Mineralogia

Mineralogia

 

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

 

 

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

 

 

 

Mineralogia

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE
Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Corso di Laurea in Scienze Geologiche
Appunti delle Lezioni di
Mineralogia I
Tenute dal prof. Fernando Corsini

1. INTRODUZIONE
L’uomo, a partire dall’età della pietra, ha raccolto e utilizzato “pietre” per indossarle, mostrarle, per fabbricare armi da caccia e da difesa (punte di lancia ricavate dalla selce, materiale duro che si può rompere scheggiandosi e diventando tagliente) e pigmenti naturali, come l’ocra rossa, per decorare l’interno delle caverne (Paleolitico). Successivamente l’evoluzione umana è stata segnata dalla capacità di fabbricare mattoni, ceramiche e vetri usando argilla, sabbia, ecc. (Neolitico) e di estrarre i metalli dai minerali metalliferi (età del rame, del bronzo, del ferro).
Tuttavia gli studi sulla natura e le proprietà dei minerali e delle rocce sono iniziati solo con il XVI secolo: è, infatti, in questo periodo che si comincia a formulare ipotesi e a trarre conclusioni basandosi su osservazioni naturali, punto di partenza per ogni ricerca scientifica, anche se le conoscenze naturalistiche non avevano ancora raggiunto una mole e un approfondimento tali da far sentire la necessità di una differenziazione delle singole discipline (Zoologia, Botanica, Mineralogia).
Fu dal XVIII secolo che, con l’ampliamento e l’approfondimento delle conoscenze, si separò le scienze biologiche dalle non biologiche.
Successivamente si ebbe un’ulteriore differenziazione (ad esempio, nelle non biologiche) in geologia, mineralogia, petrografia, geochimica, ecc. (fig.1.1).
La mineralogia, quindi, nata per l’osservazione dei minerali, attualmente li studia definendone le caratteristiche fisiche, chimiche, giaciturali e genetiche.
Fino dalla Preistoria, come detto, l’uomo ha utilizzato i minerali e le rocce; dall’uso per utensili, armi, ornamenti, si è passati all’uso su larga scala con l’apertura di cave e miniere. Lo sfruttamento sempre più intenso ha fatto sorgere, almeno negli ultimi decenni, il problema del loro esaurimento e del loro impatto ambientale. Tutti o quasi tutti si sono ormai resi conto che il nostro pianeta non è statico, ma dinamico e l’uomo rappresenta una vera forza geologica in grado di modellare e determinare l’evoluzione della Terra.
La parola minerale è usata in diversi modi: in economia è qualsiasi materiale che si estrae dalla Terra (incluso carbone, petrolio, sabbia, ghiaia, ecc.), mentre in mineralogia la definizione è molto più restrittiva.: un minerale è un solido cristallino naturale con una composizione chimica definita, ma non necessariamente fissa.
Naturale. Molti solidi cristallini vengono sintetizzati in laboratorio: essi non sono minerali, anche se hanno le stesse proprietà.
Cristallino. Reticolo ordinato e periodico degli ioni, contrapposto a vetroso o amorfo. La disposizione ordinata comporta che almeno una proprietà fisica deve cambiare con la direzione (anisotropia), infatti secondo differenti direzioni si hanno differenti disposizioni atomiche.
Solido. Eccezione il mercurio (Hg) a temperatura ambiente.
Composizione chimica definita, ma non necessariamente fissa. Per ogni minerale può essere scritta una formula chimica (quarzo, SiO2), dolomite CaMg(CO3)2; il quarzo è composto solo da silicio e ossigeno e, quindi, la sua formula è definita e fissa, mentre la dolomite può contenere del ferro e del manganese al posto del calcio e, quindi, la sua formula è definita, ma non fissa.
Alcune definizioni riportano le parole (formatisi per processi inorganici), ma i carbonati di calcio (calcite e aragonite) si sono formati, quasi esclusivamente, per accumulo di invertebrati marini e così la maggior parte dei componenti gli strati calcarei; l’apatite, Ca5(PO4)3(OH,F,Cl) è costituente fondamentale di ossa e denti di invertebrati; i batteri sono responsabili di molti processi geochimici superficiali e influenzano la crescita di molti minerali. Per esempio, la pirite (FeS2) di molti scisti e strati carboniferi è il risultato dell’azione di batteri solfato-riducenti.
Mineraloidi. Materiali simili ai minerali, ma senza cristallinità, cioè senza una disposizione interna ordinata e periodica (resine fossili, ecc.).
Nomi dei minerali. I minerali vengono riuniti in classi su basi chimiche e strutturali; il nome dei minerali non è basato su nessuno schema. Infatti, il nome può essere dovuto alle loro proprietà chimico-fisiche (albite, dal latino albus, bianco, per il colore); magnetite, per le proprietà magnetiche, cromite, per la presenza di cromo), dalle località del primo ritrovamento (aragonite, da Aragon, Spagna), in onore di studiosi (carobbite e garavellite, in onore dei professori Carobbi e Garavelli) o di personaggi politici (alessandrite, in onore dello zar Alessandro II).

Molti minerali sono conosciuti con più di un nome (titanite o sfene, blenda o sfalerite). Il nome ufficiale è quello riportato nel Glossary of Mineralogy di Fleischer.
Non sto qui a fare la storia della Mineralogia, ma mi preme sottolineare che essa si è evoluta, al pari delle altre Scienze, in seguito al progredire dei metodi di analisi: si è partiti da i primi goniometri a contatto e a riflessione per la misura degli angoli diedri fino agli ultimi microscopi elettronici ad alta risoluzione con cui si può evidenziare la struttura dei minerali. Essa è parte integrante di geologia, petrologia, geochimica e giacimentologia e contribuisce alla comprensione della storia geologica della Terra e dei corpi planetari; alla ricerca, utilizzazione e valorizzazione dei minerali come materie prime (ambito economico-politico); all’applicazioni nel campo tecnico-scientifico (Archeologia, Restauro Monumenti) ecologico (Stoccaggio Discariche), Industriale (Superconduttori, ecc.).
fig.1.1 – Rappresentazione schematica delle varie branche in cui si suddividono le scienze geologiche (racchiuse entro la linea a tratteggio) e i principali collegamenti con le altre scienze.

2. CRISTALLIZZAZIONE
I minerali si formano (senza escludere, come detto, il concorso di organismi sia per deposizione diretta che per azione indiretta) da soluzioni, fusi e vapori. Gli ioni, che in queste condizioni hanno una distribuzione casuale e disordinata, con il cambiamento di pressione, temperatura e ambiente chimico (ad es. la concentrazione) raggiungono una disposizione ordinata caratteristica dello stato cristallino.
Esempio di cristallizzazione da soluzioni.
Il cloruro di sodio disciolto in acqua che, all’aumentare della temperatura evapora; aumenta così la concentrazione di Na+Cl- e ad un certo valore si arriva alla precipitazione del salgemma o halite. Esempio di cristallizzazione da fusi. Un esempio è quello della formazione dei cristalli di ghiaccio (l’acqua è ghiaccio fuso). La formazione delle rocce ignee dal magma (roccia fusa) è simile, anche se molto più complicata, al raffreddamento dell’acqua.
Esempio di cristallizzazione da vapori. E’ il meno comune (ad es. sublimati vulcanici): il vapore si raffredda molto rapidamente e gli ioni vanno a formare l’edificio cristallino.
Crescita cristallina. Tutti hanno visto un minerale: in un Museo, in un negozio specializzato nella vendita o almeno in una gioielleria. Se un minerale è ben formato, cioè ha una forma cristallina completa, è sicuramente cresciuto in uno spazio aperto (ad es. in una cavità). Com’è che questa forma si è sviluppata?. Il primo stadio della crescita è la nucleazione (cioè la crescita comincia quando un nucleo, un “seme”, si è formato).
Ad esempio, se abbiamo una laguna avremo evaporazione e precipitazione negli ultimi stadi di salgemma: ciò significa che gli ioni Na+ e Cl- si combinano l’un l’altro , in questo caso per formare l’iniziale modello regolare cubico (fig.2.1). Si formano inizialmente molti nuclei e se uno riesce a raggiungere una dimensione “critica” riuscirà a sopravvivere e su questo inizia l’aggregazione, che avverrà sulle zone a maggior energia libera (in questo caso sulle facce e non sugli spigoli o sui vertici). Se cresce sui vertici darà, ad esempio, i dendriti oppure si formano tanti nuclei vicini alla dimensione critica e si avrà criptocristallinità.
In generale un cristallo cresce per aggiunta di ioni (atomi, ecc.) sull’esterno di un modello continuo e regolare. Questo in generale, ma la norma è di osservare cristalli con imperfezioni (con l’avanzamento delle tecniche analitiche la cosa è sempre più frequente), cioè la disposizione può non essere ordinata e continua secondo punti, linee o piani. Le imperfezioni che molte volte sono responsabili del colore, vengono causate anche artificialmente (drogaggio per superconduttori, cip per computers, ecc.)
fig.2.1 – Rappresentazione schematica di un nucleo di NaCl nell’evaporazione di una laguna.

3. SIMMETRIA
Abbiamo parlato di un minerale come di una sostanza cristallina (disposizione ordinata nelle tre direzioni dello spazio) con una disposizione che rappresenta uno stato di più bassa energia rispetto a una disposizione casuale (un muro costruito a “regola d’arte” ha una configurazione più stabile , meno energetica, di uno costruito “male”).
Una disposizione ordinata di oggetti è dotata di simmetria: infatti il concetto globale di simmetria nasce dall’associazione di due concetti: la molteplicità e l’ordine. La simmetria è pertanto una ripetizione ordinata di unità, o un ordinamento di oggetti identici (fig.3.1).
Ogni movimento che porta alla ripetizione di un motivo originale si chiama: operazione di simmetria.. Quindi nel caso dei mattoni e delle virgole non ordinati una traslazione di un periodo è solo un’operazione geometrica, nell’altro caso è un’operazione di simmetria, perché provoca sovrapposizioni analoghe a qualsiasi mattone o virgola venga applicata. L’ente geometrico rispetto al quale si effettua l’operazione si chiama elemento di simmetria od operatore di simmetria.
Sono elementi di simmetria tutti gli operatori che fanno sovrapporre idealmente un oggetto a un altro identico. Sicuramente lo sono i VETTORI DI TRASLAZIONE e gli ASSI DI ROTAZIONE. Vi sono però oggetti identici, ma non sovrapponibili con una semplice rototraslazione (ad es., mano destra e sinistra), in questo caso si parla di oggetti enantiomorfi. La loro giustapposizione richiede un’ulteriore operazione: lo “specchiamento” su un PIANO DI RIFLESSIONE o il ribaltamento su un CENTRO DI INVERSIONE (fig. 3.2). Quindi le operazioni di simmetria sono le seguenti:
traslazione: la traslazione di nodi reticolari porta alla costruzione di reticoli infiniti nelle tre direzioni dello spazio;
rotazione: rotazione intorno a un asse con ordine dell’asse = 360°/n con n = ricoprimenti in 360° (fig.3.3);
inversione: si inverte rispetto a un punto;
riflessione: la riflessione rispetto a un piano è equivalente alla rotoinversione su di un asse di ordine 2 (asse binario) (fig.3.4);
rotazione con traslazione (elicogire)(fig.3.5); riflessione con traslazione (slittopiani) (fig.3.6).
Abbiamo introdotto gli elementi di simmetria: assi di rotazione (1,2,3,4,6);
assi di rotoinversione (1,2,3,4,6 soprasegnati); centro di simmetria (i);
piano (m).
Se uniamo questi elementi di simmetria con la traslazione ricaviamo 230 “gruppi spaziali”, se, invece, non consideriamo la traslazione si scende a 32 classi cristalline o “gruppi puntuali”, in analogia con quelli spaziali, in quanto gli elementi di simmetria passano (assi e piani) o giacciono (centro) su un punto (normalmente il baricentro del cristallo).
Le 32 classi cristalline sono dovute a tutte le possibili combinazioni degli elementi di simmetria. Come avrete notato non esistono assi di ordine 5 o superiori a 7, in quanto con questi assi verrebbe meno la traslazione di un uguale periodo (l’esempio per l’asse di ordine 5 è riportato nella figura 3.7.
I cristalli, quindi, sono la ripetizione nelle tre direzioni dello spazio di unità strutturali e le superfici che li determinano (le facce del cristallo) dipendono da queste unità e dalle condizioni di crescita (temperatura, pressione, ambiente chimico, direzione di flusso delle soluzioni, spazio a disposizione per crescere, ecc.).
Le relazioni angolari, lo sviluppo e la forma delle facce fanno parte della cristallografia morfologica. In un cristallo comunemente avremo poche facce (questo è stato trovato sperimentalmente) e queste sono parallele a piani reticolari ad alta densità di punti (nodi), legge di Bravais (fig.3.8).

Sperimentalmente è stata anche ricavata la legge della costanza degli angoli diedri tra le facce (legge di Hauy): se nei cristalli di un minerale si misurano angoli diedri tra coppie di facce essi avranno valori uguali in tutti i cristalli dello stesso minerale, purché misurate a temperatura costante.
Il miglior modo di rappresentare la morfologia di un cristallo è quello di riferire facce e spigoli a una terna di assi (che si può pensare con l’origine nel baricentro del cristallo, anche se si potrebbe prendere dove si vuole). Fissata la terna di riferimento ne possiamo individuare i parametri: le distanze dall’origine dell’intersezione di una faccia sugli assi.
Se scegliamo una faccia in posizione generale, quindi staccherà tre parametri, come riferimento (faccia fondamentale) e tutte le altre facce le riferiamo a questa avremo: a/a’:b/b’:c/c’ = h:k:l (indici di Miller) dove a,b,c sono i parametri della faccia fondamentale e a’,b’,c’ quelli dell’altra faccia.
Se si sceglie in maniera opportuna la faccia fondamentale e la terna di riferimento secondo direzioni cristallografiche appropriate (direzioni di simmetria, spigoli reali o possibili, ecc.) gli indici di Miller saranno generalmente piccoli e razionali.
Gli assi di riferimento possono avere:
3 angoli diversi da 90° (simmetria 1; sistema triclino)
1 angolo diverso da 90° (simmetria 2; sistema monoclino)
3 angoli uguali a 90° (simmetria 222; sistema rombico)
3 angoli uguali a 90° (simmetria 4: due assi equivalenti; sistema tetragonale)
3 angoli uguali a 90° e uno di 120° (simmetria 3,6: riferimento a 4 assi con 3 equivalenti; sistemi trigonale ed esagonale)
3 angoli uguali a 90° (simmetria 3333: tre assi equivalenti; sistema cubico).
PROIEZIONE STEREOGRAFICA
La proiezione di un cristallo è un modo per rappresentare un cristallo, che è tridimensionale, su di un piano. Nella proiezione stereografica si agisce nel modo seguente:
si pone il cristallo con il baricentro nel centro di una sfera, si tracciano le perpendicolari alle facce e si determinano i punti di incontro delle perpendicolari stesse con la sfera. Individuati i punti, si uniscono gli stessi con il polo dell’emisfero opposto: l’incontro con il piano equatoriale determina la posizione della faccia. Se si va dall’emisfero nord al polo sud, si segna con una crocetta o con pallino pieno; se si va dall’emisfero sud al polo nord, si segna con cerchietto o con un pallino vuoti (fig.3.9).

Simboli usati in proiezione stereografica:
Assi di rotazione Simbolo scritto Simbolo grafico Ordine 1 1 nessuno
“ 2 2 linea tratteggiata limitata da 2 ellissi
“ 3 3 triangolo
“ 4 4 quadrato
“ 6 6 esagono
Assi di rotoinversione Ordine 1
1
(Equivalente a un centro di simmetria)
“ 2 2 ( “ a uno specchio)
“ 3 3 (Equivalente a un asse 3 più un centro di simmetria)
“ 4 4 (Elemento di simmetria proprio)
“ 6 6 (equivalente a un asse 3 più un piano normale)
Centro di simmetria
1 nessuno
Piani di simmetria
m ( linea continua)
Direzioni cristallografiche a,b,c linee tratteggiate con le lettere dovute, continue se includono un piano


















fig.3.1 – Disposizione ordinata e casuale di fig.3.2 – Piano di riflessione (a) e mattoni e virgole. centro di inversione (b)

fig.3.3. – Rotazione attorno a un asse binario fig.3.5 – Slittopiano fig.3.6 - Elicogira
fig.3.4 – Equivalenza tra un asse rotoinversione di ordine 2 e un piano di riflessione: la sequenza è a,b,c.


fig.3.8 – Rappresentazione di uno strato di “punti reticolari” in un reticolo cubico. Si osservato che i piani con più alta densità di punti reticolari sono i più comuni.

fig.3.7 – Impossibilità di coprire un pavimento con mattonelle pentagonali.


fig.3.9 – Sezione che mostra come si costruisce una proiezione stereografica.

