Grandi capi indiani

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Grandi capi indiani

Cavallo Pazzo
Senza dubbio la figura più leggendaria dei Lakota (SIOUX), la possiamo identificare in TASHUNKA WITCO.Il suo nome è stato erroneamente tradotto in “crazy horse” ma la parola witko non significa soltanto “pazzo o sciocco” ma anche sorprendente e TASHUNKA WITCO di cose sorprendenti ne ha fatte veramente molte.Come tutta la sua personalità, il luogo, la data di nascita ed il posto della sua sepoltura rimangono in parte avvolte nel mistero.Le fonti storiche più attendibili , anche se non vi è pieno accordo su alcuni passaggi della sua vita, ci permettono di dedurre che sia nato tra il 1840 ed il 1845 ai piedi della PAHA SAPA (black hills) , le Sacre colline, ritenute dai Lakota l’ombellico del mondo, non ché luogo sacro dove intercedere con il GRANDE MISTERO.Più precisamente, sembra sia nato in un luogo chiamato la Torre dell’orso, ove era abitudine del suo popolo, gli Oglala, soffermarsi per la caccia della buona stagione e per i riti religiosi dell’estate.Le sue fattezze fisiche, lo ritraggono diverso dalla comune fisionomia Lakota.
Descritto con i capelli abbastanza chiari, con la carnagione pallida, almeno al confronto degli altri Lakota e con i capelli riccioluti, suscitò non pochi dubbi (tra i bianchi) la sua vera identità; qui SOPRA, come sfondo della pagina, potete vedere finalmente l'unica foto di Tashunka AUTENTICATA.  Nonostante queste diversità fisiche con i suoi consanguinei e non ci sono dubbi tra i nativi della sua appartenenza al popolo Lakota, (inoltre l ‘università Oglala ha ricostruito il suo albero genealogico senza trovare riscontro con le ipotesi che lo vedevano appartenere in qualche modo al popolo “bianco”) venne alla luce da una donna sorella del capo Coda maculata e dal padre un Oglala di nome Cavallo Pazzo dal quale prese poi il nome, rimasto vedovo poco dopo la nascita del loro piccolo. Il padre si risposò poco dopo con la sorella minore della moglie,Coperta Agitata, una donna che gli fece da vera e propria madre com’era consuetudine in questi casi tra i Lakota. Sin da bambino dimostrò le sue incredibili doti di coraggio e di guerriero, si mise in risalto più volte contro gli storici nemici appartenenti alle tribù Crow, Pownee, Shoshoni,, Arapaho e Arikara, rubando gia molti cavalli prima di compiere tredici anni e guidando la sua prima spedizione di guerra intorno ai venti. Tashunka w. all’età di circa 12 anni ebbe modo di vedere con i suoi occhi la stupitidà e l’arroganza di un uomo bianco, il Tenente Gratan, che a causa di una controversia per una mucca che era stata abbattuta nel villaggio indiano del capo Lakota Sicangu “Orso Che Conquista”, pensò bene di attaccare il villaggio indiano (uccidendo slealmente il capo) che si difese prontamente uccidendo i 28 soldati compreso il Tenente e lasciando sul campo di battaglia una dozzina di Lakota. Tashunka w. cominciò a provare dentro di sé una profonda avversione nei confronti del popolo “ bianco”dopo la perdita di Orso Che Conquista che lascio dentro di lui una profonda ferita. Ma il peggio doveva ancora venire. Il 22 Agosto 1855 il colonnello Harney ( chiamato barbabianca), veterano delle guerre indiane, con a seguito 1300 soldati e 6 cannoni, uscì da Fort Laramie con l’ obiettivo di annientare il villaggio indiano di capo “Piccolo Tuono” ( successore di Orso che Conquista ) accampato sulle rive di un torrente chiamato Blue Water Creek. Il colonnello Harney, arrivato al villaggio indiano il 3 settembre 1855, dopo una finta trattativa con il capo indiano aprì il fuoco all’ improvviso, facendo una strage. I guerrieri indiani, presi di sorpresa, cercarono di difendersi quanto possibile ma il bilancio delle vittime fu tremendo, 170 morti fra uomini donne e bambini. Tashunka w. che stava tornando al villaggio dopo una giornata di gioco e di caccia alla visione dell’ accaduto rimase completamente sconvolto. Da quel momento in poi Tashunka w. avrebbe fatto “tremare” le gambe al popolo invasore. Il suo carattere introverso e riservato, lo portò spesso a isolarsi e ad allontanarsi dal suo villaggio, come quando rimase per lungo tempo con i suoi amici Cheyenne del capo “Pentola Nera” e dove trovò il suo primo amore tra le braccia di una Cheyenne di nome “Donna Gialla”, rimasta vedova proprio nel massacro del Blue Water Creek e che Tashunka w. aveva salvato insieme al suo bambino. Dopo essersi scontrato nuovamente contro le giacche blu, al fianco di Pentola nera, ed esserne usciti sconfitti, Tashunka w., anche su consiglio di Donna Gialla, decise di fare ritorno al suo popolo.  