Ottica geometrica

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Ottica geometrica

 

LE DOMANDE

  • Di che cosa è fatta la luce ?

+ Definizione e ripresa del concetto di onda elettromagnetica
+ La natura corpuscolare della luce: i fotoni
+ Il laser e il suo funzionamento

  • Di che cosa si occupa l’ottica geometrica ?

+ La propagazione rettilinea della luce e diffrazione
+ Ripresa della rifrazione
+ Le lenti convergenti

  • Le leggi delle lenti sottili

+ Gli strumenti ottici: il microscopio

  • Il microscopio a scansione elettronica è uno strumento ottico ?

+  L’occhio come lente

  • Le fibre ottiche

+ Ripresa della riflessione totale
+ La propagazione delle luce nella fibra ottica
+ L’ utilizzo della fibra ottica nelle indagini mediche

 

         Riprendiamo le considerazioni attorno alle luce: la luce è una particolare onda elettromagnetica e, precisamente, quella parte di radiazione elettromagnetica che si colloca nell’intervallo di valori della lunghezza d’onda che va circa dai  ai , come si può dedurre dalla figura.
L’onda elettromagnetica è di tipo non meccanico, trasversale: ciò significa che si propaga anche senza il supporto di un mezzo di supporto e che le perturbazioni si sviluppano perpendicolarmente alla direzione di propagazione; ricordiamo che l’onda acustica è completamente diversa e cioè meccanica e longitudinale. Le perturbazioni in questo caso sono costituite da variazioni dei valori dei vettori campo elettrico e campo magnetico nelle zone di spazio invase dall’onda: per la descrizione di tale fenomeno si fa riferimento solo al comportamento del campo elettrico , dato che il campo magnetico  è legato a questo in modo rigido.
La descrizione classica della luce prevede, come visto, che essa sia un’onda che dà luogo ai classici fenomeni quali rifrazione, interferenza e diffrazione, cosa che in effetti accade; la scoperta di nuovi fenomeni, quali ad esempio effetto fotoelettrico e pressione luminosa, ha indotto a ritenere che la luce si presenti sotto forme tipicamente corpuscolari: l’effetto fotoelettrico può essere interpretato correttamente solo se si ammette che la luce sia costituita da piccoli mattoncini, detti fotoni, che interagiscono come corpuscoli di energia al contatto con la materia (atomi o molecole). I fotoni (il loro simbolo nella letteratura fisica è ) vanno considerati come particelle prive di massa e costituite da sola energia, che viaggiano alla velocità della luce (… per forza!) pari a .
La natura dei fotoni non è immediatamente interpretabile, ma ci serve come strumento descrittivo pratico per ricostruire il funzionamento del laser, strumento molto usato nell’ambiente medico. Una semplice schematizzazione di questo strumento è riportata in figura.
Il laser serve a “bruciare”, cauterizzare con elevata precisione di puntamento localizzazione: esso riesce a concentrare in una zona molto limitata grandi quantità di energia, in questo caso elettromagnetica, direzionando fasci di luce tipicamente monocromatica: monocromatica significa ad un solo colore e, cioè, in termini di grandezze fisiche, ad una sola frequenza (lunghezza d’onda). Il meccanismo di produzione di questa onda elettromagnetica ad alta energia è abbastanza complesso: possiamo pensare, per semplicità di riferimento, che all’interno del cristallo in cui è stato fatto il vuoto venga prodotto un fotone, che in figura è rappresentato dal cerchietto nero più a sinistra con la freccia diretta verso destra; questo fotone di luce verde (supponiamolo) si dirige verso destra e alla fine del tubo trova uno specchio a metà e cioè ad uno strato di sostanza che è può riflettere indietro, ma che può anche far passare il fotone all’esterno; se il fotone resta all’interno, è in grado di stimolare l’emissione da parte del gas (ad esempio miscela di gas nobili quali neon ed elio) che si trova all’interno del cristallo di altri fotoni dello stesso tipo (stessa frequenza e lunghezza d’onda) e, soprattutto, coerenti con il precedente e cioè che producano il massimo della perturbazione in istanti uguali. Un po’ alla volta si creano gruppi di fotoni che interferiscono tra loro dando sempre il massimo della perturbazione e quindi il massimo della concentrazione energetica (luce coerente), che escono con continuità dal cristallo e vengono concentrati sulla zona topica.