4. ISOMORFISMO E FORMULE CRISTALLOCHIMICHE
COORDINAZIONE
Nel caso in cui ioni di segno opposto si uniscano a formare una struttura cristallina in cui le forze di legame siano prevalentemente elettrostatiche, ciascun ione tende ad attrarre il maggior numero possibile di ioni di segno opposto, quindi ogni ione tende a legare (coordinare) ioni di segno opposto in funzione della sua dimensione. Quando gli atomi sono legati da semplici legami elettrostatici si possono supporre come sfere a contatto. La coordinazione si esprime con un numero (a seconda degli ioni che vengono coordinati) e con il nome del poliedro su cui sono disposti gli ioni coordinati (ad es. coordinazione 4 tetraedrica, coordinazione 6 ottaedrica, ecc.)
Il numero e il tipo di coordinazione è funzione del rapporto dei raggi degli ioni (Rc:Ra, con Rc=raggio del catione e Ra=raggiodell’anione). Se gli ioni coordinanti e quelli coordinati sono uguali il rapporto fra i raggi sarà uguale a 1; in questo caso avremo delle coordinazioni compatte (n. di coordinazione 12)(figg.4.1-4.2). Come è evidente dalla figura il massimo ricoprimento dello spazio sul piano si ha con una sfera circondata da altre 6, tutte a contatto. Gli spazi vuoti tra le sfere (B e C) possono essere riempiti da altre sfere; se la sequenza è: ABABAB avremo un impaccamento esagonale compatto, se è ABCABCABC avremo un impaccamento cubico compatto.
Quando il catione è più piccolo dell’anione, cioè il rapporto fra i raggi è inferiore a 1, avremo numeri di coordinazione più piccoli; nelle figure 4.3 e 4.4 sono riportati (come esempio) i limiti teorici per le coordinazioni cubica e ottaedrica.
COMPOSIZIONE CHIMICA
Le analisi chimiche dei minerali fino a 50-60 anni fa si ottenevano soltanto con i metodi chimici tradizionali, cioè con attacco acido e analisi per via umida. A partire all’incirca dal 1960 con l’avvento di nuove apparecchiature molte analisi vengono effettuate per via strumentale.
A parte gli elementi nativi (rame, solfo oro, ecc.), i minerali sono composti da uno o più elementi e la maggioranza ha una variazione composizionale anche abbastanza grande. La sfalerite, ZnS, per esempio, può contenere molto ferro in sostituzione dello zinco; in questo caso la formula va scritta nella forma: (Zn,Fe)S, per mettere in evidenza che il rapporto metallo/zolfo è sempre 1, ma il contenuto in Zn e Fe è variabile.
Poiché le analisi sono molto spesso espresse in peso percentuale, per avere la formula del minerale, vanno ricalcolate in percentuale atomica e quindi in formula.
La tabella 4.I riporta un esempio di questa operazione: per primo dividiamo il peso percentuale per il peso atomico dell’elemento analizzato, quindi (ad es., per il ferro) lo rapportiamo al totale dei metalli presenti.
Come abbiamo detto la gran parte dei minerali non sono sostanze pure, ma hanno una composizione chimica variabile che è il risultato di una sostituzione nella struttura di ioni , ecc. con altri ioni, ecc. Questo fenomeno prende il nome di soluzione solida. Ed è influenzato da molti fattori.
Il più importante è la grandezza degli ioni: una differenza dei raggi degli ioni inferiore al 15% rende la sostituzione facile, tra il 15 e il 30% la rende difficile ,anche difficilissima, al di sopra del 30% praticamente impossibile.
Altro fattore molto importante è la temperatura: più alta è la temperatura, più grande l’oscillazione degli ioni e, quindi, meno importante la differenza tra gli ioni. L’aumento di pressione, evidentemente, sfavorisce la sostituzione.
Anche la carica degli ioni è un fattore importante: la carica, infatti, non può differire, tranne casi eccezionali, di più di uno, perché quando c’è differenza di carica sono necessari altri interventi per riequilibrare la struttura, altrimenti toccando il minerale si prenderebbe “la scossa”.
Soluzione solida per sostituzione. E’ il tipo più comune di soluzione solida e un esempio si è visto nella tabella con la sostituzione del ferro allo zinco nella sfalerite.

Un esempio di soluzione solida completa è quello dell’olivina (Mg, Fe)2SiO4 (soluzione solida completa fra forsterite Mg2SiO4 e faialite Fe2SiO4.
Altro caso di soluzione solida completa, almeno a livello del visibile, è quello dei plagioclasi con membri estremi albite (NaAlSi3O8) e anortite (CaAl2Si2O8). In questo caso per equilibrare il tutto avviene una sostituzione di questo tipo: Na+Si4+ = Ca2+Al3+, cioè ogni volta che uno ione calcio sostituisce uno ione sodio, anche uno ione alluminio sostituisce uno ione silicio.
Soluzione solida interstiziale. Fra gli atomi, gli ioni, ecc. di una struttura cristallina esistono delle cavità (vuoti) che possono essere, in certi casi riempiti, come nel berillo le cui cavità tubolari possono contenere K, Rb, H2O, ecc.
Soluzione solida con lacuna. Esempi tipici di questo tipo di soluzione sono quelli delle “pirrotine” e delle “calcosine”.
La pirrotina dovrebbe avere formula FeS, invece ha una formula difettiva Fe1-x S. Il solfuro di ferro, la troilite, infatti, è comune nelle meteoriti, assente o rarissimo sulla Terra. La formula non stechiometrica della pirrotina è dovuta al fatto che lo ione Fe2+ si ossida con molta facilità e acquista carica 3+, rendendo la struttura elettricamente non neutra. Per neutralizzare elettricamente la struttura si creeranno dei vuoti secondo il seguente schema: 3Fe2+ = 2Fe3+ + una lacuna.
fig.4.2 – Reticolo compatto esagonale, a sinistra e cubico, a destra

fig. 4.3 – Coordinazione cubica e suoi limiti teorici
fig.4.4 – Coordinazione ottaedrico e suoi limiti teorici.
Tabella 4.I. Ricalcalo delle analisi di quattro sfaleriti e di una troilite.

5. PROPRIETA’ FISICHE “DESCRITTIVE”
Le proprietà fisiche descrittive sono il risultato diretto delle loro caratteristiche chimiche e strutturali. Sono le proprietà che possono essere determinate, sul campione “in mano”, con una semplice osservazione (a occhio) o con prove relativamente semplici e che sono importanti, in alcuni casi, per un rapido riconoscimento, ma sono fondamentali per una corretta descrizione del minerale. Non rientrano tra queste proprietà, pertanto, le tecniche a raggi X e quelle microscopiche.
Le proprietà di cui parleremo sono le seguenti: frattura, sfaldatura;
durezza; tenacità;
densità e peso specifico; colore;
luminescenza;
proprietà elettriche e magnetiche; radioattività.
Alcune di queste proprietà sono scalari ( densità, temperatura di fusione, ecc.), altre sono vettoriali (sfaldatura, durezza, ecc.)
Prima delle proprietà fisiche determinative (su cui ritorneremo anche durante lo studio della MINERALOGIA SISTEMATICA) parleremo di aspetto (habitus) mineralogico, che è di aiuto per il riconoscimento di un minerale, perché è funzione sia della struttura sia delle condizioni ambientali in cui il minerale si è sviluppato. Così le strutture caratterizzate da un ordinamento a catena hanno abito allungato, quelle con ordinamento a strati sono appiattiti e quelle con nessuna tendenza sono equidimensionali.
Gli abiti dei minerali prendono nome dalle forme semplici che li costituiscono (prismatico, cubico, ottaedrico, ecc.); nelle combinazioni di forme semplici il nome lo dà quella più sviluppata. Altri nomi per l’aspetto dei minerali sono : appiattito = tabulare, lamellare; allungato =fibroso, aciculare, colonnare.
Di seguito riportiamo alcune comuni descrizioni:
cristalli isolati o distinti: aciculari (in forma di aghetti), capillari, filiformi, appiattiti;
gruppi di cristalli isolati: dendritici (a forma di piante), reticolati, divergenti o raggiati, druse (un tappeto formato da cristalli);
gruppi paralleli o raggiati di singoli cristalli: colonnare, appiattito, fibroso, stellato, globulare, botrioidale (tipo grappolo di uva), reniforme, mammellonare;
aggregato di minerali in scaglie o lamelle: micaceo (in strati sottili come quelli delle miche, silicati); lamellare, tabulare, piumoso;
termini vari: stalattitico e stalagmitico, concentrico, pisolitico (a forma di pisello), oolitico (a forma di uova di pesce), a bande, massivo (compatto), amigdaloide (a forma di mandorla), geode, in concrezioni.
FRATTURA, SFALDATURA
Sono dovute alla reazione ad una sollecitazione esterna, quando questa supera un certo limite critico si ha una rottura: quando le particelle all’interno della struttura sono tenute insieme con forze approssimativamente uguali, abbiamo la frattura, negli altri casi la sfaldatura.
.La frattura , le cui superfici di rottura sono irregolari e non hanno nulla a che vedere con le facce del cristallo, si descrive come concoide (superficie levigata, tipo interno di una conchiglia) caratteristica dell’ossidiana e del quarzo, uncinata (metalli), terrosa (minerali argillosi), scagliosa (gesso), ecc.
La sfaldatura, invece, avviene, secondo superfici che possono essere descritte con gli indici di Miller, nei casi in cui nel minerale vi siano direzioni con forze diverse. Si descrive con la facilità con cui avviene (facile, difficile, ecc) e con il solido di sfaldatura che la caratterizza (cubica, ottaedrica, prismatica, pinacoidale, ecc.)
Nei minerali a legame ionico, molto fragili, abbiamo una facile sfaldatura in quanto ogni sollecitazione mette in contrapposizione ioni di segno opposto (fig.5.1), al contrario i minerali con legame metallico

(ioni positivi immersi in una nuvola di elettroni che possono scorrere senza che si determinino forze di repulsione elettrostatica) sono duttili e malleabili.
In generale, nei minerali possiamo esemplificare tre tipi di sfaldatura:
nella grafite, che ha una struttura a strati (legami covalenti negli strati e di Van der Waals, molto più deboli, fra gli strati) avremo una sfaldatura “basale”, perché si romperanno i legami più deboli;
nella muscovite i cui legami hanno forza diversa (si definisce forza di legame il rapporto tra carica e n. di coordinazione), si romperanno i legami K-O, che sono i più deboli;
nel diamante, che ha tutti legami covalenti e della stessa forza, si ha una sfaldatura ottaedrica, perché perpendicolarmente agli assi ternari troviamo un minor numero di legami (minor densità di legame).
DUREZZA
La durezza è la resistenza che un minerale oppone alla scalfittura (una dimensione), all’abrasione (due dimensioni, Rosiwall), alla penetrazione o all’indentazione (tre dimensioni, Knoop e Vickers).
La durezza è inversamente proporzionale alla distanza tra gli ioni e direttamente proporzionale alla loro carica (tab.5.I).
Per l’utilizzo di questa proprietà in campagna, per un primo approccio con i minerali raccolti, è molto utile adoprare la scala di Mohs.
Mohs, un mineralista australiano, ha trattato la durezza come scalare scegliendo 10 minerali disposti (da 1 a 10) in ordine di durezza crescente: quindi il termine 1 viene scalfito da tutti gli altri, il termine 10 non viene scalfito da nessun altro e, ad es., il termine 3 scalfisce il 2 e viene scalfito dal 4. E’ una scala “scorretta”, perché considera la durezza una proprietà scalare, anche se la differenza di durezza nei minerali, a seconda della direzione è irrilevante, tranne che per calcite e cianite: nella calcite è 3 su tutte le facce, tranne che su quella basale, dove è 2; nella cianite è 5 parallelamente all’allungamento dei cristalli e 7 trasversalmente. Inoltre la scala è semilogaritmica, infatti la differenza in durezza fra il diamante (10) e il corindone (9) è di gran lunga superiore a quella che esiste fra lo stesso corindone e il talco (1) (fig.5.2).
Per semplificare possiamo tener presente che tutti i minerali con la durezza del talco sono untuosi al tatto; quelli con la durezza del gesso si rigano con l’unghia; quelle con la durezza della calcite si riganocon una chiave yale; quelli con la durezza della fluorite e dell’apatite si rigano con una lama di acciaio; quelli con la durezza dell’ortoclasio e del quarzo si rigano con il vetro.
TENACITÀ
E’ il comportamento di un minerale alla deformazione.
Possiamo definire fragile un minerale che si rompe o si polverizza, malleabile, quello che si può martellare e ridurlo in fogli senza romperlo, duttile, un minerale che si può stirare in lamine sottili, settile, quello che si può tagliare con un coltello, flessibile, quello che si flette e non ritorna nella forma originaria e elastico, un minerale che si flette e torna nella posizione iniziale.
DENSITÀ E PESO SPECIFICO
Densità e peso specifico, molto spesso, sono usati come sinonimi, anche se la densità è il rapporto tra massa e volume e si esprime in grammi per centimetro cubo e il peso specifico è un numero che esprime il rapporto fra il peso di una sostanza e il peso di un uguale volume d’acqua a 4°C.
Il peso specifico di un minerale è funzione degli atomi che lo compongono e del loro impaccamento. Nella figura 5.3 è riportata la distribuzione di frequenza del peso specifico nei minerali; nella figura 5.4 la distribuzione per le varie classi di minerali. Nelle sostanze isostrutturali, quindi con impiccamento uguale, quelle che sono composte da elementi con più alto numero atomico avranno un peso specifico più alto (tab.5.II).
Nelle soluzioni solide, vi è una variazione continua del peso specifico con la composizione chimica, per cui dalla determinazione della densità si può risalire alla composizione chimica, come illustra la figura 5.5, che riguarda l’olivina, un silicato, soluzione solida tra forsterite, Mg2SiO4 (G 3.3) e faialite, Fe2SiO4 (G 4.4) (G = densità)

Uno dei metodi per la determinazione del peso specifico è quello del picnometro, una bottiglietta di vetro a pareti sottili e bocca larga (fig.5.6). Vengono effettuate 3 pesate: picnometro pieno di acqua (P1); picnometro pieno di acqua con accanto il minerale (P2); picnometro pieno di acqua con dentro il minerale (P3): Il peso specifico (p.sp.) sarà dato dal seguente rapporto:
P2-P1 = peso del minerale / P2-P3 = peso di un uguale volume di liquido
Altro metodo è quello dei “liquidi pesanti” che vengono anche usati per la separazione delle varie fasi mineralogiche. Se, per esempio,abbiamo un miscuglio di granato (p.sp. 4.25), tormalina (p.sp. 3.20) e quarzo (p.sp. 2.65), macinando, setacciando (per avere una granulometria omogenea) usando il bromoformio (p.sp. 2.89) e l’ioduro di metilene possiamo separare le tre fasi mineralogiche. Infatti, il quarzo galleggia sul bromoformio, mentre gli altri due affondano, ma possono essere separati con lo ioduro di metilene, che ha un peso specifico intermedio tra i due (p.sp. 3.33).
Abbiamo parlato della densità come proprietà utile per il riconoscimento dei minerali, ma dobbiamo aver presente che il concetto di densità è importante per prevedere le associazioni e le strutture mineralogiche all’interno della Terra.
La densità media della crosta terrestre è intorno a 2.8g/cm3, mentre quella dell’intero pianeta è circa 5.5 g/cm3; questo vuol dire che le rocce sotto la crosta (per esempio sotto la discontinuità di Mohorovicic) devono aumentare la loro densità: questo può avvenire con il cambio di composizione e con l’impaccamento sempre più compatto della struttura, dato l’aumento della pressione.
Il nucleo terrestre si pensa sia costituito da ferro e un po’ di zolfo, carbonio e silicio: questa composizione è in accordo con le nostre conoscenze del magnetismo e della densità del nucleo stesso. Il mantello terrestre, fra la discontinuità di Mohorovicic e il nucleo (fig.5.7), si suppone sia fatto di silicati, ossidi, solfuri e minor quantità di metalli. Nella figura 5.8 è riportato un modello di come possono cambiare le associazioni mineralogiche e i tipi di struttura:
2MgSiO3 (pirosseno) ,freccia, Mg2SiO4 (olivina) + SiO2 (stishovite); Mg2SiO4, freccia, Mg2SiO4 (olivina con struttura dello spinello¸ Mg2SiO4, freccia, MgSiO3 (con struttura dell’ilmenite) + MgO (periclasio).
Questi possibili dati sono dovuti a esperienze di laboratorio e a studi su associazioni mineralogiche venute in superficie dal mantello, ad es., per risalita da condotti vulcanici (fig.5.9).
COLORE
Il colore di un minerale è una proprietà importante e ancora di più è il colore della polvere del minerale..
Un minerale, come tutte le sostanze, è colorato quando assorbe radiazioni luminose di una certa lunghezza d’onda (quando tutte le radiazioni sono assorbite si ha il nero, quando nessuna è assorbita si ha il bianco). Quello che vediamo è il colore non assorbito(un minerale rosso ha assorbito il blu, quello blu ha assorbito il rosso).
I minerali, riguardo al colore, possono essere suddivisi in: idiocromatici (hanno sempre lo stesso colore e un colore della polvere caratteristico) e allocromatici (hanno colore variabile e polvere sempre bianca). I minerali idiocromatici sono quelli che hanno come costituente fondamentale uno ione cromoforo (portatore di colore): sono ioni cromofori quelli degli elementi di transizione (Sc, Ti, V, Cr, Fe, Co, Ni, Cu, Zn).
I minerali allocromatici sono quelli che non hanno nessun elemento colorante come costituente principale, ma possono assumere il colore di un elemento colorante contenuto in tracce per vicarianza. Il colore può essere dovuto anche a difetti reticolari: si parla, in questo caso, di centri di colore (figg.5.10-5.11). In rari casi si può avere un colore per inclusione di un altro minerale (ad es., nel quarzo “capelvenere”, quando le inclusioni di aghetti di rutilo sono molto piccole e fitte si ha un colore leggermente marrone).
Nelle tabelle 5.III e 5.IV sono riportati esempi di colore nei minerali secondo i meccanismi di cui si è parlato.
Colore di sfregamento o rigatura. E’ il colore che presenta la polvere di un minerale quando viene sfregato su un pezzo di porcellana non smaltata. La polvere di un minerale, come si è già detto, può

