Stretching classificazioni

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Stretching classificazioni

 

CLASSIFICAZIONI DI STRETCHING
Dott.ssa Fracca Ilenia

 

Gli esercizi di stretching sono praticati attraverso innumerevoli modalità, soprattutto dettate dal grado d’allenamento dell’atleta a cui vengono proposti, nonchè dalla specificità della disciplina sportiva praticata. E’ comunque possibile classificare lo stretching in sette categorie tecniche che prevedono modalità esecutive diverse tra loro.

 

1. Lo stretching statico
Le tecniche di stretching statico sono basate sul raggiungimento ed il mantenimento, per un certo lasso di tempo, della massima posizione di allungamento possibile da parte dell’atleta.

Questo tipo di tecnica, che presenta delle forti attinenze con la tecniche praticate nella disciplina dello hatha yoga, presenta alcuni innegabili vantaggi che sinteticamente possono essere elencati nei seguenti punti:
- E’ sicura, di facile apprendimento e d’altrettanto semplice esecuzione.
- Richiede un dispendio energetico molto contenuto.
- Permette di by-passare la problematica inerente il riflesso da stiramento.
- Se praticata in modo sufficientemente intenso, può indurre un rilassamento muscolare riflesso indotto dall’azione degli OTG (organi muscol-tendinei del Golgi).
- Permette dei cambiamenti strutturali, in termini d’elongazione, di tipo semi-permanente.

Il principale svantaggio che lo stretching statico presenta, è la sua mancanza di specificità.
In effetti la maggior parte delle discipline sportive contempla dei movimenti dinamici di tipo balistico, durante i quali l’UMT deve sopportare delle elongazioni violente e repentine. Lo stretching statico, pertanto, si presenta come scarsamente specifico nei confronti di tali situazioni.

 

2. Lo stretching passivo.
Nello stretching passivo, l’atleta è completamente rilassato e non partecipa attivamente al raggiungimento dei diversi gradi del ROM (range of motion), che invece sono raggiunti grazie all’applicazione di forze esterne create manualmente, come nel caso d’aiuto da parte di un terapista o di un compagno, oppure meccanicamente, grazie ad una strumentazione specifica. Questo tipo di tecnica è normalmente utilizzata in ambito riabilitativo, soprattutto nel caso in cui l’estensibilità del muscolo sottoposto ad allungamento sia limitata dall’azione degli antagonisti e dal tessuto connettivo.

Tra i vantaggi che l’allungamento passivo presenta possiamo elencare:
- La sua efficacia nel caso in cui i muscoli preposti all’allungamento attivo, ossia la muscolatura agonista, risultino troppo deboli per poter svolgere detto compito.
- Si dimostra particolarmente efficace, quando altri tentativi, effettuati con differenti tecniche d’allungamento, hanno fallito nel tentativo di ridurre le tensioni muscolari presenti.
- Permette un allungamento che può andare al di là del ROM attivo.

Tra i possibili rischi dell’allungamento passivo, possiamo annoverare il rischio di lesione che può presentarsi nel caso in cui la differenza tra il range di flessibilità attiva e quello di flessibilità passiva sia cospicuo . Inoltre, dal momento che il livello di flessibilità passiva non risulta correlato con il livello di attività sportiva , quest’ultima deve necessariamente essere supportata da un parallelo programma di lavoro costituito da esercizi di flessibilità attiva.

 

3. e 4. Lo stretching balistico e lo stretching dinamico
Lo stretching balistico prevede una tecnica esecutiva di tipo ritmico e “rimbalzante”, il cui scopo è quello di forzare il movimento stesso verso i limiti massimi del ROM.
Questa metodologia di allungamento è la più criticata, vista la sua potenziale pericolosità in termini di possibili danni muscolari provocabili.

I principali svantaggi di questo tipo di pratica sono:
- L’esiguità del tempo d’allungamento non permette di fatto un adeguato adattamento dei tessuti nei confronti dell’elongazione stessa.
- La repentinità dell’allungamento comporta il manifestarsi del riflesso miotatico da stiramento, che a sua volta comporta un’obiettiva difficoltà nell’ottenere una soddisfacente elongazione del tessuto connettivale.
Soprattutto per questi motivi, di norma si preferisce adottare uno stretching dinamico piuttosto che di tipo balistico.

