Umanesimo nasce nel Quattrocento

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Umanesimo nasce nel Quattrocento

LA CULTURA NEL QUATTROCENTO E NEL CINQUECENTO

L’Umanesimo nasce nel Quattrocento ed è un movimento culturale che si manifesta soprattutto in Italia e che rinnova completamente non solo la cultura italiana ma  anche quella europea. Esso è caratterizzato da un’appassionata riscoperta della civiltà antica e dalla difesa dei suoi valori e celebra l’uomo collocandolo al centro del mondo.
Un filosofo umanista dice che Dio, al momento della creazione, aveva collocato l’uomo al centro del mondo perché da lì poteva vedere tutto ciò che c’era nell’universo. Inoltre, dice che non gli aveva assegnato un posto preciso nella natura, ma l’uomo poteva scegliere da solo, infatti due sono le principali caratteristiche dell’uomo: libertà di scegliere e capacità di conoscere.   
Gli umanisti si richiamavano alla filosofia di Platone, grande filosofo greco del IV secolo, e vedevano nell’antichità l’epoca in cui si erano pienamente dispiegate le facoltà dell’uomo. Venne, cosi, riportato alla luce tutto il patrimonio della letteratura latina.. Ma per la nuova cultura furono decisivi anche gli studi di greco. L’arte della parola, nella quale gli antichi erano stati abili maestri, venne apprezzata come strumento di persuasione. Quello che in ogni campo si faceva valere era comunque il principio della dignità dell’uomo, tema essenziale, che costituì l’obiettivo più del alto pensiero umanistico.
La linea di sviluppo dell'Umanesimo fu tuttavia complicata non solo dal rapido progresso degli studi, con le conseguenti ripercussioni nel campo sia speculativo sia pratico, ma anche dall'evolversi della società italiana. Nella crisi che portò dal tramonto dei comuni al nascere di signorie e di principati venne affermandosi una società capitalistica che non offriva garanzie di stabilità.
È pur vero che, se il mecenatismo dei principi consentì agli umanisti di dedicarsi agli studi in condizioni privilegiate, esso venne altresì a condizionare e a limitare la loro indipendenza, e non fu questa l'ultima causa del progressivo esaurirsi degli impulsi morali e politici che avevano favorito l'affermarsi della nuova cultura.
La diffusione dell’Umanesimo fu possibile grazie all’invenzione della stampa a caratteri mobili che, all’inizio erano di legno, poi furono fatti in metallo. L’invenzione  della stampa trasformò totalmente la cultura perché permise a un numero sempre crescente di lettori di avvicinarsi ad opere e libri che nel passato erano inaccessibili.
L’Umanesimo diede origine al Rinascimento, quando l’antichità, pur continuando ad essere oggetto di ammirazione, non costituì più un modello assoluto.  Fra il Rinascimento che nacque in Italia e quello europeo ci fu un grande e profondo rapporto, infatti, la nuova civiltà formatosi in Italia si espanse in Francia, Spagna e Germania, ciò determinò una vera e propria moda di tutto ciò che veniva dall’Italia.
Il Rinascimento sentì come fondamentale esigenza la ricerca di nuovi modelli di vita e di civiltà, da contrapporre agli usi e alla mentalità medievale.
Nel Medioevo l’uomo era visto come una creatura fragile e sottomessa alle grandi forze ultraterrene, e quindi si pensava che non poteva realizzare la sua personalità durante la sua vita. Mentre nel Rinascimento l’uomo era concepito come il protagonista della storia, doveva essere diplomatico, astuto e un coraggioso condottiero. Da questa premessa si sviluppò il pensiero di Niccolò Machiavelli, che affermò l’indipendenza della politica da ogni altra società o attività, facendola dipendere da leggi fatte dall’uomo, e non più, come nel Medioevo da norme morali e religiose.
