Preparazione fisica allenamento

Preparazione fisica allenamento

 

 

 

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Preparazione fisica allenamento

 

Preparazione fisica
Allenamento
Il pugile Milone di Crotone, uno dei più famosi atleti dell’antica Grecia che si dice rimase imbattuto per vent’anni, sviluppò la sua forza alzando un vitello tutti i giorni, fino ad arrivare ad alzare sopra la sua testa un bue. Al di là di quanto ci sia di vero in questo, è evidente che, pur senza le conoscenze oggi disponibili, avesse intuito ed applicato alcuni dei principi che sono alla base dell’allenamento sportivo, cioè del processo sistematico mediante il quale si determinano dei cambiamenti nell’organismo che permettono ad un atleta di migliorare il suo livello di prestazione.
Se pensiamo alla parola allenamento viene in mente una persona che suda e fatica per ottenere un risultati in una gara o per modificare il suo corpo aumentando le sue masse muscolari, raramente pensiamo ad una persona che pratichi regolarmente attività motoria cosciente delle valenze positive che questo può significare in relazione alla fase di crescita in cui si trova, quindi non solo incremento delle capacità ma anche mantenimento o rallentamento del decadimento.  
In ogni caso, il concetto che sta alla base dell’allenamento è la capacità dell’organismo di reagire alla fatica prodotta da ripetute esercitazioni adattandosi al fine di poterle in seguito sopportare con minor fatica, oppure di sopportarne di più pesanti.
L’organismo cerca sempre di mantenere costanti una serie di parametri interni come la temperatura, la glicemia, il battito cardiaco ecc. attraverso una funzione detta omeostasi. La reazione dell’organismo a eventuali squilibri può essere di aggiustamento se lo sforzo è breve e in pochi minuti l’organismo ristabilisce l’equilibrio, o di adattamento se le richieste superano un determinato livello a cui l’organismo non è abituato come durante una seduta di allenamento. In questo caso si verificano delle lente ma durature modifiche che riguardano le strutture sollecitate (ossee, muscolari, enzimatiche, psicologiche…). Ad esempio, negli allenamenti per la forza l’organismo reagisce stimolando l’aumento delle masse muscolari che permetteranno di sviluppare una forza maggiore o sopportare più facilmente le stesse sollecitazioni.
L’organismo, sollecitato, si affatica e riduce la possibilità di prestazione per il dispendio energetico. Terminato l’esercizio inizia la fase di recupero durante il quale avvengono tutti gli adattamenti organici e viene reintegrata la quantità di energia consumata. Grazie a questi adattamenti l’efficienza fisica migliora raggiungendo un livello maggiore a quello di partenza: la differenza di questi due livelli si chiama appunto supercompensazione. Se i carichi continueranno ad essere proposti in maniera corretta le prestazioni possono migliorare o mantenersi elevate grazie a questa maggiore disponibilità di energia e alla migliore efficienza organica, se vengono a mancare o sono ridotti si ritornerà al punto di partenza, se invece sono eccessivi o senza adeguato recupero si avrà un sovrallenamento (surmenage) con calo delle prestazioni ed eccessivo affaticamento. Per risolvere tal problematica è necessario ridurre l’allenamento, aumentare i tempi di recupero, curare l’alimentazione (sotto diversi aspetti) utilizzando mezzi fisici (saune, massaggi) farmacologici (integratori salini, vitamine) psicologici (tecniche di concentrazione, rilassamento…).
Mediamente, il tempo di recupero entro cui si verifica la maggiore disponibilità di energia è di 2-3 giorni, dopo i quali si ha un calo e il ritorno ai livelli iniziali.
L’insieme degli stimoli proposti ad un atleta durante l’allenamento determina il carico allenante, le cui caratteristiche principali sono la quantità, cioè quanti km sono stati percorsi o i kg sollevati ecc, e l’intensità, cioè la grandezza dello stimolo, normalmente indicata in percentuale rispetto alla massima prestazione. In caso di corsa viene solitamente utilizzata la frequenza cardiaca massima (correre al 70%) o la velocità/km, negli esercizi di forza possono essere indicati valori assoluti (sollevare 50 kg) o relativi (sollevare il 50% del peso corporeo o della forza massima esplicabile) e la velocità di esecuzione. Negli ultimi anni si è andato affermando un nuovo concetto, quello di densità che è il rapporto quantità/intensità.
Se un esercizio non supera un livello minimo di intensità e non induce fatica, non stimola neppure la reazione di adattamento e quindi la supercompensazione, pertanto non ha effetto allenante.