Fu proprio in uno di questi periodi , che decise di cercare la propria “visione”. La ricerca della visione o più esattamente “Hanbleceya”il lingua Lakota, era, ed è, un ‘esperienza individuale che una persona intraprende con lo scopo di trovare la propria strada, ottenere potere spirituale prima di un’importante prova o, un tempo, prima di una spedizione di guerra. Al contrario delle usanze Lakota, che prevedono complesse cerimonie e l’ assistenza di un “Uomo Sacro” che guidi la persona alla ricerca della “visione”,Tashunka w. decise di non far sapere a nessuno della sua ricerca di “visione”( mettendo così a rischio la propria vita) e dopo il terzo giorno di digiuno completo e di veglia ininterrotta la “ visione “ si manifestò. Nella “visione”, gli fu indicato quale percorso doveva intraprendere per proteggere il proprio popolo, e ad quali regole doveva attenersi per conservare il potere “Sacro” che gli era stato concesso, ed infine, anche se Tashunka w. non ne capì subito il significato, quale sarebbe stato il suo destino. Dopo aver consumato il suo primo amore con Donna gialla, nella vita di Tashunka w. entrò nel bene e nel male una donna di nome “Donna Del Bisonte Nero”, una bellissima donna Lakota nipote del famoso capo Oglala “Nuvola Rossa”,
nonché corteggiatissima da moltI guerrieri ed in particolare da uno, un certo “Senz’acqua”, che faceva parte proprio dei guerrieri dello zio della donna. “Donna del bisonte Nero ” mostrò sin dall’inizio una spiccata preferenza per Tashunka w. , ma l ‘antica tradizione Lakota prevedeva che fosse l’uomo a chiedere la mano della donna, dovendo poi ricompensare la famiglia della sposa con beni materiali. Ma Tashunka w. non si sa bene per quale motivo esitò a farsi avanti, forse pensò di fare un torto ad un Lakota che la desiderava come lui, forse non si sentì all’altezza della situazione essendo la donna così bella ed importante. Il tempo passava e le cose si complicarono sempre di più. Il capo Oglala Nuvola Rossa nel frattempo decise per una spedizione di guerra contro gli storici nemici ( i Corvi ) e Tashunka w. partì per la spedizione senza troppe esitazioni, al contrario, il suo rivale in amore Senz’acqua, con uno stratagemma rimase al villaggio, approfittando della compagnia di Donna del Bisonte Nero. Tornato dalla spedizione di guerra, Tashunka w. ricevette una notizia dolorosa, Senz’ acqua tradendo tutto e tutti aveva preso come moglie Donna del Bisonte nero. Tashunka w. si chiuse nel suo dolore isolandosi per diverso tempo. Intorno al 1865 dopo essersi più volte messo in luce nelle spedizioni di guerra contro le tribù nemiche, fu nominato “ PORTATORE DI CASACCA”.I portatori di casacca che presso gli Oglala erano 4, erano la voce dei Wicasa Itancan, il vero e proprio esecutivo della tribù. Portavano una speciale casacca che li distingueva ed erano continuamente consultati per decidere questioni di interesse tribale, appianare discordie tra individui o famiglie, negoziare con nazioni straniere. Questo ruolo era conferito dalle “ PANCE GROSSE” cioè i capi del consiglio dei “ SETTE FUOCHI” : Oglala, Sicangu, Minneconjou, Hunkpapa, Sihasapa, Itazipcho, Oohenonpa. Proprio in quel periodo, una spedizione militare muoveva verso i territori Lakota ( riconosciuti agli stessi con il trattato di Laramie nel 1851), per aprire un passaggio il cui obiettivo era quello di portare i cercatori d’oro dritti dritti nel Montana,  Tale passaggio fu denominato “ il sentiero Bozeman” dal nome del suo scopritore Jhon Bozeman. La spedizione comandata dal colonnello Henry B. Carrington, aveva l ‘obiettivo non solo di scortare i coloni, ma di reprimere con la forza qualsiasi tentativo di intrusione da parte dei nativi.  Tashunka w. non accettò nessun tipo di trattativa per la concessione dei territori, Nuvola Rossa e “Colui che fa paura” non trovarono soddisfacenti le proposte del governo ed infine rifiutarono. Tashunka w. con molta freddezza studiò un piano perfetto per interrompere l ‘avanzata militare, al contrario Nuvola Rossa spinse più volte i suoi guerrieri contro il forte dei soldati con scarsi risultati e con parecchie perdite. Tashunka w., astutamente, aspetto che i soldati uscissero dal forte per cercare rifornimenti e legname per poi attaccarli allo scoperto. Il 21 Dicembre 1866, una colonna di 82 militari, comandata dal capitano Fetterman uscì da Fort Kearny per soccorrere alcuni carri appositamente attaccati dai Lakota. Tashunka w. concentrò tutti i suoi guerrieri contro i soldati ormai in trappola, annientandoli completamente in poco meno di un’ora.   