avere colore diverso da quello del campione macroscopico; per esempio l’ematite di colore grigio nerastro, rosso o nero ha un colore di sfregamento sempre rosso-bruno (tipo ruggine). La porcellana non può essere adoprata per minerali con durezza superiore a 7 nella scala di Mohs, perché 7 è la durezza della porcellana stessa.
LUCENTEZZA. Si riferisce all’effetto della riflessione della luce sulla superficie del minerale. Vi sono due tipi di lucentezza: metallica e non metallica anche se non sempre c’è un netta differenza, per cui esistono minerali con una lucentezza intermedia: semimetallica.
La lucentezza metallica, come dice il nome, è caratteristica dei metalli e di tutti quei minerali che hanno l’aspetto di un metallo, principalmente i solfuri (galena, pirite, calcopirite, ecc.); tutti i minerali con lucentezza metallica sono opachi, cioè non trasmettono la luce.
La lucentezza non metallica è, in generale, dei minerali incolori o leggermente colorati che sono trasparenti (trasmettono la luce) o semitrasparenti o traslucidi.
Di seguito sono riportati i termini che si usano per i vari tipi di lucentezza non metallica: vitrea (quarzo), adamantina (cerussite), resinosa (zolfo), sericea (gesso), cerosa (calcedonio), untuosa (diamante grezzo), perlacea (talco), terrosa (minerli argillosi).
LUMINESCENZA. E’ legata alla capacità di un minerale irradiato di assorbire e riemettere energia. Se la luminescenza continua anche dopo che il campione torna in stato di “riposo” si ha fosforescenza, altrimenti fluorescenza. La termolumiscenza si ha quando il fenomeno è dovuto al riscaldamento, la triboluminescenza, quando è dovuto a cause meccaniche.
PROPRIETÀ ELETTRICHE E MAGNETICHE
La conducibilità elettrica è funzione del tipo di legame; i minerali con legame metallico hanno alta conducibilità, quelli con legame parzialmente metallico (ad es., alcuni solfuri) sono semiconduttori, quelli con legame covalente sono isolanti (con l’eccezione della grafite, perché sullo strato non tutti i legami sono covalenti, ma c’è un legame p greco)), quelli con legame ionico, sono ugualmente isolanti, ma non vicino al punto di fusione dove, per il movimento degli ioni, diventano conduttori.. Anche la conducibilità elettrica è una proprietà vettoriale (ad es., la grafite è un buon conduttore perpendicolarmente all’asse c, ma non lo è parallelamente allo stesso asse).
La piezoelettricità (indotta meccanicamente) e la piroelettricità (indotta termicamente) riguardano solo i minerali con assi polari (cioè privi di centro di simmetria), che possono caricarsi di segno opposto all’estremità degli assi. Sono proprietà molto sfruttate: si pensi alla piezoelettricità per gli orologi al quarzo.
Magnetismo. Sulla base della suscettività magnetica (rapporto tra magnetizzazione e campo magnetico) anche i minerali si suddividono in ferromagnetici (magnetite e pirrotina), paramagnetici (molti minerali contenenti ferro) e diamagnetici (molti elementi nativi e molti alogenuri e anche la pirite).
Le proprietà magnetiche possono essere utilizzate per la separazione dei minerali, ad esempio, con il separatore elettromagnetico isodinamico Frantz (fig.5.12) che è composto da un potente elettromagnete con due espansioni che generano un campo magnetico costante nell’intraferro lasciato vuoto dove è alloggiata una doccia di caduta, divisa a circa metà in due scalanature. Facendo cadere dall’imbuto, dopo aver tolto, con una calamita, i minerali ferromagnetici (renderebbero inutilizzabile l’apparecchiatura),il miscuglio dei minerali da separare (portati ad un uguale granulometria) e aumentando gradualmente il campo magnetico abbiamo intervalli diversi di separazione (tab.5.V).
Radioattività. Come è noto i nuclei di alcuni elementi sono instabili e si trasformano (decadono) spontaneamente in nuclei diversi stabili, rilasciando energia durante tutto il processo di decadimento. In questo processo vengono emesse particelle alfa (identiche a un nucleo di elio), poco penetranti, ma molto “devastanti”, tanto è che riescono a rompere la struttura di certi minerali portandoli allo stato non cristallino (minerali metamittici), particelle beta (elettroni caricati negativamente) e radiazioni gamma molto penetranti. La radioattività si può rivelare e distinguere con contatori anche portatili.

fig.5.1 – Struttura ionica deformata per sollecitazioni meccanica.
Vickers
Mohs
fig.5.2 – Durezza effettiva dei termini della scala di Mohs. 1= talco; 2 = gesso; 3 = calcite; 4 = fluorite; 5 = apatite;
6 = ortoclasio; 7 = quarzo; 8 = topazio; 9 = corindone; 10 = diamante

Tabella 5.I
Tabella 5.II. Aumento del peso specifico nella serie dell’aragonite.
Minerale formula p.at. catione p.sp.
Aragonite CaCO3 40.08 2.95
Stronzianite SrCO3 87.62 3.76
Witherite BaCO3 137.34 4.29
Cerussite PbCO3 207.19 6.55
fig.5.3 – Distribuzione di frequenza del peso specifico nei minerali.


fig.5.4 – Distribuzione della densità per le varie classi mineralogiche.

.
fig.5.5 - Variazione del peso specifico dell’olivina in funzione della composizione.
fig.5.6 – Picnometro
Tabella 5.III. Minerali colorati per la presenza di elementi di transizione. idiocromatici
Cr – uvarovite (granato verde)
Cu – malachite (verde); cuprite (rosso); azzurrite, crisocolla , turchese (blu) Fe – lazulite (blu); olivina (verde); almandino (granato rosso); goethite (giallo) Mn – rodocrosite, rodonite (rosa); spessartina (granato arancio)
Allo cromatici
Cr – smeraldo, giada, tormalina (verde); rubino, spinello (rosso) Fe – acquamarina, tormalina (verde); quarzo citrino (giallo limone) Mn – tormalina (rosa); andalusite (verde, giallo)


fig.5.9 – Microfotografia di un nodulo proveniente da un camino kimberlitico:
c) coesite, polimorfo di alta pressione di SiO2;
o)omfacite, polimorfo di a.p. di clinopirosseno;
k) cianite, polimorfo di a.p. di Al2SiO5;
g) granato.

fig.5.8 – Possibili cambiamenti nelle associazioni mineralogiche e nell’impaccameno strutturalecon la variazione di densità.





6. CENNI DI OTTICA MINERALOGICA
La luce, una piccola porzione dello spettro elettromagnetico (fig.6.1) fra circa 7000 (rosso) e 4000 (violetto) A° si propaga, con velocità uniforme, linearmente con moto ondulatorio e vibrazioni in tutte le direzioni perpendicolari a quella di propagazione; quando le vibrazione sono confinate in un unico piano si parla di luce “polarizzata”. Negli studi in campo mineralogico utilizziamo sempre luce polarizzata. I microscopi da mineralogia e petrografia (fig.6.2) hanno due polarizzatori: il polarizzatore e l’analizzatore, rispettivamente sotto e sopra il piatto porta-campione, inseribili o meno sul cammino ottico. Nei microscopi da studenti l’analizzatore, quando inserito, ha sempre la direzione di vibrazione a 90° rispetto a quella del polarizzatore.
Quando la luce passa da una sostanza meno densa (ad es. aria) a una più densa (ad es. vetro) viene in parte riflessa e in parte rifratta con perdita di velocità. Il rapporto tra la velocità nella sostanza meno densa (la velocità della luce nell’aria viene considerata uguale a 1) e quella nella più densa, si definisce indice di rifrazione ed è inversamente proporzionale alla velocità nel secondo mezzo. Le sostanze cristalline hanno differenti n per differenti lambda: questo fenomeno si definisce dispersione e per le determinazioni degli indici di rifrazione si usa luce monocromatica.
L’indice di rifrazione di un minerale può esse misurato per mezzo della linea di Becke, quando è immerso in un liquido, linea che scompare al microscopio quando liquido e minerale hanno lo stesso indice di rifrazione.
I vettori degli indici di rifrazione (n) vengono utilizzati per costruire delle figure ausiliari tridimensionali: le indicatrici ottiche.
La loro costruzione è la seguente: a partire dal baricentro del cristallo si immagina di riportare dei vettori con modulo proporzionale ai diversi valori dell’indice di rifrazione e con direzione quella di vibrazione dell’onda luminosa propagatesi perpendicolarmente alla relativa sezione; unendo tutti i punti all’estremità dei vettori abbiamo l’indicatrice ottica.
Le sostanze otticamente isotrope hanno sempre lo stesso indice di rifrazione (per definizione) e quindi la loro indicatrice è rappresentata da una sfera (fig.6.3). Se poniamo un minerale del gruppo monometrico (vi appartiene il solo sistema cubico) sul piatto di un microscopio polarizzante la luce passa attraverso e continua a vibrare nello stesso piano del polarizzatore; se inseriamo l’analizzatore vediamo tutto scuro, anche ruotando il piatto, perché potrebbe passare solo la luce che vibra lungo la direzione dell’analizzatore.
Le sostanze otticamente anisotrope possono essere suddivise in birifrangenti uniassiche (gruppo di metrico) e biassiche (gruppo trimetrico): le prime con una indicatrice ottica che è un ellissoide di rotazione (fig.6.4) attorno agli assi 3, 4, 6, mentre per le seconde è un ellissoide a tre assi (fig.6.5). Questo significa che il raggi di luce che entra nel cristallo nel primo caso si scinde in due raggi (doppia rifrazione), uno ordinario (no) e l’altro straordinario (ne), mentre nel secondo caso si avranno due raggi straordinari. Nel caso dell’ellissoide di rotazione avremo una sola sezione circolare e quindi un solo asse ottico, nell’ellissoide a tre assi avremo due sezioni circolari e due assi ottici.
Tutti i cristalli anisotropi presentano il fenomeno della doppia rifrazione che è più evidente all’aumentare della birifrangenza.
Altre determinazioni al microscopio sono l’estinzione e il segno ottico.
Estinzione. Si osserva a nicol incrociati relativamente a una direzione cristallografica (allungamento, tracce di sfaldatura, ecc); quando la direzione cristallografica è parallela alla direzione del polarizzatore o dell’analizzatore si avrà estinzione retta o parallela altrimenti avremo estinzione obliqua e quindi si potrà misurare un angolo di estinzione.
L’estinzione parallela è caratteristica di tutti i minerali del gruppo di metrico e del sistema rombico , perché la simmetria obbliga a far coincidere le direzioni cristallografiche con quelle dell’indicatrice; quella obliqua è caratteristica del sistema triclino in quanto la simmetria non obbliga a tale coincidenza. Nel sistema monoclino (la simmetria obbliga solo la coincidenza di un asse dell’indicatrice con l’asse b) possiamo avere, secondo i casi, tutte e due i tipi di estinzione.

Segno ottico. I minerali birifrangenti uniassici ( gruppo dimetrico) vengono definiti positivi se hanno l’indice di rifrazione del raggio straordinario maggiore di quello ordinario; quelli birifrangenti biassici (gruppo trimetrico) sono postivi quando la direzione dell’indice di rifrazione maggiore è bisettrice acuta dell’ angolo fra i due assi ottici.
fig.6.1 – Lo spettro elettromagnetico


fig.6.5 – Orientazione dell’indicatrice ottica
all’interno di un cristallo birifran- gente biascico (rombico +).

7. RAGGI X
L’applicazione dei raggi X allo studio dei minerali ha dato un grande impulso alla mineralogia. Prima di allora i mineralisti avevano giustamente supposto, ma solo supposto, l’ordinamento periodico dei cristalli dalla morfologia, dalla sfaldatura, dalle proprietà ottiche, ecc.
Dopo di allora fu possibile non solo misurare le distanze fra piani reticolari, ma localizzare la posizione degli ioni, degli atomi,ecc. e quindi determinare le strutture. I Bragg (padre e figlio) nel 1914 risolsero la prima struttura, che fu quella del salgemma.
La scoperta dei raggi X è avvenuta per caso: Roentgen (1895) durante un esperimento per la produzione di raggi catodici si accorse di aver causato fluorescenza in un minerale e la imputò a una nuova radiazione e la chiamò X, perché non ne conosceva la natura.
I raggi X, poiché erano molto penetranti, furono subito utilizzati in Medicina nei modi odierni (localizzazione di fratture, di tessuti malati, ecc.), ma non si era certi della loro natura se ondulatoria o corpuscolare. La natura ondulatoria delle radiazioni luminose era stata dimostrata dal fatto che queste davano fenomeni di diffrazione, fenomeni non erano stati riscontrati per i raggi X. Nel 1912 Von Laue, Sommerfeld, Ewald ed altri, supponendo che i raggi X avessero lunghezza d’onda dello stesso ordine di grandezza del reticolo cristallino, fecero esperimenti di diffrazione con i raggi X usando i minerali come reticolo di diffrazione e dimostrarono il reticolo ordinato e periodico dei minerali e la natura ondulatoria dei raggi X, cioè che questa radiazione faceva parte dello spettro elettromagnetico. Le onde elettromagnetiche formano un spettro continuo, hanno proprietà comuni (rifrazione riflessione,ecc.) e la relazione che lega energia e lunghezza d’onda è quella di Planck: e=hη=hc/λ (e = energia, η = frequenza, c = velocità di propagazione, λ = lunghezza d’onda, h = costante).
GENERAZIONE
I raggi X nello spettro elettromagnetico appartengono a quella porzione compresa fra l’ultravioletto e i raggi gamma (fig.6.1); oltre che essere emessi naturalmente da alcuni isotopi radioattivi essi sono normalmente prodotti da un improvviso rallentamento di elettroni accelerati con trasformazione della loro energia cinetica in quanti di radiazione.
I raggi X vengono, quindi, prodotti da un tubo, dove è stato fatto un vuoto quasi completo, con un filamento di wolframio (catodo) che riscaldato col passaggio di corrente emette elettroni per effetto termoionico (raggi catodici) che vengono accelerati verso una targhetta di metallo (anodo o anticatodo) da una grande differenza di potenziale (fig.7.1): gli elettroni emessi dal filamento del wolframio colpiscono gli elettroni degli atomi dell’anticatodo ed è in queste collisioni che rallentano e perdono energia. Il tipo di radiazione dipende dalla targhetta e dalla differenza di potenziale. Fino a che questa differenza non raggiunge un valore limite non si ha produzione di raggi X: raggiunto questo valore (a causa della perdita di energia degli elettroni frenati nel colpire l’anticatodo) si ha uno spettro continuo o radiazione bianca o radiazione di frenamento. Aumentando il voltaggio fino a un valore critico (che dipende dal materiale dello stesso anticatodo) allo spettro continuo se ne sovrappone uno caratteristico (fig.7.2). Quest’ultimo spettro si produce quando gli elettroni che colpiscono l’anticatodo hanno energia sufficiente per strappare (espellere) elettroni dagli strati più interni degli atomi del materiale dell’anticatodo stesso: rimangono dei vuoti che vengono riempiti a cascata dagli elettroni degli strati più esterni e si accompagna a questo una emissione X con specifiche lunghezze d’onda. Le transizioni da strati L a strati K sono le Kα, quelle da strati M a strati K sono le Kβ, ecc.
DIFFRAZIONE
Quando i raggi X colpiscono un ostacolo cristallino subiscono non solo il fenomeno dell’assorbimento, ma anche quello della diffusione (gli atomi emettono raggi X della stessa lunghezza d’onda di quelli incidenti. Ogni atomo diffonde la radiazione incidente in tutte le direzioni e se si considera un filare di atomi investito da un fronte d’onda piano, ognuno degli atomi diviene centro di propagazione di nuove onde (fig.7.3) che interferiranno fra di loro e, in alcune determinate direzioni, produrranno un rafforzamento dando luogo al fenomeno conosciuto come diffrazione.

