Epistemologia tra Ottocento e Novecento

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Epistemologia tra Ottocento e Novecento

Il dibattito epistemologico contemporaneo prende le mosse dalla discussione, che si colloca alla fine dell’Ottocento, sul problema della verità o della convenzionalità delle leggi scientifiche. Due grandi tendenze si fronteggiano, quella positivista e successivamente neopositivista, fiduciosa nella possibilità che le leggi scientifiche rappresentino la struttura profonda della realtà, e quella convenzionalista, che considera la scienza come un insieme di ipotesi euristiche, di spiegazioni della realtà, sempre soggette alla possibilità di essere modificate e riformulate.
Le istanze del convenzionalismo di fine Ottocento saranno riprese nel falsificazionismo di Popper e nella riflessione di alcuni dei più significativi epistemologi contemporanei: Khun, Fayerabend, Lakatos.

La fiducia quasi fideistica che gli scienziati positivisti riponevano nella possibilità di giungere alla verità dei fenomeni comincia a vacillare; la crisi del modello meccanicistico è tuttavia lunga e coincide con molte delle acquisizioni della scienza della seconda metà dell’Ottocento e con il dibattito sui fondamenti delle scienze matematiche e fisiche:

  • La teoria dell’elettromagnetismo di James Maxwell (1831-1879), che tende a considerare i modelli esplicativi della scienza come euristici ed ipotetici.
  • L’affermarsi delle geometrie non euclidee ed opera di Janos Bolyai (1802-1860) e Nicolai Lobacevskij (1793-1856);
  • Il dibattito sui fondamenti della matematica (crisi dei fondamenti) che coinvolge Frege (1848-1925), Cantor (1845-1918), Hilbert (1862-1943) e Goedel (1906-1978).
  • La teoria della relatività. Il colpo mortale alla “metafisica positivista” viene inferto dalla teoria della relatività formulata per la prima volta da Albert Einstein (1879-1955) nel 1905. Nel 1905, infatti, la pubblicazione da parte di Einstein della versione ristretta di questa teoria dimostra come spazio e tempo non possano essere considerati come entità assolute (lo spazio ed il tempo assoluto di Newton), ma dipendano e siano relativi a molti fattori. In primo luogo sono relativi rispetto al sistema di riferimento che si prende in considerazione ed in secondo luogo agli strumenti che consentono l’osservazione.
  • La scoperta della duplice natura, corpuscolare e ondulatoria, della luce da parte di Niels Bohr (1885-1962), nel 1927 
  • Il principio di indeterminazione di Heinsemberg (1901-1976). Quest’ultimo fa vacillare uno dei cardini del pensiero scientifico, il determinismo, cioè la possibilità di predire con certezza gli esiti futuri di un sistema fisico conoscendone le condizioni di partenza.

Il convenzionalismo. Le teorie, le conquiste ed i problemi posti delle nuove scoperte scientifiche ravvivano anche in sede filosofica il dibattito sullo statuto epistemologico, il significato e il valore della scienza. In particolare pensatori quali Ernst Mach (1838-1916), Jules Poincaré (1854-1912) e Pierre Dhuem (1861-1916), a diverso titolo, pongono l’accento sulla funzione fondante della soggettività del ricercatore all’interno dell’impresa scientifica, per rivendicare il ruolo del pensiero rispetto all’esperienza e per mettere in luce come la conoscenza scientifica non possa che essere costruita se non grazie all’intervento attivo dello scienziato. La scienza, lungi dal poter rivendicare qualunque pretesa di cogliere verità metafisiche (la struttura della realtà, il mondo come veramente è), non può che limitarsi a formulare generalizzazioni a partire dai dati che l’esperienza del ricercatore le offre.

