Il periodo della resistenza in Italia

Il periodo della resistenza in Italia

 

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

 

 

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

 

 

 

Il periodo della resistenza in Italia

La Resistenza italiana

 

I "quarantacinque giorni" di Badoglio.

La caduta del regime fascista e l'armistizio (25 luglio e 8 settembre 1943) aprirono per l'Italia un periodo difficile e drammatico, ma anche ricco di significato e di nuove prospettive civili e politiche.  Dopo vent’anni di regime dittatoriale, il Paese si trovava di fronte al compito di determinare il proprio futuro. La destituzione di Mussolini a opera del re e delle gerarchie del regime fascista rispondeva a una logica precisa: impedire che la Corona e l'intero Stato venissero travolti nel crollo del fascismo. “Il fascismo - scrive lo storico Paul Ginsborg - invece di essere rovesciato da una rivolta popolare, veniva distrutto da un colpo di stato dall'alto che preservava il predominio e la libertà d'azione dei tradizionali gruppi dirigenti della società italiana.” La monarchia e l'esercito avrebbero dovuto rappresentare la continuità delle istituzioni: per questa ragione il governo era stato affidato al maresciallo Pietro Badoglio, che dal 1919 aveva ricoperto i massimi incarichi militari.  Non a caso, nei 45 giorni che intercorsero tra il 25 luglio e l'8 settembre 1943 Badoglio represse con estrema durezza ogni manifestazione popolare di carattere politico, provocando 93 morti e diverse centinaia di feriti.  Mantenere l'ordine interno fu la principale preoccupazione del governo Badoglio, che, dopo avere proclamato “La guerra continua.  L'Italia manterrà fede alla parola data”, trattava segretamente l’armistizio con gli Alleati.  Nel frattempo, le divisioni tedesche di Rommel entravano in Italia, occupandone il territorio, secondo un piano già abbozzato nel mese di maggio.  La stessa fuga di Vittorio Emanuele e di Badoglio a Brindisi ebbe il significato politico di preservare la continuità dello stato, nella figura del re: con questa decisione, peraltro, Roma e tutta la parte centro-settentrionale del Paese vennero abbandonate nelle mani dell'ex alleato.

 

La Scelta

“Mezza Italia è tedesca, mezza è inglese e non c'è più un’Italia italiana”, si legge nel diario di Lino dei primi partigiani, alla data del 9 settembre 1943.  Nello sfascio generale del Paese, nello sbandamento dell'esercito, nella completa latitanza delle istituzioni molti si trovarono di fronte alla necessità di compiere una scelta fra la rassegnazione e la volontà di agire per un ideale di riscatto personale e collettivo.  Da questa scelta nacque la Resistenza italiana. L'esercito, lasciato senza ordini dopo l'armistizio, si dissolse, e nella sua disgregazione si rifletteva quella del Paese.  Il Comando supremo lasciò ai comandanti libertà “di assumere nei confronti dei tedeschi quell'atteggiamento che apparirà meglio adeguato alla situazione”, proibendo nel contempo di prendere “iniziativa di atti ostili contro i germanici”. Intere divisioni capitolarono senza colpo ferire: i tedeschi fecero 393000 prigionieri nei Balcani e 415000 in Italia.  I 5-6000 soldati italiani che opposero resistenza ai tedeschi nei Balcani e nell'Egeo furono uccisi in battaglia e molti altri dopo la resa (5170 uomini furono fucilati a Cefalonia).  Circa 700000 militari furono internati in Germania e in Polonia a lavorare per il Reich. Molti soldati gettarono armi e divise e cercarono di tornare a casa; altri ancora presero la via della montagna. “I soldati che attraversavano l'Italia affamati e seminudi - scrive Giaime Pintor, un partigiano caduto nel 1943 - volevano soprattutto tornare a casa, non sentire più parlare di guerra e di fatiche.  Erano un popolo vinto: ma portavano dentro il germe di un'oscura ripresa: il senso delle offese inflitte e subìte, il disgusto per l'ingiustizia in cui erano vissuti.” Oltre che dai soldati, le prime bande partigiane furono formate da militanti antifascisti, da intellettuali, operai compromessi con gli scioperi, da giovani che volevano sfuggire all'arruolamento nell'esercito della repubblica di Salò.  Le file a poco a poco si ingrossarono e dai 9000 partigiani combattenti di fine 1943 si arrivò agli oltre 200000 della primavera 1945.

 

I diversi aspetti della Resistenza

La Resistenza italiana fu un fenomeno complesso, al cui interno, secondo lo storico Claudio Pavone, convissero e si intrecciarono tre tipi di conflitto: una guerra patriottica, condotta per la liberazione del Paese dall'occupazione tedesca; una guerra civile, che oppose partigiani e fascisti della repubblica di Salò; una guerra di classe, che legava l'obiettivo della lotta contro il nazifascismo alla rivoluzione sociale. Vi era nel movimento partigiano una grande eterogeneità di provenienza sociale e di appartenenza politica. Borghesi, contadini, operai, intellettuali, militari, studenti maturarono nella lotta diverse aspirazioni, esperienze, motivazioni. Taluni vi videro la realizzazione di un ideale di libertà universale; altri la militanza in favore di un principio cristiano di dignità e di fratellanza; altri l'ideale patriottico ( Documenti n°1), una volontà di "risorgere a nazione", che si poneva in continuità con il Risorgimento; altri ancora il primo passo verso la costruzione di un ordine sociale e politico più giusto. Molto spesso diverse motivazioni si mescolavano nella stessa persona.  Ma al di sotto di queste differenze - che pure ebbero il loro peso - viveva un'aspirazione comune: un desiderio di riscatto, di autonomia, di libertà di scelta dopo un lungo periodo in cui avevano dominato la forzata passività, l'apatia, l'indifferenza verso una realtà in cui ogni cosa era già decisa e determinata dall'alto (Documenti n°2).  Non si trattò comunque di un'adesione facile o indolore: la partecipazione alla Resistenza - scrive lo storico Guido Quazza – “si configurava come la condizione in se stessa drammatica dell'uomo che in prima persona, senza il riparo e lo "scarico" di un'autorità superiore, deve decidere di fronte al dubbio, inevitabilmente tormentoso, sull’opportunità o meno di agire”.

 

Documenti n°1

La scrittrice Natalia Ginzburg scrisse:
“Le strade e le piazze delle città diventarono i luoghi che era necessario difendere.  Le parole "patria" e "Italia", che ci avevano tanto nauseato fra le pareti della scuola perché sempre accompagnate dall'aggettivo "fascista". Eravamo là per difendere la patria e la patria e ognuno era pronto a perdere se stesso e la propria vita”.

 

Documenti n°2

Lo scrittore Giacomo Ulivi scrisse:
“...il più terribile, credetemi, risultato di un'opera di diseducazione ventennale, di diseducazione o di educazione negativa che martellando per vent’anni da ogni lato è riuscita a inchiodare in molti di noi dei pregiudizi. Ci siamo lasciati strappare di mano tutto da una minoranza inadeguata, moralmente e intellettualmente. Questa ci ha depredato, buttato in un'avventura senza fine. Il brutto è che le parole e gli atti di quella minoranza hanno intaccato la mentalità di molti di noi”.