La maniera più semplice per spiegare la diffrazione dei raggi X è quello di Bragg che considera la diffrazione come una riflessione che riguarda non solo il primo strato superficiale, ma anche quelli più interni. Adoprando una radiazione monocromatica (cioè di una sola lunghezza d’onda), Bragg stabilì (fig.7.4) che si potevano avere effetti di diffrazione solo quando il cammino dei raggi X incidenti e diffratti o riflessi differiva di un numero intero di lunghezze d’onda, giungendo alla seguente equazione: nλ = 2dsenθ. Per ottenere una radiazione monocromatica il metodo più comune o almeno quello utilizzato nelle apparecchiature del nostro dipartimento, è quello della filtratura. L’assorbimento dei raggi X da parte dei metalli aumenta con la lunghezza d’onda fino a un massimo (soglia d’assorbimento) per poi calare bruscamente e riprendere a salire fino a un’altra soglia, ecc. Nella figura (fig.7.5) è evidente come una sottile lamina di metallo, con l’opportuna soglia di assorbimento, interposto nel fascio dei raggi X, lasci passare la Kα ed elimini la Kβ.
Diffrattometro per polveri. E’ un’apparecchiatura costosa che costituisce una delle tecniche di analisi mineralogica più moderne e fa parte dei metodi di diffrazione su polveri (fig.7.6). Se si colpisce con un fascio di raggi X monocromatici una sostanza cristallina finemente polverizzata (in modo che siano statisticamente presenti tutti i possibili piani reticolari) essa li diffrange per determinati angoli, caratteristici di ogni singolo minerale, dipendenti dalla disposizione interna della particelle che lo costituiscono (ioni, atomi, molecole, ecc.), cioè del reticolo cristallino.Un contatore, opportunamente disposto), misura l’intensità dei raggi X diffratti che, insieme all’angolo sotto cui si verifica la diffrazione, viene automaticamente registrata. Per far sì che tutti i possibili angoli di diffrazione vengano esplorati, il portacampione (una lastrina su cui è pressata la polvere del campione) viene fatta ruotare con continuità di fronte al fascio dei raggi X. Perché il contatore possa registrare i raggi diffratti, deve ruotare con velocità doppia della lastrina portacampione (fig.7.6).
Il riconoscimento dei minerali per diffrattometria X è possibile sia in quanto tutte le sostanze cristalline presentano uno spettro caratteristico, sia perché sono stati eseguiti numerosissimi diffrattogrammi relativi a sostanze cristalline note. Una volta ottenuti gli angoli e le intensità di diffrazione di una sostanza incognita, il confronto con quelli riportati nelle tabelle ci permette di identificarla.
Ci sono due procedimenti per riconoscere il minerale che stiamo analizzando: Hanawalt e Fink. Il primo si basa, oltre che ovviamente sul valore angolare del picco di diffrazione, sull’intensità dei picchi di diffrazione, il secondo sulla sequenza angolare dei picchi stessi.
Il metodo più usato è quello di Hanawalt: si calcolano le distanze reticolari dai valori angolari (esistono soluzioni dell’equazione di Bragg per le diverse lunghezze d’onda) e si stimano le intensità relative dei 3 picchi più alti, prendendo il più intenso come 100; poi scegliamo una serie di d corrispondenti nei testi (Search Manual) JCPDS (Joint Committee on Powder Diffraction Standards) e dopo confrontiamo il dati del nostro minerale, considerando tutti i picchi, con la scheda del minerale supposto uguale; nella figura 7.7 è riportata, come esempio, la scheda del quarzo. Poiché le intensità possono cambiare per molti fattori (isoorientamento, ecc.), per tutte le sostanze riportate, vengono incrociati i d dei tre picchi più alti.
Questo metodo di analisi può essere usato anche per associazioni di più minerali (nel qual caso il riconoscimento può risultare anche molto complicato) ed è di grande utilità anche in petrografia e presenta alcuni vantaggi rispetto all’analisi ottica tradizionale, perché si possono riconoscere rocce a grana finissima, irrisolvibili al microscopio sia pure con la perdita di utili informazioni nei riguardi della “struttura” della roccia.
Il diffrattometro viene usato anche per analisi mineralogiche quantitative e per le variazioni di composizione chimica, ad esempio per le soluzioni solide, tramite lo spostamento di picchi caratteristici..
Fluorescenza a raggi X. Quando gli atomi sono irradiati da raggi X ”primari” espellono elettroni creando con ciò dei “buchi”, in uno o più orbitali, convertendo gli atomi in ioni che sono instabili. Per restaurare la stabilità dell’atomo, i “buchi” degli orbitali più interni sono riempiti da elettroni di quelli più esterni. Queste transizioni sono accompagnate da un’energia di emissione (raggi X “secondari”), questo fenomeno è noto come “fluorescenza X”.
I vari orbitali sono chiamati K,L,M,ecc. con K il più vicino al nucleo (fig.7.8)e ognuno corrisponde a un differente livello di energia. L’energia dei raggi X fluorescenti emessi dipende dalla differenza energetica tra gli orbitali iniziale e finale che interessano la transizione (legge di Planck): in prima

approssimazione l’intensità di emissione è proporzionale alla concentrazione dell’elemento responsabile. A differenza del diffrattometro con cui si fanno analisi mineralogiche, con la fluorescenza facciamo analisi chimiche elementari. La disposizione dell’apparecchiatura (fig.7.9) è simile a quella del diffrattometro con la differenza che le radiazioni emesse dal tubo a raggi X servono per energizzare il campione da analizzare che diviene sorgente di emissione di raggi X policromatici (è quindi nella stessa posizione in cui era il tubo nel diffrattometro) che viene diffratta da un cristallo analizzatore (cristallo tagliato secondo un fascio di piani reticolari con distanza nota). Nell’equazione di Bragg, quindi, conosciamo la distanza d, misuriamo il valore angolare dell’effetto di diffrazione e risaliamo alla lambda che ha originato questo effetto. Questo metodo è utilizzato principalmente per analisi quantitative, ma si può utilizzare anche per qualitative. Le intensità emergenti sono influenzate dalle sostanze costituenti il campione (matrice) da analizzare e, quindi, vanno corrette per questo ”effetto matrice” che tiene conto non solo dell’assorbimento della matrice del campione, ma anche del “rinforzo” che si può avere quando le radiazioni X fluorescenti caratteristiche di alcuni elementi presenti nel campione riescono a eccitare, avendo maggiore energia, quelle dell’elemento da determinare.
Gli elementi rilevabili con una comune fluorescenza sono quelli con numero atomico superiore a quello del sodio : gli elementi con numero atomico inferiore (almeno teoricamente al calcio), vanno rilevati facendo il vuoto nell’apparecchiatura, in quanto le loro radiazioni sono così poco penetranti da essere assorbite dall’aria che trovano nel cammino dal campione al contatore.
Vengono riportati in allegato uno spettro di diffrazione e uno di fluorescenza con le condizioni di ripresa.
Microscopio Elettronico. Il microscopio elettronico a scansione (SEM) è un’ apparecchio che, negli ultimi anni del secolo scorso, ha avuto un grande sviluppo nel campo mineralogico; inizialmente utilizzato in biologia, botanica e zoologia , per la capacità di fornire ingrandimenti anche molto elevati, è stato in seguito adoprato non solo per l’analisi morfologica, ma anche per quella chimica.
Quando un solido viene bombardato da un fascio di elettroni si hanno emissioni di diverso tipo; il sistema di analisi del SEM sfrutta l’emissione di raggi X, lo stesso tipo di emissione che si utilizza nel metodo di analisi per fluorescenza a raggi X, anche se in questo caso abbiamo parlato di analisi in dispersione di lunghezza d’onda, mentre per il SEM si preferisce usare un sistema a dispersione di energia.
Rispetto all’analisi per fluorescenza ha molti svantaggi, ma ha il vantaggio, essendo gli elettroni focalizzabili, di poter effettuare analisi “puntuali”. Nel SEM, infatti, gli elettroni vengono focalizzati, per mezzo di due lenti magnetiche, su di una superficie dell’ordine del micron e quindi noi possiamo analizzare singoli granuli di un’associazione mineralogica, mentre in fluorescenza X abbiamo l’analisi globale di tutta l’associazione.
E? utilizzato anche in metallurgia per l’analisi semiquantitativa e quantitativa di fasi mineralogiche otticamente rilevabili e per lo studio di zonature e smescolamenti.


fig.7.1 – Sezione di un tubo per la produzione di raggi X
fig.7.2 – Spettri a raggi X. In (a) distribuzione delle intensità con la lunghezza d’onda in uno spettro continuo a voltaggi diversi. In (b) spettro caratteristico sovrapposto a quello continuo.


fig.7.3 – Diffusione dei raggi X da un filare di atomi identici disposti a distanza uguale.
fig.7.5 – Curva di assorbimento dello Zirconio sovrapposta allo spettro caratteristico del molibdeno.


fig.7.6 – Disposizione delle parti componenti un diffrattometro a raggi X.
fig.7.7 – Scheda JCPDS del quarzo con le distanze interplanari dei picchi, le intensità relative e gli indici di Miller. In testa alla scheda soni riportati i tre picchi più intensi, le loro intensità,e il picco con la distanza interplanare più grande.


fig.7.8 – Fenomeno della fluorescenza a raggi X e orbitali.
fig.7.9 – Disposizione di un apparecchio per fluorescenza X.

8 PROCESSI GENETICI
I minerali sono prodotti naturali di svariati processi che si sono verificati sulla Terra dai suoi primi stadi di formazione e che vanno, come visto, dalla cristallizzazione diretta di masse fuse, soluzioni e vapori fino all’interazione di gas, soluzioni o di gas e soluzioni e la parte solida della crosta terrestre: quest’ultimo è il caso più frequente.
Alcuni fenomeni legati alla genesi dei minerali possono essere studiati direttamente e sono quelli che si verificano sulla parte superficiale della Terra, gli altri, e sono la maggioranza, si svolgono o si sono svolti nell’interno del nostro pianeta o negli spazi extraterrestri e quindi vanno studiati, oltre che con le acquisizioni naturali, con le esperienze di laboratorio, sintetizzando i minerali e le loro associazioni in ambiente chimico-fisico controllato.
La genesi dei minerali (minerogenesi) può essere inquadrata nell’ambito di tre grandi processi: magmatico, sedimentario, metamorfico (fig.8.1).
PROCESSO MAGMATICO
Riguarda la formazione dei minerali, in ambiente sia esogeno che endogeno, in cui ci siano magmi (fusi naturali). Se il magma solidifica in profondità si hanno rocce intrusive (alta pressione e alta temperatura; più tempo per la solidificazione, perché temperatura e pressione diminuiscono lentamente e si possono avere cristalli ben formati), se all’esterno rocce effusive (bassa pressione e alta temperatura; la temperatura diminuisce bruscamente e si hanno dei cristalli, che si sono formati durante la risalita del magma, e una “pasta di fondo” che si produce all’esterno).
Il processo magmatico si può suddividere in fasi: i primi stadi della cristallizzazione, in cui si formano i minerali, più densi, costituiscono la fase (o stadio) ortomagmatico. Dopo la prima cristallizzazione il
magma rimane più ricco in volatili e per la fluidità penetra in fessure e cavità e c’è spazio a disposizione per la formazione di grossi minerali: pegmatitici. Tutti i volatili che se ne vanno (compreso il vapor acqueo) durante cristallizzazione della fase pegmatitica possono formare mineralizzazioni: quelle sopra la temperatura critica dell’acqua sono peumatolitici, quelli sotto idrotermali. Queste due fasi della cristallizzazione sono quelle che danno origine ai più importanti minerali utili.
I minerali idrotermali, però, non sono solo quelli che si originano da una differenziazione magmatica; sono tutti quei minerali che si formano da sistemi idrotermali (soluzioni, salamoie, vapori acquosi caldi, ecc.), che si possono sviluppare in tutti gli ambienti geologici; si usa, per questo aggiungere l’aggettivo idrotermale: minerali idrotermali-magmatici, -sedimentari, -metamorfici, per cui si può considerare l’idrotermale un quarto processo genetico.
PROCESSO SEDIMENTARIO
Riguarda la formazione di minerali sulla superficie terrestre o a debole profondità; è dovuto al fatto che la superficie terrestre è sottoposta a un processo di alterazione dovuto a variazioni di temperatura, cristallizzazione di sali, azione del vento, di organismi viventi ,di acque e dei sali in esse disciolti, idratazione, idrolisi, ossidazione, riduzione, carbonatazione, ecc.
Il processo prevede la decomposizione di minerali instabili, in altri stabili alle nuove condizioni. Durante questi processi di alterazione, i minerali resistenti e un po’ quelli parzialmente decomposti si accumulano nelle zone continentali per formare i depositi eluviali e alluviali: i primi si depongono in situ, i secondi dove sono trasportati dai fiumi, ecc.
Molti minerali di alta densità e di grande resistenza (oro, platino, cassiterite, ecc.) che possono essere accessori delle rocce, possono arricchirsi meccanicamente formando importanti giacimenti (placers). La diagenesi comprende tutte le trasformazioni chimiche e fisiche che conducono alla formazione di una roccia coerente (litificazione) a partire da un sedimento incoerente.

PROCESSO METAMORFICO
Le rocce e, quindi, i minerali che le compongono, possono, in certo periodo della loro storia geologica, essere sottoposte a temperature e pressioni diverse da quelle in cui si sono formate. Avvengono allora processi di ricristallizzazione e di formazione di nuovi minerali che, insieme a trasformazioni tessiturali e strutturali, generano nuovi tipi di rocce: le metamorfiche.
Il metamorfismo è di due tipi: con la modificazione della sola struttura (isochimico) o anche della composizione (allochimico o metasomatico). Quest’ultimo si verifica quando avviene la migrazione dei fusi magmatici, in specie quelli pneumatolici, e delle soluzioni idrotermali: le rocce con cui vengono in contatto si modificano per l’interazione della fase solida (minerali esistenti) e della fase liquida o gassosa. Il processo è di una sostituzione “volume per volume”. La sostituzione metasomatica è controllata dalla capacità di diffusione degli ioni, dalla natura dei minerali e dai loro reticoli cristallini. La temperatura e la pressione giocano un ruolo decisivo nel fenomeno della diffusione: un’alta temperatura indebolisce le strutture cristalline, le strutture divengono lasche, e si ha maggiore possibilità di migrazione degli ioni; un’alta pressione porta a strutture più compatte e agisce in maniera opposta.

9. MINERALOGIA SISTEMATICA
La Mineralogia è una delle Scienze Naturali più antiche e, nel corso della sua evoluzione, ha subito mutamenti notevoli che hanno talvolta riguardato l’oggetto stesso del suo interesse; è nata come scienza descrittiva e si è sviluppata sempre più verso la comprensione della natura e delle condizioni chimico- fisiche che presiedono alla formazione dei minerali e dei problemi inerenti il campo delle Scienze della Terra. Quindi anche se nei suoi studi più recenti si colloca all’avanguardia delle attuali conoscenze circa la chimica-fisica dello stato solido, la Mineralogia è nata come scienza essenzialmente descrittiva, come la Botanica e la Zoologia. A differenza di queste due ultime per le quali un criterio filogenetico è riconosciuto un criteri guida, per i minerali c’è un elemento di arbitrarietà: si possono classificare in base a criteri chimici, strutturali, geografici, di utilizzazione, giaciturali, genetici, ecc.
La classificazione dei minerali si è sviluppata in funzione delle conoscenze acquisite e, quindi, siamo passati da classificazioni basate sull’utilizzazione, sulle proprietà fisiche, su quelle chimiche, ecc. (tab.9.I). Dalla metà del diciannovesimo secolo i minerali vengono classificati in funzione dell’anione o del gruppo anionici dominante. Questo metodo, però, non caratterizza completamente un minerale, perché non tiene conto della sua struttura ed è per questo che, con l’applicazione dei raggi X alla mineralogia, siamo passati a classificazioni cristallochimiche. Sulla base di quanto detto i minerali vengono suddivisi nelle seguenti classi:
Elementi (leghe, carburi, nitruri)
Solfuri (selenuri, arsenuri, tellururi, solfosali) Ossidi (idrossidi)
Carbonati (nitrati, arseniti, seleniti, tellurati,iodati) Borati
Solfati (tellurati, cromati, molibdati, wolframati) Fosfati (arsenati, vanadati)
Silicati
I minerali sono un numero (circa 3000-3500) molto inferiore a quello che ci si aspetterebbe dalla combinazione degli elementi chimici costituenti la materia. Infatti i composti inorganici ritrovati in natura sono inferiori a quelli che si possono preparare in laboratorio. Ciò è dovuto in parte alla difficoltà di individuarli e maggiormente alla problematica della formazione e della stabilità della crosta terrestre. Il numero è limitato per la distribuzione e concentrazione degli elementi chimici e per i processi geologici relativamente monotoni: si è visto, quando si è parlato di genesi, che gli elementi sono concentrati in alcune parti della crosta sotto specifiche condizioni termodinamiche (T, P, volatilità, ecc.), mentre in laboratorio condizioni e concentrazioni si possono cambiare e definire a piacimento.