La crisi dei fondamenti. Il convenzionalismo si inserisce all’interno del profondo ripensamento sul significato del sapere che coinvolge diversi ambiti disciplinari, come l’arte figurativa, con l’erompere sulla scena delle avanguardie - espressionismo, cubismo, surrealismo, futurismo – e con la crisi del paradigma naturalistico e realistico; la musica (Debussy, Schönberg, con la dodecafonia), la letteratura (James Joyce con Ulisse; Virginia Woolf; Italo Svevo con La coscienza di Zeno).
Nel campo della riflessione epistemologica, l’approfondimento della discussione sul significato della scienza vede poi una ripresa dell’atteggiamento empirista. Questa tendenza trova la sua massima espressione nel movimento del neopositivismo (o “positivismo logico” o “empirismo logico”).

Il neopositivismo del Circolo di Vienna
“Nel 1907 […] mi ero appena laureato in fisica all’università di Vienna, tuttavia i miei interessi più vivi si indirizzavano alla filosofia della scienza. Ero solito frequentare un gruppo di studenti che si riunivano ogni giovedì sera in un antico caffè viennese. Vi restavano fino a mezzanotte, e anche più tardi, discutendo problemi di scienza e di filosofia. L’orizzonte dei nostri interessi era molto ampio, ma il problema centrale era sempre lo stesso: come avvicinare nella maniera più stretta possibile filosofia e scienza?” (Frank).
Ecco come si forma il primo Circolo di Vienna, un cenacolo di scienziati e filosofi che si incontravano per discutere. Nel primo dopoguerra l’esperienza, soprattutto grazie all’arrivo di Schlick come docente della cattedra di Filosofia delle scienze induttive, si ripete (“secondo Circolo di Vienna”).
Nel 1929 viene pubblicato a Vienna un opuscolo dal titolo La concezione scientifica del mondo: si tratta del manifesto programmatico degli esponenti del Circolo di Vienna, che si propone l’obiettivo di rispondere alla crisi dei fondamenti delle scienze attraverso un rinnovato appello al potere conoscitivo della scienza medesima.
Gli empiristi logici vanno però oltre; infatti, contro ogni tendenza di tipo irrazionalistico, considerano le scienze, ed in particolare la logica, la matematica e la fisica, come l’unico strumento di conoscenza possibile.

Da La concezione scientifica del mondo
“La concezione scientifica del mondo è caratterizzata non tanto da tesi specifiche, quanto piuttosto, dall’orientamento di fondo, dalla prospettiva, dall’indirizzo di ricerca. Essa si prefigge come scopo l’unificazione della scienza. Suo intento è di collegare e coordinare le acquisizioni dei singoli ricercatori nei vari ambiti scientifici. Da qui l’enfasi su lavoro collettivo, sull’intersoggettività, nonché la ricerca di un sistema di formule neutrali, di un simbolismo libero dalle scorie delle lingue storiche, non meno che la ricerca di un sistema globale di concetti. Precisione e chiarezza vengono perseguite, le oscure lontananze e le insondabili profondità respinte.  […] La concezione scientifica del mondo non conosce enigmi insolubili. Il chiarimento dei problemi filosofici tradizionali conduce, in parte, a smascherarli quali pseudo problemi, in parte, a convertirli in problemi empirici, soggetti, quindi, al giudizio della scienza sperimentale. Proprio tale chiarimento di problemi e asserti costituisce il compito dell’attività filosofica. Il metodo di questa chiarificazione è quello dell’analisi logica”.