Abbiamo affermato che la luce può dar luogo a molti fenomeni tra cui la diffrazione: questa consiste nella apertura di un fascio di raggi rettilinei in un fascio che si sviluppa da un ipotetico centro in maniera radiale. Si tratta di una situazione di modificazione della modalità con la quale avviene la propagazione dell’onda.
Se si rinuncia ad ammettere questa possibilità e cioè si mantiene come unica propagazione quella per raggi lungo una direzione rettilinea ci si pone all’interno di quella che viene definita ottica geometrica. All’interno dell’ottica geometrica si spiegano molte situazioni, una per tutte le eclissi di sole, nella quale la luce inviata dal sole viene oscurata, parzialmente o totalmente da un corpo interposto come la luna.
L’ottica geometrica si occupa di riflessione per mezzo degli specchi e di propagazione attraverso sistemi a indice di rifrazione diverso quali le lenti; noi concentreremo la nostra attenzione sulla seconda, in modo da riuscire a dare conto di come avviene la raccolta di immagini attraverso il nostro occhio e di come è possibile ottenere degli ingrandimenti di immagini attraverso il microscopio.
Prima di riprendere l’analisi della rifrazione illustriamo con una serie di tre figure dei casi di formazione di immagini attraverso uno specchio concavo, iniziando a illustrare quali tecniche si possano seguire per ricostruire l’immagine che si forma da un oggetto che esiste, seguendo l’evoluzione di alcuni raggi luminosi particolari. E’ fondamentale differenziare i possibili risultati: una immagine reale è il risultato di una effettiva raccolta di raggi fisici, mentre invece un’immagine virtuale consiste nella sola formazione di una rappresentazione cerebrale da raggi che non provengono da un oggetto, ma risultano provenienti da una immagine che si forma virtualmente da un’altra parte, oltre lo specchio nel caso della figura.
Dalla punta dell’oggetto sistemato a sinistra dello specchio concavo si fanno partire due raggi significativi e se ne considera la riflessione sulla parete sferica: dalla loro intersecabilità si decide sulla formazione dell’immagine. Nel primo caso, con l’oggetto sistemato tra fuoco e specchio, si forma un’immagine virtuale aldilà dello specchio; nel secondo caso, posizionato l’oggetto sul fuoco, non si formano immagini; nel terzo, con l’oggetto aldilà del fuoco rispetto allo specchio, si produce un’immagine reale sotto il piano ottico; si tratta di un’immagine formata da raggi fisici che convergono; si sottintende in queste rappresentazioni il fatto che il “piede” dell’oggetto fisico produce raggi luminosi che vanno a concentrarsi sul “piede” dell’immagine, virtuale o reale che sia.
Passiamo ora a riconsiderare la rifrazione: si tratta del fenomeno secondo il quale la luce passa da un mezzo ad una altro cambiando la sua velocità di propagazione, rallentando o accelerando a seconda che si passi, rispettivamente, da un mezzo meno denso ad un mezzo più denso otticamente oppure da uno più ad uno meno denso. La legge della rifrazione la ricordiamo è la seguente:
  con:  .
Tale relazione (la legge di Snell) ci permette di andare a considerare il percorso del raggio luminoso all’interno di un materiale denso quale il vetro, ad esempio; per il vetro ( il tipo più comune viene denominato crown), l’indice di rifrazione vale: .
Seguiamo in figura i percorsi di un raggio luminoso dall’esterno all’interno di una superficie di tipo sferico che separa il vuoto (… o l’aria) dal vetro: nel primo caso l’immagine che si forma è reale, mentre nel secondo è virtuale;  rappresentano in figura i due indici di rifrazione; l’oggetto e la sua immagine sono in questo caso puntiformi. Utilizziamo la chiarezza della figura per introdurre le grandezze che sono essenziali nella descrizione della propagazione attraverso lenti:

su queste grandezze valgono le seguenti convenzioni: p ed i hanno segno positivo se si trovano nelle loro zone di competenza, negative altrimenti; ad r, invece, si assegna segno positivo se la superficie di rifrangenza è convessa, negativo altrimenti.
Andiamo ora a  ricavare l’equazione che regola il passaggio dal vuoto (aria) al vetro, tenendoci nell’approssimazione di angoli di apertura molto piccoli (raggi parassiali) e facendo riferimento ancora una volta alla figura. Dalla legge di Snell, per piccoli angoli, deriva che:

le ulteriori proprietà che valgono sugli angoli sono le seguenti:
,
per cui la nostra relazione diventa:

che viene detta equazione del diottro; il diottro è un sistema ottico formato da vuoto e da mezzo denso (oppure da altri due mezzi di diversa densità ottica) separati da una superficie.

          Il passaggio alle lenti è ora abbastanza immediato. Infatti il passaggio del raggio luminoso attraverso la lente consiste in una ripetizione di rifrazione: in un primo tempo un raggio luminoso  arriva dal vuoto (aria) ed entra nel vetro; in un secondo tempo il raggio ritorna al vuoto (aria) dal vetro. Si ha a che fare con un doppio diottro. Oltre che dell’approssimazione di raggi parassiali, si parlerà di lenti sottili e cioè di strutture ottiche poco sviluppate in lunghezza, nella direzione di propagazione del raggio luminoso.
La lente in figura si considera convergente perché è in grado di convergere i raggi di luce che arrivino paralleli all’asse ottico: essa si presenta da entrambe le parti come convessa e cioè in una posizione tale da offrire una curva di superficie convessa (… la concavità è dalla parte opposta).
L’analisi sulla lente convergente porta a concludere che la legge (…detta appunto delle lenti sottili) sulla quale si può costruire il comportamento dei raggi luminosi che l’attraversano è la seguente:

con f che viene detta distanza focale della lente; in questa legge si suppone che i due raggi di curvatura della superficie lenticolare siano identici.
Dalla figura si può distinguere, tra le altre cose, che i raggi paralleli all’asse ottico che partono dall’oggetto passano poi per il fuoco F della lente e che i raggi che si sviluppano lo stesso dalla sommità dell’oggetto e che attraversano il centro C della lente, restano indefessi; dall’intersezione di questi due raggi si può ricostruire la sommità (rovesciata nel nostro disegno) dell’immagine; l’immagine si completa costruendo la perpendicolare all’asse ottico.
All’interno di questa figura si può anche definire quella grandezza che ci interessa da vicino e che è l’ingrandimento (più corretto sarebbe ingrandimento trasversale): dalla rappresentazione si comprende che l’immagine, a fuoco, ha un’estensione trasversale più consistente dell’oggetto e questo significa che oltre la lente noi vediamo ingrandito. La definizione di ingrandimento è la seguente:

Come si può però vedere dalla figura l’ingrandimento della lente sottile è limitato ( … pensate alla classica lente di ingrandimento); per ottenere ingrandimenti più elevati, importanti nell’osservazione del mondo microscopico, sono state pensate strutture ottiche più elaborate, quali ad esempio il microscopio, qualificato come strumento ottico a due lenti.
In un strumento ottico a due lenti l’ingrandimento che si può ottenere è il risultato della moltiplicazione degli ingrandimenti delle singole lenti; per il microscopio le due lenti sono dette oculare di lunghezza focale , quella più vicina all’occhio, e obiettivo di lunghezza focale, quella più vicina all’oggetto da osservare, il quale nella figura si trova in O.
Seguendo il percorso dei raggi, si può osservare come la prima lente venga superata nel modo classico, mentre per la seconda, l’oggetto è costituito dall’immagine della prima e grazie alla lente va a fuoco ad infinito come immagine virtuale: l’occhio la vede come ingrandita angolarmente e cioè ne percepisce l’estensione trasversale al punto più vicino detto punto prossimo e che, da valutazioni di media fisiologica, si può pensare che si collochi a 25 cm..
L’ingrandimento per questa seconda lente viene calcolato come rapporto tra angolo sotto cui viene visto ad una distanza di 25 cm. e angolo sotto cui è visibile l’oggetto (immagine della prima lente); perciò l’ingrandimento globale vale:

essendo s in figura molto più grande di  (dato che sarebbe: ) e poi essendo collocato l’oggetto molto vicino alla posizione focale di sinistra. Per l’altro rapporto, invece, è un immediata traduzione del sopraccitato rapporto tra angoli.
Con i microscopi più moderni si arriva ad ingrandimenti dell’ordine di 1000: con tale ingrandimento un ‘immagine dell’estensione di 1 mm. In realtà ha lo sviluppo parziale di 1 , che rappresenta anche l’ordine di grandezza delle dimensioni più piccole raggiungibili con il microscopio ottico.
Il microscopio a scansione elettronica sembra essere un parente del microscopio tradizionale ed in certo senso lo è: non vengono utilizzati corpi di luce (fotoni) per illuminare la materia ma bensì elettroni, che vengono inviati ad alta energia sulla (di solito) superficie da ricostruire e formano a tutti gli effetti un “illuminamento” perché ad energie elevate manifestano consistenti caratteristiche di tipo ondulatorio (De Broglie); aumentare la loro energia significherà lunghezza d’onda più corta e frequenza più alta e dunque maggior potere risolutivo, che significa miglior capacità di distinguere tra due oggetti piccoli vicini; con tali tipi di microscopi si arriva addirittura ad osservare lunghezze dell’ordine del manometro () .

Chiudiamo osservando come la struttura fisiologica dell’occhio abbia tutte le specificità di un sistema a più lenti (umor acqueo, cristallino e umor vitreo), ciascuna a caratteristiche diverse dalle altre: il vantaggio del nostro sistema visivo è che le “lenti” componenti sono elastiche nelle loro proprietà per mezzo di muscoli che ne possono modificare le dimensioni.

Dopo aver affrontato la propagazione della luce da un mezzo ad un altro, prendiamo in considerazione quella situazione nella quale il raggio di luce deve essere tenuto il più possibile all’interno di un tubo in modo da convogliarne il più possibile verso la zona di interesse, che di solito si trova in uno stato di buio: è il caso della fibra ottica, pensata negli interventi medici per portare la maggior quantità di luce all’interno del corpo, in zone dove è necessario vedere (colon e rettoscopia ad esempio) e anche intervenire (meniscectomia ad esempio).
Il principio sul quale si basa il funzionamento della fibra ottica è quello della riflessione totale, conseguente all’impossibilità di uscire da parte di un raggio rifratto che proviene da un mezzo più denso e che va finire in un mezzo meno denso otticamente: sopra ad un certo valore di soglia dell’angolo di incidenza, tutti i raggi che provengono dal mezzo più denso vengono riflessi e tornano nel mezzo di partenza. Progettando la fibra ottica in modo tale che si possa introdurre il pennello luminoso in modo inclinato rispetto all’asse longitudinale della fibra e facendolo rimanere costantemente inclinato lungo tutta la fibra, si riuscirà a portare quanta più luce possibile (un assorbimento da parte delle pareti sarà ineliminabile) nella zona desiderata.
La visione in sezione della fibra ottica riportata qui a fianco, evidenzia che esse sono pensate a gusci successivi quello interno con indice di rifrazione più consistente () e quello esterno con indice meno consistente (); ricordando la relazione che definisce l’angolo limite, oltre al quale tutti i raggi restano confinati nella fibra:

si può dedurre che, grazie alla proporzionalità inversa, l’angolo limite è più piccolo nel guscio interno alla fibra e più grande fuori; il guscio esterno ha funzioni di contenimento per eventuali raggi che sfuggano a quello interno: questi raggi fuggenti formano comunque angoli ridotti rispetto all’asse della fibra e dunque risultano contenibili anche con materiali a più basso indice di rifrazione.

 

Fonte: http://www.webalice.it/walter.manzon/MIOWEB/LauInf/Lezioni_5.doc

Sito web da visitare: http://www.webalice.it/walter.manzon

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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