con cui è percepito il proprio  ruolo.
  3. Goal Setting Theory: nasce come tecnica motivazionale che si sviluppa nel quadro del "Management by Objectives", in cui sono gli obiettivi al centro della gestione e dello sviluppo organizzativo, ma costituiscono anche il modo preminente di interpretare le condotte degli   individui.

Il modello di Locke (1968) si basa sull’assunto che la persona operi in modo consapevole e razionale  per il conseguimento degli obiettivi. Così si può dire  che:

  1. gli obiettivi difficili ma realizzabili tendono a indirizzare verso prestazioni  migliori;
  2. gli obiettivi ben specificati orientano verso prestazioni più  adeguate;
  3. un elevato grado di coinvolgimento sugli obiettivi migliora le  prestazioni;
  4. il feedback influenza il livello di  motivazione;
  5. la definizione di obiettivi ha un ruolo importante nell’avviare il processo motivazionale. L’Accettazione e il Commitment sugli Obiettivi sono influenzati  da:
  6. Fattori Esterni (legittimità, pressione dei pari, probabilità del  conseguimento);
  7. Fattori di Interazione Sociale (partecipazione in prima  persona);
  8. Fattori Interni (sentirsi capaci di perseguire gli  obiettivi).

Il goal setting risulta apprezzato in quanto orientamento ispiratore di programmi di intervento e di gestione delle persone.

Latham e Locke (1991) sottolineano l’importanza di altri tre fattori per la modulazione del processo motivazionale:

  1. capacità possedute;
  2. complessità dei compiti;
  3. alcune caratteristiche personali.

Per quanto riguarda le Caratteristiche Personali si afferma l’importanza di fattori come la stima di sé e     il locus of control (connessione con le teorie di  Bandura).

  1. Teoria dell’Equità: punta l’attenzione sui processi cognitivi che governano la decisione di  impegnarsi o meno in un compito. Secondo Adams (1963) il lavoratore considera in concreto  la relazione tra output e input, tuttavia la spinta motivazionale è data soprattutto dal fatto che egli percepisca il rapporto come equilibrato rispetto a quello di altri colleghi nella stessa condizione, di lavoratori assunti come gruppo di riferimento, di credenze e  ideali.

Si introduce in questa Teoria il Principio del Confronto Sociale (Festinger, 1954). La non equità è il risultato di uno squilibrio percepito che può avvenire quando un lavoratore si  sente  sottopagato  rispetto ad un altro, considerato come referente o viceversa percepisce di essere stato senza ragione privilegiato. La percezione di non equità (o fairness organizzativa), induce ad un Ripristino dell'Equità con diverse strategie di azione:

  1. Modifica degli Input o dei Risultati (abbassare qualità o impegno, oppure ricontrattare la propria posizione);
  2. Modificare i propri Referenti ed Effettuare Nuovi tipi di Confronto  Sociale;
  3. Modificare le Percezioni relative al Rapporto  Input-Output;
  4. Cambiare Lavoro.
  5. Teorie della Giustizia Organizzativa ("faccio non necessariamente il massimo, ma ciò che sento giusto"): sviluppate negli ultimi quindici anni grazie alla teorizzazione di Greenberg (1987), si basano    su un approccio in cui si devono  considerare:
  6. Giustizia Distributiva (i ricavi siano corrispondenti alle  attese);

 

  1. Giustizia Procedurale (inadeguatezza dei modi di allocare e distribuire le risorse, i premi  o  le  punizioni tra le persone).

Quando si percepisce che le modalità di procedere e di decidere sulla distribuzione dei ricavi sono adeguate, corrette e trasparenti, appare più probabile lo sviluppo di comportamenti motivati rispetto a  un dato obiettivo. Quando invece ci si rende conto che prevalgono criteri non trasparenti i lavoratori adotteranno strategie di riduzione dell’impegno, di perseverazione o di   conflitto.

Si considerano due tipi di Fattori che hanno un ruolo sulla percezione della giustizia   organizzativa:

  1. meccanismi adottati per la gestione dei rapporti  interpersonali;
  2. modalità con cui si cerca di far comprendere i processi decisionali che conducono ai differenti tipi di scelta organizzativa e coerenza con cui si assume una prospettiva etica nella gestione delle vicende organizzative.