L’età del Rinascimento fu espressa come culto della bellezza e dell’armonia. L’arte era considerata la più alta manifestazione della personalità dell’uomo, anche l’architettura e le altre arti avevano raggiunto un livello insuperato. L’architettura, con grandi artisti come Brunelleschi, Michelangelo, Bramante, è fra tutte le arti quella che segnò di più il Rinascimento.  L’immagine più spettacolare della civiltà rinascimentale è data dalle opere degli scultori e dei pittori che si riunirono in due grandi scuole, quella toscana e quella veneta, in cui prevalse l’uso del colore, tra i più importanti scultori troviamo: Raffaello Sanzio, Michelangelo e Tiziano Veccellio. Altro grande scultore fu Leonardo da Vinci, che rappresentò nel modo più efficace l’ideale dell’artista rinascimentale. Tra gli scultori eccelse Michelangelo, nel quale il senso nobile e pacifico della vita si caricò di una passione e di una forza, che sembravano esprimere non solo la vita tormentata dell’artista, ma anche la violenza di quel tempo.
L’uomo del Rinascimento non mirò soltanto a recuperare la civiltà passata, ma a costruire in conformità a quei modelli i capisaldi della sua nuova civiltà.
Appartengono a questo periodo le grandi scoperte geografiche, prima fra tutte é la scoperta dell’America di Cristoforo Colombo. Queste nuove scoperte aprirono la natura all’indagine degli scienziati  perché si era capito che questa non era più un segreto noto solo a Dio, come nel Medioevo.
E’ il mito del “Rinascimento”, inteso come una improvvisa e luminosa “Rinascita” della cultura contro le tenebre del Medioevo. Un mito che si è nutrito delle stesse consapevolezze degli uomini del tempo, i quali avevano percepito tale cambiamento come una decisa contrapposizione con il sapere medievale.
Per gli scrittori e per gli artisti, che a partire dai primi anni del Cinquecento diedero vita al cosiddetto “Rinascimento italiano”, imitare l’antichità significava in primo luogo riconoscersi in una nuova visione del mondo, nella quale poter riscoprire se stessi
L’opera letteraria italiana che divenne il simbolo del Rinascimento in tutta Europa fu l’Orlando Furioso, poema scritto da Ludovico Ariosto (1474-1533). Ne vennero stampate innumerevoli edizioni in po­chi anni. Persino coloro che non sapevano leggere, si tramandavano brani dell’Orlando a memoria. Tramite questo poema dell’amore, dell’avventura e della fantasia l’Ariosto diffuse in modo del tutto nuovo un tema che aveva avuto grande fortuna nel Medioevo: quello delle imprese dei cavalieri e dei paladini di Carlo Magno Altro grande autore del Cinquecento fu Torquato Tasso (1544-95), che scrisse in versi la Gerusalemme Liberata, un poema dedicato alla prima crociata, combattuta nel 1099 dai cristiani, guidati da Goffredo di Buglione, che dopo varie peripezie liberano Gerusalemme dai saraceni.
In essa intrecciò i temi dell'epica cavalleresca con la riflessione religiosa e morale caratteristica dell'epoca della Controriforma. Il poema fu successivamente trasformato nella Gerusalemme conquistata (1593), dopo una rielaborazione che porta i segni delle ansie e dei dubbi religiosi dell'autore.