Le diverse anime del Cln

Nell'estate del 1943 si erano venuti riorganizzando anche i partiti antifascisti: il partito liberale, il Psiup (Partito socialista di unità proletaria), la Democrazia cristiana (fondata nel 1942 dall'uomo politico trentino Alcide De Gasperi, 1881-1954), il Partito d'azione (erede del movimento antifascista Giustizia e Libertà fondato a Parigi nel 1929 da Carlo Rosselli), e il Partito comunista.  All'indomani dell'8 settembre, questi partiti diedero vita a Roma al Comitato di liberazione nazionale (Cln), presieduto dal socialista riformista Ivanoe Bonomi (18731951), con il compito di organizzare la resistenza contro i nazifascisti e, in prospettiva, di assumere la guida politica del paese.  Di questi partiti, solo i comunisti e gli azionisti avevano mantenuto in vita una struttura organizzativa clandestina durante il regime, cosa che garantiva loro un maggiore radicamento sociale, soprattutto presso gli operai del nord (i comunisti) e presso i ceti intellettuali e professionali (gli azionisti).  Il Cln trovava la sua unità nel rifiuto del fascismo e del nazismo, ma esprimeva al suo interno diversi orientamenti politici.  Mentre i liberali, espressione tradizionale della borghesia italiana, pensavano a un sostanziale ritorno allo stato prefascista (una volta chiusa la "parentesi" del fascismo, come ebbe a definirla Benedetto Croce), i partiti della sinistra (comunisti, socialisti e azionisti) interpretavano la lotta contro il nazifascismo come il primo momento di un grande processo popolare che portasse a una profonda trasformazione della società e dello stato.  I comunisti e i socialisti si riferivano, seppure con accenti diversi, alla tradizione teorica del marxismo e del movimento socialista, mentre gli azionisti si proponevano di “fondare una nuova democrazia, basata su ampie autonomie locali e, pur accettando il sistema capitalistico, intendevano correggerne gli squilibri e le ingiustizie” (Ginsborg).  Quanto alla Democrazia cristiana, essa raccoglieva uomini ed eredità del Partito popolare, collocandosi nel solco del pensiero sociale cattolico, fatto di solidarismo e di interclassismo ma contrario a profondi rivolgimenti sociali e politici.  Il ruolo e il peso della Dc, assai ridotti nei primi tempi della Resistenza, vennero progressivamente crescendo grazie all'appoggio del Vaticano e al radicamento sociale assicuratole dall'Azione cattolica e da due nuove organizzazioni fondate nel 1944, la Coldiretti (associazione cattolica dei coltivatori proprietari) e le Acli, l'associazione cattolica dei lavoratori italiani.  Le differenze politiche tra i partiti antifascisti ebbero già il loro peso durante la lotta di Resistenza, ma si manifestarono appieno, come vedremo, negli anni immediatamente successivi alla liberazione.

 

L'Italia divisa: il Regno del sud

Nell'ottobre 1943, quando la linea del fronte (linea Gustav) si fissò a Cassino (ove sarebbe rimasta fino al maggio 1944) la penisola risultava divisa in due parti, militarmente e politicamente. Nella parte meridionale, controllata dagli Alleati, era stato ricostituito il Regno del sud, sotto il sovrano Vittorio Emanuele III.  Nella parte centro-settentrionale, occupata dai tedeschi, Mussolini, come sappiamo, aveva fondato un nuovo stato fascista, la Repubblica sociale italiana.  Questa divisione del Paese caratterizzò profondamente la situazione italiana nei due anni successivi, lasciando una pesante ipoteca anche sugli sviluppi politici del dopoguerra.  In sostanza, nella parte meridionale, una vera e propria lotta alla liberazione non ebbe luogo.  Napoli insorse alla fine del settembre 1943, per reazione al programma di distruzioni attuato dai tedeschi in ritirata e ai rastrellamenti di manodopera; numerosi furono gli episodi di guerriglia contro i tedeschi in molte città e a Roma: è da ricordare il massacro delle Fosse ardeatine (24 marzo 1944), cioè l'uccisione di 335 prigionieri italiani operata dai nazisti come rappresaglia per un attentato partigiano che era costato la vita a 32 militari tedeschi.  Tuttavia un movimento organizzato non fu costituito: la stessa Roma fu liberata dagli Alleati.  Questi ultimi, dopo essere rimasti a lungo bloccati dai tedeschi ad Anzio e aver tentato inutilmente di sfondare la linea Gustav (in questo contesto avvenne la distruzione dell'abbazia di Montecassino, erroneamente ritenuta sede di truppe tedesche), solo nella primavera riuscirono ad avanzare verso nord e a entrare nella Capitale (giugno 1944). La monarchia, la burocrazia dello stato e gli Alleati garantirono nel Sud una sostanziale continuità istituzionale e politica.  Churchill non aveva mai nascosto la propria ammirazione per Mussolini, l'uomo che, a suo giudizio, aveva salvato il popolo italiano dal bolscevismo.. E anche ora, si mostrava preoccupato soprattutto di garantire un'evoluzione in senso moderato della situazione italiana, non riconoscendo alcuna autorità al Cln e appoggiando invece il re e Badoglio.  D'altro canto, la debolezza politica del Cln era molto grave: privi di una base sociale di consenso e di una legittimazione effettiva da parte degli Alleati, che di fatto determinavano la politica del Regno del Sud, i partiti antifascisti stentavano ad accreditarsi come forza dirigente.  Vi era inoltre una netta spaccatura fra il Cln e il sovrano sulla questione istituzionale: mentre i partiti del Cln esigevano l'allontanamento del re, cui attribuivano gravi responsabilità nella salita al potere del fascismo e nelle successive tragiche vicende, Vittorio Emanuele III rifiutava di mettere in discussione il proprio ruolo istituzionale. La situazione politica mutò nella primavera del 1944 con il rientro in Italia dall'Urss del segretario del Partito comunista, Palmiro Togliatti (1893-1964). Giunto a Salerno, dove aveva sede in quel momento il governo, egli convinse il suo partito e le altre forze politiche del Cln (con l’eccezione del Partito d'azione) ad accantonare la "pregiudiziale repubblicana", cioè a entrare nel governo Badoglio rinviando la decisione sul destino della monarchia a liberazione avvenuta. Questa decisione di Togliatti, in cui pesò certamente l'orientamento di politica internazionale seguito in quella fase dall'Urss (che aveva riconosciuto il governo Badoglio), privilegiava l'obbiettivo della liberazione del Paese rispetto a qualunque altro: a tal fine occorreva dare al Cln l'autorità politica per guidare in modo unitario la lotta di liberazione. “Ricordarsi sempre - scrisse Togliatti ai quadri del partito nel giugno 1994 - che l'insurrezione che noi vogliamo non ha lo scopo di imporre trasformazioni sociali e politiche in senso socialista o comunista, ma ha come scopo la liberazione nazionale e la distruzione del fascismo. Tutti gli altri problemi saranno risolti dal popolo, domani, una volta liberata l'Italia tutta, attraverso una libera consultazione popolare e l'elezione di un'Assemblea costituente”. Con la cosiddetta "svolta di Salerno" la questione istituzionale venne così momentaneamente accantonata: Vittorio Emanuele III accettò di trasferire provvisoriamente i suoi poteri al figlio Umberto, che nel giugno 1944 assunse la carica di luogotenente generale del Regno. La soluzione del problema di quale forma di stato dare all'Italia, se monarchica o repubblicana, venne demandata a un futuro giudizio popolare.

 

L'occupazione tedesca

La condizione di "alleato-occupato", secondo la definizione dello storico Lutz Klinkhammer, rese particolare la situazione dell'Italia in rapporto alla Germania.  Dal punto di vista tedesco, l'Italia aveva importanza strategica, come punto di resistenza nei confronti degli anglo-americani e come immenso serbatoio di manodopera per l’economia di guerra.  Scartati diversi progetti di trasferimento delle industrie italiane più importanti in Germania, per difficoltà soprattutto legate ai trasporti, prevalse l’ipotesi di far funzionare l'apparato produttivo italiano in funzione degli interessi tedeschi e di drenare forza-lavoro.  Per ottenere tale risultato mezzi puramente coercitivi - quali la militarizzazione delle fabbriche o le deportazioni di massa - non erano adeguati, vuoi per insufficienza di militari da destinare allo scopo, vuoi per lo status di governo alleato che la repubblica di Salò formalmente possedeva.  In altri termini, non si poteva fare in Italia come in Polonia e in Russia.  Per tali ragioni, l'ambasciatore plenipotenziario del Reich in Italia, Rudolph Rahn, impostò una linea politica finalizzata a ottenere la collaborazione delle istituzioni italiane e a influire sull’opinione pubblica attraverso la stampa e la propaganda.