Tabella 9.I. Cambiamento della classificazione dei minerali con il progredire delle conoscenze.
III secolo a.C. I SECOLO D.C. Teofrasto PLINIO (uso)
(USO)
VIII secolo d.C. Geber (proprietà fisiche)
XI secolo 1546 d.C. Avicenna (proprietà fisiche)
Agricola (proprietà fisiche)
1758 Cronsted (proprietà fisiche e chimiche)
1774 WERNER (PROPRIETÀ FISICHE)
1784 Bergman (proprietà fisiche e chimiche)
1801 Haűy (proprietà chimiche e cristallografiche)
1817 Werner (proprietà fisiche e chimiche)
1819 Berzelius (proprietà chimiche)
1832 Sokolov (proprietà chimiche)
1854 DANA (PROPRIETÀ CHIMICHE)
1884 Lapparent (proprietà paragenetiche)
1928-30 Machatschki e Bragg (silicati su base strutturale)
1940 Uklonskii (proprietà geochimiche)
1953 Machatschki (proprietà- cristallochimiche)
1954 Kostov (proprietà chimiche e paragenetiche)
1966 Povarennykh (proprietà chimiche e strutturali)
In maiuscoletto: criteri classificativi ben definiti Sottolineato: criteri classificativi intermedi

ELEMENTI
Escludendo le sostanze gassose dell’atmosfera, allo stato naturale si trovano solo circa 20 elementi che possono essere suddivisi in: metalli, semimetalli, non metalli.
Elementi metallici. Sono caratterizzati da malleabilità, conduttività, lucentezza metallica, sono abbastanza teneri e, avendo delle strutture compatte (cubica f.c., esagonale compatta) o quasi-compatte (cubica a c.c.), hanno alta densità. Si dividono in tre gruppi: gruppo dell’oro, gruppo del platino, gruppo del ferro. Oro (Au, cubico). Rarissimo in cristalli, comune in granuli, dendriti, ecc. colore giallo oro anche per la polvere. Caratteristica distintiva è il colore unito al suo alto pesi specifico (19.3)e alla malleabilità. Si trova in vene idrotermali quarzifere insieme con pirite e altri solfuri e in deposi alluvionali. Contiene quasi sempre argento, con cui forma una soluzione solida completa.
Argento (Ag, cubico). Molto raro in cristalli, si trova in dendriti, filamenti, laminette, ecc. Si distingue per il colore, la malleabilità e il peso specifico (10.5). Colore bianco argento anche per la polvere. Si deposita da soluzioni idrotermali primarie.
Rame (Cu, cubico). Raro in cristalli è comune in masse compatte, spugnose in dendriti e in filamenti. Colore rosso rame anche per la polvere scurisce anche più dell’argento con l’alterazione. E’ dal colore, la malleabilità e peso specifico (8.9). Si deposita da soluzioni idrotermali per azione di minerali di ferro. I depositi primari sono associati a basalti.
Platino (Pt, cubico). Si presenta come l’oro ed ha un colore bianco argento come la polvere. Si distingue per la malleabilità e l’altissimo peso specifico (21.5). Si trova in rocce basiche e ultrabasiche e in depositi alluvionali.
Ferro (Fe, cubico). Quasi introvabile come ferro terrestre, è costituente fondamentale di alcune meteoriti (sideroliti) in associazione con il nichel (kamacite e taenite). E’ ferromagnetico, ed la sua più importante caratteristica diagnostica, e ha un colore grigio acciaio come la polvere.
Elementi semimetallici. Vengono raggruppati gli elementi del V gruppo (As, Sb, Bi) perché hanno proprietà fisiche simili, anche se l’unico semimetallo è l’antimonio, in quanto l’arsenico è un non metallo e il bismuto un metallo. Sono fragili con un forte potere riflettente e legame metallico e covalente. Sono tutti e tre trigonali con perfetta sfaldatura basale e si trovano in vene idrotermali associati a minerali di Ag, Co, Ni, ecc. I cristalli, pseudocubici, sono rarissimi, generalmente si trovano in masse granulari, stalattitiche, arborescenti, ecc. La durezza va da 2 (Bi) a 3.5 per gli altri due; il peso specifico è 5.6 (As), 6.6 (Sb), 9.8 (Bi); il colore è bianco, con sfumature rosa per il bismuto, che annerisce con l’alterazione superficiale. Sono opachi.
Elementi non metallici.
Zolfo(S, rombico). Esistono due modificazione monocline rarissime in natura, ma semplici da produrre in laboratorio. Si trova in cristalli bipiramidali , ma spesso in masse sferoidali, mammellonati, in incrostazioni, ecc. Colore giallo (con tonalità dal verde al rosso per presenza di impurità), trasparente o traslucido è fragile con frattura concoide. Si distingue per il colore e per la sua in fiammabilità.
Genesi: sedimentaria (solfare) associato a gesso, celestina, anidrite, ecc.; connessa con le ultime fasi di attività vulcanica (solfare, famosa quella dei Campi Flegrei) o come prodotto di sublimazione di vulcani attivi; alterazione di depositi a solfati per azione di solfobatteri, ecc.
Lo zolfo è abbondantissimo in Italia dove sono molto sviluppati i terreni noti come “formazione gessoso-solfifera”. La regione più ricca di zolfo è la Sicilia dove sono stati trovati bellissimi cristalli, per forma e dimensione, specie nelle solfare in provincia di Agrigento.
Diamante (cubico) e grafite (esagonale) (C). Sono le due modificazioni polimorfe del carbonio e differiscono enormemente per le proprietà fisiche (il minerale più duro che si conosca il primo, tenerissimo il secondo) Il diamante, che ha una struttura cubica compatta con coordinazione tetraedrica, si trova in genere in ottaedri spesso geminati e si sfalda in maniera perfetta secondo le facce dell’ottaedro, proprietà sfruttata per il “taglio”. Il diamante è incolore, talvolta con delle sfumature, ed è di una trasparenza eccezionale, quando tagliato, tanto da costituire la gemma di maggior pregio. I diamanti non trasparenti con colore grigio o nerastro vengono utilizzati industrialmente seghe diamantate,, corone diamantate per trivellazioni, ecc.
La grafite ha una facile sfaldatura basale (vedi il paragrafo relativo), colore grigio acciaio o nero e lucentezza metallica.

SOLFURI
E’ un’importante classe di minerali, perché quasi tutti sono minerali utili. La maggioranza ha un colore e un colore della polvere caratteristici; sono quasi tutti opachi e quelli non opachi hanno, generalmente, un alto indice di rifrazione e sono trasparenti solo in sezione sottile. I legami sono ionici e covalenti, ma molti hanno anche legami metallici e sono quelli che hanno le proprietà fisiche simili a quelle dei metalli (opacità, lucentezza metallica, conducibilità, ecc.).
I solfuri, che hanno un impaccamento compatto di atomi di zolfo tra i quali si distribuiscono i metalli, possono essere suddivisi in piccoli gruppi sulla base delle strutture, ma una classificazione di tipo cristallografico non si adatta molto bene. La suddivisione, quindi, è in base al rapporto metallo/zolfo (Me/S). All’interno di questa teniamo conto del tipo di coordinazione: coordinazione regolare tetraedrica (sfalerite), ottaedrica (galena), in poliedri distorti come nei solfuri più complessi.
La genesi principale è di tipo idrotermale;. si hanno anche solfuri formatisi per sublimazione da fumarole, per alterazione di giacimenti metalliferi (cappellacci) e per azione biochimica.
Solfuri con Me/S >1.
Acantite (Ag2S, monoclina). E’ una delle due modificazioni polimorfe del solfuro di argento, l’altra è l’argentite, cubica, stabile al di sopra di 173°C. I cristalli hanno la morfologia della fase cubica, ma è molto comune massiva,, ecc. Ha colore nero e colore della polvere nero brillante. L e caratteristiche distintive sono il colore, la settilità e l’elevato peso specifico (7.3). E’ un importante minerale di Ag a cui è associata insieme a PbS (galena), ZnS (sfalerite), ecc. Si trova, in microscopiche inclusioni, nelle galene argentifere.
Calcosina (Cu2S, rombica). Massiva e granulare, raramente in cristalli a contorno esagonale. Ha colore grigio piombo con riflessi bluastri (quando è esposta) e il colore della polvere è grigio nerastro. Le caratteristiche distintive sono il colore e la buona sottilità. E’ uno dei più importanti minerali di rame. Poiché il rame si ossida con facilità (v. soluzioni solide con lacune)esistono molti minerali non stechiometrici simili come, ad esempio, djurleite (Cu1.97S), digenite (Cu1.78S), ecc.
Solfuri con Me/S = 1.
Sfalerite (ZnS, cubica). Conosciuta anche con il vecchio nome di blenda (fig.9.1), ha una struttura come quella del diamante in cui il carbonio è stato sostituito da uguali quantità di Zn e S e si può trovare sia massiva sia in cristalli (cubici, tetraedrici, rombo- dodecaedrici); ha una perfetta sfaldatura tetraedrica, anche se molte volte ha una grana troppo fina per poterla osservare.Quando è pura è incolore, ma può contenere oltre il 50% moli di FeS (varietà marmatite) e in tal caso diviene nera. La quantità di ferro è indicativa della temperatura di formazione e la sfalerite può essere usata come termometro geologico. Trasparente, quando è in sezione sottile, o traslucida, ma quando contiene molto ferro diviene opaca. Il colore della polvere va dal bianco al giallo al bruno quasi nero in funzione della quantità di ferro. Caratteristiche distintive sono la lucentezza da resinosa a sub-metallica (sempre in funzione della quantità di ferro) e la sfaldatura perfetta. E’ ilo più importante minerale di zinco, è molto comune e si trova in vene associata a galena e ad altri solfuri e a carbonati, solfati e minerali di argento.
Calcopirite (CuFeS2, tetragonale). Ha una struttura derivata dalla sfalerite (fig.9.1)Massiva o in cristalli bisfenoidici, ha lucentezza metallica, colore giallo ottone con iridescenze, è fragile e ha un colore della polvere nero-verdastro. Caratteristiche distintive sono il colore e il color della polvere. E’ conosciuta come “l’oro degli stolti”, termine che vale anche per la pirite. E’ uno dei più importanti minerali di rame ed è il più diffuso.
Galena (PbS, cubica). Ha una struttura tipo salgemma con il Pb al posto del sodio e lo S al posto del cloro. Massiva o in cristalli cubici o combinati con l’ottaedro, ha lucentezza metallica, colore grigio piombo come la polvere e si ossida ad anglesite (PbSO4) e cerussite (PbCO3). Caratteristiche distintive sono la sfaldatura cubica, l’alta densità (7.5) la bassa durezza (2.5) e il colore. E’ l’unico minerale di piombo economicamente importante, è molto comune e ha la stessa genesi e gli stessi ritrovamenti della sfalerite.

Pirrotina (Fe1-xS, monoclina<300°C circa, > esagonale). La stragrande maggioranza delle pirrotine hanno deficienza di ferro rispetto allo zolfo, come indicato dalla formula Fe1-xS con x compreso fra 0 e 0.2; ciò è dovuto a soluzione solida con lacuna (vedi il relativo paragrafo), per la facile ossidazione del Fe2+ a Fe3+. La pirrotina è opaca con lucentezza metallica, colore bronzeo, polvere nera; magnetica con il magnetismo che diminuisce con l’aumentare del contenuto in ferro: tutte queste proprietà sono utilissime per riconoscere questo minerale. Si ritrova in rocce ignee e metamorfiche di contatto associata ad altri solfuri..
Covellina (CuS, esagonale). Ha una formula chimica semplice , ma una struttura complessa (fig. 9.2) con il rame che ha coordinazione sia tetraedrica che triangolare (strati di triangoli, parallelamente a questi abbiamo un’ottima sfaldatura basale, fra doppi strati di tetraedri). E’ opaca con lucentezza metallica, iridescente con colore blu-indaco e polvere nerastra. Si ritrova, molto raramente in cristalli, associata con altri minerali di rame. I campioni più belli che si conoscono (grandi cristalli iridescenti a contorno esagonale) sono stati trovati nella miniera di Calabona, vicino ad Alghero.
Caratteristiche distintive sono il colore e la sfaldatura insieme al fatto che è sempre associata ad altri minerali di rame.
Cinabro (HgS, trigonale). Rarissimo in cristalli romboedrici, più comune in masse granulari compatte, terrose. Sfaldatura prismatica. Trasparente o traslucido, ha lucentezza adamantina quando è puro, altrimenti terrosa; colore rosso vermiglio con polvere scarlatta. Caratteristiche distintive sono il colore, quello della polvere, e l’ alto peso specifico (8).
Prodotto di impregnazione di diverse rocce, è’ il più importante minerale di mercurio, anche se questo elemento è sempre meno coltivato per la sua grande mobilità e, quindi, molto inquinante.
Solfuri con Me/S < 1.
Pirite (FeS2, cubica). Struttura (fig.9.3) tipo salgemma con gruppi S2 e Fe coordinati ottaedricamente. Massiva, granulare, reniforme, stalattitica, ecc., anche in cristalli pentagonoedrici, cubici, ottaedrico.
Lucentezza metallica splendente, colore ottone chiaro (polvere nero verdastra), opaca.
Caratteristiche diagnostiche: colore e durezza (6.5) per distinguerlo dalla calcopirite; fragilità e durezza per distinguerlo dall’oro; colore e forma per distinguerlo dalla marcasite, l’altro polimorfo di FeS2 con colore più pallido e di aspetto fibroso.
E’ il solfuro più diffuso e abbondante; si altera con estrema faciltà.
Arsenopirite (FeAsS, monoclina). Struttura derivata da quella della marcasite (fig.9.3); si trova in cristalli allungati, talvolta geminati a simulare una simmetria rombica. Opaca con lucentezza metallica e colore bianco argento (la polvere è nera). Caratteristica distintiva è il colore. E’ il più abbondante e diffuso minerale di arsenico; si ritrova con minerali di stagno e wolframio in depositi idrotermali di alta temperatura associata ad altri solfuri.



OSSIDI e Idrossidi
Gli ossidi sono una classe di minerali relativamente duri, alcuni molto duri come, ad esempio, il corindone (Al2O3) che è il penultimo termine nella scala di Mohs, densi e refrattari, generalmente sono minerali accessori delle rocce ignee e metamorfiche e come grani detritici, quelli resistenti all’alterazione superficiale nei sedimenti.
Gli idrossidi sono meno duri e meno densi e sono minerali di alterazione secondaria o superficiale. Nella classe degli ossidi e idrossidi (circa 250minerali) ve ne sono molti di grande interesse economico. L’ossigeno è l’elemento più abbondante nel nostro pianeta (in peso % è 86 nell’idrosfera, 23 nell’atmosfera, 49 nella litosfera); quindi la maggioranza dei minerali contiene ossigeno, anche se gli ossidi sono poco più di 200.
Con il termine ossidi intendiamo i solidi con legame generalmente fortemente ionico di ioni O e cationi metallici. La maggior parte degli ossidi può venire schematizzata secondo un modello ionico e quindi viene spontaneo descrivere questi composti in termini di poliedri di coordinazione catione-ossigeno.
Un altro modo di considerare la cristallochimica degli ossidi parte dall’ impiccamento compatto dei grossi anione dell’ossigeno, con i cationi metallici che si pongono nelle cavità ottaedriche e tetraedriche di questo tipo di impiccamento. Tuttavia un simile inquadramento cristallochimica presenta notevoli difficoltà ai fini sistematici e, quindi, anche per gli ossidi si segue una classificazione basata sul rapporto metallo/ossigeno: Me/O >1; =3/4; =2/3; =1/2(tab.9.II).
Il quarzo (SiO2), il più comune di tutti gli ossidi, e le sue modificazioni polimorfe, non sono trattati in questa classe, ma in quella dei silicati, in quanto le loro strutture sono più vicine a quelle degli altri composti Si-O.
Corindone (Al2O3, trigonale). La struttura è riportata nella figura (fig.9.4): impiccamento compatto degli ossigeni e Al in coordinazione ottaedrico: 2/3 degli ottaedri sono occupati e 1/3 vuoti. E’ una struttura molto stabile come indica anche l’altissimo punto di fusione uguale a 2045°C. Si trova in cristalli anche molto grandi con forma tabulare o allungata. Lucentezza da adamantina a vitrea, trasparente o traslucido. Caratteristica distintiva principale è la durezza (9). Molto raro puro e incolore; le varietà colorate sono gemme anche molto pregiate, come il rubino (rosso) e lo zaffiro (blu). Lo smeriglio è una varietà microgranulare nera per impurità di magnetite, ematite, ecc. E’ un comune minerale accessorio di vari tipi di rocce.
Ematite (Fe2O3, trigonale). Isostrutturale con il corindone, ha lucentezza da metallica, quando è in cristalli, a terrosa, colore da marrone rossastro a nero con polvere rosso ruggine. E’ il più abbondante e diffuso (si trova in quasi tutte le rocce) minerale di ferro (contiene il 70% di ferro). Caratteristica distintiva è il colore della polvere.
Si conoscono molte varietà, come, ad esempio: oligisto – grossi cristalli neri lucenti con iridescenza;
micacea - sottili cristalli appiattiti o raggruppamenti di cristalli (rosa di ferro) neri lucenti; fibrosa – cristalli aghiformi o fibroso-raggiati;
ocra – masse microcristalline terrose di color rosso sangue.
Ilmenite (FeTiO3, trigonale) (H=5.5-6; G=4.7). Ha lucentezza metallica, colore nero con polvere nera, ma con tonalità rossastre: è un comune minerale accessorio.
Serie degli spinelli. Gli spinelli, che hanno notevoli soluzioni solide, mostrano un impaccamento compatto di anioni ossigeno nelle cui cavità trovano posto i cationi . La formula generale di questa serie di minerali è XY2O4, per gli spinelli “normali” e Y(XY)O4 per gli”inversi”: nei primi gli X occupano le cavità tetraedriche e gli Y quelle ottaedriche; nei secondi metà degli Y sono nelle cavità tetraedriche, l’altra metà, insieme agli X, occupano posizioni ottaedriche.
Spinello (MgAl2O4, cubico). Raramente massivo o granulare, di solito in ottaedri, anche geminati, e talvolta in rombododecaedri. Lucentezza vitrea, colore variabile, polvere bianca; da traslucido a trasparente. Si distingue per durezza (8), lucentezza e forma. Lo spinello a ferro (si può avere una sostituzione completa di Mg con Fe2+) si distingue dalla magnetite per mancanza di magnetismo e per il colore della polvere.