Anche se tra i Lakota ci furono delle perdite ( circa 60 guerrieri ), la sconfitta di Fetterman impressionò molto il governo degli Stati Uniti, creando uno stato di allerta generale. Quella che poi per i bianchi divenne “il massacro Fetterman e la guerra di Nuvola Rossa”, anche se credo che sia più corretto collegare gli eventi a Tashunka w., per i Lakota fu “la battaglia dei cento uccisi”. Ancora una volta Tashunka w. difese il suo popolo con grande coraggio e senso di responsabilità. Il 6 Novembre 1869, il capo Oglala Nuvola Rossa forse rassicurato dalle promesse del governo, firmò il trattato di pace, dove si impegnava a deporre le armi. Tashunka w. come sempre non partecipò a nessuna trattativa. Sempre in quel periodo ( 1869-1870), relativamente tranquillo, Tashunka w. ritrovò il suo vecchio amore, Donna del Bisonte Nero, ormai da qualche tempo sposata e con tre figli. Nonostante fosse passato molto tempo, i due ancora si amavano, fino al punto di scappare per vivere il loro amore. Il marito della donna riuscì a raggiungere i due e senza pensarci due volte sparò un colpo di pistola al volto del “traditore”che rimase ferito gravemente. Con quel gesto Tashunka w. era venuto meno ad uno dei suoi doveri di “Portatore di casacca”, che prevedeva di non creare mai dissapori nella tribù per cause personali. “Le pance Grosse”lo umiliarono davanti a tutti, togliendoli la carica.
Anche se moltissimi guerrieri gli rimasero fedeli, per lui fu un colpo durissimo. La donna, dopo l’ accaduto tornò con suo marito e dopo nove mesi mise alla luce una bambina che molto probabilmente era figlia della loro fuga d’amore. Come se non bastasse, poco dopo, fu ucciso da un gruppo di cacciatori bianchi il fratello di Tashunka w. di nome “Piccolo Falco”. La gente, rimasta fedele al grande condottiero e molto preoccupata per il suo stato d’animo sempre più cupo, decise di fare qualcosa per il suo capo e con uno stratagemma gli trovarono moglie. La donna di nome “Scialle Nero”non era di certo bella e nobile come “Donna del Bisonte nero” ma era un’ottima persona, riverente e generosa. Nel mese di Marzo 1871 “Scialle Nero”mise alla luce una bambina che prese il nome di “Colei che fa tremare”. Tashunka w. divenne un padre dolcissimo, adorava la sua bambina. Le malattie portate dai bianchi mietevano vittime senza sosta, e la piccola si ammalo quasi subito. Neanche gli “UOMINI DI MEDICINA” non poterono niente contro quei mali sconosciuti , non ebbero il tempo per controbattere quelle malattie tanto invasive. Tashunka w. tornato da una spedizione di guerra al fianco del capo Hunkpapa TATANKA YOTANKA ( TORO SEDUTO), trovo la sua piccola morta. L’uomo bianco gliela aveva portata via. Da quel momento Tashunka w. vagò per le praterie e le “Colline Nere”e con il suo winchester non risparmiò neanche un bianco che si trovò davanti. Ma l’ avanzata bianca era implacabile, si spinse sempre di più nei territori Lakota. La notizia che le colline nere erano colme d’oro dalle radici in giù fece impazzire il “viso pallido”. Ma quello era territorio Sacro Lakota e Tashunka w. non lo avrebbe mai venduto. Come il solito il governo cercò di trattare al vendita del territorio, Nuvola Rossa e Coda Macchiata parteciparono alle trattative senza trovare accordo. Sempre il quel periodo la moglie di Tashunka w. si ammalò di Tubercolosi. Nel Dicembre 1876 il presidente Grant lanciò un ultimatum ai nativi. Il governo gli intimò di arrendersi immediatamente e di rientrare tutti nelle riserve sotto il loro controllo, altrimenti sarebbero stati considerati ostili e dunque in guerra. Tashunka w. saputa la notizia, si diresse verso nord, unendosi agli Hunkpapa di Toro seduto e questa unione risvegliò in molti Lakota la voglia di combattere.  