Accidia

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Accidia

RESTA CON NOI SIGNORE
lo riconobbero nello spezzare il pane
 
Sette modi per fuggire da Gerusalemme…
L’accidia non fa nulla

 

Il settimo peccato capitale non è quello che comunemente si dice. È molto più grave della pigrizia, quel difetto quasi banale che ci induce a rimanere a letto quando suona la sveglia, o a rimandare a domani quello che bisognava fare ieri. È un vizio misterioso dal nome bizzarro: accidia. La sua definizione latina, la «tristitia de bono divino», richiama più un buon vino degustato sotto i pergolati di Capua che un pericolo mortale.
La «tristezza del bene divino» procede mascherata: si adorna di un'etichetta da vino pregiato e si nasconde sotto gli orpelli della pigrizia come una vipera mascherata da biscia. Il suo morso è indolore, ma il suo veleno paralizza l'anima nel suo slancio verso Dio, insensibilmente. Questo assopimento spirituale è il peccato dei discepoli di Cristo nel Getsemani. Ci tocca tutti, un giorno o l'altro.

Che cos'è l'accidia?
San Tommaso d'Aquino propone due visioni complementari dell'accidia.

L'accidia, tristezza del bene divino
La «tristezza del bene divino» è una definizione enigmatica. Approfondiamo un po' il discorso. Di fatto, l'accidia si oppone alla gioia che suscita nell'anima la presenza di Dio, il «bene divino». Questo vizio sradica l'anima da Dio, ci scollega dalla presa divina. La gioia della sua presenza in noi si spegne progressivamente, come la luce di una lampada le cui pile si esauriscono. Allora una tristezza viziosa s'impadronisce dell'anima. Se l'invidia è una tristezza che non sopporta il bene altrui (cf cap. 7), l'accidia è una tristezza che non sopporta più il bene divino. Più che la speranza, attacca in noi la carità, rifiuta la comunione con Dio, che è l'effetto proprio di questa virtù teologale che è appunto la carità. Ne deriva una caduta di tensione dell'Amore in noi, un languore spirituale, una mancanza di gusto nei confronti della preghiera. La vita interiore diventa arida e priva di gusto. La Messa infastidisce, la preghiera disgusta.

L'accidia, disgusto per l'azione
San Tommaso aggiunge un'altra definizione di accidia: taedium operandi, disgusto per l'azione. Limitare questo disgusto alla pigrizia sarebbe il controsenso peggiore. Secondo Tommaso d'Aquino, l'atto umano non si comprende innanzitutto a partire dalla sua origine (cioè la libertà), ma a partire dal suo obiettivo.
Charles Péguy amava raccontare la storia di un uomo che incontra un operaio munito di un piccone: «Che cosa fa?», gli domanda. «Scavo buchi», risponde l'operaio. Poco oltre, vede un altro uomo che lavora di piccone. «Che cosa fa?», domanda l'uomo anche a lui. «Costruisco un muro». Un terzo operaio trasporta pietre. «E lei che cosa fa?», domanda il visitatore. «Costruisco una cattedrale!», risponde l'operaio. La finalità si approfondisce a poco a poco. Se si continuasse, si arriverebbe al fine ultimo, che guida segretamente tutte le nostre azioni: la felicità. L'uomo agisce sempre per essere felice (anche chi si toglie la vita!): cerca una pienezza, il bene perfetto.
Per il Vangelo, dunque, non c'è la possibilità di rimanere neutrali: nessun atto è indifferente; tutte le nostre azioni ci avvicinano o ci allontanano dal nostro fine, l'unione al Dio‑Trinità, a seconda che siano o no vissute nella verità e nell'amore. Ogni nostro passo ci indirizza verso il Mistero dei misteri. Ogni nostro istante terreno è una promessa della Visione eterna. Procediamo. La felicità non è uno stato, come si crede spesso, ma un atto. Molte persone temono di annoiarsi in cielo, perché immaginano la beatitudine come uno stato passivo. Non è così.
Dunque, non vi è nulla di peggio del disgusto di agire. L'accidia però non è un semplice girare a vuoto, uno spleen che ci fa sospirare di fronte a questa «vita da cani»; è molto più in profondità, un rifiuto di dirigerci verso il nostro porto divino, una rinuncia alla vera Felicità, e un'assenza di ascolto dei desideri profondi del proprio cuore. Come dice Evagrio Pontico, è il peccato «più pesante di tutti»: con la nostra passività, non ristagniamo, ma ci lasciamo attirare verso il basso, nel buco nero, invece di slanciarci verso l'alto. L'accidioso è, nel senso etimologico, un fannullone.