La percezione di non equità oltre a produrre effetti demotivanti rappresenta un campanello d’allarme circa la sussistenza delle condizioni di  dialogo.

Importante è quindi un Accordo di Reciprocità tra individuo e organizzazione che, oltre a fornire diritti e doveri ad entrambe le parti, stimoli il sentirsi cittadini dell'organizzazione, riconoscendosi come parte delle sue componenti fondamentali e della sua struttura, e provandone  orgoglio.

Il Contratto Psicologico

Con la nozione di Reciprocazione (Levinson, 1963) si insiste sull’idea che il rapporto tra persona e organizzazione risponde alla Norma di Reciprocità, cioè l’eguale distribuzione dei diritti e doveri tra i partner di una relazione ed è intesa come regola sociale di preservazione della loro identità e del loro valore.

È questo concetto che può introdurre la nozione di Contratto Psicologico, sviluppatasi negli anni '60 con Agrys e successivamente con  Schein.

Moltissimi aspetti della relazione tra persona e contesto lavorativo sono definiti e protetti dalla legislazione e/o da accordi sottoscritti formalmente, ma ci sono aspetti meno  formalizzabili,  che  restano sullo sfondo, connessi  con aspettative che gli attori elaborano e che influenza l’andamento  delle relazioni di lavoro, ed è su questi aspetti che si delinea il Contratto Psicologico. Vi sono anche alcune distinzioni in base alle  Definizioni:

  1. nell’accezione usata da Schein (1965) la nozione di contratto psicologico  implica

una Bilateralità, quindi un insieme di aspettative circa gli obblighi reciproci che una  relazione  di  scambio deve comportare;

  1. la Rousseau (1998) definisce il contratto psicologico come un insieme di credenze circa gli obblighi reciproci che si instaurano tra il lavoratore stesso e  l’organizzazione.

Esse nascono da esplicite promesse organizzative di persone significative, da inferenze  e interpretazioni di certe esperienze lavorative passate, dall’apprendimento per  osservazione  e imitazione;

  1. Guest (1998) sostiene invece la necessità di considerare il contratto psicologico come basato sull’interazione tra individuo e organizzazione e non solamente sulle percezioni del  lavoratore,  in quanto l’eccessiva soggettività farebbe perdere di importanza agli elementi di   reciprocità;

Esiste tuttavia un buon grado di accordo sul fatto che il contratto psicologico, quando riuscito,  può  avere alcune Funzioni:

  1. aumentare i legami significativi tra persona e  organizzazione;
  2. ridurre l’incertezza organizzativa (delineando rappresentazioni soddisfacenti delle proprie posizioni e prospettive di ruolo);
  3. aumentare la percezione di poter contare  nell’organizzazione;
  4. autoregolare i propri investimenti personali  nell’organizzazione.

La funzione principale di un buon contratto psicologico consiste nel divenire  una  condizione  necessaria, anche se non sufficiente, per migliorare le condizioni e la qualità della vita lavorativa e l’efficienza (si tratta quindi di una funzione  igienica)

Rispetto ai Contenuti essi sono rappresentati  da:

  1. Obblighi Organizzativi che possono essere oggetto di promesse e  sono:
    1. ricavi del lavoro;

 

 

    1. informazioni e sviluppo personale;
    2. contesto del lavoro.
  1. Obblighi del Lavoratore si parla di:
    1. rispetto degli orari di lavoro;
    2. svolgere un lavoro valido per qualità e  quantità;
    3. assicurare onestà nelle relazioni;
    4. lealtà e rispetto della proprietà;
    5. mantenere una buona presentazione di  sé;
    6. assumere atteggiamenti di flessibilità sul lavoro e sulle cose da  fare.

Il Contratto Psicologico, così come viene analizzato attualmente, prevede due Tipi   Ideali:

  1. Contratto Transazionale: fondato sullo scambio  economico;
  2. Contratto Relazionale concerne invece impegni e accordi di lunga durata, molto più basati  su  elementi relazionali.