 

Il governo collaborazionista di Salò

Di fatto anche se il plenipotenziario Hitler si preoccupò di non destituire di ogni autorità il governo della Repubblica sociale, quest'ultimo risultò del tutto dipendente dall'occupante. Regolati i conti con i "traditori" del 25 luglio (il processo ai membri del Gran Consiglio che avevano votato contro Mussolini condusse a morte, tra gli altri, anche Galeazzo Ciano, genero del duce), Mussolini tentò di accreditare la Rsi come una pagina nuova della storia italiana: uno stato repubblicano e "sociale", fondato sulla socializzazione delle imprese (la partecipazione degli operai alla gestione e alla proprietà azionaria delle imprese).  Ma il programma della socializzazione non decollò mai, incontrando l'opposizione degli operai, degli imprenditori e degli stessi tedeschi.  L'autonomia del nuovo stato fascista fai scarsissima: un'istanza di controllo tedesca vigilava su ogni struttura amministrativa e militare italiana.  Tuttavia - scrive Klinkhammer - l'impotenza del governo di Mussolini “non deve indurre erroneamente a sottovalutare né la sua capacità repressiva nei confronti della popolazione italiana, né la possibilità di ottenere atteggiamenti disposti alla collaborazione, opportunità entrambe che i tedeschi ottennero grazie all'esistenza del gruppo dirigente facente capo a Mussolini, che fu trasformato in un organo esecutivo”. La "strategia della collaborazione" seguita da Rahn registrò un certo successo presso la burocrazia e il ceto imprenditoriale, molti esponenti del quale collaborarono con l'occupante anche con l'obiettivo di salvare le loro aziende; ebbe esiti molto modesti a livello popolare, per le tragedie che il nazifascismo aveva portato e per quelle che ancora portava: rastrellamenti, violenze, massacri, tanto che l'ambizioso programma di reclutamento di manodopera volontaria per la Germania fallì totalmente e la massa di lavoratori per il Reich fu costituita in gran parte di internati militari e di deportati in seguito a rastrellamenti antipartigiani.  E le chiamate di leva nell'esercito di Salò, benché la renitenza fosse punita con la pena di morte, ebbero come effetto principale quello di ingrossare le file delle formazioni partigiane.  Quanto alla repressione, i fascisti della Guardia nazionale, delle Brigate nere e delle SS italiane affiancarono attivamente i tedeschi nella lotta contro i partigiani, ivi compresi molti dei veri e propri massacri di popolazione civile che l'accompagnarono.

 

La Resistenza nell’Italia settentrionale

Nell'Italia occupata la Resistenza ebbe i caratteri di guerra di liberazione, condotta da un comando militare unificato, il Corpo volontari della libertà (Cvl), riconosciuto dagli Alleati e dal governo di Roma.  Vari fattori concorsero a determinare questa diversità rispetto alla parte meridionale del Paese: la necessità di lottare contro l'occupante straniero e i suoi alleati fascisti per affrettare la liberazione (contrariamente alle previsioni iniziali, l'avanzata degli Alleati si rivelava infatti estremamente lenta e difficoltosa, anche perché il fronte italiano, dopo lo sbarco in Normandia, aveva assunto un ruolo secondario); la presenza di una classe operaia che aveva ritrovato forza e compattezza, sostenuta dalla rete organizzativa del Partito comunista (nel marzo 1944 ebbe luogo un grande sciopero generale, l'unico effettuato in Europa sotto la dominazione nazista).  Va detto infine che nel Clnai (il Cln dell'alta Italia, che aveva la direzione politica della lotta di liberazione) risultarono minoritarie le posizioni dell'attendismo, che sostenevano la necessità di "attendere" la liberazione del Paese da parte degli Alleati, onde risparmiare distruzioni e vittime.  La maggior parte degli antifascisti ritenne necessario intensificare la lotta armata, per ragioni militari ma soprattutto politiche: combattere per la liberazione del proprio paese significava ricercare un riscatto civile e morale e porre le premesse per una società nuova. All'inizio le bande, ancora molto disorganizzate, agivano prevalentemente in montagna con imboscate ai nazifascisti (Documenti n° 3); nelle città i Gap (Gruppi di azione patriottica) eseguivano lo stesso genere di azioni di guerriglia. Solo nella primavera del 1944 si passò a forme di inquadramento più rigoroso, con unità che raggruppavano diverse centinaia di uomini e si impegnavano in azioni più vaste e articolate.  Le formazioni più numerose e combattive erano quelle comuniste (brigate Garibaldi) e quelle azioniste (brigate Giustizia e Libertà).  Minore peso avevano le formazioni socialiste (brigate Matteotti), democristiane, indipendenti e monarchico-badogliane.
Dalla metà del 1944, con il rafforzarsi del movimento partigiano, l'azione repressiva condotta dai nazifascisti conobbe una drammatica escalatíon (Documenti n° 4 ); soprattutto l'Appennino tosco-emiliano alle spalle della "linea gotica" - la nuova linea del fronte dopo la caduta di Roma e della Toscana - fu teatro di una "controguerriglia" che si estese alla popolazione civile con rappresaglie feroci, perché - per dirla con le parole di un capo di stato maggiore tedesco - «rappresaglie adeguate influiscono senz'altro sul morale delle bande, le quali a loro volta temono le reazioni della popolazione civile».  Essere sospettati di aiuto ai "banditi" significava rischiare la deportazione in Germania o la morte: il massacro più efferato fai quello di Marzabotto, in Emilia, dove fra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, le SS di Reder sterminarono 1836 persone. Va inoltre ricordato che i tedeschi imposero anche nell'Italia centro-settentrionale l’intensificazione della persecuzione contro gli ebrei: del resto, il programma della Rsi definiva gli ebrei come “l'appartenenti a una nazionalità nemica".  Circa 7000 ebrei italiani furono deportati nei campi di sterminio.


Documenti n° 3

Le azioni compiute dai valorosi combattenti della Divisione “Centocroci”

 

4.3.1944         - Le armi possedute dal primo gruppo messo insieme a Groppo agli ordini dei Fratelli Beretta, consentirono di armare una squadra di otto uomini, tutti veterani di guerra, sui più disparati fronti, e nel cuore della notte si portano sotto la caserma di Centocroci, difesa da 22 militi armati e riforniti di ogni ben di Dio.  Preceduti dalla voce popolare che i “ribelli” sono ormai numerosi e decisi, quando sgrana la prima raffica di mitra e i colpi dei fucili, compresi quelli da caccia, e le poche bombe a mano, e le munizioni ormai scarseggiano, all'intimazione di resa, l'intero presidio si consegna agli sparuti attaccanti, cui non sembra vero di fare un bottino tanto cospicuo.  La sera dello stesso giorno, verso le 22, all'Albergo Alpino si incontrano il gruppo vittorioso con gli uomini di Richetto (una trentina) che si erano dislocati dalle parti di Varese, Caranza e Ranghe, alle condizioni che il comandante Gino Cacchioli e vice Richetto.

 

18.3.1944       - Nella vicina frazione di Caranza, sul versante Ligure, due militi, noti per le persecuzioni effettuate nei confronti dei giovani di leva renitenti, e delle minacce alle famiglie, sono catturati e fucilati, dopo sommario processo.

 

23.3.1944       - I 70 uomini dei due distaccamenti di Setterone (comandati da Aldo c da Elio) ricevono le ultime raccomandazioni da Richetto e poi divisi su due colonne investono il paesino di Alpe: 15 uomini con Richetto hanno per obiettivo l'attacco alla caserma, mentre gli altri avrebbero presidiato il paese e le vie di accesso a protezione da ogni possibile sorpresa.  Richetto entra decisamente e subito si arrende il comandante del presidio affidato a Leone al piano terra.  Senza perder tempo salgono la scala e con una raffica sulla porta fanno decidere gli occupanti ad arrendersi.  Però al piano terra il rumore della raffica genera l'equivoco di soccorsi in arrivo ai militi e il sergente prigioniero si getta addosso a Leone che lo fredda.