  • POEMI EPICO-CAVALLERESCHI

Matteo Maria Boiardo fu capostipite dei poemi epico-cavallereschi del Rinascimento italiano e il suo capolavoro fu l’Orlando innamorato: il suo contenuto è avvincente e insieme concentrato in alcuni motivi: la perenne fuga di Angelica e temi ricorrenti: l'amore, l'attrazione per il fiabesco, la nostalgia per l'universo della cavalleria.
All’opera di Boiardo spetta il merito di aver reinventato un genere che affondava profonde radici nella tradizione popolare e giullaresca e di avergli dato dignità di alta letteratura, contribuendo inoltre in modo decisivo all’armonica fusione tra i due principali filoni tematici: la materia carolingia, tradizionalmente epica e guerresca, e quella bretone, più incline alle avventure amorose e fantastiche dei suoi cavalieri e delle sue dame.
Altra opera letteraria italiana che divenne il simbolo del Rinascimento in tutta Europa fu l’Orlando Furioso, poema scritto da Ludovico Ariosto (1474-1533). Ne vennero stampate innumerevoli edizioni in po­chi anni. Persino coloro che non sapevano leggere, si tramandavano brani dell’Orlando a memoria. Ludovico Ariosto, infatti, riprese l'argomento del suo poema là dove Boiardo, che aveva lasciato incompiuto il suo lavoro, si era interrotto.
Figlio di un capitano di guarnigione al servizio degli Estensi e di una nobile reggiana, nel 1484, Ariosto si trasferì con la famiglia a Ferrara, dove assunse le prime cariche amministrative. Gli studi giuridici gli diedero una qualifica ulteriore, preziosa per il suo futuro di cortigiano. Nella prima metà degli anni Novanta partecipò alla vita di corte di Ercole I d'Este, quindi cominciò a scrivere poesie in latino
Acceso dalla passione letteraria, Ludovico Ariosto  fu tuttavia costretto a impegnare gran parte del suo tempo in missioni politiche e diplomatiche e compiti amministrativi, al servizio dei duchi d’Este. L’Orlando furioso, composto mentre il poeta era alle dipendenze del duca Ippolito d’Este, fu ripreso e profondamente rimaneggiato negli anni in cui Ariosto prestava la sua opera di consigliere politico e poi di commissario ducale in Garfagnana per il duca Alfonso.
L'Orlando furiosoriprende le vicende dei paladini di Carlo Magno dal punto in cui si era interrotta la narrazione dell'incompiuto Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo, testo assai celebre nell'ultimo decennio del XV secolo. Nel Furioso, la componente sentimentale viene sottolineata a tal punto che l'eroico Orlando è portato oltre le soglie della pazzia, a causa dell'amore spasmodico che prova per l'inafferrabile Angelica, principessa del Catai. Al centro dell'opera c'è poi un'altra coppia di innamorati, quella formata da Bradamante e Ruggiero. La situazione in cui si intrecciano le vicende di questi e altri mille personaggi (le "donne e i cavalier" nominati all'inizio dell'opera) è quella dell'assedio di Parigi: il re dei mori Agramante ha infatti sbaragliato l'esercito di Carlo Magno. Il poema procede a ritmo elevato: le avventure si susseguono in una geografia con parecchie caratteristiche fantastiche. E fantastiche sono diverse figure, come il mago Atlante e l'ippogrifo, il cavallo alato con cui Astolfo va sulla Luna a recuperare il senno perduto da Orlando. Ariosto dedica formalmente l’Orlando furioso a Ippolito d’Este, ma il destinatario ideale del poema è il magnifico pubblico delle corti rinascimentali.
Altro grande autore del Cinquecento fu Torquato Tasso (1544-95), che scrisse in versi la Gerusalemme Liberata,un poema dedicato alla prima crociata, combattuta nel 1099 dai cristiani, guidati da Goffredo di Buglione, che dopo varie peripezie liberano Gerusalemme dai saraceni.
In essa intrecciò i temi dell'epica cavalleresca con la riflessione religiosa e morale caratteristica dell'epoca della Controriforma. Il poema fu successivamente trasformato nella Gerusalemme conquistata (1593), dopo una rielaborazione che porta i segni delle ansie e dei dubbi religiosi dell'autore.
L’ idea di un poema dedicato alla prima crociata risale agli anni della giovinezza veneziana di Tasso, quando, tra il 1559 e il 1561, il poeta aveva saputo del pericolo corso dalla sorella Cornelia durante un’incursione dei pirati saraceni lungo la costa amalfitana. A quei tempi, inoltre, lo scontro tra cattolicesimo e Islam era di grande attualità, soprattutto a Venezia, i cui territori e affari erano costantemente minacciati dai turchi. Ma il progetto di un poema epico, politico e religioso che esaltasse i valori della cristianità, in accordo con il clima della Controriforma, si dimostrò subito superiore alle forze del poeta quindicenne, che interruppe la stesura dell’opera, la Gerusalemme, al primo libro.
Il nuovo poema, ultimato nel 1575 e dedicato ad Alfonso II d’Este duca di Ferrara (del quale Tasso era cortigiano), appare completamente diverso dal primitivo abbozzo: basato su uno studio scrupolosissimo delle fonti storiche e geografiche – in particolare della Historia belli sacri verissima di Guglielmo di Tiro – la Gerusalemme liberata fa esplicito riferimento a illustri modelli letterari, dai poemi omerici all’Eneide, dalla Divina Commedia all’Orlando innamorato di Boiardo, al Morgante di Pulci, al modello supremo dell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto.
Ma, nell’ambito dell’acceso dibattito cinquecentesco sui caratteri del poema epico e cavalleresco, rispetto alla multiforme varietà del poema ariostesco, Tasso propose e attuò nel suo capolavoro i principi aristotelici dell’unità di luogo, di tempo e di azione, la necessità di scegliere un tema storico che non fosse né troppo antico né troppo recente e l’esclusione della mitologia pagana a favore del meraviglioso cristiano. Inoltre, convinto assertore del fine edonistico dell’arte, Tasso tentò di coniugare la verosimiglianza aristotelica con la piacevolezza del romanzo cavalleresco, inserendo nella trama principale di carattere storico numerosissimi episodi minori di tipo favolistico: guerreschi, amorosi, magici e soprannaturali. Lo stile del poema è “magnifico”, ossia intermedio tra il tragico e il lirico; il tono è elevato e solenne.