Non esistono, per gli esponenti del Circolo di Vienna, metodi di analisi della realtà differenti da quelli delle scienze; anzi la razionalità umana coincide in buona sostanza con la razionalità scientifica. Questa impostazione radicale del problema della conoscenza li porta ad una critica altrettanto radicale della metafisica ed a una ripresa del metodo positivo nelle scienze con una decisa polemica nei confronti della filosofia tradizionale e degli altri campi del sapere considerati come "pseudo-scienze".
I capisaldi del positivismo logico possono essere sinteticamente indicati nel modo seguente:

  • Lo scopo di raggiungere l’unificazione della scienza (enciclopedismo)
  • L’enfasi sul lavoro di gruppo, collettivo
  • Critica della metafisica;
  • Riferimento diretto alla teoria della conoscenza empirista;
  • Uso della logica come metodo di analisi;
  • Lo sviluppo di linguaggi formali che rettifichino le oscurità del linguaggio ordinario

 
“Abbiamo caratterizzato la concezione scientifica del mondo essenzialmente con due attributi. Primo, essa è empiristica e positivistica: si dà solo conoscenza empirica, basata sui dati immediati. In ciò si ravvisa il limite dei contenuti della scienza genuina. Secondo, la concezione scientifica del mondo è contraddistinta dall’applicazione di un preciso metodo, quello, cioè, dell’analisi logica”

Il principio di verificazione. Il programma di ricerca del neopositivismo si incentra sull’assunto della necessità per la scienza di possedere un’unica base empirica. Tutti gli enunciati della scienza debbono poter essere ridotti ad enunciati di base verificabili, o proposizioni osservative. Si tratta di enunciati che possono essere verificati o confutati sulla base di prove empiriche.

Principio di verificazione = “una questione è di principio risolvibile se possiamo immaginare le esperienze che dovremmo avere per darle risposta”

Questa teoria sottintende una distinzione tra verificabilità di principio e verificabilità di fatto, in quanto una tesi attualmente (all’epoca...) inverificabile, come “sull’altra faccia della luna esistono montagne di tremila metri”, potrà forse essere verificata in futuro. Anzi, essa rimarrebbe significante anche se, scientificamente, sapessimo con certezza che non si potrà mai raggiungere la superficie dell’altra faccia della luna, perché la verificazione resterebbe concepibile, ossia saremmo sempre in grado di indicare quali dati di fatto dovremmo esperire per compiere l’accertamento.
Insomma: un enunciato risulta sensato solo quando esistono procedure empiriche atte a verificarne o falsificarne la validità. In caso contrario, ci troviamo nel regno della metafisica, che non offre metodi per la verifica empirica dei propri enunciati.

Proprio il principio fondante dell’empirismo logico, e cioè il principio di verificazione, si presenta come un ostacolo insormontabile alla posizioni teoriche del Circolo di Vienna. Un enunciato, infatti, non può, in linea di principio, essere pienamente ed assolutamente verificato, ma può solamente essere soggetto a successive conferme empiriche. Una verifica definitiva implicherebbe una numero infinito di prove. Gli stessi membri del Circolo di Vienna, Rudolf Carnap (1891-1970) in particolare, abbandonarono il principio di verificazione, proseguendo tuttavia nella ricerca nel campo della logica induttiva.
La crisi ed il fallimento del programma dell’empirismo logico comportò una radicale revisione dei principi e dei metodi di una nuova disciplina, la “filosofia della scienza”, che proprio gli sforzi degli empiristi logici avevano contribuito a creare.

Popper
Karl Popper nasce a Vienna nel 1902, dove studia filosofia, matematica e fisica. Nel 1928 si laurea in filosofia e nel 1929 ottiene l’abilitazione all’insegnamento della matematica e della fisica. Con l’avvento del nazismo sarò costretto a trasferirsi in Nuova Zelanda; alla fine della guerra si stabilisce a Londra, dove muore nel 1994. Le sue opere sono sia di carattere scientifico che politico. Tra le più importanti ricordiamo: La logica della scoperta scientifica (1959), Congetture e confutazioni (1963), La miseria dello storicismo e La società aperta e i suoi nemici (1944-5).