Tutto questo viene definito carico esterno, ma medesimi carichi di lavoro non producono gli stessi effetti in individui diversi, e anche nello stesso individuo possono produrre reazioni diverse a seconda delle condizioni fisiche, perché ognuno ha un personale reazione che viene definita carico interno.
Da tutto questo risulta evidente la difficoltà di individuare il corretto allenamento di ognuno, dovendo ricercare il corretto equilibrio tra carico esterno e interno, quantità e intensità degli stimoli, perseguibile solo esiste una corretta comunicazione tra atleta e allenatore, il quale deve conoscere i principi dell’allenamento per adattarli alle esigenze del singolo atleta, e non limitarsi ad applicare tabelle predefinite. Risulta altresì evidente come non si possa definire attività allenate quella effettuata a livello scolastico dal momento che passano 7 giorni tra un carico e l’altro.    
Cenni storici
Con la parola Ginnastica si intende comunemente l’attività fisica che ha lo scopo di migliorare le condizioni neuromuscolari del corpo umano attraverso movimenti coordinati secondo esercizi prestabiliti, anche se è più corretto chiamarla educazione fisica in quanto con essa si intende, attraverso l’utilizzo di esercizi fisici, rafforzare anche le capacità intellettuali e morali.
Il nome deriva dal greco gymnastikḗ (téchnē), ovvero arte della ginnastica, in quanto le espressioni acrobatiche del corpo sono state in qualche modo presenti in tutte le grandi civiltà del passato, tanto che i Cinesi hanno probabilmente valorizzato per primi (4000 a.C.) tali arti in cui sono ancora oggi maestri, e i Greci praticarono la ginnastica non come disciplina a sé ma come preparazione a salti, corse, lanci e combattimenti, nonché come parte integrante della formazione dei giovani assieme ad arte e retorica. Non ebbe molto successo tra i Romani che preferirono i combattimenti fra i gladiatori, ma tornò ad essere praticata nel Medioevo come preparatoria al combattimento, e in seguito si arricchì, nel periodo dell’Illuminismo, di contenuti educativi. Si ebbero poi diversi correnti di pensiero, ma solo nel sec. XVIII si giunse a concepire la ginnastica in senso moderno: nel 1793 il tedesco F. Guts-Muths nel suo libro La ginnastica per i giovani dava una prima organica sistemazione agli esercizi ginnici e introduceva l'uso di alcuni attrezzi (pertica, asse d'equilibrio). L'opera del Guts-Muths fu sviluppata dal tedesco F. L. Jahn, che nel 1811 inaugurò la Turnplatz, una grande palestra all'aperto presso Berlino nella quale la ginnastica era praticata come mezzo di formazione del cittadino-soldato, inventando quelli che vengono chiamati “grandi attrezzi” utilizzati attualmente nelle gare di ginnastica artistica, (cavallo con maniglie, sbarre, parallele) e promuovendo le prime manifestazioni ginniche agonistiche. Nello stesso periodo lo svedese P. H. Ling elaborò una metodologia diversa (detta poi ginnastica svedese), i cui esercizi erano strutturati in modo che tutti i muscoli del corpo trovassero sviluppo e armonia, e ideò altri “grandi attrezzi” che troviamo ancora oggi nelle palestre e centri di riabilitazione fisica (spalliera, quadro, scale). Il metodo tedesco e il metodo svedese, variamente compenetrandosi, hanno dato vita alla ginnastica moderna, grazie anche ai contributi dell'inglese T. Arnold che precisò le leggi tecniche che contraddistinguono la ginnastica. In Italia la ginnastica moderna fu introdotta soprattutto da Baumann, seguace di Ling e inventore dell’asse di equilibrio e degli omonimi appoggi, e dallo svizzero R. Obermann, insegnante presso l'Accademia militare di Torino.
La Ginnastica oggi
La ginnastica viene praticata sia in locali chiusi (per esempio palestra) sia all'aperto, con attrezzi o a corpo libero. Secondo i metodi e le finalità perseguite può suddividersi in: attrezzistica o artistica, ritmico-moderna, preparatoria o preatletica, da camera, acrobatica, differenziale, medica, educativa, culturistica.