E’ un comune minerale di calcari e rocce argillose, povere in silice, che hanno subito metamorfismo di contatto. Si trova, per la sua resistenza all’attacco fisico e chimico, anche come minerale residuale (ciottoli di fiue,ecc.).
Magnetite (Fe3O4, cubica). Di solito granulare o massiva, ma anche in ottaedri (raramente in rombododecaedri), ha lucentezza metallica, colore e polvere neri; è opaco e ferromagnetico. E’ caratterizzato da magnetismo, colore e durezza (6).
E’ un minerale accessorio di rocce ignee dove talvolta può accumularsi in grande quantità dando luogo a importanti depositi, sfruttati per il ferro.
L’ossidazione di Fe2+ a Fe3+ può portare a formule non stechiometriche, Fe3-xO4, (kenomagnetiti); nel caso in cui tutto il Fe2+ si ossidi a Fe3+ avremo una formula equivalente a Fe2O3, maghemite, che si differenzia dall’ematite perché ha 1/3 delle posizioni del ferro vacanti.
Cromite (FeCr2O4, cubico). Normalmente massivo o granulare, raramente in piccoli ottaedri: Ha lucentezza sub-metallica (la sua più importante proprietà diagnostica9, colore nero, polvere nero bruna ed è sub-traslucido.
E’ costituente comune di peridotiti e di altre rocce ultrabasiche o desse derivate come le serpentine. Si trova anche come minerale residuale (sabbie a cromite).
Crisoberillo (BeAl2O4, rombico). In cristalli, spesso geminati, con forma esagonale ha lucentezza vitrea e un colore molto vario. Si distingue per durezza (6.5) e per la geminazione. E’ un minerale che viene coltivato per farne delle gemme poco costose escluso l’alessandritre (verde smeraldo) e il cimofane (occhio di gatto) che sono abbastanza costose.
Rutilo (TiO2, tetragonale). E’ una delle modificazioni polimorfe dell’ossido di titanio, le altre sono l’anatasio e la brookite. E’ comune in cristalli prismatici, con facce striate, terminati da bipiramidi; spesso in geminati detti a ginocchio, ha una sfaldatura prismatica. Frequente in cristalli aciculari, si può trovare anche compatto e massivo. La lucentezza va d adamantina a sub-metallica, il colore è rosso- brunastro e anche nero, mentre il colore della polvere è marrone chiaro; da semitrasparente a trasparente.
Caratteristiche distintive sono la lucentezza, il colore e quello della polvere. Si distingue dalla cassiterite per il peso specifico più basso (4.2).
E’ diffuso in rocce eruttive e metamorfiche.
Cassiterite (SnO2, tetragonale). Isostrutturale con il rutilo si trova granulare, massivo, reniforme, fibroso-raggiato; quando è in cristalli, questi sono, di norma, associazione di prismi e bipiramidi; frequenti, come per il rutilo, i geminati a ginocchio.
Ha sfaldatura prismatica, lucentezza da adamantina sub-metallica, colore generalmente bruno nerastro con polvere bianca; quasi sempre semitrasparente.
E’ caratterizzato da lucentezza, peso specifico (circa 7) e polvere bianca.
E’ diffuso in piccole quantità e solo in pochissime località costituisce accumuli sfruttabili economicamente: è il più importante minerale di stagno e si trova in rocce pegmatitiche, in vene idrotermali e anche in depositi residuali.
Pirolusite (MnO2, tetragonale). Granulare, dendritico (intercrescite piccolissime con altri ossidi e idrossidi di Mn) ecc., molto raro in cristalli. Perfetta sfaldatura rombica, lucentezza metallica, colore e polvere neri. Caratterizzato e distinto dagli altri minerali di manganese per la polvere nera e la bassissima durezza (1-2). E’ il più importante minerale di Mn.
Uraninite (UO2, cubica). Ha il tipo di struttura della fluorite. I cristalli sono abbastanza rari con habitus principalmente ottaedrico, comunemente si ritrova nella varietà “pechblenda” che è massiva o botrioidale con struttura a bande. E’ un minerale con composizione non stechiometrica per l’ossidazione di U4+ a U6+, che comporta una diminuzione di densità. Lucentezza da sub-metallica a picea, colore nero e polvere nero-brunastra.
Caratteristiche distintive sono l’alto peso specifico(7.5-9.7), la lucentezza e la radioattività.
E’ il principale minerale di uranio e, insieme alle miche di uranio, ha avuto enorme importanza per la produzione di questo elemento utilizzato sia per scopi bellici sia per scopi industriali per la generazione di elettricità. La giacitura pegmatitica, idrotermale, sedimentaria è legata al grado di ossidazione dell’uranio.

Idrossidi
Tutte le strutture degli idrossidi sono caratterizzate dalla presenza di ioni (OH)-. La brucite, Mg(OH)2 è trigonale con una struttura a strati paralleli con Mg e Al in coordinazione ottaedrica. Si trova in cristalli tabulari, facilmente sfaldabili, in lamine e massiva. Ha lucentezza perlacea sulla rottura fresca, colore chiaro, è trasparente o traslucida, ed è flessibile, ma non elastica. Si distingue dal talco, perché è più dura ((5-6) e dalle miche, perché non è elastica.
La gibbsite, Al(OH)3 è simile alla brucite, ma con 1/3 dei cationi in coordinazione ottaedrico mancanti. I miscugli degli idrossidi costituiscono importanti giacimenti: bauxite (idrossidi di Al); limonite (idrossidi di Fe); wad (idrossidi di Mn); lateriti (idrossidi di Al e Fe con silice); gummiti (idrossidi con lo ione (UO2)2+).
Tabella 9.II. Nomi e formule di comuni ossidi.
fig.9.4 – Struttura del corindone, a sx, e sezione schematica verticale della struttura dell’ilmenite, a dx.

ALOGENURI
A questa classe appartengono circa 100 minerali correlati chimicamente, ma con tipi di struttura e genesi diversi. Gli alogenuri sono costituiti dalla combinazione di grandi anioni (alogeni) con grandi cationi metallici. Cationi e anioni hanno il comportamento di corpi quasi perfettamente sferici, con legami quasi completamente ionici. Gli alogenuri hanno un impaccamento compatto, con la possibilità di avere strutture caratterizzate da altissima simmetria bassa durezza, bassa densità, bassa conducibilità termica ed elettrica, sono fragili e facilmente sfaldabili.
La struttura degli alogenuri si può ricondurre a tre tipi principali, al diminuire del rapporto raggio del catione/raggio dell’anione:
tipo CsCl, con coordinazione cubica per anione e catione; il solo rappresentante è il clorammonio o salmiak (NH4Cl).
tipo NaCl (salgemma o halite) (fig.9.5), con coordinazione ottaedrica per anione e catione; silvie (KCl), carobbiite (KF), cloroargirite (AgCl).
Tipo CaF2 (fluorite) (fig.9.6), con coordinazione tetraedrica per l’anione e cubica per il catione. Genesi. .La fluorite è un minerale di ganga, generalmente di vene idrotermali, associata con molti altri minerali tipo carbonati, solfuri, solfati, quarzo, ecc. Il fluoro, infatti, con raggio ionico simile a quello dell’ossigeno e dell’ossidrile, può entrare nel reticolo di minerali in fase magmatica e venire arricchito, per la sua volatilità, negli ultimi stadi della cristallizzazione. Il salgemma, come gli altri cloruri, si deposita da evaporazione di bacini marini chiusi (genesi evaporitica), perché il cloro, che ha raggio
ionico dissimile da O e OH- può difficilmente entrare nel reticolo di minerali in fase magmatica e viene convogliato nelle acque marine. Gli alogenuri si possono , inoltre, trovare come prodotti di sublimazione delle fumarole e come alterazione di giacimenti metalliferi.
Salgemma (cubico). Si trova in masse granulari o in cristalli cubici con sfaldatura cubica, lucentezza vitrea; trasparente o traslucido, incolore o bianco, può avere colorazioni diverse per impurità.
Caratteristiche sono il sapore salato e la sfaldatura cubica.
Fluorite (cubica). La forma più comune di ritrovamento è quella cubica con cubi spesso compenetrati, ma si trova anche granulare e massiva. Trasparente o traslucida, presenta variate colorazioni; si distingue per la sfaldatura ottaedrico e perché viene scalfito on una lama d’acciaio.
fig.9.5 – Struttura del salgemma.
fig.9.6 – Struttura della fluorite.

CARBONATI
Sono prevalenti nelle rocce sedimentarie nelle quali possono costituire anche il cemento. I travertini sono generalmente di origine chimica, i calcari a lumachelle sono organogeni , le calcareniti di origine clastica e i marmi metamorfica.
Il complesso anionici (CO3)2- in coordinazione triangolare planare costituisce l’ ossatura dei carbonati ed è, in massima parte, responsabile delle proprietà di questa classe di minerali., che hanno durezza inferiore a 5, aspetto litoide e alta birifrangenza, dovuta agli strati di triangoli CO3 planari.
Il carbonio, nel complesso anionico (CO3)2-, ha un legame molto forte con l’ossigeno, ma non forte come in CO2 ed e per questo che, in presenza di un acido si rompe:
2HCl + CaCO3 ------- CaCl2 + CO2 (effervescente) + H2O
Il rapporto tra i raggi ionici Ca/O è circa 0.71 e il valore limite tra coordinazione ottaedrica e cubica è cubica è 0.73. Il calcio può quindi assumere tutte e due le coordinazioni ed per questo che esistono due serie di carbonati quella della calcite e quella dell’aragonite, anche se in quest’ultima la coordinazione del calcio non è 8, ma 9.
Tra i carbonati esistono soluzioni solide, ma poiché in certi casi la differenza tra i raggi ionici degli elementi è troppa grande si hanno composti intermedi, come la dolomite.
I carbonati anidri della serie della calcite, dell’aragonite e della dolomite, unitamente a quelli contenenti l’ossidrile (azzurrite e malachite) sono gli unici carbonati importanti.
Calcite (CaCO3, trigonale). I cristalli presentano forme diverse (scalenoedri, romboedri, prismi, ecc.), ma può trovarsi anche in masse concrezionate, granulari e in masse spatiche limpide e trasparenti (varietà spato d’Islanda). Può a causa di impurità assumere svariati colori. E’ costituente fondamentale di molte rocce. La sua struttura (fig.9.7) si può pensare come derivata da quella del salgemma con il calcio al posto del sodio e il gruppo CO3 del cloro: poiché nel caso della calcite il gruppo CO3 è triangolare e non sferico abbiamo una distorsione del cubo che passa a romboedro con tutti i triangoli orientati nello stesso senso e su un piano strutturale. Caratteristiche distintive sono la durezza (3), la sfaldatura romboedrica e l’effervescenza in HCl a freddo.
Aragonite (CaCO3, rombica). E la modificazione polimorfa di alta pressione (fig.9.8)del carbonato di calcio. Si trova anche a pressione ambiente (forse stabilizzata dalla presenza di stronzio), pur essendo meno stabile e comune della calcite. Si rinviene in aggregati coralloidi e in cristalli allungati prismatici e aciculari. Frequenti i geminati di tre individui a simulare un prisma esagonale. Se pure è trasparente e bianca come la polvere. Spesso è colorata per impurità. La struttura (fig.9.9) è con i triangoli CO3 su due strati a livello diverso e ruotati di 30° a destra e a sinistra. Caratteristiche distintive sono l’elevato peso specifico (3.7) e l’effervescenza in HCl.
Dolomite (CaMg(CO3)2, trigonale). E’ un sale doppio, in quanto Ca e Mg possono sostituirsi solo in piccola quantità, ma, data la differenza tra i raggi, occupano posizioni proprie. I cristalli hanno forma romboedrica, talvolta con facce curve o raggruppati in aggregati selliformi. Lucentezza vitrea, colore usualmente bianco come la polvere. La sua struttura differisce da quella della calcite, ma con Ca e Mg che occupano piani diversi e che portano a una diminuzione di simmetria, in quanto rimane solo l’asse di ordine 3.Caratteristiche distintive sono la sfaldatura romboedrica e l’effervescenza in HCl, ma solo a calo.


fig.9.7 – Struttura della calcite.
fig.9.8 – Campo di stabilità di calcite e aragonite.
fig.9.9 – Struttura dell’aragonite, proiettata sul piano (100).

BORATI
Lo ione B3+ è piccolo, ha una coordinazione triangolare planare (BO3)3-, come il carbonio, e la sua valenza elettrostatica (il numero che contraddistingue la forza di legame) è uguale a 1: questo comporta che i triangoli BO3 possano polimerizzare (in maniera simile a quella che si vedrà per i silicati) e unirsi in triangoli doppi, tripli, in anelli, catene , strati, ecc.
Il raggio ionico dello ione boro è vicino al limite inferiore della coordinazione tetraedrica e quindi si può avere anche unione di triangoli con tetraedri, con la presenza di ioni (OH)-.

SOLFATI
Nei solfuri lo ione S2- è il risultato del riempimento con due elettroni “catturati” dello strato esterno: in questo caso avremo uno ione negativo grande e bivalente. I sei elettroni presenti nello strato esterno
dello zolfo possono anche essere persi dando così luogo a uno ione positivo esavalente con raggio tale da assumere con l’ossigeno una coordinazione tetraedrica. I gruppi anionici (SO4)2- sono le unità base dei solfati, la cui genesi può essere: sedimentaria evaporitica, idrotermale, di alterazione superficiale, fumarolica.
I solfati più importanti e comuni sono quelli anidri e quelli idrati. Al gruppo degli anidri appartengono i minerali del gruppo della barite, rombici, isostrutturali e l’anidrite.
Gruppo della barite. Celestite (SrSO4), barite (BaSO4), anglesite (PbSO4). Hanno cristalli incolori o con deboli colorazioni, normalmente tabulari con perfetta sfaldatura basale. La lucentezza è vitrea o perlacea, per celestite e barite, perlacea o adamantina per l’anglesite. Non si scalfiscono con l’unghia. Si distinguono fra di loro per la densità, crescente dalla celestite e all’anglesite.
Anidrite (CaSO4, rombica). Non è isostrutturale con i minerali del gruppo della barite (il calcio è in coordinazione 8, mentre il bario 12). E’ rara in cristalli tabulari o prismatici, comunemente è massiva. La lucentezza va da vitrea a perlacea, è incolore o con colorazioni lievi. Si distingue dalla calcite per la densità più alta e dal gesso, perché non si scalfisce con l’unghia.
Gesso (CaSO4.2H2O, monoclino).E’ il più importante solfato idrato e ha una struttura a strati (fig,9.10) di (SO4)2- (paralleli alla forma semplice 010) fortemente legati a Ca2+ intervallati da molecole di H2O che hanno legami con gli strati più deboli ed è per questo che il gesso ha una eccellente sfaldatura. Si ritrova in bei cristalli tabulari o prismatici che possono raggiungere anche dimensioni molto grandi.
Frequenti sono i geminati, in particolare a coda di rondine. Ha normalmente lucentezza vitrea ed è incolore o colorato per impurità. Normalmente ha notevole trasparenza. Caratterizzato dalla durezza, è scalfito con l’unghia, e dalla sfaldatura. Tra le sue varietà citiamo l’alabastro (microcristallino compatto) utilizzato per sculture e oggetti di arredamento, la rosa del deserto (gesso ricoperto da sabbia), la selenite (grandi masse limpide e trasparenti), la sericolite (gesso fibroso con lucentezza sericea).
Viene usato per la sua capacità di disidratarsi con il riscaldamento fino a CaSO4.1/2H2O; questa sostanza se bagnata assorbe acqua, si dilata e, indurendo, diventa un legante (gesso da presa).