Popper e il neopositivismo – Il rapporto tra Popper e i neopositivisti è controverso e ha dato adito a diverse interpretazioni. L’ultima – quella oggi più largamente accettata – vede in Popper una commistione di elementi neopositivistici e anti-neopositivistici, non sempre perfettamente conciliabili tra loro. Insomma, Popper condivide con il Circolo di Vienna diversi punti di vista (la battaglia per l’unità della scienza, la persuasione dell’unità del metodo scientifico ecc.), pur criticandone molti dei principi di base.
Popper si schiera in particolare contro il principio di verificazione, secondo cui un enunciato è dotato di significato se e solo se è verificabile empiricamente. Popper parte dalla critica di Hume al procedimento induttivo; secondo tale critica è impossibile dal punto di vista logico giustificare una conclusione universale a partire da una somma di casi particolari. Per esempio, l’osservazione di un gran numero di cigni bianchi non mi potrà mai dare la certezza che “tutti i cigni sono bianchi”. Popper giunge così alla conclusione che è impossibile verificare le proposizioni scientifiche.
Secondo Popper il criterio per distinguere gli enunciati scientifici da quelli che non lo sono non può allora risiedere nella verifica empirica, dal momento che questa non è in grado di rendere conto di enunciati di carattere universale, come di fatto sono quelli scientifici. La scientificità di questi enunciati risiede piuttosto nel fatto che essi, come sempre fanno le leggi fisiche, implicano delle impossibilità, ovvero contengono le condizioni di una loro possibile falsificazione. Facciamo un esempio. Per verificare che “tutti i corpi cadono” bisognerebbe osservare che tutti i corpi, uno ad uno, cadono, il che è certamente impossibile; ma è sufficiente osservare un solo corpo che NON cada per falsificare un tale enunciato.
Popper sottolinea insomma la asimmetria tra verificazione e falsificazione. Così giunge ad affermare che è sufficiente un solo esempio contrario (l’osservazione di un solo cigno nero) per dimostrare la falsità di una proposizione scientifica. E proprio la “falsificabilità” diventa il criterio di demarcazione fra scienza e non scienza. Popper enuncia infatti il principio di falsificazione, per cui una teoria è scientifica solo se è falsificabile, cioè se è concepita in modo da essere sottoposta a esperimenti in grado di provarne l’eventuale falsità.
In altre parole ancora, una teoria è classificabile come scientifica nella misura in cui dispone di un sistema di controlli empirici, ossia quando esibisce, nella forma di asserzioni-base, delle possibili esperienze falsificanti (“Un’asserzione o teoria è [...] falsificabile se e solo se esiste almeno un falsificatore potenziale, almeno un possibile asserto di base che entri logicamente in conflitto con essa”). Ad esempio, l’asserzione “domani pioverà o non pioverà” non è empirica (come le proposizioni della metafisica), in quanto non può essere confutata, mentre è empirica l’asserzione “domani pioverà”. Detto altrimenti, una teoria che non possa venire contraddetta da alcuna osservazione e che non vieti l’accadimento di alcunché non ha contenuto empirico e non dice nulla di scientificamente valido intorno al mondo. Al contrario, più numerose sono le possibili esperienze falsificanti, cioè i cosiddetti “falsificatori potenziali” che possono smentire una teoria, più ricco appare il suo contenuto empirico e scientifico.
Il concetto è questo: siccome una teoria, per quanto confermata, resta sempre smentibile, allora bisogna tentare di falsificarla, perché prima si trova l’errore, prima lo si potrà eliminare con una teoria migliore di quella precedente.
Poiché il metodo induttivo non è logicamente giustificabile, ed è quindi impossibile per la ricerca scientifica passare da osservazioni empiriche particolari alla formulazione di leggi universali, Popper propone un metodo ipotetico-deduttivo, secondo cui bisogna assumere come punto di partenza l’ipotesi (una determinata teoria), che dovrà in seguito essere controllata mediante i fatti.
Ciò significa che quel che si può imparare dall’esperienza è che la scienza non è il mondo delle verità certe e definitive, ma l’universo delle ipotesi che, per il momento, non sono ancora state “falsificate”.
Popper ritiene che le teorie possano tuttavia venire “corroborate”. Un’ipotesi teorica è corroborata quando ha superato il confronto con un’esperienza potenzialmente falsificante. Tuttavia, il fatto che una teoria venga corroborata, non dice niente sulla sua capacità di sopravvivere a controlli futuri. Inoltre, il fatto che una teoria sia più corroborata di altre non significa anche che essa sia più vera. La corroborazione non è indice di verità: non è un definitivo criterio di giustificazione delle teorie, ma temporaneo criterio di scelta tra teorie rivali.
In sostanza, ogni teoria scientifica è in questo modo assunta solo provvisoriamente come vera, poiché potrà essere sempre confutata da futuri controlli. La scienza che descrive Popper è quindi una scienza che procede per congetture e confutazioni, imparando continuamente dai propri errori.