L’interesse per la nozione di contratto psicologico deriva anche dalla  considerazione  della  sua  capacità di aiutarci a comprendere fenomeni di insoddisfazione, delusione, riduzione dell’impegno. Questi fenomeni sono stati collegati a una possibile Violazione o Rottura dei Contratti Psicologici. Morrison e Robinson (1997) affermano che la percezione della rottura del contratto deriva da due possibili fonti:

  1. Reneging: si percepisce che l’organizzazione rinnega le sue  promesse;
  2. Incongruence: si percepisce una incongruenza tra le credenze del lavoratore sugli obblighi reciproci    e quelle detenute dai rappresentanti  dell’organizzazione.

La percezione che le promesse non siano mantenute risulta modulata da due Fattori   Psicologici:

  1. il grado di salienza psicologica;
  2. il livello di vigilanza.

 

CAPITOLO 7 - COMPETENZE, PRESTAZIONI E LORO  VALUTAZIONE

L’Emergere della Prospettiva delle Competenze  Professionali

Il termine Risorse è usato in senso lato per indicare tre grandi insiemi di Caratteristiche o Attributi     della Persona che sono usati per diagnosticare, comprendere e intervenire sulla relazione tra persona   e lavoro al fine di migliorare il grado di adattamento lavorativo e di efficienza nelle   prestazioni:

  1. Capacità: si riferisce a ciò che una persona è capace di fare e ai  processi psicologici che stanno   alla base di una risposta adeguata. Focalizzandoci sulla conoscenza del come fare qualcosa si può usare il termine Skill, mentre Abilità è da intendersi come un costrutto concettuale inferito  dalla  condotta osservata. Distinguiamo inoltre  tra:
  2. Abilità Cognitive (fattore G di intelligenza generale, abilità verbale, ragionamento, abilità numerica, spaziale, di deduzione, di ricordo...);
  3. Abilità Sensoriali (in riferimento ai compiti lavorativi che implicano forti esigenze   percettive);
  4. Capacità Fisiche (psicofisiche e motorie come tempi di reazione, destrezza digitale, coordinamento spazio-temporale, precisione, forza statica e dinamica ed   equilibrio);
  5. Caratteristiche della Personalità: si riferisce ai modi di pensare, sentire e scegliere linee  di condotta da parte della persona che presentano un buon grado di stabilità nel corso del tempo, ma risulta in costante interazione con le situazioni lavorative. In tal senso si giustifica l’interesse anche in psicologia del lavoro per le caratteristiche della personalità che sono correlabili ad esempio con i meccanismi di scelta del lavoro, gli atteggiamenti e le rappresentazioni del lavoro, la soddisfazione lavorativa, il coinvolgimento personale. Anche il locus of control ha una grande importanza (esterno e interno), il self-monitoring (modo in cui le persone regolano la propria presentazione di sé agli altri) e      la nozione di self-efficacy (le cognizioni di una persona sulla propria efficacia in prestazioni   particolari);
  6. Caratteristiche Socioculturali: occorre poi riferirsi anche ad aspetti socioanagrafici e culturali che rappresentano indicatori assai chiari dei processi di differenziazione della forza lavoro  e  che  riguardano tre Categorie:
  7. Formazione Scolastica;
  8. Formazione Professionale;

 

 

  1. Esperienze di Lavoro.

Il termine Competenza è piuttosto ambiguo, e le definizioni sintetiche sono molto numerose (alcuni privilegiano una prospettiva unidimensionale, facendo coincidere la competenza con una dimensione psicologica, altri propendono per un approccio multidimensionale che considera differenti componenti della competenza in interazione tra loro). Aspetti Comuni dei vari approcci sulle competenze   sono:

  1. esse riguardano una mescolanza di conoscenze, skills, abilità, motivazioni, rappresentazioni, credenze, valori ed interessi;
  2. si associano ad una prestazione riuscita;
  3. si articolano in una combinazione di elementi diversi che può essere valutata  e  dimostrata  nell’azione concreta in una data situazione, differenziando le persone per livello di   prestazione.

La tradizione di Ricerca sulle Differenze Individuali ha messo l’accento su alcune caratteristiche della competenza che si sovrappongono con gli studi  sull’intelligenza.