La ginnastica artistica o attrezzistica è l'unica specialità agonistica e si compone di esercizi ai grandi attrezzi e di esercizi a corpo libero al suolo, eseguiti secondo una tecnica precisa. Tra gli esercizi ai grandi attrezzi si ricordano: verticali, orizzontali, capovolte, croce in verticale e in sospensione agli anelli; esercizi in appoggio e in sospensione alle parallele; oscillazioni, passaggi alternati, trasporti, perni al cavallo con maniglie; oscillazioni, volteggi, gran volta, cambi alle sbarre fisse; esercizi di sospensione e di slancio alle parallele asimmetriche (solo femminile). Gli esercizi a corpo libero sono di scioltezza, flessibilità, agilità e di traslocazione nelle diverse direzioni, posizioni statiche e di equilibrio, esercizi di piccola e grande acrobazia eseguiti secondo regole fisse. Nel quadro delle prove a scopo agonistico il regolamento prevede gare maschili e femminili, individuali e a squadre costituite da sei elementi ciascuna. Il programma normale di un campionato o di un incontro internazionale, settore maschile, comprende sei esercizi obbligatori e sei liberi: agli anelli, al cavallo con maniglie, alle parallele, alla sbarra, volteggio al cavallo e a corpo libero. Nel settore femminile gli esercizi sono quattro obbligatori e quattro liberi: alle parallele asimmetriche, alla trave (o asse d'equilibrio), volteggio al cavallo, a corpo libero (quest'ultimo con accompagnamento musicale). Si redigono classifiche individuali e a squadre, per ogni singolo esercizio e per il complesso delle prove. Annualmente si svolgono campionati nazionali, continentali e mondiali; inoltre la ginnastica attrezzistica o artistica fa parte delle prove olimpiche. La ginnastica ritmico-moderna è specialità femminile; sua caratteristica è che ogni movimento deve interessare tutte le parti del corpo: pertanto esclude tutti gli esercizi eseguiti meccanicamente e con forza. Gli esercizi sono eseguiti anche con l'impiego di piccoli attrezzi e spesso con accompagnamento musicale.
La ginnastica preparatoria o pre-atletica si propone esercizi atti a preparare il fisico agli impegni più intensi e complessi delle singole specialità sportive. Fanno parte della ginnastica preparatoria anche gli esercizi che servono per la preparazione a un'attività professionale (militari, vigili del fuoco, ecc.).
La ginnastica da camera si propone scopi igienico-sanitari realizzabili attraverso esercizi non faticosi che possano essere eseguiti in qualsiasi luogo da persone di qualsiasi età e senza l'ausilio di attrezzi.
La ginnastica acrobatica è, in genere, a fine professionistico spettacolare e può essere eseguita tanto a corpo libero quanto con piccoli e grandi attrezzi; si differenzia dalla ginnastica attrezzistica per la libertà di esecuzione dei singoli esercizi validi: esempi di questa specialità sono dati dai trapezisti e dai funamboli dei circhi.
La ginnastica differenziale è generalmente suddivisa in ginnastica correttiva e ginnastica compensativa: la prima ha come scopo la correzione dei lievi difetti morfologici che si riscontrano frequentemente tra gli alunni della scuola primaria; la seconda tende a equilibrare gli scompensi causati dalle posizioni obbligate di talune attività professionali (per esempio sarti, calzolai), gli scompensi costituzionali (per esempio da adenoidismo), i difetti di minorati fisici e psichici (ciechi, sordomuti, ritardati).
La ginnastica medica ha scopi prevalentemente terapeutici, cioè si propone di ottenere il ripristino funzionale di un arto (ginnastica rieducativa), la correzione di atteggiamenti antifisiologici del rachide (ginnastica ortopedica), lo sviluppo e il potenziamento di un determinato gruppo di muscoli per limitare l'entità di una ptosi pluriviscerale (ginnastica correttiva), la normalizzazione del trofismo muscolare di soggetti debilitati, denutriti, convalescenti di malattie gravi e a lungo decorso (ginnastica miotrofica generale), di facilitare nelle donne il parto (preparazione psicosomatica al parto).
La ginnastica educativa è quella che più integra il concetto generale di educazione fisica: comprende esercizi metodici e giochi ginnici. Gli esercizi metodici sono orientativi (esercitazioni del senso della disciplina), di deambulazione, elementari (per l'educazione psicocinetica), ai piccoli attrezzi, di equilibrio, di salto a volteggio, di appoggio e sospensione. I giochi ginnici sono “movimenti imprecisati” spontanei e veloci; tra essi i quattro cantoni, caccia alla palla, ecc.
Il culturismo, libera attività ginnica, ha come finalità il potenziamento muscolare del corpo; prevede esercizi a corpo libero e l'uso di piccoli attrezzi.
Infine la ginnastica aerobica è una sequenza preordinata di movimenti a corpo libero accompagnata da apposita musica, in modo da non superare le capacità aerobiche del soggetto.
Riscaldamento & defaticamento
Riscaldamento e defaticamento sono due momenti molto importanti sia in occasione di allenamenti che di gare, ma vengono spesso tenuti in scarsa considerazioni, specie dagli atleti più giovani.
Il riscaldamento consiste in una serie di esercitazioni che hanno lo scopo di preparare l’organismo a sostenere con la massima efficacia le attività che seguiranno, e prevenire possibili infortuni.
Le finalità che si prefigge possono essere così sintetizzate:

  • abituare il corpo al cambiamento dallo stato di riposo a quello di lavoro
  • aumentare lievemente la temperatura corporea in modo da ridurre il tempo di latenza e gli attriti tra le varie fibre muscolari, aumentando così la rapidità di contrazione e di rilassamento e diminuendo, nello stesso tempo, i rischi di infortuni muscolari (contratture, stiramenti…); lo stesso discorso vale per le articolazioni (distorsioni…)
  • aumentare la frequenza cardiaca e respiratoria, con conseguente aumento sia della circolazione sanguigna che dell’aria inspirata, e quindi maggior apporto di ossigeno e sostanze utili alla reazioni biochimiche che stanno alla base del lavoro muscolare.
  • preparare psicologicamente alla gara o all’allenamento.

Caratteristiche del riscaldamento
Nella scelta del tipo di riscaldamento da effettuare bisogna tener conto di diversi fattori:

  • Età ed esperienza. In genere con atleti ancora poco esperti viene condotto in modo collettivo, ma nel tempo si dovrebbe arrivare ad una gestione individualizzata.
  • Durata. Può variare a seconda delle condizioni climatiche (temperature basse richiedono maggiore riscaldamento), delle condizioni fisiche, e dell’età (principianti 15/20’, poi aumenta)
  • Tipo di attività. Devono essere scelte in base al tipo di lavoro successivo (attività di tecnica, velocità o potenza richiedono maggiori attenzioni ed esercizi mirati, rispetto a lavori di resistenza aerobica)

In genere si distinguono due fasi:

    • introduttiva: con esercitazioni a carattere generale (corsa lenta, mobilità articolare e stretching)
    • specifica: esercitazioni legate alla singola specialità che si andrà ad affrontare

Per concludere, se l’obiettivo del riscaldamento è quello di preparare alla prestazione successiva, questa dipenderà sicuramente anche dai livelli di motivazione, attenzione e concentrazione; per questo dicevo poco sopra che non bisogna solo considerare gli aspetti fisiologici, ma anche quelli mentali. Al termine di un allenamento o una gara, è importante anche il modo in cui il nostro organismo ritorna alla normalità; i vari organi, sollecitati oltre quello che è il loro funzionamento “normale”, devono essere “aiutati” in questo passaggio, e ciò avviene attraverso il defaticamento che si basa su attività simili a quelle utilizzate per il riscaldamento, quindi pochi minuti di corsa lenta, stretching ed esercizi rilassanti. Questa attività viene spesso ritenuta una “perdita di tempo” ma non è così, specialmente dopo certi allenamenti o gare aiuta moltissimo.
Stretching
Origini
La parola "stretching" è un termine che proviene dall'inglese "to stretch" che in italiano significa allungamento, ed è una metodica che consiste nell'allungamento muscolare e nella mobilizzazione delle articolazioni attraverso l'esecuzione di esercizi di stiramento, semplici o complessi, allo scopo di mantenere il corpo in un buono stato di forma, coinvolgendo muscoli, tendini, e articolazioni.
È arrivato in Europa, e in Italia, sulla scia della ginnastica aerobica e della cultura del tempo libero e della cura del corpo, e le sue origini sono varie, pur se quello più conosciuto è quello codificato da Bob Anderson.
Gli esercizi di stretching sollecitano, oltre alle fibre muscolari, il tessuto connettivo (tendini ecc.) presente nella struttura contrattile. Il tessuto connettivo è estensibile (può essere allungato), ma se non viene regolarmente sollecitato con l'esercizio fisico, in breve tempo perde questa caratteristica essenziale.
Parlando di stretching è anche d'obbligo parlare della mobilità articolare (conosciuta anche come: articolarità, flessibilità, estensibilità, ecc.), che è la capacità di compiere movimenti ampi ed al massimo della estensione fisiologica consentita dalle articolazioni.
Questa capacità è condizionata:
- dalla struttura ossea dell'articolazione;
- dalle sue componenti anatomiche e funzionali (estensibilità di legamenti, tendini e muscoli);
- dalla temperatura dell'ambiente;
- dal livello di riscaldamento del corpo;
- dal momento della giornata in cui si effettua.
È importante ricordare che le fibre muscolari si adattano rapidamente a qualsiasi situazione.
In ogni caso lo stretching è una disciplina terapeutica, e come ogni terapia ha indicazioni e controindicazioni, quindi può far bene o far male, dal momento che la ricerca ha dimostrato che è abbastanza ininfluente sulla prevenzione degli infortuni, mentre può migliorare la prestazione aumentando l'elasticità; per finire, ogni sport ha il "suo" stretching.
Che lo stretching non serva a prevenire gli infortuni è facilmente dimostrabile anche con semplici considerazioni generali:
1) lo stretching aumenta l'elasticità muscolo-tendinea;
2) l'infortunio si attua quando certi limiti elastici vengono superati;
3) con una maggiore elasticità, il gesto atletico sarà migliore e più ampio (miglioramento della prestazione), ma la probabilità di infortunio sarà la stessa.