In poco tempo, si unirono ai due capi molti guerrieri appartenenti alle tribù Sicangu, Sihasapa,itazipcho,Cheyenne, Arapaho per fare grandi banchetti. Tatanka Yotanka nel mese di giugno eseguì un’ incredibile Danza del sole, dopo i riti di preparazione , il grande capo Oglala offrì  a “WAKAN TANKA” decine di piccoli pezzi della sua pelle e danzò per quasi due giorni consecutivi. In quella danza ricevette una visione che esplicitamente gli mostrava la loro vittoria e la disfatta dell’esercito. Il 17 giugno sotto la guida di Tashunka w. i Lakota ed i Cheyenne intercettarono la colonna di soldati del generale Crook attaccandoli ripetutamente sul fiume Rosebud. Spostando continuamente, i sui guerrieri su diversi fronti ,Tashunka w. costrinse la mattina seguente il generale Crook a ritirarsi verso il suo campo-base. I Lakota con tutti i loro alleati decisero poi di spostarsi verso il fiume Little Big Horn. Ma mentre Crook si ritirava, un’ altra colonna di 600 soldati avanzava verso i Lakota.Ma commisero un errore fatale, invece di rimanere uniti si divisero in tre battaglioni, il primo quello che attaccò all’improvviso formato da 190 uomini sotto la guida del Maggiore Marcus Reno fu prontamente respinto dai guerrieri, il secondo comandato dal Capitano Beenten ( inspiegabilmente in ritardo secondo il piano previsto ) invece di muovere insieme a Reno per contrattaccare si ritirò su una collina attuando una disperata linea difensiva. Il terzo comandata dal famoso Generale Custer ( che poi non era generale ma aveva la “fissa”di farsi chiamare così) e composto di 210 soldati cerco di sorprendere i guerrieri dall’altro versante. Tashunka w. in tutti quei frenetici momenti fece da c’ordinatore ai guerrieri spronandoli a combattere con grande coraggio. Visti i soldati, arrivare Tashunka w. vi si lanciò contro insieme al valoroso guerriero Hunkpapa Gall, innescando dei furiosi a corpo a corpo. In poco più di un’ora circa 2.500 guerrieri travolsero e uccisero tutti i soldati compreso il loro comandante. Complessivamente dei 600 soldati 264 morirono quel giorno e almeno 60 guerrieri persero la vita. Immediata fu la risposta del governo degli Stati uniti che inviò subito dei rinforzi a Crook e emanò una legge la quale prevedeva l’immediata cessione delle colline nere e i monti Big Horn .

 

MAPPA MILITARE  DI LITTLE BIGHORN

Se la legge non fosse stata rispettata, il governo avrebbe cessato di fornire qualsiasi tipo di assistenza agli indiani nelle riserve, in poche parole li avrebbe fatti morire di fame. A quel punto tutti i capi delle riserve approvarono la legge tranne Tashunka w. e Tatanka yotanka. Tashunka w. rimasto con pochi fedeli e braccato da migliaia di soldati decise di arrendersi. Il 6 Maggio 1877 alla testa di 900 Oglala e 1000 cavalli si diresse verso fort Robinson per consegnarsi al tenente Philo Clark, disarmato si consegnò ai militari sotto l’ acclamazione degli indiani presenti. Nel forte diverse furono le reazioni nei confronti dell’ “irriducibile” , c’è chi gli fece buone proposte e chi invece lo calugnò cercando di mettergli i bastoni tra le ruote.  Per diversi motivi si arrivò all’arresto del capo guerriero, stabilirne le cause precise non è cosa semplice visti i continui complotti contro di lui, si pensa addirittura che il capo Nuvola Rossa accecato dalla gelosia architettò un piano per farlo arrestare e che a complicare ulteriormente le cose fu una traduzione sbagliata fatta da un interprete in un colloquio tra Tashunka w. e i vertici militari. Fatto sta che Tashunka w. faceva ancora molta paura ai bianchi e a qualche indiano ormai “civilizzato”e l’unica soluzione definitiva al problema era eliminarlo in qualche modo. Alla vista della cella Tashunka w. cercò di liberarsi estraendo un coltello che aveva nascosto, Piccolo Grande Uomo che una volta era stato al suo fianco in tante battaglie ma che ora era diventato un poliziotto della riserva lo bloccò cercando di togliergli il coltello e mentre i due si dimenavano il sodato semplice William Gentils lo colpì mortalmente alla schiena.  Come la “visione”anni prima gli aveva mostrato il suo destino così si era compiuto. Poco prima della mezzanotte del 5 Settembre 1877 Tashunka w. si spense sul grembo di madre terra. In qualche modo, i suoi genitori riuscirono a prelevare la salma del loro povero figlio dal forte per poi vegliarlo secondo le usanze Lakota. Il corpo avvolto in un sudario di pelle di bisonte dipinto di rosso, rivolto verso padre cielo, venne poggiato sulle braccia di un grande albero e vegliato per quattro giorni e quattro notti per poi essere sepolto in un luogo segreto.
