Tapa

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Significato dei termini utilizzati nei libri

 

Tapa

Tapa nome dato ai prodotti della lavorazione della corteccia d’albero, per lo più definiti con il termine polinesiano di tapa o kapa, in inglese definita anche quasi paper (tsien 1987, 354). Nel mondo latino, era diffuso l’utilizzo della pellicola vegetale che separa la corteccia dell’albero dal legno, chiamata in latino liber, la quale lavorata era utilizzata come supporto scrittorio. In maniera autonoma rispetto al mondo greco-romano, la lavorazione della corteccia d’albero è presente in tutto il mondo, anche in una fascia intorno all’equatore delimitata dai tropici. Il materiale di partenza è la parte morbida e interna della corteccia degli alberi (il liber), e dei cespugli (libro), preferibilmente della famiglia delle tiliacee. Il libro è estratto fresco dal durame sotto forma di larghe strisce e poi battuto su un supporto duro fino a ottenere un tessuto fibroso simile a uno spesso foglio di carta. Durante la lavorazione il materiale si allunga e si allarga e poi il foglio ottenuto è fatto asciugare all’aria. Questa semplicissima tecnica potrebbe essere stata sviluppata nel paleolitico superiore. La tapa può essere considerata come diretta precorritrice della carta. Nell’asia orientale e sudorientale inoltre, a seconda della regione, sono utilizzati cespugli di alloro, di ibisco o di gelso: il così detto gelso da carta è la varietà preferita. I procedimenti di fabbricazione variano innanzi tutto nel sistema di preparazione della parte di tronco chiamata libro (lavaggio, pulitura, bollitura in lisciva) e nel trattamento successivo del non-tessuto così ottenuto (coloritura, impermeabilizzazione). I non-tessuti sono utilizzati come feltri per decorazione, imballaggio, abbigliamento e come supporto per la scrittura. In origine, nell’arcipelago indonesiano, era diffuso il così detto deloewang un tipo di tapa che è possibile ritrovare nelle sepolture antiche. Il materiale prodotto oggi con questa denominazione è una carta realizzata con una metodologia molto semplice. La tecnica tapa, partendo dalla cina meridionale, si è diffusa, nella regione del pacifico, assieme alla coltura del gelso da carta e alla così detta cultura lapita, da ovest verso est e verso nord. I risultati più eccellenti ricavati con la tecnica tapa, soprattutto per quanto riguarda la finezza dei materiali e le decorazioni, sono stati raggiunti a tonga e nelle isole hawaii. Le numerose varianti di tapa del centro e sud america provengono quasi tutte dal libro di alcuni tipi di ficus mentre le antiche civiltà progredite del messico, per realizzare il loro materiale per la scrittura, utilizzavano anche fibre di alcuni tipi di ficus. La tecnica è la stessa per quasi tutte le popolazioni, dalla bolivia al chiapas e allo yucatan: il libro fresco è battuto e lisciato senza ulteriore preparazione. Solamente presso gli otomi (distretto di san plabito, est di città del messico) il materiale è reso morbido e bollito prima di essere battuto in sottili strisce su un asse, con una pietra scanalata la quale è tenuta in mano. La forma corrisponde esattamente alla pietra per battitura utilizzata nell’isola di sulawesi e su altre isole indonesiane, dove, tuttavia, è munita di impugnatura in bambù o rattan. È probabile che ciò sia conseguente all’adozione di una tecnica proveniente dal sud-est asiatico. Anche in africa, come a esempio in camerun, sono state prodotte tapa secondo una tecnica semplice come in sud america. L’utilizzo della parte interna della corteccia come supporto scrittorio è attestato anche nell’america pre-colombiana, presso i maya, come testimoniano i quattro manoscritti che ci sono giunti. Questo materiale, chiamato in nahuatl, una lingua azteca, amatl, si riteneva fosse costituito dalla corteccia del maguey (agave americana), ma gli studi più recenti, hanno mostrato l’infondatezza di questa ipotesi, mostrando che tutti i documenti che ci sono giunti sono stati realizzati con la scorza di una varietà di ficus, dell’ordine delle moraceae. Più specificatamente, nel caso del codice di dresda, l’analisi al microscopio eseguita da r. Schedel nel 1910, ha mostrato, al di fuori di ogni dubbio, che si trattava di fibre di fico queste analisi furono confermate dallo studio degli altri tre manoscritti oggi conosciuti, che hanno confermato l’impiego del ficus cotonifolia, che in lingua maya è chiamato hu’un o hun, un nome dato anche alla carta che si ricava da questa pianta e ai libri fatti con essa. Purtroppo oggi non conosciamo come gli antichi maya fabbricassero la carta con la corteccia di fico, ma un resoconto del botanico francisco hernández, alla fine del xvi secolo, che descriveva la sua fabbricazione nel periodo coloniale fatta dai discendenti dagli aztechi, ci induce a pensare che i maya seguissero la stessa tecnica. (V. Anche libro maya). Bibliografia: coe 1998 tschudin 2012, 66-70 tsien 1987.

 

Fonte: http://www.cricd.it/pages.php?idpagina=13&idContenuto=6151

Sito web da visitare: http://www.cricd.it/

Autore del testo: Carlo Pastena C.R.I.C.D.

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