Appunti storia medievale

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Tra il X e il XIII secolo, le chiese subalpine, basavano la propria presenza economica sulla grande proprietà e sul potere. A questo proposito, lo storico Cinzio Violante ha individuato due forme di sviluppo di questo potere: la prima legata al principio della TERRITORIALITÁ e la seconda legata al principio della PRESENZA FONDIARIA CAPILLARE in varie aree della diocesi e su legami personali.
Le proprietà dei vescovadi subalpini crebbero moderatamente tra l’età longobarda e l’età carolingia. Nel corso dell’alto medioevo, le entrate più consistenti erano legate alla percezione della decima (la parte di reddito che l’agricoltore doveva corrispondere all’erario). Importante fu l’intervento dei carolingi che nel XI concessero un privilegio generale d’immunità emanando il Capitulare Mantuanum Secundum Generale, in questo modo i beni episcopali erano protetti  dalle azioni indebite dei funzionari pubblici.
Tra il IX e il X secolo, il regno cominciò a fare concessioni sostanziose alle Chiese episcopali dell’Italia nord-occidentale. Con un diploma dell’882, per esempio, Carlo il Grossò donò due grandi corti regie, quattro curtes e due selve alla Chiesa di Vercelli, nel 1905 alla Chiesa di Novara vennero affermate le donazioni dei beni acquisiti in precedenza oltre all’abbazia di S. Michele e S. Genuario di Lucedio.
Grazie alla dinastia degli ottoni, praticamente tutti i vescovi delle diocesi subalpine ottennero curtes e beni. A non ricevere nulla fu soltanto il vescovo di Alba Liutardo che a causa dello spopolamento del X secolo non riuscì ad affrontare la crisi legata alle invasioni saracene e ungare; la diocesi di Alba fu per questo motivo annessa a quella di Asti per alcuni anni. Fatta dunque eccezione per Alba, il periodo compreso tra la fine del X e i primi sessant’anni del XII secolo fu decisivo per l’affermazione del patrimonio e dei poteri signorili dei vescovi.

Di seguito vengono riportati gli esempi di alcuni vescovadi.
VERCELLI
Tra la fine del X e l’inizio dell’XI secolo, il vescovo Leone ottenne dall’Impero terre e diritti pubblici oltre a beni  dei fautori di Arduino d’Ivrea. I vescovi riuscirono in questo modo a controllare la città. La ricchezza dell’episcopato era già consistente prima di Leone, nel 945 infatti, il vescovo Attone era in grado di sostentare i canonici di Santa Maria e di Sant’Eusebio.
Per quanto riguarda la corte regia urbana, in città vi era in città un centro di raccolta di prodotti agricoli che dava la possibilità ai vescovi di controllare parte della città stessa e di avere rapporti  con le famiglie dedite al commercio e alla lavorazione delle materie prime. Il controllo del vescovo sulle corti donate da ottone I e dai marchesi d’Ivrea alla fine del X secolo, rendeva il vescovo uno dei più ricchi signori della regione.
Nel 1025 Corrado II legittimò i poteri connessi con l’esercizio del districtus nel biellese, nella Valsesia e in 25  delle settanta località confermate. In alcuni casi il vescovo otteneva anche il teloneo ossia la riscossione delle imposte sulla vendita e sul trasporto delle merci. Alla Chiesa erano inoltre affidate le pubbliche funzioni e il mercato in città nel comitato di Vercelli e nel territorio di Santhià. Notevole era la superiorità della Chiesa rispetto agli altri dominatus territoriali, i successori di Leone, a questo proposito, allacciarono relazioni fseudo-vassallatiche con i conti e domini con i quali erano in concorrenza, nell’ambito di queste relazioni il vescovo aveva il ruolo di SENIOR. La clientela vassallatica inglobava i SIGNORI legati alla Chiesa formalmente e i CAPITANEI, MILITES  e VALVASSORES  di estrazione urbana attivi nella clientela armata vescovile e retribuiti con rendite feudali o terre assegnate in beneficio.
Tra l’XI e il XII secolo la Choesa consolidò i diritti patrimoniali e  giurisdizionali nel contado e contemporaneamente in città si affermava il governo comunale.

TORINO
Alla fine del X secolo Ottone II e Ottone III confermarono il possesso della curtis di Chieri e del castello di San Raffaele oltre alle pievi e i monasteri di propria competenza e all’immunità su una dozziana di località. All’inizio dell’XI secolo, il patrimonio comprendeva altre due curtes, un castello, beni sparsi in diverse località e corti, chiese e decime utilizzati per il sostentamento dei monasteri di San Solutore di Torino e Santa Maria di Cavour. Nel 1407 i canonici del Salvatore ottennero da Enrico III la conferma di diritti e possessi dentro e fuori dalla città. In questo periodo il collegio canonicale sembra rendersi autonomo dal vescovo che continuano ad amministrare i beni della cattedrale di San Giovanni Battista.
Nel 1159 il vescovo Carlo ottenne la conferma dei diritti e beni accumulati, il patrimonio era dunque paragonabile a quello di Asti. Il privilegio dei vescovi di Torino è legato all’incastellamento e all’affermazione di poteri signorili sostitutivi del potere pubblico. In varie località infatti, venne riconosciuto al vescovo l’esercizio del districtus in relazione alla presenza di un castello.
Nel  1159 furono concessi il districtus e i diritti pubblici in città e nei dieci miglia circostanti.
Nel 1111 e nel 1116, l’impero aveva concesse i diritti commerciali sul tratto della via francigena, l’esonero dai giurisdizioni superiori e la sottomissione diretta al servizio imperiale.

ACQUI

Tra 978 e 996 ottenne dagli Ottoni la districtio sulla città e sulle tre miglia circostanti oltre alla giurisdizione sui castelli e villaggi di Terzo, Cavatore, Strevi, Cassine e nei riguardi dei contadini residenti sulle proprietà della chiesa vescovile oltre alla conferma dei beni accumulati in precedenza.
Decisive furono, nell’XI secolo le donazioni del vescovo Guido e nel XII secolo il riconoscimento imperiale all’esercizio dei poteri bannali nelle località tra Tanaro e Bormida, ciò favorì il potenziamento delle iniziative di popolamento interrotte negli anni quaranta del XII secolo portando ad una crisi dovuta tra l’altro all’affermazione del comune.

In conclusione si può dedurre che vi era un gruppo di vescovadi più ricchi e beneficiari di notevoli poteri giurisdizionali ed è il caso di Vercelli; un’altra tipologia di vescovado si caratterizzava per il possesso di curtes , castelli, decime e terre, è il caso di Torino e un’ultima tipologia che è possibile collocare a metà strada: Chiese provviste di beni cospicui e diritti pubblici legati alle singole città e ai singoli centri solitamente incastellati è il caso di Acqui.

Bibliografia:
F. Panero, “Grandi proprietà ecclesiastiche nell’Italia nord-occidentale tra sviluppo e crisi (secoli X-XIV), Clueb, 2009

 

Fonte: http://www.controcampus.it/wp-content/uploads/2012/03/appunti-storia-medievale.doc

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