Più volte ricercatori bianchi hanno tentato di trovare le sue reliquie ma per circostanze a volte misteriose nessuno vi è ancora riuscito. Sembra che gli unici a sapere il luogo della sepoltura siano sette “WICASA WAKAN”(UOMINI SACRI) che si tramandano da generazione in generazione il segreto. Ogni volta che un tuono ci accarezza le orecchie rendiamo una preghiera a questo GRANDE UOMO rendiamo una preghiera al FIGLIO DEL TUONO.
...devo fare ciò che lo spirito mi ha mandato sulla terra a fare...
Tashunka Witco

 

NUVOLA ROSSA

 

Il 12 aprile del 1877 Nuvola Rossa e 70 dei suoi uomini lasciarono la loro riserva sul fiume Platte, il fiume sul quale tutto era cominciato un quarto di secolo prima, e galopparono verso il Nord, trascinandosi al seguito molti muli carichi di provviste. Dopo sei ore di marcia, in una giornata di meravigliosa limpidezza primaverile, avvistarono lontana una processione di uomini e donne macilenti, coperti di stracci, aggrappata a cavallini magri e preceduta da un uomo a cavallo. Spronarono le cavalcature, e dopo pochi minuti i contorni di quella gente si fecero più chiari e distinti. Erano gli ultimi Oglala liberi scesi dai monti. Davanti a loro, cavalcava Tashunka Uitko. Nuvola Rossa lo affiancò immediatamente. Mentre i suoi uomini cominciavano a distribuire pane, melassa, coperte, gallette ai bambini e alle donne, Cavallo Pazzo e Nuvola Rossa si salutarono, smontarono di sella e si sedettero a gambe incrociate, uno di fronte all'altro sulla coperta che Cavallo Pazzo aveva spiegato sulla terra. «Tutto andrà bene, per te e per il tuo popolo, Tashunka» lo rassicurò Nuvola Rossa con il tono di chi parla a un amico molto malato, «hai fatto la cosa giusta, la cosa onorevole.» Ma Cavallo Pazzo non gli rispose. Sembrava distratto, quasi indifferente a quel momento che per tutta la sua vita aveva temuto e combattuto, il momento della resa. Nuvola Rossa lo invitò a unirsi temporaneamente ai suoi, nella riserva che da anni lui capeggiava, in un gesto apparente di delicatezza che purtroppo nascondeva ben altre intenzioni. Cavallo Pazzo accettò e per qualche settimana visse nel campo del suo vecchio capo. E nel quale vivevano, da tempo, Donna Del Bisonte Nero con il marito, Senz'Acqua. Il 6 maggio successivo, sotto la Luna dei Temporali di Primavera, venne il giorno della resa formale. Alla testa di 900 Oglala e 1000cavalli, tutto quel che rimaneva della più grande e temuta tribù della Prateria, Cavallo Pazzo si diresse verso Fort Robinson, una base che distava appena 80 chilometri da Fort Laramie, per consegnarsi al comandante di quel campo, il tenente Philo Clark, che era stato avvertito. Clark, che i Sioux avevano battezzato Cappello Bianco per il suo vezzo di indossare sempre un cappellone da cowboy bianco fuori ordinanza, galoppò incontro al capo e gli tese la mano destra.  Cavallo Pazzo la rifiutò e gli rispose con la mano sinistra, come amava fare, essendo la destra «la mano che uccide, la mano del male». «Ti offro la mia mano pura, la sinistra, perché voglio che questa pace fra noi resista per sempre» disse, e il tenente la strinse con vigore. Al fianco di Cavallo Pazzo, cavalcava Lui Cane, un altro vecchio amico e compagno di battaglie, in tenuta completa da guerra, come voleva il cerimoniale di queste rese. Cavallo Pazzo era invece quasi completamente nudo, come sempre, con il perizoma attorno ai fianchi, una coperta sulle spalle, un coltello infilato nelle fasce gambiere di pelle e la immancabile penna di falco rosso tra i capelli. Lui Cane offrì allora a Cappello Bianco il suo piumaggio di capo e la sua pipa di guerra con la penna rossa, in segno di resa, al posto di Cavallo Pazzo. Il tenente le accettò e fece segno ai due di seguirlo dentro il forte. Tashunka annuì e si voltò verso i suoi Oglala, per invitarli a seguirli. Fu in quel momento che qualche cosa di straordinario avvenne. Dalle fila dei 900che seguivano Cavallo Pazzo si alzò una voce, poi due, poi tutte per intonare un canto di gloria e di gratitudine al loro eroe e alla loro guida.  