La sostanziale differenza tra queste due metodologie di lavoro è costituita dal fatto che nello stretching dinamico, al contrario di quello balistico, il movimento non prevede un’esecuzione “rimbalzante” e, soprattutto nella fase finale dell’esercizio, la velocità esecutiva globale è molto più controllata.
Un’ulteriore differenza tra stretching dinamico e stretching balistico, consiste nel fatto che, nel primo caso il movimento è eseguito in modo controllato sino ai limiti del proprio ROM, mentre nel secondo si cerca di forzare il movimento stesso oltre il ROM naturale. Tuttavia bisogna sottolineare, che per ottenere il massimo vantaggio da un programma rivolto alla flessibilità, occorre che gli esercizi proposti siano velocità-specifici, in altre parole è necessario che la velocità d’allungamento adottata nel programma di stretching, sia la più sovrapponibile possibile a quella che si riscontra durante l’esecuzione dei gesti tecnici specifici nell’ambito della disciplina praticata. In osservanza a questo presupposto quindi, lo stretching balistico, nonostante la sua potenziale pericolosità, presenterebbe una maggiore specificità rispetto a quello dinamico.
Una soluzione di “compromesso” in tal senso, sembrerebbe essere quella proposta da Zachazewski , il quale consiglia l’adozione di un programma di stretching a velocità di flessibilità progressiva (PVFP, progressive velocity flexibility program), preceduto da un’adeguata fase di riscaldamento. In pratica, si tratta di adottare un programma di lavoro in cui, la velocità e l’ampiezza dell’allungamento vengono aumentate progressivamente, permettendo in tal modo un graduale adattamento delle strutture muscolo-tendinee, arrivando quindi ad affrontare i movimenti di stretching balistico minimizzando il rischio d’incidente.

 

5. Lo stretching attivo
Lo stretching attivo, altrimenti definito anche con il termine di stretching attivo/statico, è basato sull’utilizzo di tecniche che comportano il raggiungimento, ed il conseguente mantenimento, della massima posizione di allungamento, conseguita unicamente grazie ad una contrazione muscolare attiva. Le tecniche di stretching attivo, quindi escludono qualsiasi intervento esterno che assista o favorisca il raggiungimento e/o il mantenimento della posizione desiderata.
Inoltre lo stretching attivo può essere ulteriormente suddiviso in altre due categorie, la prima denominata “totalmente attiva” e la seconda “resistiva”.
Nella prima categoria ritroviamo esclusivamente tecniche effettuate senza l’aggiunta d’alcuna resistenza, mentre la seconda prevede l’applicazione di una resistenza esterna nel corso dell’esecuzione dell’esercizio d’allungamento.
Entrambi i tipi di tecniche sono in grado d’aumentare sia la flessibilità, che la forza della muscolatura agonista. E’ altresì importante ricordare che, durante l’esecuzione di un’esercitazione di stretching attivo, la tensione della muscolatura agonista contribuisce al rilassamento della muscolatura antagonista (ossia quella sottoposta ad allungamento), grazie al fenomeno dell’inibizione reciproca.
Lo stretching attivo si dimostra particolarmente interessante soprattutto per il fatto che la flessibilità dinamica in tal modo sviluppata, dimostra un’attinenza molto maggiore nei confronti del risultato sportivo specifico, rispetto alla flessibilità di tipo passivo.

Durata della posizione di allungamento secondo alcuni Autori 
(da “Ginnastica correttiva” di F. Tribastone - integrata S. Beraldo)


Anderson B. (1980)
Beaulieu J.E. (1981)
Bellucci M. (1996)
Corbin C.B. e Noble L. (1980)
Crepaz P. (1990)
Holt L.E. (1973)
Humphrey L.D. (1981)
Lissoni A. (1985)
Manno R. (1989)
Norris C.M. (997)
Shellock F.G. e Prentice W.E. (1985)
Solveborn S.A. (1983)
Sternad D.(1988)
Tribastone F. (1994)
Weiss U. (1984)
Wirhed R. (1985)

dai 5 ai 30-60 secondi
dai 30 ai 60 secondi
dai 10 ai 30 secondi
almeno 6 secondi
dai 10 ai 30 secondi
dai 5 ai 10 secondi
dai 30 ai 60 secondi
dai 20 a 30 secondi e più
circa 30 secondi
fino a 30 secondi
30 secondi
dai 10 ai 30 secondi
dai 10 ai 20 secondi
dai 30 ai 60 secondi
dai 5 ai 30 secondi
circa 30 secondi

 

6. Lo stretching isometrico
Lo stretching isometrico è un tipo di tecnica che comporta la contrazione isometrica della muscolatura sottoposta ad allungamento, più specificatamente questo tipo di allungamento si compone di tre parti distinte:
-  Inizialmente si assume la posizione di stretching passivo desiderata.
- Si effettua una contrazione isometrica contro una resistenza esterna inamovibile (generalmente un compagno, oppure il pavimento od una parete) per un periodo di tempo normalmente compreso tra i 7 ed i 15 secondi.
- Infine si rilassa il muscolo contratto in precedenza per un ulteriore periodo della durata di perlomeno 20’’.
Lo stretching isometrico è considerato come una delle migliori ed efficaci tecniche rivolte allo sviluppo della flessibilità statico-passiva e si dimostra normalmente maggiormente efficace dello stretching attivo o passivo utilizzati singolarmente. Inoltre questo tipo di tecnica contribuirebbe notevolmente alla diminuzione della sensazione dolorosa associata all’allungamento .
Tuttavia, dato che il forte allungamento muscolo-tendineo che la contrazione isometrica produce, può costituire un fattore di rischio per l’integrità tendinea e connettivale, è sconsigliabile ai bambini ed agli adolescenti .