 

24.3.1944       - La X Flottiglia MAS rinforzata da reparti fascisti, complessivamente 1.500 uomini, effettua un rastrellamento nella zona del passo di Centocroci. Il gruppo partigiano, che conta ormai 82 unità, apre il fuoco per oltre 4 ore dalle postazioni dislocate strategicamente sui poggi dominanti l'arteria su cui è facile il tiro a bersaglio: decine di morti e feriti (le cifre non sono accertate) e nessuna perdita fra i patrioti, quando, finite le munizioni si ritirano ordinatamente.

 

9.4.1944         - Secondo rastrellamento in forza (2.000?) di nazi-fascisti limitato alla zona del m. Gottero, Valle del Gotra, Centocroci.  Arrivata la notizia al comando, il gruppo si sposta ordinatamente verso il m. Penna.  Purtroppo 2 partigiani catturati a Montegroppo vengono fucilati sul Centocroci e 2 presi a Chiusola subiscono la stessa sorte.


Documenti n° 4

 

Le azioni compiute dai valorosi combattenti della Divisione “Centocroci”

 

11.6.1944       - Occupata la stazione ferroviaria di Ostia P.se, è minato il ponte parabolico in ferro sub Taro.

 

11-12-13-14-15.6.1944 - Vengono portate a termine azioni intese a preparare l'occupazione militare completa dell'alta Val Taro con la collaborazione degli altri reparti dislocati nella zona, e infine viene annientato il presidio nazi-fascista della stazione ferroviaria di Borgotaro.

 

23.6.1944       - La sera precedente i distaccamenti di Aldo e di Didòn hanno raggiunto Centocroci e saliti sull'autocarro s'avviano verso Varese, accompagnati da un osservatore di riguardo: Rosetta Solari, della 1° Julia, venuta appositamente per rendersi conto della consistenza del “valore” leggendario della Centocroci.  Lasciato l'automezzo Richetto con un gruppo raggiunge il centro del paese (gli è costantemente al flanco Rosetta) e investe la caserma, mentre Aldo si tiene sulla parte opposta: intanto il maresciallo comandante la guarnigione, avvertito di ciò che sta per accadere perchè fedele collaboratore, lascia il reparto; sarà fucilato più tardi a Bardi essendo caduto nelle mani dei tedeschi.
Due mitragliatrici sparano sulle finestre superiori, ma è impossibile avvicinarsi di più perchè il presidio dispone di numerose bombe, che lancia senza tregua.  Aldo, ordinato un fuoco di copertura, dopo aver superato una rete di recinzione raggiunge la scaletta esterna che dà sul primo piano e, sfondata la porta, fa irruzione: esterrefatti i difensori si arrendono.  Nello stesso momento gli uomini di Richetto riescono a lanciare una “ballerina” che fa tremare tutto l'edificio e la guarnigione si arrende.  Avviati su ordine del comandante Beretta al passo di Centocroci, sono in parte riconosciuti appartenenti a presidi eliminati e con l'ordine di ritornare a casa, perciò sono passati per le armi.  Caricato il bottino e avuto sentore dell'arrivo dei rinforzi dalla vicina Sestri, viene fatto saltare il ponte e alcuni reparti si schierano in posizione idonea per far fronte alle eventualità; in effetti i rinforzi sono respinti e per diverso tempo non si faranno più vivi nella zona.

 

30.6.1944       - Una colonna tedesca della “Feldgendarmerie” forte di oltre 150 uomini, trasportati su 12 automezzi, parte da Berceto con I'intenzione evidente di tastare il polso della difesa partigiana che alla periferia di Borgotaro I'attacca.
Temendo il peggio il comandante decide di ritornare immediatamente alla base, cautelandosi con una ventina di ostaggi civili.  Velocemente i comandi partigiani organizzano una spedizione con tutti gli automezzi disponibili; gli uomini della Centocroci sono fra i primi, e bloccano i tedeschi sul torrente Manubiola, dove il ponte fatto precedentemente saltare sulla provinciale costringe il dirottamento su Ghiare e a risalire sulla strada; una perdita di tempo preziosa per i partigiani che prendono posizione con le armi automatiche e li inchiodano sulla strada.  Dopo due ore di combattimento i nazisti si arrendono lasciando catturare 80 prigionieri, 12 morti, numerosi feriti e ingente bottino, fra cui 2 mitragliatrici da 20 mm e una stazione radio.  Nelle file della Resistenza si contano due morti, alcuni ostaggi uccisi e diversi feriti.

 

30.6.1944       - Partiti nel cuore della notte da Centocroci, all'alba i distaccamenti di Aldo e di Didòn sono attorno all'abitato di Borsa nelle cui- case sono disseminati i tedeschi del presidio; Aldo decide di portarsi verso monte con I'intesa che Didòn si apposti nella parte bassa lungo il fiume Vara.  Appena sono fatte fuori le sentinelle che passeggiavano sulla strada, comincia la battaglia che terminerà dieci ore dopo, quando nessun tedesco è più in grado di sparare.
Fatti sloggiare casa per casa, l'ultima resistenza si polarizza in una vecchia fabbrica al limite del paese: qui una postazione di mitragliatrice impedisce ai partigiani di avvicinarsi.  Aldo scende lungo un canaletto e si porta sotto il terrazzo da cui partono le raffiche micidiali senza che I'autore si scopra: eliminate questa, dal presidio non si ha più nessuna reazione. 40 morti e 15 feriti scaricati da un autocarro davanti alla farmacia del paese perchè si provveda a medicarli, dopo le prime cure del medico partigiano, per la verità studente in medicina Sartori; 5 feriti fra i partigiani completano il pesante bilancio di vite umane di questo scontro, conclusosi senza prigionieri, ma con un consistente bottino di armi e munizioni.  A Borsa (Liguria) il distaccamento comandato da Aldo attacca il presidio tedesco forte di 56 uomini e lo annienta.
Si lamentano 12 feriti.  Bottino pesante.

 