Nell’ambito delle applicazioni degli Assessment Center (speciale tecnica di gruppo per la valutazione delle capacità possedute) emergono interessanti indicazioni su elementi comuni della professionalità espressa in differenti contesti di esperienza  lavorativa.

La Competenza di Successo (Approccio Motivazionalista di McClelland) assume che la competenza presenti una struttura fatta di elementi simili, indipendentemente dai contesti   d’uso.

Anche l’Analisi del Lavoro ha dato un importante contributo nella definizione dei vari modelli di competenza, si è cercato infatti di chiarire che l’analisi del lavoro centrata non sul task ma  sul  lavoratore rende possibile esplicitare il come la persona cerca di conseguire gli obiettivi   assegnati.

Si vanno delineando i seguenti  Approcci:

  1. Competenza professionale come insieme di attributi connessi con il posto di lavoro: si tratta di un approccio normativo che mette l’accento sulla condotta lavorativa  osservabile;
  2. Competenza professionale come attributo della persone: si prende in considerazione il singolo lavoratore e la sua qualificazione  professionale;
  3. Competenza professionale come esperienza personale e costruzione collettiva: il lavoratore competente è il punto di arrivo di processi psicologici e sociali specifici che caratterizzano l’interazione soggetto-organizzazione;
  4. Competenza professionale come partecipazione a una comunità di pratiche professionali: si parla di professionalità collettiva, frutto della cooperazione e delle autoregolazioni   sociali.

Se si vuole parlare di Competenza (concetto più generale e diverso da quello di Prestazione) si deve concordare sul fatto che sono in gioco livelli e dimensioni differenti. Il concetto presenta   infatti:

  1. Connotazione di Potenzialità;
  2. Connotazione Situazionale Collegamento al contesto  lavorativo).

Si tratta di un concetto assai ampio, il cui nucleo centrale è dato dalla mentalità di cui si è detto e dalle strategie di efficiente collegamento tra capacità e  richieste.

Bisogna infine distinguere tra:

  1. Abilità di Prodotto (quantificabili e con esito tangibile): implicano una perizia procedurale in un certo ambito che è dimostrabile dalle azioni  compiute;
  2. Abilità di Processo (organizzazione dell'operatore del proprio comportamento per produrre esiti desiderati): sono di carattere cognitivo e rimandano ancora al problema della metacognizione, ovvero    al grado di consapevolezza con cui si  procede.

Modelli di Competenza  Professionale

Se maggiori competenze non garantiranno il posto di lavoro, saperi  e  capacità  più  solidi aumenteranno l’occupabilità. È anche per questa ragione che parrebbe preferibile usare la nozione di Sistema di Competenze, in quanto con questo termine si include i cambiamenti che   riguardano:

  1. sistemi di gestione delle persone nelle  organizzazioni;
  2. sistema formativo e suoi cambiamenti;
  3. sistema lavorativo.

Si sono creati due principali Modelli sulla Natura delle Competenze   Professionali:

  1. Modelli Razionalistici: fanno riferimento alle modalità di valutazione e assessment delle competenze  professionali  e  concepiscono  la  competenza  come  un  insieme  di  attributi  usabili  per

 

 

svolgere le attività lavorative. Si possono denominare approcci ingegneristica o razionalistici che valorizzano le prestazioni osservabili ,identificano in una gamma di  attività  lavorative  abbastanza ampia e identificano il set di attributi che un lavoratore dovrebbe  possedere.

Limite di questi Modelli è l'elevata astrazione che non rende conto della complessità e dei difficili adattamenti contingenti necessari per produrre una risposta  lavorativa  competente  nelle  situazioni reali.

Esempio di questo è il Modello delle Competenze di Successo, creato da McClelland (1973), e  ripreso poi da Spencer e Spencer (1993) che hanno formalizzato cinque  caratteristiche  che  definiscono il modello:

  1. Motivazioni (costituiscono guide, schemi di selezione dei comportamenti e spinte verso gli obiettivi desiderati);
  2. Tratti (riguardano le disposizioni a comportarsi in un certo  modo);
  3. Immagine di Sé (in funzione al ruolo  sociale);
  4. Conoscenze Disciplinari (si tratta delle informazioni pertinenti il campo di  lavoro);
  5. Skills (capacità cognitive e comportamentali finalizzate alla performance in un dato   ambito).