  • NICCOLÒ MACHIAVELLI E “IL PRICIPE”

Il Rinascimento italiano fu anche uno straordinario momento di sviluppo della filosofia, della letteratura, del pensiero politico.
Il fiorentino Niccolò Machiavelli (1469-1527), è considerato l’iniziatore del pensie­ro politico moderno. Egli studiò la politica come arte del governare, liberandola dai rapporti con la religione o la morale. Lasciò un’opera, Il principe, considerata ancora oggi un grande classico della scienza politica. Egli dedicò l'opera a Lorenzo II de' Medici, figlio di Piero II de' Medici, con la speranza di riacquistare l'incarico di Segretario della Repubblica. Si tratta senza dubbio della sua opera più rinomata, quella dalle cui massime (spesso superficialmente interpretate) sono nati il sostantivo "machiavellismo" e l'aggettivo "machiavellico. Il Principe è articolato in ventisei capitoli, di lunghezza variabile, che recano dei titoli in latino, secondo la consuetudine trattistica di quel periodo. La materia è divisa in diverse sezioni. Nei capitoli dal I all’XI si esaminano i vari tipi di principato e mira ad individuare i mezzi che consentono di conquistarlo e mantenerlo, conferendogli forza e stabilità. Machiavelli distingue tra principati ereditari, a cui è dedicato il II capitolo, e nuovi; questi ultimi a loro volta possono essere misti, aggiunti come membri allo stato ereditario di un principe, capitolo III, o nuovi del tutto, capitolo IV e V; a loro volta questi possono essere conquistati con la virtù e con armi proprie, capitolo VI; oppure basandosi sulla fortuna e su armi altrui, capitolo VII in cui viene proposto come esempio il Duca Valentino. Il capitolo VIII tratta di coloro che giungono al principato attraverso scelleratezze; qui il Machiavelli distingue la crudeltà in due modi: bene e male. La “crudeltà bene” è quella impiegata solo per assoluta necessità e che si conviene nella maggiore utilità possibile per i sudditi; mentre la “crudeltà male” è quella che cresce col tempo anziché cessare ed è compiuta per l’esclusivo vantaggio del tiranno. Nel capitolo IX si affronta il principato civile, in cui il principe riceve il potere dai cittadini stessi; nel X si esamina come si debbano misurare le forze dei principati e nell’XI si parla dei principati ecclesiastici, in cui il potere è detenuto dall’autorità religiosa, come nel caso dello Stato della Chiesa.
I capitoli dal XII al XIV sono dedicati al problema delle milizie. Machiavelli giudica negativamente l’uso degli eserciti mercenari perché combattevano solo per denaro, sono infidi e pertanto costituiscono una della cause principali della debolezza degli stati italiani e delle pesanti sconfitte da essi subite nelle recenti guerre; per il Machiavelli la forza di uno stato consiste soprattutto nel poter contare su armi proprie, su un esercito composto dagli stessi cittadini in armi, che combattono per difendere i loro averi e la loro vita.
Nei capitoli dal XV al XXIII tratta dei modi di comportarsi del principe coi sudditi e con gli amici. E’ la parte in cui il rovesciamento degli schemi della trattatistica precedente è più radicale e polemico, in cui Machiavelli, anziché esibire il catalogo delle virtù morali che sarebbero auspicabili in un principe, va dietro alla scelta effettuale delle cose. Sono questi capitoli che hanno immediatamente suscitato più scalpore, e hanno tirato per secoli su Machiavelli l’esecrazione e la condanna. Il capitolo XXIV esamina le cause per cui i principi italiani, nella crisi successiva al 1494, hanno perso i loro Stati. La causa per lo scrittore è essenzialmente l’ignavia dei principi, che nei tempi quieti non hanno saputo prevedere la tempesta che si preparava e porvi i necessari ripari. Da qui scaturisce naturalmente l’argomento del capitolo XXV, il rapporto tra virtù e fortuna, cioè la capacità, che deve essere propria del politico, di porre gli argini alle variazioni della fortuna, paragonata ad un fiume in piena che quando straripa allaga le campagne e devasta i raccolti e gli abitati. L’ultimo capitolo, cioè il XXVI, è un’appassionata esortazione ad un principe nuovo, accorto ed energetico, che sappia porsi a capo del popolo italiano e liberare l’Italia dai barbari.