8-9-10-11.7.1944 - Già dal giorno 8, Fortunin della Brigata Bill ha subito un attacco da parte di forze tedesche provenienti da Chiavari e ha chiesto rinforzi.  Parte Richetto con 40 uomini su un autocarro tedesco e raggiunge il Passo del Bocco.  Dopo qualche ora di combattimento sul passo, ferito il Piacentino, si ripiega su S. Maria e si invita inutilmente la popolazione a porsi in salvo: si decide quindi di retrocedere a Pelosa, dove nel frattempo è arrivato Siligato.  Richetto non perde tempo e va personalmente a chiamare gli altri, che si schierano e si preparano ad accogliere degnamente il nemico.
Dopo una violenta battaglia ingaggiata da posizione di vantaggio, i tedeschi caduti nella sacca hanno perso una ventina di uomini, numerosi feriti e in 70 depongono le armi: pochi riescono a sottrarsi dal campo di battaglia nascondendosi fra i cespugli del greto e a far ritorno. Il giorno successive si riprendono i combattimenti col nemico.  Aldo, comandante di compagnia, ha al suo fianco Richetto, sempre presente nei momenti importanti, e scarica raffiche micidiali sul nastro della strada.  La canna della mitragliatrice, una '37, rovente e un bossolo l'ha inceppata.
Riesce con fatica a inserire la canna di ricambio e innesta il caricatore nuovo passatogli dall'armiere <<Parma>>; sta puntando l'arma sul bersaglio quando arriva una precisa infilata di colpi della 20 mm: un proiettile centra e spezza il caricature e fa esplodere le cartucce in un nero polverone che tinge e sfigura il volto dei presenti; sarebbe bastato uno spostamento di pochi centimetri per farli fuori tutti.  Anche il nuovo <<assaggio>> della Resistenza partigiana è stato convincente circa la volontà di lotta dei combattenti che difendono la riconquistata libertà.  Ma ormai le truppe destinate al più grande rastrellamento si sono schierate e il giorno 15 iniziano l'operazione a vasto raggio attaccando la Vallata da tutte le parti contemporaneamente.  Evidentemente hanno atteso di completare l'aggiramento per agganciare i patrioti e farli scendere in campo aperto con la scusa di difendere un territorio preciso e così valersi della superiorità di numero e di armamento.
La notte è trascorsa come al solito nelle cascine e nelle casupole del monte Ventaro1a a qualche, Km dalla gola di Pelosa; i 70 uomini si sono rifocillati coi rifornimenti arrivati puntualmente corme sempre a tutti i reparti della Centocroci e alle prime luci dell'alba la compagnia prende posizione a semicerchio sulle alture: all'estremità a valle il distaccamento Didòn e all'altra Aldo col distaccamento comando.  Intanto a Richetto sono arrivate le notizie dei cedimenti dei capisaldi delle altre zone attorno alla vallata, ma non le propaga agli uomini per non influenzare il loro morale.  Verso le 10 la solita colonna in marcia sulla strada si affaccia alla curva dell'osteria, accolta dallo scroscio delle automatiche individuali.  Fa eco immediatamente la reazione della colonna di copertura che è salita silenziosamente a monte e Aldo riesce appena in tempo a far ripiegare le postazioni rimaste allo scoperto: ormai i tedeschi hanno imparato la lezione dei giorni precedenti e hanno mandato pattuglie di protezione ai due lati.  Lentamente le squadre arretrano con ordine, combattendo; le munizioni cominciano a scarseggiare (è la piaga congenita delle forze della Resistenza!) e bisogna limitare il volume di fuoco; è evidente che ormai i tedeschi passeranno; la staffetta che riporta le notizie da Lucchetti, dipendente dell'azienda elettrica C.I.E.L.I., collegata telefonicamente su un vasto raggio, recava i messaggi relativi alla situazione precipitata e disastrosa di Sesta Godano, Borgotaro, Lozzola, Albareto, Bedonia: è finito il sogno della libera Repubblica del Taro, stotto l'imperversare di uno dei più vasti rastrellamenti operati dai tedeschi con la divisioni Goering, la Monterosa e le brigate nere.
Richetto, pensando al significato dei prigionieri del campo di concentramento di Compiano, come materia di scambio, per evitare più funeste conseguenze, raggiunge Guglielmo Beretta, Fontana Gino, Parmigiani e Mezzetta e con una vettura scendono precipitosamente a valle, ma sono bloccati a Campi da dove assistono allo spettacolo della colonna dei prigionieri liberati: si perde anche una residua possibilità contrattuale coi nazisti ora più forti che mai.

 

17.7.1944       - I tedeschi sono ritornati puntualmente e questa volta hanno parlamentato con chi di dovere, al corrente che i prigionieri erano stati notte tempo trasferiti a Zeri e si sono fissati i termini della consegna e dello scambio avvenuto regolarmente, seppure con qualche trepidazione, a Montegroppo con I'intervento del parroco .Don Romeo e della sig.na Gotelli, che portava il bracciale della Croce Rossa Internazionale.  Contemporaneamente ad Albareto si gettavano le basi per un accordo coi tedeschi: i partigiani lasceranno libera la viabilità e come contropartita loro si impegnano a non molestare la popolazione civile e a far rispettare la tregua anche alle truppe italiane loro alleate.
L'accordo viene siglato a Fornovo, nella sede del Comando germanico di Ramiola, dove, con una vettura messa a disposizione dai tedeschi, si sono recati: Guglielmo Beretta, Bertè e Fontana.

 

6.8.1944         - Di primo mattino arriva a Montegroppo una macchina del servizio pubblico (A.  Pesci di Borgotaro) recante Don Checchi di Bedonia, con un messaggio del colonnello tedesco per Richetto e la minaccia di passare la valle a ferro e a fuoco per non aver mantenuto i patti firmati il mese prima.  Al bivio di Gotra avviene l'incontro col comandante tedesco cui Richetto chiariva le circostanze che hanno portato alla battaglia del m. Scassella, con le responsabilità precise di chi ha rotto la tregua; viene fissato un appuntamento per il giorno successive nell'osteria Lanzarotti di Gotra.  Richetto si presenta accompagnato da un paio di distaccamenti in pieno assetto di guerra e i tedeschi osservano ammirati e sbigottiti alla vista dei reparti perfettamente equipaggiati (sono ormai lontani i tempi in cui i combattenti della Resistenza portavano una foggia banditesca estemporanea e variopinta), sollevano il bicchiere invitando al brindisi hitleriano, mentre Richetto con foga inneggia all'ltalia e a Badoglio.


Il duro inverno 1944

La Resistenza italiana conobbe momenti di alta partecipazione popolare, ma anche altri di isolamento politico nei confronti del governo di Roma e degli AlleatiL'atteggiamento di questi ultimi mirava a sostenere la lotta partigiana nelle retrovie tedesche, evitando nel contempo che essa assumesse eccessiva importanza politica: “la strategia alleata nei confronti della Resistenza - ha scritto lo storico Ginsborg - era quella di minimizzarne il ruolo politico per quanto possibile, e di non consentirne in alcun modo iniziative incontrollabili”. Gli Alleati, e in particolare gli inglesi, temevano che, a liberazione avvenuta, si avviassero processi rivoluzionari o si instaurassero forme di potere capaci di mettere in discussione i tradizionali equilibri sociali e politici italiani: come annotò Harold MacMillan nel suo diario, il 17 novembre 1944, “come al solito il problema di questi Comitati di liberazione nazionale e di questi movimenti partigiani sta nel prevenire che si tramutino in forza meramente rivoluzionaria e politica, invece che restare una forza militare”. Per questa ragione gli Alleati si rifiutarono di riconoscere il Clnai quale governo legittimo e autonomo dei territori liberati e subordinarono la concessione di aiuti ai partigiani alla garanzia, data dal Clnai con i “protocolli di Roma" del dicembre 1944, che al momento della liberazione il potere sarebbe stato trasmesso all'amministrazione alleata e le armi sarebbero state riconsegnate.

 

Il proclama Alexander

In questo contesto si colloca anche il famoso proclama Alexander, che nel novembre 1944 inferse un duro colpo alla lotta partigiana.  Nei mesi precedenti quest'ultima era cresciuta di intensità.  Firenze si era liberata con una insurrezione (agosto 1944) e in alcune località erano state create libere repubbliche: nelle Langhe, a Montefiorino, nell'Ossola, nella valli di Lanzo, nel Monferrato, in Carnia.  La liberazione sembrava imminente: i partigiani erano pronti a collaborare con gli Alleati nello sforzo finale.  A questo punto, però, l'avanzata si arrestò e il generale Alexander, comandante in capo delle forze alleate, lanciò ai partigiani un proclama che sostanzialmente li invitava a rimanere sulla difensiva, escludendo ulteriori offensive sino alla primavera.  Nel movimento partigiano, che interpretò il messaggio come un invito alla smobilitazione, si aprì una profonda crisi morale e politica: ripresero fiato le posizioni attendiste, mentre le forze tedesche del generale Kesserling iniziarono una violenta controffensiva antipartigiana.  L'invito di Alexander fu respinto e la guerra di liberazione continuò, ma in difficili condizioni di isolamento politico e di difficoltà materiali, aggravate dal durissimo inverno 1944-45 (Documenti n° 5).