FOSFATI
Sono caratterizzati dal gruppo tetraedrico (PO4)3-: Il più abbondante e comune fosfato è l’apatite, (Ca5(PO4)3(F,Cl,OH), esagonale, che può avere estese soluzioni solide sia per gli anioni che per i cationi dando luogo a una serie di minerali (serie dell’apatite): carbonato-apatite, Ca5(PO4,CO3OH)F, cloro-apatite, Ca5(PO4)3Cl, fluoro-apatite (fig.9.11), Ca5(PO4)3F, idrossi-apatite, Ca5(PO4)3(OH).
Sono rare o molto rare escluso la fluoro-apatite. L’apatite comunemente si trova in cristalli prismatici, allungati o schiacciati, di solito terminati da bipiramidi. L’apatite cripto cristallina, massiva, che costituisce la massa delle rocce fosfatiche e le ossa fossili chiamata collofane.
L’apatite, minerale accessorio sia di rocce ignee che sedimentarie e metamorfiche, ha una lucentezza da vitrea a quasi resinosa, e una grande varietà di colori. La forma dei cristalli, la durezza (5) e la colorazione sono le caratteristiche distintive.
fig.9.11 – Struttura della fluoroapatite proiettata sul piano basale.

SILICATI
E’ la classe più importante: circa il 25% dei minerali conosciuti e il 40% dei più comuni appartengono a questa classe e, in più, i silicati costituiscono oltre il 90% dei minerali della crosta terrestre, che è formata, principalmente, oltre dai silicati dagli ossidi e da altri composti contenenti ossigeno come i carbonati. Il suolo che coltiviamo è in gran parte costituito da silicati; i materiali da costruzione sono in gran parte silicati o derivati dai silicati.. Se ci allarghiamo a tutto il sistema solare vediamo che anche la luna e i pianeti hanno una crosta fatta di silicati e ossidi.
L’unità fondamentale di tutti i silicati è il tetraedro SiO4 (fig.9.12). Come si può vedere dalla figura (fig.9.13) ogni ossigeno di un tetraedro può essere condiviso con quello di un altro tetraedro indefinitamente. La figura (fig.9.14) illustra le varie maniere con cui i tetraedri possono unirsi. Avremo una suddivisione dei silicati in:
nesosilicati (tetraedri isolati); sorosilicati (gruppi di due tetraedri uniti per un vertice); ciclosilicati (quando si uniscono più tertraedri); inosilicati (quando si uniscono a formare catene sia semplici che doppie); fillosilicati (quando si uniscono a formare strati); tectosilicati (quando i tetraedri costituiscono un’ossatura tridimensionalmente).
Dopo ossigeno e silicio, il più importante costituente della crosta terrestre è l’alluminio che ha una coordinazione tetraedrica con l’ossigeno, ma che ha dimensioni tali da poter avere anche una coordinazione ottaedrico e, quindi, può giocare un doppio ruolo: sostituire sia il silicio, che elementi come magnesio e ferro, ecc. (tab.9.III).
Anche calcio e sodio, con coordinazione cubica, fanno parte degli otto elementi più abbondanti nella crosta, hanno un raggio simile e possono sostituirsi, ma con sostituzione accoppiata per mantenere la neutralità, come abbiamo già visto nella parte riguardante le soluzioni solide:
Na+ + Si4+ = Ca2+ + Al3+
Le sostituzioni ioniche nei silicati sono comuni, almeno quando si formano ad alte temperature; ricordiamo, infatti, che la temperatura facilita le sostituzioni, mentre la pressione le inibisce: se nei tectosilicati non si avessero sostituzioni fra Si4+ e Al3+, avremmo soltanto la silice (SiO2).
Sulla base delle sostituzioni di questi elementi comuni possiamo scrivere una formula generale per tutti i silicati:
XmYn(ZpOq)Wr
dove X rappresenta grandi cationi con coordinazione 8 o superiore; Y cationi di media grandezza in coordinazione 6; Z piccoli cationi in coordinazione tetraedrica; W normalmente rappresenta il gruppo ossidrile o cloro e fluoro.
fig.9.12 – Impaccamento compatto di tetraedri SiO4.


fig.9.13 – Complessi anionici con carica residua con l’ossigeno diversa da 1 in (a),(b),(c), uguale a 1 in (d).


continua



Nesosilicati
Nei nesosilicati, come abbiamo detto, i tetraedri SiO4 sono isolati e legati fra di loro da cationi interstiziali e le loro strutture dipendono principalmente dalla dimensione e dalla carica di questi cationi. L’impaccamento è abbastanza compatto per cui questi minerali sono generalmente duri e con alto peso specifico. L’abito dei nesosilicati è molto spesso equidimensionali, non essendo i tetraedri legati a catene, a strati, ecc.
Olivine. Sono la completa soluzione solida di forsterite (Mg2SiO4 e fayalite (Fe2SiO4)(rombiche). Generalmente si trovano in masse granulari e i cristalli sono la combinazione di diverse forme semplici (prismi, pinacoidi, bipoiremide). Hanno frattura concoide, lucentezza vitrea e colore verde oliva con tonalità sempre più scura all’aumentare del ferro. Con il contenuto in ferro aumenta anche la densità. Da trasparenti a traslucide. Si riconosce per la durezza (7), la lucentezza, la frattura, il colore e la natura granulare. E’ un minerale delle rocce abbastanza comune (da accessorio a componente principale): la dunite è una roccia olivinica, la peridotite è una roccia olivinica con pirosseni.
La forsterite, che si altera facilmentead antigorite, un polimorfo del serpentino, non è stabile in presenza di silice libera:
Mg2SiO4 + SiO2 = 2MgSiO3 (enstatite, un pirosseno)
La varietà trasparente (peridoto) è usata come gemma, mentre la normale olivina per il suo alto punto di fusione (fig.9.15) è coltivata per l’utilizzo come refrattario in fonderia.
Granati. Sono un gruppo di minerali molto comuni nelle rocce, specialmente in quelle metamorfiche, che comprende dei minerali cubici isostrutturali. suddivisi in due serie, quella della pyralspite e quella dell’ugrandite. I nomi derivano dall’iniziali dei minerali di ciascuna serie. Per la prima:
piropo (Mg3Al2(SiO4)3; almandino (Fe3Al2(siO4)3; spessartite (Mn3Al2(SiO4)3. e, per la seconda: uvarovite (Ca3Cr2(SiO4)3; grossularia (Ca3Al2(SiO4)3; andradite (Ca3Fe2(SiO4)3.
Sono generalmente in cristalli romboedrici o trapezoedrici o in combinazione delle due forme semplici. Hanno lucentezza da vitrea a resinosa, con colore che varia con la composizione. Si riconoscono per l’elevata durezza (6.5-7.5), per il colore e per la forma. L’andradite, di colore scuro, molto comune all’Isola d’ Elba, può essere il risultato di un metamorfismo di contatto di calcari con silice e minerali di ferro: 3CaCO3 + SiO2 + Fe2O3 = Ca3Fe2(SiO4)3 + 3CO2. La maggior parte dei granati viene utilizzata per farne delle gemme.
Zircone (ZrSiO4, tetragonale). Si trova comunemente in cristalli prismatici terminati da bipiramidi, ma si rinviene anche in granuli di diverse dimensioni e forme. Ha lucentezza adamantina e colore vario con predominanza di tonalità brune. La struttura consiste di tetraedri isolati e cubi distorti (fig. 9.16).
Contiene sempre afnio (da 1 a 4%), ma talvolta fino circa il 25%. E’ un minerale metamittico a causa della autoirradiazione perché contiene sempre piccole quantità di Th e U.
Caratteristiche distintive sono : colorazione, lucentezza, peso specifico (circa 5) e durezza (7.5). E’ un minerale accessorio di tutte le rocce ignee; si ritrova anche nelle sabbi (sabbie a zircone) per la sua grande resistenza all’alterazione.
Oltre a essere utilizzato come gemma, è fonte di ossido di zirconio (ZrO2) che è una delle sostanze più refrattarie, tanto che i crogioli sono usati per la fusione del platino.
Silicati di alluminio. Vanno sotto questo nome le tre modificazioni polimorfe del composto (Al2SiO5), comuni nelle rocce metamorfiche di medio e alto grado. I tre minerali si differenziano per la coordinazione dell’alluminio; infatti, uno degli Al della formula è in coordinazione 6, mentre l’altro è in coordinazione 4 per la sillimanite, 5 per l’andalusite e 6 per la cianite.
Sillimanite, rombica. Si trova in cristalli sottili e allungati, sfaldabili, spesso in gruppi paralleli e anche fibrosi (varietà fibrolite). Ha lucentezza vitrea e colore bruno, bianco o verde chiaro. Da traslucido a trasparente è caratterizzato dalla durezza (6-7) e dai cristalli sottili e allungati nella direzione di sfaldatura. E’ un minerale di metamorfismo di alta temperatura.
Andalusite, rombica. Si trova, generalmente, in cristalli prismatici, con facce quasi quadrate, terminati dal pinacoide basale. Ha lucentezza vitrea e colore sul rosso o verde oliva; da trasparente a traslucido. La varietà chiastolite ha inclusioni carbonacee scure, disposte in modo regolare a formare una croce. Si distingue per l’abito e per la durezza (7.5). E’un tipico minerale nelle aureole di contatto di intrusioni

ignee in rocce argillose, normalmente associata a cordierite. Viene utilizzato come gemma e per porcellane molto refrattarie (candele di accensione, ecc.).
Cianite, triclina. Comune in cristalli tabulari, sfaldabili, allungati, di solito non terminati; si trova anche in aggregati molto appiattiti. Lucentezza da vitrea a perlacea, con colore, che scurisce verso il centro dei cristalli, prevalentemente blu. Caratterizzata dai cristalli molto appiattiti, dalla buona sfaldatura, da colore e dalla durezza che varia parallelamente (5) e perpendicolarmente (7) all’allungamento.
Tipico minerale del metamorfismo regionale di rocce politiche, si trova anche in eclogiti e nei camini kimberlitici. I cristalli trasparenti sono usati come gemme; è usata, come l’andalusite, per porcellane largamente refrattarie.



Sorosilicati
Sono caratterizzati sia da tetraedri isolati che da gruppi di due tetraedri uniti per il vertice. Sono minerali abbastanza rari; qui parleremo solo del gruppo degli epidoti, i sorosilicati più importanti., cui appartengono l’epidoto, la clinozoisite e l’allanite, tutti e tre monoclini e isostrutturali; quindi le variazioni sono dovute alle sostituzioni ioniche.
Nella clinozoisite tutte le posizioni ottaedriche sono occupate dall’ Al, nell’epidoto da Al e Fe3+, nell’allanite da Al, Fe3+, Fe2+ e Mg. L’allanite, contenente anche elementi radioattivi nelle posizioni del calcio, è un minerale metamittico.
Epidoto, Ca2(Al,Fe)Al2O(SiO4)(Si2O7)(OH).I cristalli sono spesso prismatici allungati, ma si rinviene anche granulare e fibroso. Ha una sfaldatura basale perfetta, lucentezza vitrea, colore con tonalità di verde fino a nero. Caratteristiche distintive sono: sfaldatura, colore e durezza (6-7).

Ciclosilicati
Sono costituiti da tetraedri SiO4 legati in anelli di 3, 4 o 6 tetraedri. La configurazione con 6 tetraedri è l’ossatura base della struttura dei ciclosilicati più comuni e importanti come il berillo e la tormalina, minerali di grandi dimensioni che solidificano in fase pegmatitica. Il berillo ha una formula chimica relativamente semplice, mentre la tormalina l’ha complessa; tutti e due questi minerali possono avere notevoli sostituzioni ioniche. La cordierite, che ha una struttura intermedia tra ciclosilicti e tectosilicati, ha una modificazione polimorfa di alta temperatura (indialite) isostrutturale con il berillo ed è per questo che viene classificata con i ciclosilicati.
Berillo (Be3Al2Si6O18, esagonale). L’anello dei tetraedri è disposto in maniera tale che negli stessi tetraedri sia presente un piano di simmetria orizzontale. Si trova quasi sempre in cristalli prismatici anche striati. Ha lucentezza vitrea, colori vari ed è trasparente o traslucido. Si riconosce per forma, colore. Si distingue dall’apatite per la durezza (7.5-8) più alta e dal quarzo per il peso specifico (2.8). Anche se contiene Be, elemento abbastanza raro, è piuttosto comune, specialmente in pegmatiti, graniti micascisti. Le sue varietà trasparenti colorate sono pietre preziose molto ricercate; lo smeraldo è di un colore verde intenso, l’acquamarina blu verdastra e la morganite rosa più o meno intenso. E’ la principale fonte di berillio.
Tormalina (Na,Ca)(Li,Mg,Al)(Al,Fe,Mn)6(BO3)3(Si6O18)(OH), trigonale). Ha simmetria inferiore al berillo, perché oltre all’anello dei sei tetraedri ci sono i tre triangoli BO3 e,inoltre, i tetraedri sono disposti in modo da non presentare il piano di simmetria orizzontale. Si trova quasi sempre in prismi trigonali, subordinatamente esagonali, striati e, talvolta terminati da piramidi. E’ dura (7-7.5), con peso specifico attorno a 3, e ha lucentezza da vitrea a resinosa. I colori sono svariati e dipendono dalla composizione; talvolta anche uno stesso cristallo mostra diversi colori. Le varietà colorate: schorl (nera), dravite (bruna) rubellite (rosa), ecc. vengono utilizzate come gemme, anche se di pregio inferiore rispetto a quelle del berillo. Caratteristici sono i cristalli arrotondati, a sezione triangolare, e la frattura concoide. Si distingue dall’ orneblenda per l’assenza di sfaldatura. E’ un minerale delle pegmatiti e accessorio di rocce ignee e metamorfiche.

Inosilicati
Gli inosilicati sono minerali delle rocce molto importanti in cui i tetraedri SiO4 si legano in catene (fig.9.14) semplici (pirosseni) o doppie (anfiboli). I pirosseni e gli anfiboli, ambedue rombici e monoclini, hanno proprietà fisiche, chimiche e cristallografiche simili.. Tranne che per la mancanza di (OH) nei pirosseni, i cationi presenti nei due tipi di catene sono gli stessi. Il colore, la lucentezza, la durezza delle specie analoghe sono simili, ma la presenza di (OH) negli anfiboli determina in questi un peso specifico leggermente più basso. La differenza evidente tra i due gruppi riguarda l’abito, prismatico tozzo nei pirosseni e prismatico allungato o aciculare negli anfiboli, e la sfaldatura (vedi il paragrafo relativo).
I pirosseni cristallizzano a temperature più alte degli anfiboli e , quindi, nel raffreddamento di un magma si formano prima; in alcuni casi, se c’è presenza di acqua, possono, al diminuire della temperatura, reagire e formare gli anfiboli. In condizioni di metamorfismo, all’aumentare della temperatura (metamorfismo progrado) gli anfiboli passano a pirosseni, il contrario (metamorfismo retrogrado) avviene quando al temperatura diminuisce.
Pirosseni. XYZ2O6 è la formula chimica generale dei pirosseni, dove Na+, Ca2+, Mn2+, Fe2+, Mg2+ e Li+, Y sono i cationi di X e Mn2+, Fe2+, Fe3+, Al3+, Cr3+, Ti4+ sono quelli di Y. Z rappresenta Si4+ e Al3+ nel centro dei tetraedri. I pirosseni più comuni possono essere rappresentati nel sistema di figura (fig.9.17).
Pirosseni rombici. Sono una soluzione solida di enstatite(MgSiO3) e ferrosilite (FeSiO3), che raramente ha un rapporto Fe/Mg maggiore di 1. I cristalli, abbastanza rari, hanno abito e sfaldatura prismatica, ma di solito questi minerali sono massivi, fibrosi e lamellari. Hanno una durezza medio-alta (5.5-6) e una densità che aumenta con il contenuto in ferro. Sulle superfici di sfaldatura la lucentezza va da vitrea a perlacea; i termini magnesiaci sono poco colorati, mentre con l’aumento del ferro il colore passa da verde chiaro, a verde oliva, fino a rossastro. I termini estremi sono abbastanza rari, specialmente la ferrosilite, perché nella maggioranza delle situazioni geologiche è più stabile l’associazione equivalente, Fe2SiO4 (fayalite) e silice. Sono abbastanza riconoscibili per il colore, la lucentezza e la sfaldatura. I termini molto ricchi in ferro sono quasi neri e difficilmente si riconoscono dall’augite, pirosseno monoclino (vedi). Sono minerali comuni di molte rocce, principalmente gabbri, peridotiti, noriti e basalti.
Pirosseni monoclini. I principali sono diopside (CaMgSi2O6), hedenbergite (CaFeSi2O6), che formano una soluzione solida completa, e augite, (Ca, Na)(Mg, Fe,Al)(Si.,Al)2O6, dove, come si vede, un po’ di Na sostituisce il Ca e un po’ di Al, il Fe,il Mg e il Si. I cristalli sono prismatici e frequentemente geminati, ma i possono trovare anche massivi, lamellari, colonnari, ecc. La durezza e la densità sono quasi uguali a quelle dei rombici, la lucentezza è vitrea, il colore aumenta con l’aumentare del ferro; l’augite è nera. Il riconoscimento si basa sulla forma dei cristalli e sulla sfaldatura poco buona.
Hedenbergite e diopside sono comuni in rocce metamorfiche. Il diopside, ad es., può essere il risultato di una reazione di questo tipo:
dolomite (Ca,Mg)(CO3)2 + silice (SiO2) = diopside CaMgSi2O6 + 2CO2 L’augite è il pirosseno più comune e un minerale delle rocce molto importante.
I pirossenoidi sono inosilicati, triclini, con lo stesso rapporto Si/O dei pirosseni, ma con struttura diversa.
Anfiboli. W0-1X2Y5Z8O22(OH,F)2 è la formula chimica generale degli anfiboli, dove W può essere sodio e potassio; X sta per Ca2+, Na+, Mn2+, Fe2+, Mg2+ e Li+; Y rappresenta Mn2+, Fe2+, Mg2+, Fe3+, Al3+, e Ti4+, mentre Z sta per Si4+ e Al3+. Gli anfiboli possono esser rappresentati nel sistema di figura (fig.9.18).
Anfiboli rombici.Sono molto rari; il principale è l’antofillite (Mg,Fe)7Si8O22(OH)2, che si trova raramente in cristalli, mentre è comune in forma fibrosa. Ha una sfaldatura prismatica perfetta, una lucentezza vitrea e un colore vario (caratteristico il colore marrone chiodo di garofano). E’ un minerale di rocce metamorfiche.