Con un paragone un po' azzardato è come se lo stretching aumentasse la cilindrata di una macchina: si va più forte, ma questo non fa diminuire le probabilità di uscire di strada!

Fisiologia

I muscoli compiono la loro azione in due modi opposti: contraendosi e rilasciandosi. Un muscolo adeguatamente stimolato si contrae, appena viene interrotta la stimolazione si rilascia. In relazione alla loro funzione quasi tutti i muscoli hanno una controparte complementare: estensori e flessori, adduttori e abduttori, ecc
Quando un flessore (ad esempio il bicipite brachiale) si contrae, il corrispondente estensore (il tricipite brachiale) si rilascia, e viceversa, ma quando un muscolo raggiunge in un tempo troppo ridotto il massimo allungamento, reagisce con un meccanismo di difesa detto riflesso miotatico, che consiste in una contrazione muscolare non volontaria attuata al fine di proteggere il tessuto muscolare e connettivo da eventuali danni. Tanto più veloce sarà l'allungamento, tanto più intensa sarà la risposta del riflesso miotatico.

Effetti dello stretching

In generale lo stretching (escludendo il tipo balistico) riduce la tensione muscolare, quindi è molto utile dopo l’attività fisica, migliora la coordinazione e la propriocezione (cioè la presa di coscienza del proprio corpo), e migliora l'escursione articolare.
A seconda della dinamica utilizzata si possono definire diverse tipologie di stretching.
Stretching balistico
È il primo tipo di allungamento conosciuto e in genere non viene più utilizzato in quanto fa attivare nel muscolo il riflesso miotatico che ordina al muscolo di reagire ad una tensione brusca con una rapida contrazione, con elevato rischio di trauma muscolare; consisteva nel raggiungere la posizione di allungamento e poi iniziare a molleggiare per forzare l'allungamento muscolare oltre il suo normale raggio di movimento.
Stretching dinamico
Questa tecnica assomiglia allo stretching balistico, ma differisce da essa nella modalità di esecuzione degli esercizi. Il concetto è sempre quello di far oscillare gli arti o il busto, ma in maniera controllata e lenta, quindi senza ricorrere a slanci e scatti come avviene diversamente invece nello stretching balistico.
Il movimento consiste nello slanciare gli arti in maniera controllata e lenta arrivando a sfruttare gradatamente tutta l'ampiezza concessa dall'articolazione, evitando l'effetto rimbalzo o il molleggio che causano l'attivazione del riflesso miotatico portando il muscolo a reagire contraendosi anziché distendersi.
È consigliato negli sport in cui sono previsti movimenti ad elevata velocità.
Leggi dello stretching dinamico:
- procedere ad un riscaldamento generale (cardiovascolare) e settoriale (rotazione delle articolazioni: collo, spalle, gomiti, polsi, ecc.);
- iniziare con slanci lenti e sciolti e gradatamente aumentare l'ampiezza oppure la velocità di esecuzione.
- non slanciare in modo incontrollato (tipo stretching balistico).
- controllare il movimento.
- terminare gli slanci quando si manifestano i primi segni di fatica in una diminuzione di ampiezza e velocità.
- non allenarsi quando i muscoli sono affaticati, i muscoli stanchi sono meno flessibili, meno veloci e più soggetti a traumi.
- per sport altamente tecnici (come ad es. il Taekwon-Do) è necessario prestare particolare attenzione all'allineamento dei segmenti corporei.
Stretching statico
È il sistema di stretching più conosciuto, quello codificato da Bob Anderson. Questo sistema di stretching, con le sue posizioni e il suo modo di respirare, prende spunto dallo yoga e fonda la sua pratica in esercizi di stiramento muscolare allo scopo di mantenere il corpo in un buono stato di forma fisica. Si raggiunge l'allungamento muscolare tramite posizioni di massima flessione, estensione o torsione. Queste posizioni devono essere raggiunte lentamente in modo da non stimolare nei muscoli antagonisti il riflesso da stiramento.
Raggiunta la posizione va mantenuta per un tempo da 15 a 30 secondi, è importante che l'estensione non superi la soglia del dolore.
Leggi dello stretching statico:

  • Trazione costante senza molleggi da 10 a 30 secondi.
  • Mai oltre la soglia del dolore.
  • Riscaldamento generale prima dello stretching.
  • Abbigliamento comodo.
  • Ambiente non rumoroso.
  • Suolo non freddo.
  • Concentrazione.
  • Non confrontarsi con altri.
  • Controllo del respiro.
  • Alternare l'estensione dei muscoli agonisti con quelli antagonisti.

Stretching statico attivo

Consiste nell'assumere e mantenere una posizione rilassando il muscolo interessato per un tempo di 20-30 secondi.
Questo tipo di allungamento prevede due fasi:

  • fase di pre-allungamento - si assume la postura lentamente, inspirando prima del movimento ed espirando durante il movimento per assumere la postura voluta. Raggiunta la posizione, si mantiene per una durata massima di 10 secondi senza raggiungere l'allungamento massimo del muscolo interessato
  • fase di sviluppo - si porta il muscolo interessato al massimo allungamento, senza oltrepassare la soglia del dolore, inspirando prima del movimento ed espirando durante il movimento. Assunta la posizione di massima estensione si mantiene per un massimo di 20 secondi.

Stretching statico passivo

Consiste nell'assumere una ben precisa posizione e mantenerla rilassando il muscolo interessato per un certo tempo, in genere dai 20 ai 30 secondi, mediante il supporto di un partner, senza quindi la contrazione dei muscoli agonisti (complementari a quelli che si distendono).
Stretching isometrico

  • P.N.F. Proprioceptive Neuromuscolar Facilitation (facilitazione propriocettiva neuromuscolare).

Questo sistema di stretching è diviso in 4 tempi:

  • Massimo allungamento ma graduale e lento del muscolo
  • Contrazione isometrica per circa 15 - 20 secondi (in posizione di allungamento)
  • Rilassamento di circa 5 secondi
  • Ulteriore allungamento del muscolo contratto precedentemente per almeno 30 secondi

L'intero procedimento è da ripetere per due volte. Usato nella terapia di riabilitazione.

  • CRAC Contract Relax Antagonist Contract (contrazione, rilassamento e contrazione dei muscoli antagonisti).

Simile al P.N.F., si differenzia nella fase finale dell'allungamento. Prevede, infatti, l'intervento attivo (contrazione) dei muscoli antagonisti (in questo caso agonisti del movimento) a quelli che si stanno allungando. Anche in questo caso è necessaria la presenza di un compagno che collabori nella contrazione isometrica iniziale dei muscoli che si vogliono allungare, e che dia anche un ulteriore aiuto, nella fase finale di allungamento, alla contrazione dei muscoli antagonisti. In questo sistema vi è una contrazione e un rilassamento del muscolo agonista quando viene contratto con forza l'antagonista.

  • CRS Contract Relax Stretch (contrazione, rilassamento e stretching).