Cantavano la vita di Tashunka Uitko, le sue imprese, la sua generosità, il suo disumano altruismo. Ben presto centinaia, poi migliaia di Sioux già in cattività, che si erano raccolti per assistere all'arrivo del grande uomo, circondarono il gruppetto dei soldati e dei capi arresi agitando manciate di salvia, rami di pioppo e di salice, aprendosi per lasciar passare Cavallo Pazzo. Le loro voci si unirono a quelle degli Oglala e tutta la valle del fiume PIatte si riempì di un coro immenso che cantava la gloria del Figlio del Tuono. Un sergente che era uscito incontro agli indiani con «Cappello Bianco»cominciò a innervosirsi e disse al tenente Clark: «Tenente, questa doveva essere una resa e sta diventando una stramaledetta marcia trionfale», ma l'ufficiale lo zittì con un gesto. «Li lasci cantare, sergente, li lasci cantare.» E Cavallo Pazzo entrò così, la testa bassa sul suo cavallo scheletrico, sospinto dal canto del suo popolo dentro la città dei bianchi dove si sarebbe compiuta la volontà del Grande Spirito. Tashunka Uitko dovette consegnare ai soldati il suo Winchester, il fucile con il quale aveva combattuto e vinto Crook e Custer. Lui e la sua gente furono disarmati di fucili, asce, frecce, coltelli, privati dei cavalli e mandati a vivere in un piccolo terreno sulle rive di un fiume chiamato Cottonwood Creek, il torrente del Pioppo, a mezza strada tra le «agenzie» come si chiamavano allora, le riserve indiane di Nuvola Rossa e dello zio Coda Macchiata, oggi al confine fra gli stati del Nebraska e del South Dakota.  E i problemi cominciarono immediatamente. Una continua processione di Brulé Sicangu provenienti dal campo dello zio, di «Brutti Ceffi» dal campo di Nuvola Rossa e soprattutto di bianchi, ufficiali, funzionari governativi, giornalisti, fotografi ambulanti, missionari, arrivava quotidianamente al campo degli Oglala e si fermava davanti al tipì di cotone militare da tende - non c'erano più abbastanza pelli di bis onte - per vedere da vicino e per conoscere l'eroe, o il barbaro, secondo i punti di vista, che aveva distrutto Custer e il 7° Cavalleria. Tutti portavano doni, soldi, lusinghe, per strappargli un incontro, una fotografia, una paI;ola, un'intervista, ma Cavallo Pazzo non usciva dalla sua tenda per incontrarli. Non voleva alimentare quello che stava evidentemente diventando, in linguaggio moderno, un vero e proprio «culto della personalità» e un clima da visita allo zoo degli indiani. Non voleva farlo per due ragioni, come raccontò il fratello di Scialle Nero, il guerriero Penna Rossa. La prima, era la parola data. «Quando mio cognato, Tashunka, aveva deciso di arrendersi e di non fumare mai più la pipa di guerra, aveva deciso di farlo per sempre. Mi diceva spesso: Penna Rossa, loro non capiscono che sono venuto qui per vivere in pace e per morire in pace. Neppure se uno dei miei parenti mi puntasse un fucile alla tempia e mi ordinasse di cambiare idea, io la cambierei. Sono pronto a farmi uccidere, piuttosto che tornare sul sentiero di guerra.» La seconda ragione del suo mutismo, della sua riservatezza, era la gelosia che lui sentiva montare fra gli altri capi indiani, specialmente Nuvola Rossa e Coda Macchiata, che erano naturalmente invidiosi della popolarità, e della ammirazione, che circondavano quell'Oglala che essi - veri capi, e non soltanto capi guerrieri come lui - consideravano un inferiore. In passato tutti e due, ma soprattutto Nuvola Rossa, avevano sopportato in silenzio le bizzarrie mistiche e !'immensa autorità spirituale di Cavallo Pazzo, perché quel piccolo guerriero faceva loro molto comodo, perché quello strano Oglala dalla carnagione più chiara, piccolo di statura, dai capelli ricci era il «generale nudo» che puntellava con la sua abilità di guerriero e di cacciatore la loro autorità di leader politici. Ma nelle riserve, in cattività, la gerarchia dei valori tradizionali indiani era stata irrimediabilmente stravolta. Ora, il prestigio e l'autorità non si misuravano più nel numero di cavalli, o di mogli, o di figli, nella eloquenza, nella forza del proprio clan, ma nella distanza che separava dal mediocre dio della esistenza quotidiana, dall'Uomo Bianco che dispensava cibo, denaro e favori.  