Boyatzis   (2000),  sulla  scia  della  posizione  di  Goleman(1995)   nel   suo  Modello     Motivazionale

distingue due tipi di competenza:

  1. Competenza Personale: la quale a sua volta  comprende:
    1. autoconsapevolezza (emotiva, fiducia e valutazione di  sé);
    2. gestione di sé stessi (adattabilità, autocontrollo, iniziativa, fedeltà,   orientamento);
  2. Competenza Sociale: la quale a sua volta  comprende:
    1. consapevolezza sociale (empatia e consapevolezza  organizzativa);
    2. capacità sociali (leadership, sviluppo degli altri, gestione dei conflitti, creazione legami, comunicazione e  collaborazione).
  3. Modelli Interpretativi e Fenomenologici: sono indirizzati a esplorare la relazione tra persona e lavoro. La competenza è interpretabile come sapere in uso che appare strutturarsi in funzione di un obiettivo specifico da raggiungere in una situazione  data.

Il concetto di Azione Situata (Lave e Wenger, 1991) apre poi la strada ad  una  maggiore  considerazione degli adattamenti necessari per padroneggiare risposte professionali competenti, cioè per poter costruire, nelle singole situazioni, effettive risposte  efficaci.

Esempio di questi Modelli è il Modello Dinamico-Costruttivista di Le Boterf (1994), che propone di  non separare le caratteristiche della persona e quelle del lavoro, ma mantenere l’insieme dinamico persona-lavoro e considerare l’esperienza e i significati di questa interazione come genesi della competenza.

Risulta poco rilevante una lista teorica degli attributi e delle conoscenze e si dovrebbe ragionare in termini di sistema strutturato che si organizza in funzione del compito, degli obiettivi e delle condizioni   di esercizio dell’attività lavorativa.

Il punto centrale del sistema di competenza è dato dalle Funzioni attivate dal   Lavoratore:

  1. sviluppo di rappresentazioni operatorie (rappresentazioni del  compito);
  2. considerazione dell’immagine di sé (rappresentazione del  sé);
  3. mobilizzazione dei saperi (recupero saperi  procedurali);
  4. attivazione di processi cognitivi (elaborazione  attività);
  5. costruzione delle conoscenze (ristrutturazione  cognitiva);
  6. scelta delle pratiche professionali.

Possibili Integrazioni: il Modello “Risorse Personali, Repertori di Abilità e   Contesto”

Sarchielli e collaboratori (1993) hanno elaborato un modello delle competenze con l’obiettivo di  prendere in considerazione i differenti requisiti della persona che permettono un adeguato fit con le richieste dei contesti lavorativi. L’idea base è che l’inventario delle  esigenze  del  lavoro  con corrisponde necessariamente e in modo puntiforme all’inventario delle capacità del   soggetto.

Questo modello è influenzato dal pensiero di Bruner (1983), secondo cui le competenze permettono di mettere in scena la conoscenza e l’esperienza acquisita, di gestire il contesto d’azione, gestire uno spazio di riconoscimento di sé nel quale ciascuno si valutare, costruisce se stesso e fa riconoscere le


 

 

sue qualità.

Inoltre vi è un punto di contatto con Leplat (1990), cioè il fatto  di  sottolineare  l’interazione  della persona in un contesto dato.

Il Modello prevede tre Sottoinsiemi  Interconnessi:

  1. Risorse del Soggetto;
  2. Repertorio di Abilità;
  3. Richieste del Contesto Organizzativo.

Si tratta di un modello sistemico sostenuto concettualmente dall’idea di rappresentare l’interazione tra soggetto e lavoro e di riconoscere, fin dall’inizio, l’interscambio tra questi due poli. Tale interazione presupponeva una capacità strategica e di autoregolazione da parte della   persona.