Basato su una contrazione isometrica del muscolo 10 - 15 secondi, seguita da un rilassamento di 5 secondi e un successivo allungamento.
Stretching globale attivo (o decompensato)
Lo stretching globale attivo si basa sul principio che solo gli stiramenti globali sono realmente efficaci. Gli stiramenti vengono effettuati mediante posizioni che allungano tutta una catena muscolare portando così ad una rieducazione della postura. È una forma di stretching innovativa e consiste nella rieducazione posturale per la prevenzione ed il trattamento delle alterazioni dell'equilibrio tonico dei muscoli e dell'equilibrio neurovegetativo riconducibili, in questo caso, alla pratica sportiva. Lo stretching globale attivo trae i suoi principi dalla Rieducazione Posturale Globale, metodo del "Campo Chiuso", creata da Philippe E. Souchard. L'importanza di questo sistema è che non agisce sul singolo gruppo muscolare ma nella globalità del corpo. Secondo la teoria del creatore di questo sistema, quando eseguiamo un esercizio di stretching classico su un muscolo (o un gruppo muscolare), otteniamo una parte di allungamento delle fibre interessate e una parte di allungamento che viene preso a "prestito" da altri gruppi muscolari. In altre parole, quando si allunga un muscolo, altri gruppi muscolari devono cedere la propria tensione per permettere l'allungamento del muscolo in questione. Tale meccanismo darà una falsa mobilità al muscolo. Questo sistema fa comprendere che ogni volta che si mette in funzione un determinato muscolo, si crea un movimento nell'intera struttura e da ciò si capisce che la struttura dell'uomo è organizzata in catene muscolari. Uno dei principi fondamentali, sfruttati dallo stretching globale attivo, è la globalità che prevede, quindi, l'interessamento di tutti i segmenti del corpo nello stesso momento attraverso la realizzazione di particolari posizioni che evolvono in maniera dolce e progressiva, con l'interessamento della respirazione, verso una posizione finale di massimo allungamento. Un'altra caratteristica necessaria è costituita dalla partecipazione "attiva" dei distretti muscolari interessati dallo stiramento attraverso la contrazione isotonica-eccentrica, ricercandone così il rilasciamento riflesso. Vengono utilizzate 9 (nove) posture, ognuna con la specificità di agire su una serie determinata di "catene muscolari". Nella pratica sportiva, in alternativa allo stretching tradizionale, permette un maggiore allungamento muscolare, controllato attivamente dal soggetto con sequenze coordinate. Ciò realizza un riequilibrio delle tensioni e permette una maggiore economia del sistema con un aumento quindi della performance atletica. Sembra, inoltre offrire una valida prevenzione contro le patologie da sovraccarico muscolo-tendinee.
Mobilità articolare
Qualsiasi movimento del corpo umano è possibile grazie all’intervento attivo dei muscoli che si inseriscono sulle ossa, a loro volte collegate tra di loro tramite specifiche articolazioni, che possono però essere limitate nell’ampiezza di movimento dalle forme anatomiche dei rispettivi capi articolari (epifisi), dalle capsule articolari che le ricoprono, dai legamenti e dai muscoli stessi che le ricoprono.
I muscoli hanno una triplice funzione: alcuni, detti “agonisti”, sono quelli che si contraggono per effettuare lo spostamento del segmento corporeo interessato; vi sono poi quelli “antagonisti”, che rilassandosi permettono il movimento stesso e contraendosi riportano alla posizione iniziale. La terza funzione e quella di fissaggio in una determinata posizione contraendo agonisti  e antagonisti; senza dimenticare i muscoli “direzionali” che indirizzano il movimento.
Abbiamo quindi esercizi attivi, quelli in cui lo spostamento del segmento osseo è effettuato grazie alla forza muscolare degli agonisti, e alla estensibilità degli antagonisti, che consente di raggiungere il limite anatomicamente consentito, ma anche esercizi passivi, dove il movimento viene eseguito senza l’intervento muscolare del distretto interessato, ma per una pressione esercitata dal peso del corpo (allungamento dei muscoli della spalla tramite sospensione ai gradi alti) o interventi esterni. In tal modo si supera il limite anatomico dell’articolazione interessata. Gli esercizi che comprendono azioni attive e passive vengono definiti misti, e la spalliera è uno dei pochi attrezzi che offre una grande possibilità di effettuare esercizi passivi e misti.
Gli esercizi per la mobilità articolare vanno eseguiti in modo da non procurare dolore (!?!), forzando progressivamente e mantenendo la massima escursione articolare per alcuni secondi, ma ripetuti più volte e continuamente. (Se ci pensiamo è la stessa filosofia dello streetching!!!).
Tenendo presente che l’elasticità muscolare e la scioltezza articolare diminuiscono con il crescere dell’età e della forza muscolare, va da sé che diventa importante mantenere questa funzione quando negli allenamenti vengono inseriti esercizi che mirano ad aumentare la forza. 
spalliera
La spalliera, che può essere curva o diritta, fu inventata da Ling, medico svedese, all'inizio dell’800 è un attrezzo formato da sbarre verticali unite con 9 pioli, fatto di legno o anche acciaio.
I pioli della spalliera, numerati dal basso verso l'alto, si dicono “gradi” e si dividono in bassi (1° e 2°), medi (3°, 4° e 5°), alti (6° e 7°) e sporgenti (8° e 9°).
La spalliera può essere usata in esercizi di ginnastica e di riabilitazione, per problemi alla colonna vertebrale, come la scoliosi. Alla spalliera è possibile allegare una panca per addominali o una barra di trazione.
Gli esercizi praticabili con la spalliera possono essere effettuati in sospensione (senza avere contatti col suolo) oppure a terra.
La presa/impugnatura sull’attrezzo può essere di vario tipo: presa palmare (mano appoggiata sul piolo), impugnatura digitale (dita chiuse a pugno), impugnatura dorsale (pollici in dentro), impugnatura palmare (pollici in fuori), mista o a pollici corrispondenti (a dx o sx), carpea