Come si dissimula?
L'accidioso ignora il suo male per alcune ragioni.

Le giustificazioni
Innanzitutto, l'accidioso giustifica la sua instabilità, la sua iperattività. Non è troppo difficile, in una società produttiva in cui il «fare» è sacralizzato.
Ma l'insoddisfazione riguarda anche la vita spirituale. È la tentazione dello «zapping spirituale» che colpisce molti cristiani: si cambia parrocchia, si cambia confessore, si passa da gruppi di preghiera a comunità nuove... Ci si giustifica piluccando nella Bibbia: «Viene il momento in cui l'adorazione di Dio non sarà più legata a questo monte o a Gerusalemme» (Gv 4,21).
Si sente dire: «Non ho bisogno di andare in chiesa per pregare: lavoro alla presenza di Dio, Egli è costantemente al mio fianco». E anche: «Io prego al volante della mia auto». Bene. Ma che cosa risponderebbe una fidanzata al suo innamorato che le dicesse: «Ti amo tanto, sai? Penso spesso a te quando lavoro, mentre guido, ma non ho tempo di telefonarti, di scriverti e di venire a trovarti»? La fiamma dell'amore di Dio in noi non chiede di essere alimentata, come la fiamma di ogni amore?

L'abitudine, « seconda natura »
Poi l'accidia s'insinua a poco a poco, quasi all'insaputa della persona. La mollezza spirituale s'insinua con dolcezza. «Decisamente, ci sono troppe cose da fare durante un fidanzamento: preparare il matrimonio, trovare un appartamento, ecc. Quando saremo sposati, troverò il tempo di pregare tutte le sere». Dieci anni più tardi, è la stessa cosa: «Decisamente, non pensavo che fosse così faticoso allevare i figli. Quando saranno grandi, avrò il tempo di pregare tutte le sere». Dieci anni dopo: «Davvero, questa vita professionale è totalizzante. Quando saremo in pensione, avrò finalmente il tempo di pregare tutte le sere», ecc. Inganniamo noi stessi. Dimentichiamo progressivamente le nostre semi‑decisioni, e ci nascondiamo dietro una parvenza di buon senso: «Siamo ragionevoli».

La complicità del mondo circostante
Pubblicità televisiva. Una donna si abbandona in un divano pneumatico, su un'acqua trasparente della piscina, mentre un elicottero deposita diversi pacchi ai bordi della stessa piscina. Questo spot di un cibermercato si conclude con questa profonda affermazione: «Sabato prossimo, non fate la spesa. Fatevela portare a casa. Sì, è pigrizia. E allora?». Paradosso: la mentalità contemporanea è iperattiva, tuttavia incita alla pigrizia. Infatti, spinge a fare ciò che piace, a massimizzare il piacere variandolo senza sosta.
L'accidia s'innesta su una ferita

Come riconoscerla?
L'impazienza
All'accidioso il tempo non solo sembra lungo, ma terribilmente tetro e monotono. Evagrio Pontico usa un'immagine famosa: nel bel mezzo della giornata, all'accidioso «il sole sembra lento a muoversi o immobile». Per questo si parla anche di «demonio del mezzogiorno».
L'impazienza contemporanea è una forma di accidia. L'adolescente si stupisce di non riuscire ancora a saltare m 1,50 in alto dopo aver praticato l'atletica per 3 settimane e di non saper eseguire la Sonata al chiar di luna dopo un anno di lezioni di piano. Tutto, tutto subito e sempre più in fretta.

L'instabilità
Per non girare a vuoto, l'accidioso non sta mai fermo.
L'accidioso vuol muoversi per ingannare la noia: il monaco accidioso vuole lasciare il suo monastero; il lavoratore accidioso cambia occupazione ogni tre anni; il celibe accidioso cambia amici non appena quelli che ha non gli piacciono più e passa da una donna all'altra; il coniuge accidioso considera subito belle tutte le donne, salvo la propria moglie; il sacerdote accidioso vuole cambiare parrocchia o partire per le missioni, ecc.

