Stampa tipografica tecnica della

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Significato dei termini utilizzati nei libri

 

Stampa tipografica tecnica della

Stampa tipografica, tecnica della nella tipografia antica, dopo essersi assicurati che le pagine nella forma di stampa fossero esattamente a piombo sul loro piede, che non vi fossero cioè margini spostati che potessero lasciare uscire qualche lettera, e che il registro delle pagine fosse perfetto, vale a dire che le pagine che componevano la forma fossero tutte bene allineate, si procedeva alla chiusura della forma nel telaio. Per questa operazione occorrevano serraforme di lunghezza proporzionata alle pagine da chiudere. Siccome la chiusura della forma influiva grandemente sul registro, sul sollevamento del materiale e sulla squadratura delle pagine, essa doveva essere fatta con cura e a più riprese, facendo in modo che le colonne rimanessero chiuse. La forma, al primo grado di chiusura, era battuta col battitoio per abbassare i caratteri rimasti eventualmente sollevati. Dopo non andava alzata di colpo, ma appena sollevata, per assicurarsi, premendo con le dita sulle varie parti della composizione, che tutto fosse ben fermo. La forma di stampa, era quindi pronta per essere posta sulla pietra. Va ricordato che la carta utilizzata per la stampa tipografica, a differenza di quella per scrivere, non era collata, o comunque subiva un procedimento di collatura molto leggero, al fine di ricevere meglio l’impronta dell’inchiostro. I fogli da stampare, la vigilia del loro uso, erano immersi in un mastello d’acqua e poi aperti e disposti su un ripiano qualche ora dopo erano voltati e schiacciati da pesi, per far uscire l’acqua in eccesso. Il giorno successivo, la carta così inumidita era trasportata su dei banchi disposti a fianco del torchio, pronta per essere stampata. Si procedeva quindi all’inchiostratura della forma di stampa posta sulla pietra, mediante i mazzi. Inchiostrata la forma, il foglio di carta era fissato al timpano con delle puntine, quindi su di esso si abbassava la fraschetta la quale aveva la funzione di impedire che il foglio potesse sporcarsi d’inchiostro nelle parti bianche, mentre l’effetto combinato timpano- fraschetta uniformava la pressione della platina. Il carro era fatto scorrere mediante una ruota detta molinello, azionata dal tiratore o torcoliere. Il torcoliere agendo sulla barra, faceva scendere la platina, e premeva il foglio inumidito serrato tra la fraschetta e il timpano sulla pietra, dove si trovava la forma con i caratteri di metallo inchiostrati. In alcuni esemplari è ancora possibile osservare i segni dovuti alla pressione della forma sulla pagina, cioè lo specchio di stampa il quale era più grande della parte stampata. Quando la vite si abbassava portando la platina in contatto con il timpano spingendo il foglio sui caratteri inchiostrati della forma, per evitare che la vite girasse insieme al piano questa era legata a una scatola quadrata in legno detta bussola, montata intorno alla vite tramite quattro cordicelle ad altrettanti uncini collocati negli angoli della platina. Il contatto tra la platina e la vite era esercitato solamente tramite la punta della bussola, detta pirrone, che ruotava liberamente in una piccola tazza al centro del piano, consentendo d’imprimere sul foglio l’impronta inchiostrata dei caratteri. J. Moxon fornisce un’ampia descrizione di questa parte del torchio e del suo funzionamento. Dopo aver impresso un lato (bianca) il foglio era staccato dalla fraschetta ed era messo ad asciugare quest’operazione rischiava però di creare in alcuni casi una controstampa, cioè delle impressioni prodotte sui fogli contigui dal contatto con quelli in cui l’inchiostro non si era ancora asciugato. La preparazione della forma di stampa era un’operazione delicata. Infatti quando la platina entrava in contatto con la forma, doveva incontrare una superficie livellata e uguale in ogni sua parte. Nel caso in cui il compositore avesse lasciato una parte della forma di stampa vuota, l’incontro con la platina avrebbe fornito un’impressione squilibrata rischiando di rovinare il foglio e di danneggiare i caratteri. Per ovviare a questa possibilità nel quattrocento i tipografi mettevano dei blocchi di caratteri generalmente tolti da una pagina appena stampata i quali erano impressi in bianco, cioè non inchiostrati, che il mazziere doveva stare attento a non inchiostrare, altrimenti sarebbero stati stampati dei brani di testo completamente fuori luogo, suscitando grande perplessità del lettore. Questi caratteri sono chiamati in italiano caratteri in bianco mentre in inglese sono detti blind impression e in tedesco stützsatz. Nel cinquecento invece, gli stampatori colmavano questi vuoti con fregi, finalini e altri elementi decorativi. (V. Anche offset pianocilindrica rotativa rotocalcografia stampa digitale). Bibliografia: baldacchini 1992 barbieri 2006 gaskell 1995 pastena 2013a romani 2004 zappella 2001-2004.

 

Fonte: http://www.cricd.it/pages.php?idpagina=13&idContenuto=6151

Sito web da visitare: http://www.cricd.it/

Autore del testo: Carlo Pastena C.R.I.C.D.

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