L’eventuale appoggio dei piedi: posati o in presa plantare su un grado, in presa tra due gradi (proni o supini), agganciati tra due gradi (proni o supini), agganciati tra i due gradi più alti


La posizioni di partenza sono innumerevoli e vengono definite in base alla posizioni del corpo rispetto all’attrezzo.
Gli esercizi possibili alla spalliera possono avere molteplici finalità:

  • Mobilità della spalla
  • Rotazione o torsione
  • Mobilità dell’anca
  • Potenziamento arti superiori
  • Potenziamento busto
  • Potenziamento arti inferiori
  • Ginnastica all’attrezzo: esercizi di coordinazione, agilità, equilibrio, tenuta… propedeutici a quelli che sono alcune posizioni e movimenti fondamentali in diversi sport, non solo Ginnastica Artistica (Ponte - Verticale - Esercizi propedeutici agli ostacoli o al salto con l’Asta)

  • Traslocazioni: in sospensione, in appoggio, doppio appoggio, appoggio e sospensione, verticale, orizzontale, obliqua…

L’unico limite sono la fantasia nelle proposte che tendono a migliorare la forza, la coordinazione, l’agilità, il coraggio…
Piccoli attrezzi
Funicelle: si possono utilizzare come riscaldamento in sostituzione della corsa lenta, implicano un intervento più reattivo dei piedi, quindi vengono utilizzate soprattutto da saltatori e velocisti; utili anche per la coordinazione richiedendo l’uso degli arti superiori. Si utilizza una grande varietà di saltelli, sia sul posto che in avanzamento. Specie con i più giovani interessante anche l’uso della corda rotante, sia quella orizzontale, che ruota a ritmo uniforme, variato, a onda con i ragazzi che devono variare i salti e il ritmo in base a quello della corda, che quella gigante che si può fare sia singolarmente che a gruppi, sviluppando anche in questo caso il senso del ritmo.
Over (ostacolini): il loro utilizzo permette di lavorare molto sulla reattività dei piedi, ma anche sul ritmo, sulla percezione dello spazio (modificando la distanza), oltre ad essere ovviamente propedeutici alla corsa ad ostacoli.
Bacchette: permettono di fissare la posizione degli arti superiori in particolari esercizi per l’escursione articolare della spalla, combinazione motoria di diversi movimenti degli arti superiori, nonché propedeutici agli esercizi di potenziamento con bilancere; sconsigliabile il loro utilizzo come la limitatori di spazio nei saltelli.
Cerchi: utili per il miglioramento della manualità con vari esercizi di rotolamento, lancio e ripresa, propedeutici al Disco, alle esercitazioni di balzi, come delimitatori di spazi negli esercizi di corsa.
Cinesini: Servono a delimitare percorsi, disegnare raggi di curva (esercizi per Alto)
Palle di varie dimensioni e peso, Palle mediche: Tutti gli esercizi di Ball-handing per migliorare la manualità, per poi passare alla propedeutica dei lanci, e agli esercizi per il potenziamento di braccia, busto e gambe.

Fonte: http://mosso.iisbona.biella.it/didattica/edfisica/5-Preparazione%20fisica1.doc

Sito web da visitare: http://mosso.iisbona.biella.it

Autore del testo: I.I.S. “E. Bona” sede di Mosso

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