L’effettiva utilizzazione sul piano delle sperimentazioni formative del modello proposto va sotto il nome  di Modello ISOFOL (DiFrancesco, 1994) che ha alcune caratteristiche   peculiari:

  1. assume una finalità più ampia rispetto al modello delle competenze trasversali, prende infatti come riferimento le competenze di base, le competenze tecnico-professionali e le competenze   trasversali;
  2. ciascuno di questi insiemi di abilità ha una giustificazione teorica e una pratica  formativa  diversificata;
  3. la sistematizzazione ISFOL si è proposta degli standard minimi, privilegiando quindi un'intenzionalità formativa.

Bisogna ora analizzare i tre  sottoinsiemi:

  1. Abilità: il termine Competenze Trasversali è l’etichetta usata per denominare un vasto insieme di capacità e abilità della persona che sono implicate in numerosi compiti lavorativi. Ci si  riferisce ad  abilità e capacità di carattere generale, a largo spettro, relative ai processi di pensiero, alle modalità di uso di strategie di apprendimento e di correzione della condotta. Tali abilità connotano il modo di regolare l’esperienza di lavoro e si specificano nel corso dell’apprendimento on the job e della storia lavorativa della persona.

L’Individuazione di questo tipo di abilità può essere  effettuata:

  1. in modo induttivo;
  2. comparando i vari contesti operativi.

Troviamo tre grandi Categorie di Operazioni che la persona  compie:

  1. diagnosticare le caratteristiche  dell’ambiente;
  2. mettersi in relazione adeguata con  l’ambiente;
  3. affrontare e gestire operativamente  l’ambiente.

Tali macrocategorie si trovano al centro del sistema operativo e si connettono da un lato alle risorse cognitive e psicosociali della persona, e dall’altro alle specifiche esigenze-richeste del contesto lavorative. Comprendono abilità e capacità  caratterizzate:

  1. da un alto grado di trasferibilità a compiti e contesti  diversi;
  2. da un ampio spessore, ovvero da una estensione notevole che comprende numerosi elementi subordinati e di dettaglio crescente.

Le competenze di cui stiamo parlando fanno dunque riferimento ad operazioni fondamentali proprie di qualunque persona posta di fronte a un compito o un  ruolo

lavorativo e in ciò consiste la loro Trasversalità: diagnosticare la situazione, il compito, il problema, relazionarsi con altri per rispondere alle richieste della situazione lavorativa, affondare le richieste specifiche della situazione, del compito e del  problema.

Non è però solo una formulazione teorica, ma vi sono anche Funzioni di Rilevanza   Pratica:

  1. orientare nell'analisi della situazione lavorativa  reale;
  2. offrire un sistema di classificazione delle diverse abilità  personali;
  3. identificare i bersagli centrali dei processi da privilegiare in termini formativi e di apprendimento lavorativo.
  4. Richieste del Contesto di Lavoro (o organizzativo): rappresentano fattori di attivazione sia delle competenze trasversali sia di quelle tecnico-professionali specifiche. Il Contesto in questa logica ha un duplice ruolo:
  5. richiede di attivare qualità, quantità, livello delle abilità  trasversali;

 

 

  1. è il luogo della reinterpretazione, traduzione operativa e adattamento delle abilità di carattere trasversale alle situazioni specifiche;
  2. Risorse della Persona: il soggetto cerca di comprendere la situazione lavorativa  adeguando i  propri schemi cognitivi attuali alle esigenze del compito. Per poter far ciò non basta il repertorio  di  abilità attuali (trasversali), ma occorre attingere al sistema di risorse psicosociali che può permettere di regolare attivamente le differenti forze che configurano l’attuale spazio di vita. Anche in questo caso il modello prevede un assetto interattivo.

Inoltre differenti piani delle Dotazioni di Base sono direttamente  coinvolti:

  1. Piano Cognitivo (saperi posseduti);
  2. Piano dell’Immagine di Sé (comprendere se e come il  soggetto si  vede  adeguatamente collocato nella situazione);
  3. Piano Valoriale e delle Rappresentazioni Sociali (disporre di contenuti mentali relativi al lavoro che funzionino come schemi di riferimento rielaborati  personalmente;
  4. Piano Motivazionale e Progettuale (prerequisiti aventi un valore di sostegno e di mantenimento della direzione di scelta e di attivazione di progetti  personali.