 

7. Facilitazione Propriocettiva Neuromuscolare (PNF stretching)
Allo stato attuale delle conoscenze il PNF stretching, è considerato come la miglior tecnica grazie alla quale è possibile massimalizzare la flessibilità statico-passiva. In realtà il PNF stretching (PNF è l’acronimo di Facilitazione Propriocettiva Neuromuscolare), costituisce una combinazione tra lo stretching passivo e quello isometrico. Il principio di base di queste tecniche si basa sull’allungamento passivo del gruppo muscolare considerato, che viene in seguito contratto isometricamente contro una resistenza inamovibile ed in ultimo nuovamente allungato passivamente grazie all’intervento di un compagno o del fisioterapista, raggiungendo in tal modo un ROM accresciuto.
Le tecniche di PNF stretching maggiormente utilizzate sono:

  • La tecnica di contrazione rilassamento (CR): nella tecnica di CR, anche denominata hold-relax technique, il muscolo antagonista viene prima allungato passivamente dall’operatore, in seguito viene richiesta all’atleta una contrazione isometrica della muscolatura allungata contro la resistenza fornita dall’operatore della durata di circa 7-15 secondi, dopo di che il muscolo viene brevemente rilassato per 2-3 secondi ed infine nuovamente allungato passivamente per circa 10-15 secondi. La pausa che occorre rispettare tra due tecniche di CR consecutive è di circa 20 secondi.
  • La tecnica contrazione-rilassamento-contrazione (CRAC): questa tecnica, conosciuta anche come hold-relax-contract oppure contract-relax-antagonist-contract, comporta, dopo una prima fase di allungamento passivo, due contrazioni isometriche, la prima dell’antagonista e la seconda a carico dell’agonista, in seguito, come nella tecnica precedente, si effettua un’ultima fase di allungamento passivo. Il razionale scientifico su cui si basa la tecnica CRAC è costituito sempre dal principio neurofisiologico dell’inibizione reciproca, secondo il quale la contrazione dell’agonista comporterebbe un ulteriore rilassamento dell’antagonista (ossia del muscolo sottoposto ad allungamento). La tecnica CRAC è in grado, di garantire il maggior guadagno in termini d’incremento del ROM, anche se occorre non sottovalutare la sensazione di dolore che è possibile indurre nel paziente.
  • La tecnica mantenimento-rilassamento-oscillazione (hold-relax-swing technique): sia questo tipo di stretching, che un’altra tecnica similare, denominata mantenimento-rilassamento-rimbalzo (hold-relax-bounce technique), costituiscono due metodi di lavoro simili alla già descritta tecnica di CR. La differenza risiede nel fatto che, in questi due tipi di stretching, la parte finale di allungamento passivo è sostituita da una fase di stretching balistico.

La potenziale pericolosità insita in questi tipi d’allungamento non è da sottovalutare, ed in ogni caso, queste sono da considerarsi come delle tecniche proponibili solamente ad atleti che abbiano raggiunto un notevole grado di sensibilità e controllo del riflesso miotatico da stiramento, come ad esempio i ginnasti od i ballerini.


Iashvili A.V. Active and passive flexibility in athletes specializing in different sports. Soviet Sports Review. 18(1): 30-32, 1983.

Zachazewski J.E. Flexibility for sports. In : Sports physical therapy. Ed. B. Sanders, 201-238. Norwalk, 1990.

Zachazewski J.E. Flexibility for sports. In : Sports physical therapy. Ed. B. Sanders, 201-238. Norwalk, 1990.

Kurz T. Stretching Scientifically: A guide to flexibility training. Island Pond Stadion Ed., 1994.

Moore M.A., Kukulka C.G. Depression of Hoffman reflexes following voluntary contraction and implication for propioceptive neuromuscular facilitation therapy. Physical Therapy. 71(4): 321-333, 1991.

Fonte: http://www.dsnm.univr.it/documenti/OccorrenzaIns/matdid/matdid103353.doc

Sito web da visitare: http://www.dsnm.univr.it/

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