Documenti n° 5

 

Le azioni compiute dai valorosi combattenti della Divisione “Centocroci”

 

23.9.1944       - Dal Passo della Cappelletta una colonna di alpini si avvia verso Montegroppo recando in testa una vistosa bandiera bianca e con intenti presumibilmente pacifici, senza sparare.  La II Compagnia, al comando di Aldo, è appostata verso Pian di Scala, mentre un distaccamento della III ha preso posizione sul m. Bertolla con un mortaio; verso la colonna fascista si muove Aldo con una squadra.  Tutto sembrava procedere verso una resa importante, quando, vicino a Montegroppo la pattuglia di testa lancia un razzo di segnalazione e dalla Cappelletta l'artiglieria apre il fuoco sulla postazione del m. Bertolla, ingenuamente scoperta e al terzo colpo in rapida successione, la centra in pieno: gravemente ferito rimane Castagnoli che morirà più tardi, Varese ferito a una gamba e Osvaldo prende una scheggia nella spalla.  Lo spettacolo raccapricciante si para agli occhi di Richetto accorso subito con una squadra e non resta che trasportare ad Albareto i feriti.  Svanita la sorpresa da effettuarsi con la scusa della bandiera bianca, la reazione dei patrioti si fa violenta: la colonna, fatta segno a un nutrito fuoco da tutti i lati, ritorna sui suoi passi.  Le perdite sono state purtroppo pesanti in rapporto all'entità dei mezzi impiegati in altre occasioni.

 

ottobre-novembre. 1944 - Il comando Unico Parmense e la I Divisione Liguria hanno provveduto a delimitare il territorio su cui effettuare azioni di guerriglia, ad eecezione delle strade nazionali della Cisa e dell'Aurelia, verso le quali settimanalmente si effettuavano azioni di disturbo per rendere precario il traffico delle truppe tedesche dirette al fronte.  E' un periodo di riorganizzazione e di preparazione per assecondare a breve scadenza l'azione massiccia che gli alleati stanno per sferrare.
Anzi è stato annunciato l'arrivo di un contingente di paracadutisti che si sarebbero lanciati in una Località già contrassegnata da vistosi obrelloni colorati, di lanci precedenti, e disposti secondo una sequenza cromatica convenzionale.
Ma poi è arrivato un contrordine da parte del generate Alexander; per di più si ha notizia di ammassamenti di forze in tutte le direzioni, che fanno presagire abbastanza vicino un rastrellamento.

 

29.12.1944     - Verso sera arriva al comando una telefonata che segnala lo spostamento da Chiavari della Divisione Monterosa che pare dapprima diretta al passo del Bocco e poi in effetti a Varese.
Dato l'allarme, il grosso si sposta e prende posizione sul crinale, fra Centocroci e la Cappelletta, mentre reparti agili di manovra si schierano sulle immediate vicinanze del fondo-valle, invitando a fare altrettanto la Coduri per bloccare gli alpini già arrivati a Scurtabò e chiuderli in una morsa da cui sarebbe stato difficile avere scampo.  Pare che una spia abbia fatto convincere gli alpini a dirottare su Sanega, dove è stato sorpreso e annientato il distaccamento Saetta e Virgola.  Sul fare del giorno Richetto cambia schieramento, sempre sulle alture e chiede rinforzi a Montegroppo, ma gli alpini, costretti sotto il fuoco dei mortai, prendono la direzione del Passo del Bocco, inseguiti e tallonati fino a Cassego; poi ripiegano verso Bedonia e proseguono fino a Borgotaro, costantemente punzecchiati da sporadici attacchi, spesso violenti, a Tornolo e a Campi.  Anzi la colonna prosegue nei suoi spostamenti, ma l'iniziativa è costantemente nelle mani dei partigiani della Centocroci, che non riescono per la terza volta a concordare un intervento di altre formazioni per chiudere loro ogni possibilità di salvezza.

14.1.1945       - Richetto riceve un messaggio da Gordon Lett che gli comunica che una missione alleata arrivata appositamente attraverso il fronte per una delicata operazione di salvataggio, ha bisogno dell'appoggio di un reparto partigiano particolarmente efficiente e lo indica in quello di Nino Siligato, il quale, affetto da itterizia chiede e ottiene un cavallo e si mette in marcia dalla base a Cascinette di Varese, passa a Zeri e raggiunge, con 80 uomini, la Lunigiana dove lo attendono e la missione va felicemente in porto.  Con pochi sta riposando a Còdolo, quando, in seguito a una segnalazione di spionaggio, vengono attaccati.  Con lui muoiono 14 russi e il loro sacrificio consente agli altri di porsi in salvo.  Verrà decorato con medaglia d'oro alla memoria.

 

17.1.1045       - Aldo, alle prime avvisaglie di rastrellamento in Val Taro si era spostato con i suoi uomini nel versante Ligure, ma visto che il pericolo era maggiore, riattraversano il Gottero passando da Còstola e Pian di Lago: la neve altissima (diversi metri) costringe a muoversi con difficoltà; i muli sono abbandonati con i rifornimenti, fatta eccezione per le munizioni.  Ogni tanto qualcuno sprofonda e rimane sepolto, occorre pazienza ma soprattutto fortuna per non rimanere congelati negli arti, ne sono coinvolti in modo più o meno grave, 300 uomini.  Sulla cima del Gottero le piante sono letteralmente coperte dalla neve.  Aldo, con l'esperienza e la consapevole responsabilità di comandante, rimane in fondo alla colonna per aiutare chi si trova in'difficoltà: restare indietro poteva significare la fine.
Lui stesso a un Km circa dalle prime case abitate si ferma, manda avanti tutti gli uomini e viene ricuperato durante la notte con una slitta, ad opera di un anziano contadino che lo porta a casa propria, lo rifocilla con latte caldo e così si riprende, appena in tempo per l'arrivo, annunciato da una staffetta, dei mongoli.  Si rimette in marcia e per tutta la giornata guida i suoi 140 uomini attraverso la neve seguendo gli spostamenti dei rastrellatori a distanza ravvicinata e finalmente li mette in salvo a Pontestrambo, al di fuori della direttrice dei tedeschi.

 

23-24.1.1945 - Aldo, fattosi giorno scruta col binocolo la strada di Montegroppo su cui sfila la colonna coi prigionieri, che riconosce uno per uno, diretti a Borgotaro nell'edificio del dopolavoro.  Comincia allora la corsa febbrile alla ricerca dei prigionieri, anche presso altre formazioni, per effettuare lo scambio, e si riesce a stento a metterne insieme 5. Richetto figura al 2' posto nell'elenco dei prigionieri da scambiare, sotto la mediazione del parroco di Borgotaro mons.  Boiardi, ma il comando tedesco ha già deciso evidentemente di trasferirlo a Piacenza, dove è ricercato e condannato a morte per aver aperto i cancelli del campo dei prigionieri alleati, subito dopo 1'8 settembre del '43.  Sono invece liberati i 3 commissari politici. (Benedetto, Renzo, Severino) e due partigiani.  I tedeschi non accettano di scambiare due prigionieri fascisti: i partigiani glieli regalano.


Insurrezione e liberazione

Questa difficile fase fu tuttavia superata: la lotta venne trasferita in pianura, rinsaldando i legami con la popolazione delle campagne e intensificando la guerriglia nelle città.  Nonostante la crescente durezza della repressione nazifascista - deportazioni in massa, fucilazioni - il movimento riprese forza nella primavera avviandosi verso l'insurrezione. Il 24 aprile 1945 i Clnai, attraverso un comitato formato dal socialista Sandro Pertini, dal comunista Emilio Sereni e dall'azionista Leo Valiani, lanciò l'appello all'insurrezione.  Mentre le forze alleate, sfondata la linea gotica, avanzavano nella pianura padana, la mobilitazione degli operai e il convergere delle brigate sui grandi centri accelerarono la disfatta dei tedeschi (Documenti n° 6).  Tra il 24 e il 26 aprile 1945 si liberarono Genova, Torino e Milano e poi via via tutte le città del Nord. Il 25aprile 1945 è la data ufficiale della liberazione dell'Italia.  Si calcola che circa 50000 partigiani siano caduti nel corso della guerra di liberazione, mentre circa 10000 furono le vittime civili. Mussolini, caitturato a Dongo, sul lago di Como, mentre probabilmente tentava di sfuggire in Svizzera, venne fucilato insieme ad altri gerarchi per ordine del Comitato di liberazione. Al loro arrivo, gli Alleati trovarono le città governate dal Clnai, che avevano assunto tutti i poteri civili e militari.  Si aprì subito il problema del ruolo che le forze politiche protagoniste della Resistenza avrebbero dovuto esercitare, sul piano locale come su quello nazionale, cioè il problema di quale sarebbe stato il futuro delle speranze di riscatto e di giustizia che la lotta popolare aveva portato con sé.