La Valutazione delle Prestazioni

L’Attività Lavorativa è una condotta di un attore, diretta a uno  scopo,  pianificata  e  intenzionale (Leplat e Cuny, 1984). Essa presuppone appunto degli scopi che, nel contesto di lavoro, derivano da   un complesso processo di rielaborazione che la persona mette in atto utilizzando le differenti risorse e competenze disponibili.

Le esigenze e le richieste lavorative costituiscono il punto di partenza per la costruzione dell’azione lavorativa.

Meijman e Multer (1998) suggeriscono un Modello Interpretativo che ci può essere d’aiuto per comprendere meglio le caratteristiche dell’attività lavorativa e della sua interazione con la persona.    Essi distinguono tra:

  1. Sistema Computazionale: comprende quegli elementi che mettono in grado la persona di  elaborare   le informazioni;
  2. Sistema Energetico: riguarda le energie necessarie per affrontare le richieste  dei

compiti e comprende le motivazioni, le emozioni, gli stati psicofisiologici e le risorse della personalità. Entrambi i sistemi intervengono nel delineare il modo con cui i compiti vengono   rappresentati.

La traduzione operativa di tali piani attraverso i concreti corsi di azione e la natura dei risultati costituiscono in questo modello lo strumento di Autoregolazione, in cui il feedback permette delle correzioni sia nel sistema computazionale che in quello  energetico.

Roe (1999) mette in risalto l’interazione tra sistema computazionale e sistema energetico. Postula l’esistenza di alcune Fasi Cruciali:

  1. - Generazione degli Obiettivi dell’Azione: rappresenta il modo con cui vengono reinterpretate le esigenze e specificato lo stato finale da  raggiungere;
  2. - Filtro degli Obiettivi: permette di considerare il loro grado di compatibilità e l’eventuale necessità di metterli in ordine di  importanza;
  3. - Determinazione dei Tempi d’Azione: una serie di tappe temporali che stabiliscono delle priorità. IV - Fase di Preservazione: data dai feedback delle altre  persone;

V - Fase di Costruzione di Piani di  Azione.

Le Finalità di Valutare le Prestazioni sono divisibili in due grandi  gruppi:

  1. Finalità Individuali: la valutazione permette al lavoratore di giudicare il grado di avvicinamento agli obiettivi qualitativi e quantitativi assegnati, di essere consapevole dell’adeguatezza del  proprio contributo al conseguimento degli obiettivi organizzativi, di considerare eventuali proposte di cambiamenti nel modo di impostare o eseguire le attività  lavorative;
  2. Finalità dell’organizzazione: considerare il valore delle prestazioni, il contributo che esse portano al conseguimento degli obiettivi organizzativi e la rilevanza sul modo in cui vengono ripartiti i   compiti.

In generale il Sistema di Valutazione può ottenere informazioni di due  tipi:

  1. quantità e qualità di risorse disponibili;
  2. insieme delle risorse disponibili e di quelle aggiuntive (Diagnosi del  Potenziale).

 

 

Si può incorrere in due Errori di Stima:

  1. ridurre ogni apporto personale solo in termini di produttività, trascurando altri   aspetti;
  2. sovrastimare ciò che le persone dovrebbero fare sul  lavoro.

L’Oggetto della Valutazione, che non è sempre chiaro, può  riguardare:

  1. gli esiti del lavoro svolto;
  2. i processi e le sequenze di attività;
  3. dimensioni psicosociali più complesse.

Per semplificare e chiarificare il processo si attua la seguente Tripartizione degli Oggetti da   Valutare:

  1. Tratti Personali (informazioni sensibili e rischio di poca spinta  motivazionale);
  2. Comportamenti (ciò che il lavoratore sta facendo e come lo  fa);
  3. Risultati (effetti del lavoro svolto, misurati con diversi  parametri).

Gli Scopi della Valutazione potranno essere assai differenti. Per i dirigenti potrebbe esserci lo scopo    di aumentare la produttività, per un gruppo di lavoratori potrà esserci l’obiettivo di verificare la rispondenza dei mezzi usati con gli standard di rendimento richiesti, per il gruppo di valutatori potrà esserci l’obiettivo di collaudare strumenti di misura facili da adoperare o di attivare risposte positive da parte dei valutati circa il lavoro svolto o di proporre miglioramenti del sistema   valutativo.