Chi riusciva meglio ad arruffianarsi i funzionari e gli ufficiali era un uomo potente, perché poteva ottenere privilegi per se stesso e per la propria tribù. Era la classica logica del rapporto fra prigioniero e carceriere di tutti i penitenziari e di tutti i campi di concentramento. E non c'era dubbio che il «cocco» dei bianchi, il Sioux che tutti corteggiavano e blandivano fosse lui, Cavallo Pazzo. Come era evidente che i giovani, sia quelli già nati in cattività, sia quelli che avevano fatto in tempo a vivere la vera vita dei Lakota negli spazi aperti, guardavano a lui, all'invitto Figlio del Tuono, come alloro idolo. I Sioux, lo abbiamo visto, erano, e sono, grandi chiacchieroni, uomini e donne innamorati della parola, della conversazione, del pettegolezzo.  E fra la chiacchiera e la maldicenza la distanza è spesso minuscola, un'occhiata, un'inflessione di voce, un'alzata di spalle. Fu quella, la calunnia, l'arma che i vecchi capi gelosi, i «boss»dei clan, gli ex amici dei tempi della libertà impiegarono per cercare di distruggere il nuovo rivale, mentre fingevano di cantarne le lodi. Un giorno, fra i visitatori, si presentò a Cavallo Pazzo un ufficiale dell'esercito molto diverso dagli altri che disse di essere un medico, il capitano dottor Vincent Gillicuddy, addetto alla sanità del forte più vicino, Fort Robinson. Gli disse di aver sentito dire che la moglie, Scialle Nero, soffriva di tubercolosi e gli offrì uno sciroppo nuovo, una medicina arrivata dall'Est che sembrava curare quel male, e calmare la tosse. Cavallo Pazzo accettò e Scialle Nero migliorò visibilmente. Ecco, mormorarono subito gli altri capi attorno al fuoco, proprio Tashunka Uitko, il più grande e glorioso di tutti noi, il figlio prediletto del Grande Padre che è nei cieli, ha tradito la religione dei suoi antenati, ha preferito la empia medicina del Wasichu alla medicina Wakan,sacra. È un sacrilegio, è uno scandalo. Cercarono di mettergli contro il padre, Verme, denunciando il figlio che lo aveva abbandonato per andare con il medicineman bianco, ma il padre rispose calmo ai provocatori mandati da Nuvola Rossa: «Mio figlio mi ha detto che è pronto a tentare qualunque cosa per

salvare Scialle Nero dalla morte che si portò via la sua bambina Colei Che Fa Tremare, e io sono d'accordo con lui. La tosse è stata portata dai bianchi e dunque può essere curata soltanto dagli stregoni bianchi». Il dottor Gillicuddy e Cavallo Pazzo divennero amici, cominciarono a frequentarsi, approfittando delle visite a ScialleNero e il medico chiese al capo guerriero il permesso di fotografarlo. «Dottore» gli rispose l'indiano «perche vuole accorciarmi la vita rubando la mia ombra?»  L'uffIciale medico non insistette. Peccato, perché così perdemmo l'occasione di avere un' immagine di Tashunka Uitko. Persino il generale Crook, il vecchio «Tre Stelle» che proprio Cavallo Pazzo aveva castigato nella battaglia del Rosebud, volle incontrare l'antico nemico. Tornò dal colloquio sconvolto da un uomo che doveva essersi immaginato molto diverso, dopo anni di duelli senza quartiere, tra i monti, a colpi di crani spaccati e di cuoi capelluti tagliati via dalle teste dei morti per farne scalpi. «Credevo di trovare un Attila con la pelle rossa, un cavaliere mongolo delle steppe. Ho trovato un uomo di pace. Se soltanto ci fossimo parlati prima.» Era un po' tardi per i rimorsi. Ma non per i calcoli politici. I generali e i funzionari delle agenzie avevano capito che era lui, l'ultimo arrivato, la chiave della sottomissione definitiva di quei Sioux che erano stati disarmati e costretti a vivere nelle riserve. Il pericolo di una rivolta era sempre altissimo e il numero degli indiani raccolti nei campi accanto ai forti era ormai molto alto. Secondo un censimento militare della primavera 1877,dopo l'arrivo di Cavallo Pazzo con la sua banda erano presenti 9000 Oglala sotto Nuvola Rossa, altri 1000 con Cavallo Pazzo, 8000 Brulé nell'accampamento di Coda Macchiata, 1200 Mineconju sotto Tocca Le Nuvole, più 2000 Cheyenne e 2000 Aràpaho. In tutto, 23.200 indiani affamati, amareggiati, rancorosi e interamente dipendenti dagli agenti, dai ben noti furfanti, per il loro sostentamento completo.  