  • IL RINASCIMENTO E LA SCIENZA

Storici, pensatori, letterati trovarono un largo spazio nelle corti di signori, principi e sovrani. Lavorarono come educatori, segretari, diplomatici, consiglieri politici, spesso anche all’estero (in Francia, Spagna o Germania). Talvolta questo rapporto di dipen­denza li costrinse a subire delle umiliazioni, ma spesso permise loro di creare opere di livello altissimo.
L’interesse per l’uomo e per la natura determinò anche una vivace ripresa dell’indagine scientifica. Nel Medioevo la scienza si era affidata non tanto all’osservazione diretta dei fatti quanto alla lettura di testi autorevoli: nella Bibbia o nell’opera del filosofo greco Aristotele (384-322 a.C.) si rintracciavano le spiegazioni dei fenomeni naturali.
In accordo con la più alta opinione che l’uomo del Rinascimento ebbe di se stesso, la scienza si liberò dal timore del confronto col passato e si affidò alle proprie ricerche e alle proprie libere valutazioni. Si cominciò a discutere l’uso che sino ad allora si era fatto della Bibbia, un testo religioso, come fonte di precise conoscenze scientifiche.
Di grande rilievo furono gli sviluppi delle scienze naturali: biologia, zoologia, botanica. Altrettanto importanti furono i passi avanti fatti nel campo dell’astronomia, soprattutto per opera del polacco Niccolò Copernico (1473-1543). Osservando il moto dei pianeti, egli dimostrò che è la Terra a girare intorno al Sole e non, come si credeva, viceversa. L’enciclopedismo, cioè la capacità di approfondire molte discipline, non caratterizzò solo gli artisti e i filosofi, ma anche gli scienziati.

 

Fonte: http://classe4ba.altervista.org/LA_CULTURA_DEL_QUATTROCENTO_E_NEL_CINQUECENTO.doc

Sito web da visitare: http://classe4ba.altervista.org/

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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