Documenti n° 6

Le azioni compiute dai valorosi combattenti della Divisione “Centocroci”

 

23.4.1945       - Dal Comando Unico Parmense arriva l'ordine di assumere il seguente schieramento, per la battaglia definitiva:
- Raggruppamento Vecchia Centocroci, sulla sinistra Taro di fronte a Fornovo con sede del comando a Viazzàno, insieme al comando di divisione.
- I Julia, a Soragna per collaborare con altre formazioni a chiudere la strada della ritirata tedesca verso il Po.
- II Julia e Gruppo Valtaro, nella zona di Berceto con l'intendimento di controllare la strada nazionale della Cisa.
- La Brigata di polizia, frazionata in distaccamenti, segue i vari reparti.

 

24.4.1945       - Arriva l'ordine a Tarsogno al comando di Raggruppamento di spostarsi verso Fornovo, a piedi, con trenta muli.  A Bardi i 700 uomini dormono nel castello e il giomo dopo arrivata la notizia che la guerra è finita, tutti scaricano le armi in aria in segno di gioia e i comandanti hanno il loro daffare per calmare gli uomini e convincere che a Fornovo, i tedeschi non si sono ancora arresi.  Postisi in marcia a Varsi trovano autocarri coi quali raggiungono facilmente Pellegrino e in serata arrivano a schierarsi sulla riva del Taro da Rubiano (Barbagatto) al ponte sul Taro di Fornovo (Siligato).
Verso la mezzanotte arrivano le bordate di sbarramento, a caso, ad opera dei “tigre” parcheggiati davanti al Municipio di Fornovo.

 

26.4.1945       - Aldo constata che le postazioni SAP presso le quali aveva schierato i suoi uomini, nel corso della notte, senza preavviso, sono scomparse.  Sul ponte lesionato, transitano soltanto autocarri leggeri, controllati da una postazione tedesca sistemata dentro una abitazione (Ia <<casa rossa>>) in posizione dominante su un'altura. Le staffette riportano notizie sulla consistenza delle truppe ammassate fra Piantonia e Fornovo: risulteranno poi 16 mila unità e quindi materialmente impossibile pensare ad un attacco intimidatorio; ci si limita a scaramucce di pattuglie con analoghe tedesche, dopo aver eliminate il presidio della “casa rossa” da cui era possibile controllare il traffico sul ponte.  Frequentemente piccoli gruppi di tedeschi, in previsione del peggio, si arrendono, mentre sparite unità fasciste si presentano ai partigiani munite di uno strano lasciapassare fornito, non si sa perchè, da un tipografo fornovese.

 

27.4.1945       - Nel tardo pomeriggio una delegazione tedesca si affaccia al ponte con una bandiera alla cui vista i patrioti fanno altrettanto e si incontrano: nel breve colloquio i tedeschi affermano la volontà di non prendere iniziative belliche se non per difendersi e di arrendersi soltanto agli alleati.  Preso atto di tale atteggiamento Richetto si reca in jeep a Salsomaggiore, presso il comando brasiliano alleato ed espone la situazione. Ne ritorna col capitano Pittaluga, italo americano, e nel mulino di Viazzano avviene un ulteriore incontro in presenza di un colonnello, ma viene ribadito lo stesso proposito: i tedeschi si arrendevano solo agli alleati.
Contemporaneamente risulta che altri incontri si svolgeranno in località del fornovese, con gli alleati.  La delegazione transitando sul ponte, alla sede del generale comandante le truppe tedesche, nel Municipio, verifica ancora una volta la posizione precedente e mentre quelli della Centocroci ritornano a piedi, il cap. Pittaluga prosegue con altri le trattative.

28.4.1945 - Continuano frattanto gli scontri delle pattuglie.
Alle 11 due distaccamenti, quelli di Piero (Siciliano) e di Dario (Castagnoli) prendono all'insaputa del comando l'iniziativa di attraversare il Taro all'altezza dell'attuale bivio d'inizio della Fondovalle, e non trovando resistenza si addossano alla scarpata della linea ferroviaria, un vero <<vallum>> di protezione, oltre il quale si avvertono rumori confusi.
Nell'incoscienza dei vent'anni i due comandanti decidono di tentare l'azione di forza allettati dal lauto bottino di prigionieri, ma arrivati in piedi fra i binari lo scenario che li attende è di una dimensione impossibile: migliaia di uomini in armi sono ammassati in un groviglio indescrivibile di automezzi e cavalli.  Fortunatamente i tedeschi non sparano e si genera una mischia fatta coi fucili usati come clave e appena possono i partigiani, senza subire perdite, si rigettano nel greto del Taro e guadagnano la base.  Soltanto Piero, il siciliano, resta coinvolto e isolato nella rissa, ma con sangue freddo afferra un maresciallo alle spalle e con la pistola puntata alla nuca lo costringe a salire su una delle tante autovetture disseminate lungo la strada e a pilotarlo attraverso il centro e poi il ponte, arrivando fra i commilitoni sbigottiti col prigioniero.

 

29.4.1945       - L'impegno più grande è quello di costudire gli oltre 600 prigionieri catturati negli ultimi giorni.  A pochi minuti dalla fine delle ostilità, protratte oltre la fine ufficiale del conflitto, nello scontro fra pattuglie lasciano la vita <<Eugenio>> (Gotelli) di Varese e <<Isidoro>> (Ravella) di Montegroppo.
Nel pomeriggio arrivano due colonne di brasiliani: una da Collecchio e una da Salsomaggiore che attraversa il ponte sul Taro e al suo seguito gli uomini della Siligato, mentre la Barbagatto è rimasta a presidio del ponte.  I tedeschi lasciano le armi dappertutto, si arrendono e sono incolonnati verso il campo di concentramento di Ozzano.  A questo punto gli uomini della Vecchia Centocroci si impegnano in un'opera di risanamento rastrellando gli ordigni pericolosi, per consentire il rientro ordinato della popolazione.  Aldo ha insediato il comando nel municipio e quello della Divisione Valtaro prende posto poco lontano, provvedendo a sistemare materiale e prigionieri alle loro destinazioni legali.  Fra gli altri prigionieri italiani figurano il colonnello Vicelli, comandante delle Brigate nere, il dott.  Allegri e figlio, il ten. Costi, il comandante Gallo, tristamente famoso nello spezzino e successivamente fucilato, come criminale di guerra.

 

30.4.1945       - Completata l'opera di rastrellamento all'interno del perimetro cittadino un reparto della polizia partigiana viene inviato a presidiare i pozzi di petrolio e la raffineria, fonte di rifornimento per gli automezzi militari e civili requisiti.  L'amministrazione civica viene affidata a quello che diventerà il primo sindaco della liberazione: Tanzi.

 

9.5.1945         - Tutti i combattenti della Resistenza conferiscono a Parma per la consegna ufficiale di quelle armi che sono servite per la conquista delle libertà democratiche suffocate dal fascismo e per la parata finale nelle strade del capoluogo della provincia.  Poi i giovani montanari fanno ritomo alle loro case e tutti tirano un sospiro di sollievo per una pagina di storia che loro hanno scritto e il pensiero rivolto agli amici per i quali purtroppo non è mai arrivato il giorno del tripudio per la vittoria.


La situazione alla fine della guerra.