Contro marxismo e psicoanalisi - Popper afferma che mentre la teoria di Einstein presenta un “potere esplicativo” limitato e risulta aperta a possibili smentite (ed è dunque scientifica), marxismo e psicoanalisi sono dottrine omniesplicative, dottrine a “maglie larghe”, che appaiono:

  • caratterizzate da insufficiente falsificabilità;
  • dirette ad aggirare possibili smentite tramite continue “ipotesi di salvataggio”. Per quanto riguarda il marxismo, ad esempio, le previsioni connesse ad alcuni suoi enunciati originari (come l’enfasi sull’incombente rivoluzione sociale) erano controllabili e, di fatto, vennero falsificate. Tuttavia, invece di prendere atto di tali confutazioni, i seguaci originari di Marx reinterpretarono sia la teoria, sia le prove empiriche, per farle concordare. Così “salvarono” la teoria, ma a condizione di renderla inconfutabile, dunque non-scientifica. Analogamente, la psicoanalisi risulta compatibile con i più disparati comportamenti umani, al punto che qualsiasi “caso” può fungere da conferma delle sue dottrine.

 

La crisi nella fiducia della razionalità della scienza: Thomas Khun (1922-1996).
La posizione di Popper mantiene una sostanziale fiducia nell’idea che all’interno del mutamento scientifico possano essere individuati dei criteri di progresso, di accumulazione della conoscenza. L’epistemologia contemporanea, però, mette in crisi anche questa certezza. Tale tesi è sviluppata nel modo più chiaro da Thomas Khun (La rivoluzione copernicana, 1957; La struttura delle rivoluzioni scientifiche, 1962). Khun sostiene che fattori esterni alla scienza, quali le concezioni del mondo, le abitudini linguistiche, gli atteggiamenti psicologici degli scienziati, i rapporti di potere, abbiano un ruolo fondamentale nello sviluppo della scienza stessa e che questo renda impossibile ridurre al susseguirsi di razionali verifiche e di esperimenti cruciali lo sviluppo della scienza stessa. La scienza procede, secondo la terminologia di Khun, con un andamento "quantico": a periodi di "scienza normale", subentrano periodi di "rivoluzione". Nei periodi di scienza normale, gli scienziati ed i tecnici non lavorano a confutare le teorie, come pretendeva Popper, ma lavorano all’interno delle teorie date, cercando di portarle al loro massimo e di difenderle strenuamente dagli eretici e dagli eterodossi. Insomma gli scienziati lavorerebbero alla difesa di determinati paradigmi (ossia di complessi organizzati di teorie, di modelli di ricerca e di pratiche sperimentali), “ai quali una particolare comunità scientifica, per un certo periodo di tempo, riconosce la capacità di costituire il fondamento della sua prassi ulteriore”. L’astronomia tolemaica e quella copernicana, la dinamica di Aristotele e quella di Newton ecc., sono tutti esempi di paradigmi che si sono succeduti e che schiere di scienziati hanno cercato di confermare e sviluppare.
Da notare come il quadro di riferimento della scienza non è determinato in modo esclusivo da presupposti scientifici, ma da un complesso di elementi culturali (religiosi, estetici, politici, economici...) che, anzi, condizionano le stesse assunzioni metodologiche della scienza. Ad esempio, un determinato paradigma scientifico ha più possibilità di affermarsi nel caso in cui sia appoggiato dalla Chiesa, o sia finanziato da una potente istituzione. Anche per questo, secondo Kuhn, non ha senso parlare della maggiore o minore verità di un paradigma rispetto ad un altro.