Dispersione e diversivi
Parente prossima dell'instabilità, la dispersione è la sorella minore della ricerca di diversivi. L'accidioso si attiva, ma trascura l'unica attività necessaria: il suo dovere presente.

II gusto smodato per la distensione

Come rimediare?
Ritrovare la propria vocazione di figli di Dio
L'accidioso deve scendere nel profondo di se stesso per riscoprire quanto è abitato dal desiderio di Dio, quanto anche l'angoscia e il tedio che lo corrodono siano segni concreti, in negativo, della mancanza della Presenza di Dio. L'accompagnamento spirituale, e a volte psicologico, qui si rivela molto utile.

Vivere il momento presente
L'accidioso fugge il momento presente e vive nell'illusione: preferisce idealizzare il passato (« Una volta, era meglio») o sognare il futuro («Quando finalmente potrò fare questo, tutto andrà meglio»). L'accidioso deve decidere di accogliere ogni istante come un dono e trasformarlo in un atto d'amore. Santa Teresina del Bambino Gesù diceva che «raccogliere uno spillo per amore può convertire un'anima» e che Gesù «in ogni momento mi offre un cibo nuovo».

Riscoprire la preghiera
Non illudiamoci: spesso la preghiera è una battaglia.` Non aspettiamoci di ritrovare il gusto della preghiera per ricominciare a pregare; pregando, questo gusto tornerà... oppure no. L'essenziale è la fedeltà quotidiana. Teresina di Lisieux conobbe quasi costantemente l'aridità della preghiera nel corso dei nove anni che trascorse al Carmelo; questo non impediva che Dio abitasse sempre di più nel suo cuore.

«Rimanere nella propria cella»
In altri termini: rimanere dove siamo, non cambiare rotta. Quando sopraggiunge una crisi di accidia (che è uno degli aspetti di quello che sant'Ignazio di Loyola definisce «tempo della desolazione»), «non dobbiamo rimettere in questione o modificare quello che ci eravamo proposti e la nostra situazione di vita, ma dobbiamo perseverare in quello che avevamo deciso in precedenza»;  assicura l'autore degli Esercizi spirituali.
Resistete alla tentazione di fare «zapping». Il cambiamento esteriore non determinerà un cambiamento interiore. «Non dobbiamo cambiare posto, ma anima», affermava lo stoico Seneca. Nei momenti difficili, solo il passato rimane fermo. Questo è vero a maggior ragione per gli impegni decisivi.

Perseverare
Tutti gli esperti sono unanimi: il demonio della disperazione si combatte con la perseveranza, nella preghiera e nei doveri dello stato. 1 vecchi maestri dello spirito definivano questo rimedio hypomoné: letteralmente, rimanere sotto il giogo. E soave come l'olio di fegato di merluzzo, ma non è stato inventato nulla di più efficace.
San Paolo è formale: «Attendete alle cose vostre» (1 Ts 4,11). «Perseverate, attaccatevi alla ringhiera nella notte, rimanete sotto il giogo, continuate sullo slancio. Rinnovate il vostro dono a Dio nella fedeltà alle piccole cose», raccomanda Dom Nault. Infatti, «la perseveranza è già una forma di speranza», dice Monsignor Schònborn. La resistenza ristabilisce la pace.

Piangere
Giovanni Cassiano avverte: «Quando ci scontriamo con il demonio dell'accidia, allora, con le lacrime, dividiamo la nostra anima in due parti: una che consola e l'altra che è consolata e, seminando in noi buone speranze, pronunciamo con il santo re Davide questa formula: «Perché sei triste, anima mia, e perché mi turbi? Spera in Dio, perché potrò lodarlo, Lui, Salvezza del mio volto e mio Dio».

Praticare l'umiltà
Il Catechismo della Chiesa cattolica lega l'accidia alla superbia: «Un'altra tentazione, alla quale la presunzione apre la porta, è l'accidia. I Padri spirituali la intendono qui come una forma di depressione dovuta al rallentamento dell'ascesi, al venir meno della vigilanza, alla mancata custodia del cuore. «Lo spirito è pronto, mala carne è debole» (Mt 26,41). Più si è in alto, più, quando si cade, ci si fa male. Lo scoraggiamento, doloroso, è l'opposto della presunzione. Chi è umile non si stupisce della sua miseria: questa lo porta a una maggior fiducia, a rimanere fermo nella costanza» (n. 2733).