Anfiboli monoclini.
Cummingtonite, (Mg,Fe)7Si8O22(OH)2 e grunerite, Fe7Si8O22(OH)2 costituiscono una serie di minerali per la quale non si conoscono termini completamente magnesiaci, che raramente i trovano in individui distinti, ma che sono comunemente fibrosi raggiati. Hanno una sfaldatura perfetta, una lucentezza sericea e un colore con tonalità di marrone, che insieme all’abito li caratterizza. Sono minerali di rocce metamorfiche.
Tremolite, Ca2Mg5Si8O22(OH)2 e actinolite, Ca2(Mg,Fe)5Si8O22(OH)2 costituiscono una serie, analoga a quella diopside-hedenbergite dei pirosseni, con caratteristiche e ritrovamenti più o meno identiche ai minerali della serie cummingtonite-grunerite. Gli anfiboli con composizioni variazionali molto complesse vengono chiamati orneblende:si trovano in cristalli prismatici, ma anche con abito colonnare o fibroso,hanno sfaldatura perfetta, lucentezza vitrea, colori verde scuro o nero, e sono minerali comuni di rocce ignee e fibrose. Un’altra serie è quella degli anfiboli alcalini, dove c’è la presenza costante di sodio e, più raramente, potassio.



Fillosilicati. Hanno un habitus appiattito (spesso lamellare) e una facilissima sfaldatura basale; sono generalmente teneri e leggeri e, spesso, flessibili e anche elastici. Tutte questa caratteristiche nascono dal predominio, nella struttura di questi minerali, di strati di tetraedri SiO4 indefinitamente estesi. Nello strato 3 dei 4 ossigeni del tetraedro (fig.9.14) sono in compartecipazione con i tetraedri vicini, quindi con un rapporto Si/O di 2/5. La maggior parte dei fillosilicati contengono gruppi (OH) posti al centro dell’anello di sei tetraedri (fig.9.19). I tetraedri sono collegati da strati di ottaedri che poggiano per la faccia triangolare e i cationi, in questi strati, possono essere bivalenti o trivalenti.. Nel primo caso dove ogni ossigeno o gruppo (OH) è circondato da tre cationi, come nella struttura della brucite, Mg(OH)2, si parla di strato triottaedrico o brucitico, nel secondo caso, per neutralizzare le cariche una delle tre posizioni cationiche deve essere libera come nel caso della gibbsite, Al(OH)3, e si parla di strato diottaedrico o gibbsitico.
Gli strati ottaedrici possono essere legati a un solo strato tetraedrico o a due (fig.9.20).
La grande importanza dei fillosilicati è dovuta al fatto che i prodotti di disgregazione delle rocce sono molto spesso questo tipo di minerali che, quindi, sono i principali costituenti dei suoli. L’alimentazione delle piante, la ritenzione dell’acqua nei suoli dalla stagione umida a quella secca, ecc. dipendono in gran parte dalle proprietà di questi minerali. La geologia dei fillosilicati è molto importante; le miche, ad es., sono i principali minerali degli scisti e sono molto comuni nelle rocce ignee.
Dal punto vista strutturale tutti i fillosilicati derivano, come detto, da unione di strati tetraedrici con strati ottaedri (sequenze t-o; t-o-t, ecc.), paralleli alla faccia basale per cui la distanza interplanare, caratteristica dei vari gruppi, è dovuta alla somma degli spessori degli strati sovrapposti. Sulla base delle loro caratteristiche morfologiche e genetiche, possiamo suddividerli in gruppi.
Gruppo del serpentino. Le comuni modificazioni polimorfe del serpentino, Mg3Si2O5(OH)4, sono antigorite, lizardite e crisotilo. e colore con toni di verde più o meno scuro; le prime due sono massive e granulari con lucentezza untuosa, mentre la terza è fibrosa con lucentezza sericea e fa parte dei minerali responsabili dell’asbestosi, insieme a crocidolite (varietà dell’anfibolo riebeckite), amosite (varietà di grunerite), tremolite, antofillite, actinolite, ancora anfiboli fibrosi. Il gruppo del serpentino si riconosce per la lucentezza o per la fibrosità e per il colore. Il serpentino è un minerale abbondante e diffuso che, comunemente deriva dall’alterazione di silicati di magnesio, in specie olivine, anfiboli e pirosseni. Come esempio riportiamo la possibile formazione dall’alterazione della forsterite: 2Mg2SiO4
+ H2O dà Mg3Si2O5(OH)4 + Mg(OH)2.
Gruppo dei minerali argillosi. Sono i costituenti essenziali delle argille (da questo deriva il nome) che possono essere costituite, raramente, da un unico minerale argilloso, ma normalmente sono formate da più minerali argillosi associati con altri minerali come quarzo, feldspati, miche e carbonati.
La struttura si basa su strati tetraedrici Si-O e strati ottaedricoi(Mg, Fe, Al)-O (vedi fig.9.20) e sono chiamati anche “sialliti”.
Caratteristiche comuni e peculiari sono l’estrema minutezza dei cristalli (lo studio morfologico è possibile solo al microscopio elettronico), la plasticità, più o meno accentuata, che nasce dalla miscelazione con piccole quantità di acqua, il forte contenuto in acqua dei reticoli cristallini, la refrattarietà quando sono sottoposti a disidratazione.
I minerali argillosi sono essenzialmente silicati idrati di alluminio, che può essere sostituito parzialmente da magnesio o ferro, che possono avere come costituenti fondamentali gli alcalini e gli alcalino-terrosi. Kaolinite, Al2Si2O5(OH)4, triclina. Si presenta in sottili lamelle a contorno esagonale, ma normalmente è massiva, con sfaldatura basale perfetta, lucentezza terrosa e colore bianco, quando è puro; strutturalmente è l’equivalente diottaedrico dell’antigorite. E’ uno dei minerali argillosi più comuni ed è un minerale che deriva dall’alterazione atmosferica o idrotermale, principalmente, dei feldspati. Altri minerali argillosi comuni sono le montmorilloniti (t-o-t) e le il liti, strutturalmente simili alle miche.
Gruppo delle miche. Sono formate dastrati t-o-t con cationi interstrato, spesso K; sono monocline, ma la simmetria è poco evidente perché l’angolo beta è di circa 90°. I cristalli sono quasi sempre tabulari , con contorno esagonale e sfaldatura basale perfetta. Caratteristica di tutte le miche è la figura di percussione: un colpo con una punta smussata genera una figura a sei raggi. La disposizione pseudoesagonale dei tetraedri Si-O genera la possibilità di un diverso impilamento degli strati, per cui si possono avere diversi politipi. Sono importantissimi minerali delle rocce ignee, ma si trovano in tutti i tipi di rocce, che si formano a temperature più basse di anfiboli e pirosseni.. La muscovite,

KAl2(AlSi3O10)(OH)2, “mica chiara” e la biotite, K(Mg,Fe)(AlSi3O10)(OH)2, “mica scura” sono i due termini più diffusi.
Al gruppo delle cloriti appartengono alcuni minerali con proprietà fisiche, chimiche e strutturali simili, non distinguibili fra di loro se non con analisi chimiche quantitative e con appropriati studi ottici a raggi X. Sono caratterizzati dal colore verde, dall’abito e dalla sfaldatura, uguali a quelli delle miche, e dal non essere elastiche. Sono minerali comuni di rocce metamorfiche e diagnostici delle facies a scisti verdi.
fig.9.19 – Anello esagonale nei fillosilicati.



Tectosilicati.
I tectosilicati (silicati dove i tetraedri di silicio formano un reticolo tridimensionale) costituiscono circa il 75% delle rocce della crosta terrestre.
Gruppo della silice. Al gruppo della silice appartengono i tectosilicati dove non c’è sostituzione ionica; un reticolo tridimensionale di tetraedri SiO2, infatti è elettricamente neutro, e tutti gli altri tectosilicati si possono avere a partire dalla sostituzione Si-Al. Le modificazioni polimorfe della SiO2, sono riportate nella tabella (tab11.IV). Il campo di stabilità di questi polimorfi dipende principalmente dalle condizioni di pressione e temperatura (fig 9.21): le forme di alta temperatura hanno reticoli più espansi e, quindi, minor peso specifico, quelle di alta pressione, al contrario, reticoli più compatti e maggior peso specifico. Oltre a questi polimorfi esistono due sostanze amorfe: lechatelierite, un vetro silicio di composizione variabile, e opale, SiO2.nH2O, con una struttura di sfere di silice, localmente ordinate, e un contenuto di H2O molto variabile.
Il minerale di gran lunga più importante dei polimorfi della silice è il quarzo.
Quarzo. I cristalli possono molto grandi, tali da pesare, anche se il quarzo ha un peso specifico di 2.65, alcune tonnellate, o essere minutissimi, come nel caso di alcuni rivestimenti di druse o geodi. I cristalli generalmente sono prismatici, terminati da romboedri di uguale sviluppo da dissimulare una bipiramide. Generalmente bianco o incolore, può assumere, per la presenza di impurità, difetti reticolari o inclusioni. E’ caratterizzato dalla lucentezza vitrea dalla frattura concoide e dall’aspetto. Quando si rinviene massivo, si distingue, solitamente, per la durezza: ad esempio, è più duro della calcite e meno duro del berillo.
Le varietà sono numerosissime: cristalline e microcristalline, che a loro volta, si suddividono in fibrose e granulari.
Alle cristalline appartengono: cristallo di rocca (varietà limpida e trasparente), ametista (colorata per piccole quantità di Fe3+), rosa (per presenza di Ti4+), affumicato o morione (esposizione a sorgenti radioattive), citrino (simile al topazio giallo), lattescente (con piccolissime inclusioni fluide che danno una lucentezza untuosa), mutilato (con inclusioni di rutilo), avventurina (con inclusioni di ematite o di mica).
Calcedonio (una varietà traslucida, da marrone a grigia, con lucentezza cerosa) è la parola generalmente usata per le varietà microcristalline fibrose:
E’ un minerale comune e abbondante e si trova in una grande varietà di ambienti geologici: nella maggior parte delle rocce ignee e metamorfiche, come costituente maggiore nelle pegmatiti, come minerale di ganga più comune nei depositi idrotermali, ecc. Ha moltissimi usi: come gemma, come material da costruzione, apparecchiature scientifiche, orologi, ecc.
Gruppo dei feldspati. I feldspati più comuni fanno parte del sistema NaAlSi3O8 (albite; Ab), CaAl2Si2O8 (anortite; An), KalSi3O8 (ortoclasio¸Or): la serie Ab-An costituisce i plagioclasi, quella Or- Ab i feldspati alcalini. I feldspati si possono considerare come derivati dal reticolo di tetraedri che costituiscono i vari polimorfi della silice, dove alcuni dei tetraedri SiO4 vengono sostituiti da quelli AlO4. Nel caso in cui soltanto 1 Si (per unità di formula) sia sostituito dall’alluminio è sufficiente l’ingresso di K o Na per neutralizzare la struttura, se vengono sostituiti 2 Si dovrà entrare il Ca2+ per neutralizzare il tutto (vedi anche il paragrafo sull’isomorfismo, alla parte sostituzioni solide). La nomenclatura dei vari termini e il loro limite di stabilità ad alta temperatura sono riportati nella figura (fig.9.22). I feldspati sono abbondanti e diffusi minerali delle rocce, tanto che la classificazione delle rocce ignee si basa sulla presenza e l’abbondanza di questi minerali.
Serie dei feldspati alcalini.
K-feldspati. Sono costituiti da tre minerali (in ordine di temperatura di deposizione crescente): microclino (triclino), ortoclasio e snidino (monoclini), che differiscono per la distribuzione più o meno ordinata dell’alluminio del silicio nella loro struttura(fig.9.23). Il più importante è l’ortoclasio (KalSi3O8) che, generalmente si trova in cristalli prismatici, allungati o appiattiti, frequentemente geminati. E’ incolore, bianco o con tonalità rosa e con lucentezza vitrea. Si riconosce per il colore, la durezza (6) e la sfaldatura. E’ il maggior costituente dei ”granitoidi.” ed è usato nell’industria ceramica.
Serie dei plagioclasi. I plagioclasi, ad alta temperatura, possono essere considerati una soluzione solida completa di albite e anortite, anche se vi sono discontinuità, che possono essere viste solo con i raggi X o con l’ottica elettronica. Sono triclini con cristalli tabulari o allungati, spesso geminati, difficilmente

isolati; la presenza di striature dovute alle geminazioni, li distinguono dagli altri feldspati. Sono incolori, bianchi o grigi, ma possono avere anche altri colori; la lucentezza è vitrea o perlacea. L’andesina e la labradorite mostrano spesso giochi di colore. Sono i feldspati più abbondanti: si trovano in rocce ignee, metamorfiche e, più raramente, sedimentarie.
L’uso principale è nell’industria ceramica.
Gruppo dei feldspatoidi. I feldspatoidi differicono dai feldsdpati, per il minor contenuto in silice e per il maggior contenuto in alcalini, principalmente sodio e potassio. I termini più importanti sono la leucite KalSi2O6, tetragonale e la nefelina, (Na,K)AlSiO4, esagonale.
La leucite è quasi sempre in cristalli trapezoedrici, (caratteristica distintiva) con lucentezza vitrea e colore bianco. E’ un minerale abbastanza raro, ma abbondante in alcune lave recenti.
La nefelina , quasi introvabile in cristalli, ha lucentezza untuosa e colori tenui. Si distingue, in generale, per l’essere massiva e untuosa e, in particolare, dal quarzo , perché meno dura (5.5-6).
Gruppo delle zeoliti. Le zeoliti sono tectosilicati idrati con caratteristiche simili, che hanno una struttura molto aperta con la formazione di canali. L’importanza delle zeoliti è dovuta proprio alla presenza di questi canali: quando riscaldiamo questi minerali, l’acqua viene espulsa continuamente senza che cambi la struttura e dopo la completa disidratazione i canali possono venire riempiti nuovamente anche da molecole organiche di grandi dimensioni, tanto che le zeoliti sono usate come setacci molecolari. Secondo l’aspetto si dividono in zeoliti fibrose, tabulari, equidimensionali.
Tabella 9.IV. Polimorfi della silice.





BIBLIOGRAFIA
Bernardini G.P. – Metodi fisici di analisi mineralogica. Università di Firenze. Facoltà di S.M.F.N. Anno Accademico 1979-80.
Carobbi G. – Trattato di Mineralogia ( a cura di Mazzi F., Bernardini G.P., Garavelli C. e Cipriani C.). USES, IV edizione, 1987 (vol. I e II).
Corsini F. e Turi A. – Minerali e Rocce. Enciclopedie Pratiche Sansoni, 1967. Klein C. e Hurlbut, Jr C.S. Manual of Mineralogy. John Wiley and Sons, 1987. Tanelli G. – Conoscere i minerali. Longanesi, 1986.

Fonte: http://web2mineral.altervista.org/download/appuntilezioniprofcorsini.pdf

Sito web da visitare: http://web2mineral.altervista.org

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.

 

Mineralogia

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

Mineralogia

 

"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco

www.riassuntini.com dove ritrovare l'informazione quando questa serve

 

Argomenti

Termini d' uso, cookies e privacy

Contatti

Cerca nel sito

 

 

Mineralogia