 

Le tre fasi di intervento

 

Il sistema economico italiano è stato profondamente trasformato dalla « percussione » della guerra. Mentre la trasformazione in economia di guerra si realizza in una fase di « ascesa » (venendo con ciò a determinare una situazione di massima pressione sui fattori materiali ed umani della produzione) diverso è il caso del passaggio dall'economia di guerra a quella di pace.

L'Italia, alla fine della guerra, presentava:

  1. una perdita ingente nel patrimonio nazionale.

Valutazioni eseguite da studiosi portano a stabilire che il patrimonio nazionale, stimato nel 1938 in 700 miliardi di lire, era uscito dalla guerra ridotto per distruzioni, danneggiamenti, asportazioni, logorio, consumo di scorte e riduzione di efficienza produttiva di quasi un terzo, per un ammontare, in valore corrente, di circa 10.000 miliardi di lire.
Fra i diversi settori, danni maggiori avevano subito:
1)   le abitazioni: interamente distrutti 1.740.000 vani, gravemente danneggiati 4.667.000; valutando a 3.200.000 circa i vani distrutti e, comunque inabitabili, ne conseguiva una diminuzione di abitazioni, tale da provocare gravissime ripercussioni sociali ed economiche.
2)   Il naviglio mercantile: da 3.500.000 tonnellate di stazza lorda era sceso, alla fine della guerra, a 385.716 tonnellate di stazza lorda, con una perdita del 90%.
3) Le ferrovie: la rete statale aveva sofferto danni per circa un quarto dei binari, il 90 % delle linee elettrificate, il 56 % delle locomotive, il 67 % dei locomotori, l'85 % degli elettrotreni ed automotrici.
4)   Il settore industriale: stime approssimative facevano salire nel 1946 a 450, miliardi il complesso di beni distrutti; i settori più colpiti erano stati il siderurgico, l'elettrico, il cantieristico, il chimico, oltre ai vari stabilimenti meccanici e metallurgici e, in minori proporzioni, le altre attività industriali. In via approssimativa, limitando le valutazioni ai soli impianti ed attrezzature, compresi gli edifici ed escluse le scorte, si può ritenere che i danni agli impianti produttivi industriali si siano aggirati intorno al 20% del valore prebellico.
Secondo altre valutazioni, effettuate a cura dei singoli Ministeri, compatibilmente con le difficoltà che tali accertamenti comportavano, risultava che l'agricoltura aveva subito un danno totale di 312 miliardi e le opere pubbliche erano state distrutte per ben 843 miliardi, valori a prezzi 1945.

b)Una forte diminuzione nelle possibilità produttive. Le possibilità produttive del Paese si presentavano, alla fine della guerra, inferiori di gran lunga a quelle del periodo prebellico. E ciò non soltanto in conseguenza delle distruzioni avvenute, ma anche di altri fattori. Nell'industria, influivano negativamente:
- il deperimento degli impianti, la cui manutenzione nel periodo bellico era stata molto scarsa, mentre l'usura era stata assai grave;
- l'obsolescenza dei macchinari, che non erano stati rinnovati da oltre un decennio;
- l'esaurimento quasi completo delle scorte di lavorazioni, di cui ci si era serviti in periodo di grande carenza.
Tutto ciò, collegato anche alla deficienza delle materie prime (specie carbone), aveva portato ad una produzione industriale, i cui livelli variavano da un terzo della produzione del 1938 nell'industria mineraria, ad un sesto per le industrie metallurgiche e meccaniche, ad un decimo per le industrie tessili, chimiche e di materiali, da costruzione. Nell'agricoltura, i danni indiretti (omessa conciliazione ed insufficiente rinnovo dei mezzi di produzione), di eguale se non di maggiore importanza dei danni diretti, non avevano mancato di influire sulla produzione. Non soltanto l'estensione della superficie coltivata era inferiore a quella prebellica, ma anche la resa unitaria aveva sofferto considerevolmente. Di conseguenza, la produzione agricola nel 1945 si era ridotta a circa il 60% della produzioni prebellica, e quella cerealicola, così necessaria al sostenimento del paese, si era quasi dimezzata.

c)Una maggiore pressione demografica ed un pericoloso squilibrio nella occupazione operaia. Alla fine della guerra la popolazione italiana veniva calcolata a 45,7 milioni di abitanti con una densità per chilometro quadrato molto elevata. L'Italia veniva ad essere uno dei paesi più densamente popolati, superato soltanto, in Europa, da alcuni Paesi con ben altre possibilità e con ben altre risorse quali il Belgio, l'Olanda e la Gran Bretagna.
La pressione demografica sul mercato del lavoro, già alta in conseguenza del normale sviluppo della popolazione, risultava ulteriormente aggravata per effetto:
a) della smobilitazione delle forze armate e del rientro dei prigionieri di guerra;
b) della mancata emigrazione per tutto il periodo bellico;
c) dell'arrivo in Italia di numerosi profughi provenienti dalle vecchie colonie italiane e dai territori metropolitani perduti.
La situazione portava per se stessa ad un'alta disoccupazione, mentre la ridotta attività produttiva dava luogo alla cosiddetta « occupazione apparente » di numerosi lavoratori, impiegati soltanto formalmente, mentre, di fatto, gravavano sulla produzione senza contribuirvi.
Non si hanno statistiche esatte sulla disoccupazione alla fine della guerra: le prime rilevazioni degli uffici di collocamento risalgono al 1946 e fanno ascendere a due milioni gli iscritti nelle liste di collocamento.

d)Una notevole diminuzione nelle entrate statali. Queste erano andate paurosamente decrescendo per effetto della diminuita produzione, per la loro lentezza ad adeguarsi al mutato valore della moneta e per lo stato di disorganizzazione della amministrazione finanziaria. Nel 1944-45 esse, infatti, ammontavano a soli 64,6 miliardi e nell'esercizio successivo a 160,2 miliardi contro i 27 miliardi del 1938-39. Quando si pensi che i prezzi erano frattanto aumentati fra 20, e 130 volte, si rileva come le entrate si fossero in realtà contratte, rispetto all'anteguerra, a circa un decimo nel 1944-45 ed a circa un quinto nell'esercizio successivo.
I fattori su accennati non avevano mancato di influire sull'apparato produttivo del Paese, che soffriva, per di più di alcuni gravi problemi di riconversione. In quasi tutti i settori, si faceva sentire la necessità non soltanto di una trasformazione delle varie attività, dalle esigenze di guerra in quelle civili, ma anche di nuove qualificazioni di metodi e di tecniche più moderni e progrediti.
Tutto questo, insieme alle difficoltà di approvvigionamento, alla scarsità di mezzi finanziari, alla variabilità dei prezzi, aveva avuto l'effetto di fare aumentare fortemente i costi di produzione, creando la base della spirale inflazionistica prezzi - salari che, per quasi tre anni, doveva tanto fortemente influire sulla vita economica e sociale del Paese.
Mancano dati statistici certi sull'ammontare del reddito nazionale e sul valore delle risorse disponibili nell'immediato dopoguerra. Stime attendibili indicano, per il periodo 1941-45 un reddito nazionale lordo, in lire 1938, di 119 miliardi, e di 148 miliardi per il periodo 1946-50.

Tuttavia, dai pochi elementi ricordati, si può desumere quale fosse la situazione italiana alla fine del 1945 e quanto arduo si presentasse il compito di un risollevamento economico e sociale del Paese, su cui gravavano, peraltro, vecchie difficoltà di natura strutturale che ne perturbavano sensibilmente l'equilibrio ed intralciavano l'avvio a un sano processo produttivo

 

Fonte: http://zappageografia.altervista.org/Tesine%20cartacee/il%20periodo%20della%20resistenza.doc

Sito web da visitare: http://zappageografia.altervista.org/

Autore del testo: Franchi

Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.

 

Il periodo della resistenza in Italia

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

Il periodo della resistenza in Italia

 

"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco

www.riassuntini.com dove ritrovare l'informazione quando questa serve

 

Argomenti

Termini d' uso, cookies e privacy

Contatti

Cerca nel sito

 

 

Il periodo della resistenza in Italia