Importante è impostare un sistema di valutazione che sia condiviso per la correttezza degli obiettivi e delle metodologie usate e per la correttezza dell'uso dei risultati. Uno degli aspetti da condividere riguarda, per esempio, i Criteri con cui Valutare (qualità delle prestazioni, quantità, tempestività, efficienza, bisogno di coordinamento e supervisione o impatto  interpersonale).

Rispetto agli Aspetti Metodologici della Valutazione bisogna considerare vari Biases Percettivi che distorcono le valutazioni:

  1. Effetto Alone: incapacità di discriminare tra differenti aspetti della prestazione del   lavoratore;
  2. Effetto Indulgenza/Severità: può capitare che un valutatore adotti un modo di giudicare fortemente sbilanciato verso il lato positivo o  negativo;
  3. Effetto Tendenza Centrale: il valutatore adotta di base i valori medi della scala per tutti, con scarsa attenzione agli scostamenti dalla  media;
  4. Effetto di Contrasto: quando si devono dare delle valutazioni ripetute delle stesse persone è difficile  che non si sia influenzati dai precedenti  giudizi;
  5. Effetti di Primacy e Recency;
  6. Effetto Persona Simile a Me: il valutatore proietta sulla persona da valutare certe qualità o difetti  propri;
  7. Effetto Stereotipi del Valutatore: comprende favoritismi e ostilità  stereotipiche.

Lo stesso Contesto della Valutazione (o Setting) ha un peso decisivo nei giudizi   finali.

Stanno aumentando situazioni organizzative in cui si  adottano anche forme  di Autovalutazione da  Parte del Lavoratore per integrare e arricchire l’insieme di informazioni per la valutazione finale. Esse però in realtà non sono esenti da rischi (Self Serving Bias). Anche la Valutazione da Parte dei Colleghi ha dato buoni risultati, a volte appare anche più precisa di quella dei valutatori, ma è indispensabile   che esista un clima psicosociale cooperativo e  favorevole.

La Valutazione da Parte dei Clienti/Utenti fa parte delle tendenze attuali delle   organizzazioni.

In ogni caso l’opportunità di poter contare su fonti di informazione multiple per la valutazione delle prestazioni risulta in generale condivisa da parte degli psicologi e di molte   organizzazioni.

Tra gli Strumenti per la Valutazione  troviamo:

  1. Procedure di Ranking (cercano di ordinare la prestazione  globale);
  2. Procedure di Classificazione (inseriscono le persone in alcune  categorie);
  3. Scale Grafiche di Valutazione o Rating (basate sulla descrizione di  dimensioni del   lavoro);
  4. Scale Grafiche Ancorate a  Comportamenti;
  5. Scale a Scelta Obbligata (per ridurre i biases del  valutatore);
  6. Descrizioni Libere (sintetizzano aspetti significativi della prestazione e  requisiti);
  7. Interviste di Valutazione.

Il processo tecnico di valutazione non è ancora in grado di garantire un’alta accuratezza dei risultati,   ma sono state trovate diverse Soluzioni per Garantire Risultati  Migliori:


 

 

  1. concentrare l’attenzione sui comportamenti e sui risultati delle prestazioni lasciando sullo sfondo le caratteristiche di personalità;
  2. aumentare il numero delle persone che valutano le stesse  prestazioni;
  3. addestrare i valutatori rispetto a competenze cognitive e sociali, consapevolezza dei biases e scelta degli strumenti più adatti ed utilizzo.

.

 

Fonte: http://www.riassuntisdf.altervista.org/wp-content/uploads/2013/12/Psicologia-del-lavoro-e-delle-organizzazioni-Sarchielli.pdf

Sito web da visitare: http://www.riassuntisdf.altervista.org

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.

 

Riassunto libro psicologia del lavoro di Guido Sarchielli

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

Riassunto libro psicologia del lavoro di Guido Sarchielli

 

"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco

www.riassuntini.com dove ritrovare l'informazione quando questa serve

 

Argomenti

Termini d' uso, cookies e privacy

Contatti

Cerca nel sito

 

 

Riassunto libro psicologia del lavoro di Guido Sarchielli