Quando, però, le anomalie in un paradigma divengono troppe, ecco che si apre una crisi che porta ad una ristrutturazione dell’intero quadro epistemologico della disciplina, a una rivoluzione di paradigma.
Un esempio di tale mutamento paradigmatico è il passaggio dalla cosmologia tolemaica a quella copernicana, o dalla meccanica classica alla fisica relativistica. Nel momento in cui si passa da un paradigma a un altro, si può constatare che uno stesso fenomeno può essere descritto in due maniere differenti, a seconda del paradigma di riferimento: gli uomini che vivevano all’interno del paradigma tolemaico vedevano il Sole muoversi intorno alla Terra, quelli che hanno vissuto e vivono dopo la rivoluzione copernicana vedono l’orizzonte terrestre spostarsi rispetto al Sole.
Quello che vediamo, insomma, non è un puro dato percettivo estrapolabile dalla teoria, cioè dal paradigma concettuale di fondo, ma è profondamente segnato da questo paradigma, nel senso che solo in base ad esso è identificabile come quella particolare percezione. Accade qui qualcosa di simile a ciò che succede in certi esperimenti della “psicologia della forma”, nei quali una stessa figura viene vista in due modi completamente diversi, a seconda dell’orientamento percettivo dell’osservatore.
I mutamenti paradigmatici che segnano l’evoluzione della scienza comportano, secondo Kuhn, una vera e propria “trasformazione del mondo”, cioè una trasformazione del modo di guardarlo e del modo in cui le cose appaiono o sono considerate.
Un’ultima cosa: come e perché viene accettato un nuovo paradigma? Kuhn risponde accennando a una “conversione” da parte delle varie comunità scientifiche, precisando che “i singoli scienziati abbracciano un nuovo paradigma per ogni genere di ragioni, e di solito per parecchie ragioni allo stesso tempo. Alcune di queste ragioni – ad esempio il culto del sole che contribuì a convertire Keplero al copernicanesimo – si trovano completamente al di fuori della sfera della scienza. Altre ragioni possono dipendere da idiosincrasie autobiografiche e personali. Perfino la nazionalità o la precedente reputazione dell’innovatore e dei suoi maestri può talvolta svolgere una funzione importante”.


Gli esponenti di spicco di questo movimento sono: Schlick (1882-1936, Significato e verificazione, 1936); Carnap (1891-1970, La costruzione logica del mondo, 1927); Neurath (1882-1945) e Hahn (1879-1933, Logica, matematica e conoscenza della natura, 1933). Lo scioglimento del Circolo si avviò a partire dai primi anni Trenta.

Data una teoria T, dovranno estrarsi perciò le conseguenze p1, p2, ... ,pn, conseguenze tali da poter essere confutate dai fatti.

In questo possiamo vedere anche una certa rivalutazione della metafisica fatta da Popper contro i neopositivisti. Certo, anche per Popper la metafisica non è scienza; ma questo non significa che essa sia priva di senso. A Popper non sfugge la serie di interconnessioni psicologiche e storiche tra teorie metafisiche e teorie scientifiche, ovvero la funzione propulsiva esercitata di fatto dalla metafisica nei confronti della scienza.

 

Fonte: http://www.sdstoriafilosofia.it/download/VB/Circolo%20di%20Vienna.docx

Sito web da visitare: http://www.sdstoriafilosofia.it/

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