Non fuggire nel sonno
«Io piango nella tristezza», dice il Salmista (Sal 118/119,28). ipersonnia (dormire troppo) è anormale come l'insonnia. È spesso una fuga dalla realtà. Giovanni Cassiano spiega che combattere l'accidia presuppone che «non si ceda alla prostrazione del sonno» e che « si dedichi al sonno il tempo e la misura stabiliti dalla regola», cioè dal reale bisogno.

Agire a tempo debito
Smettete di rimandare le decisioni importanti. Vi si prospetta una mattinata libera? Invece di precipitarvi a sistemare i barattoli vuoti di marmellata in cantina, sedetevi; preparate un elenco delle cose urgenti; effettuate una classificazione in ordine d'importanza; valutate il tempo necessario per ognuna; e cominciate dall'inizio dell'elenco. Prevedete di concedervi una «ricompensa» se avete fatto quello che dovevate!
Raissa Maritain scriveva:
«I doveri di ogni momento nella loro parvenza oscura celano la verità del divino Volere, sono come i sacramenti del momento presente».

Prendere iniziative
Non capite che gli altri (coniuge, amici, colleghi) ne hanno abbastanza di decidere sempre per voi? Lo spirito di conciliazione non coincide con il disimpegno. Smettete di essere vagoni, di tanto in tanto fungete da locomotiva. Smettete anche di lasciare che gli avvenimenti decidano al vostro posto e le situazioni si guastino, giustificandovi: «Questa relazione metà amichevole e metà amorosa con la mia segretaria non è sana, ma, comunque, lei se ne andrà tra tre mesi. Precipitare le cose farebbe male a tutti e due», oppure: «Ho fiducia nella Provvidenza, non cerco di controllare tutto». Resta il fatto che voi state perdendo totalmente il controllo!

Combattere l'ozio
L'ozio è il padre di tutti i vizi. I Padri del deserto insistevano sull'importanza del lavoro manuale per il monaco e proibivano ai novizi di rimanere inattivi: «Il monaco che lavora è tentato da un solo demonio, ma quello che sta in ozio è preda di innumerevoli spiriti», dice Giovanni Cassiano. Un consiglio di papa Giovanni XXIII: «Devo fare ogni cosa, recitare ogni preghiera, osservare ogni regola, come se non avessi nient'altro da fare, come se il Signore mi avesse messo al mondo unicamente per fare bene questa azione, e al buon compimento di essa fosse legata la mia santificazione, senza tener conto di ciò che precede o di ciò che segue».

Non rimettere in questione gli impegni
L'accompagnamento di un padre spirituale
Nel dubbio, è saggio affidarsi a una persona di giudizio e a cui si possa accordare fiducia

 

In conclusione

L'eremita sant'Antonio un giorno si lamentò contro il Signore mentre non cessava di combattere contro il Tentatore durante una notte oscura: «Signore, dov'eri durante queste interminabili tentazioni?». Il cielo rimase silenzioso. Sant'Antonio continuò, a voce più alta: «Perché non ti sei manifestato prima per far cessare i miei tormenti?». Risposta di Dio: «Io ero presente, Antonio, ma aspettavo, per vederti combattere».
Non è un caso che l'elenco dei nostri cari peccati cominci con la superbia e si chiuda sull'accidia.` Questi peccati capitali sono i più «antiteologali» : quelli che staccano più radicalmente ma anche nel modo più sottile l'uomo da Dio. L'accidia è l'ultimo vizio perché la sua prima figlia è la disperazione. E la disperazione è la fine di ogni tentazione. Un'anima che dispera non crede più che la salvezza sia possibile; non si affida più a Dio, si guarda e prova disgusto. Diventa preda della «bestemmia contro lo Spirito Santo» (Mt 12,31), il rifiuto di credere che la misericordia divina sia più grande del nostro peccato. Ma Dio andrà sempre più in basso del fondo di miseria in cui la bassezza del peccato ci avrà lasciati cadere.

 

Fonte: http://www.daras.org/materiale/ACCIDIA.doc

Sito web da visitare: http://www.daras.org

Autore del testo: sopra indicato nel documento di origine

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