Quelle riserve erano tutte potenziali santebarbare esplosive. E Cavallo Pazzo era la miccia. Sotto lo sguardo sempre più preoccupato degli altri capi, i bianchi cominciarono a corteggiare apertamente il Figlio del Tuono, l'eroe della resistenza, per convincerlo a integrarsi definitivamente. Non sapevano, o se lo sapevano non si fidavano pensando che gli indiani fossero bugiardi come gli europei, che Cavallo Pazzo aveva solennemente giurato di non battere mai più il sentiero di guerra, qualunque cosa fosse accaduta. Cappello Bianco, il tenente che comandava Fort Robinson, propose a Cavallo Pazzo di fare quello che Nuvola Rossa aveva fatto anni prima, di andare a Washington, in visita alla Casa Bianca, per incontrare direttamente il Grande Padre bianco, il presidente Grant, in segno di pace definitiva.  Se avesse accettato di fare il lungo viaggio oltre la Grande Acqua, oltre il Mississippi fino alla capitale americana, il Grande Padre bianco, in segno di riconoscenza e amicizia, gli avrebbe concesso una riserva tutta sua, per lui e la sua gente, nel posto prediletto di Cavallo Pazzo: un delizioso fiume non lontano dalle Colline Nere chiamato il fiume dei Castori, per il gran numero di roditori che vi avevano costruito la più grande diga naturale di tutto il Nordamerica.  Nuvola Rossa diede i numeri. All'udire che il suo ex subordinato, il guerriero che aveva combattuto per lui avrebbe avuto una sua riserva personale, dunque sarebbe divenuto finalmente un vero capo, e che sarebbe stato addirittura ricevuto dal presidente alla Casa Bianca, corse da «Tre Stelle» Crook, dal tenente Cappello Bianco, dagli agenti per scongiurarli di non commettere quell' errore, di non fidarsi di quell'Oglala selvatico, di ricordare la fine di Custer. Chi conosce meglio Tashunka Uitko, io che sono stato il suo capo per anni o voi bianchi? Cavallo Pazzo finge di essere in pace, ma aspetta solo il momento buono per rialzarsi e organizzare la rivolta dei 20.000 Lakota contro di voi. Non vi rendete conto che siete circondati dagli indiani? In realtà, Cavallo Pazzo non aveva nessuna intenzione di accettare la proposta e di andare alla Casa Bianca dal Grande Padre bianco. Al dottor Gillicuddy aveva confidato:«lo ho già due padri, il padre che mi ha fatto nascere qui sulla terra e il Padre che sta nel cielo. Non ho bisogno di un altro padre a metà strada fra la terra e il cielo». Ma anche se la voce di una rivolta guidata da lui era ridicola, non avendo più a disposizione una sola arma, né un solo cavallo, l'esercito non poteva non essere sensibile ai rischi, e ai mormorii che arrivavano da quelle moltitudini di Sioux accampati attorno ai loro forti. Cappello Bianco, che era direttamente responsabile della zona dove erano accampati gli Oglala, tentò di convincerlo ancora a fare il viaggio, per il bene di tutti.
«Prima la riserva sul fiume dei Castori e poi il viaggio» insisteva Cavallo Pazzo che aveva imparato a non fidarsi mai della parola dei bianchi. «Prima il viaggio, poi la riserva» ripeteva Cappello Bianco. Ma lui scuoteva la testa. Il generale Crook, sotto pressione dal ministero della Guerra a Washington per chiudere finalmente la «pratica Cavallo Pazzo», tentò di ingraziarsi il Figlio del Tuono con una donna. Calcolando che le notti di quel guerriero ancora giovane, poco più che trentenne, sposato con una donna malata come Scialle Nero, dovevano essere molto solitarie sotto il tipì, gli mandò una nuova moglie, una giovane donna di sangue misto bianco e sioux, Nellie Larrabee, con l'ovvio incarico di fare anche da spia. Questa volta Tashunka la accettò, e altrettanto fece Scialle Nero che fu ben lieta di vedere arrivare una giovane che la sollevasse dalle fatiche coniugali e domestiche, ma Crook aveva sbagliato i conti. Il sangue lakota di Nellie fu più forte del sangue bianco. Nelle notti sotto il tipì, anziché limitarsi a fare la concubina, la ragazza si innamorò davvero di Tashunka e ne divenne la consigliera e la spia alla rovescia. Gli riferiva quel che sentiva dire al forte, tra i soldati bianchi e i capi gelosi. Lo scongiurava di non partire, di non cadere nel tranello. «Non intendono darti nessuna riserva su nessun fiume dei Castori» gli mormorava Nellie alla sera, «vogliono soltanto portarti via da noi, dal tuo popolo, per metterti in catene come i loro cani, ma non hanno il coraggio di farlo qui.» Gli disse di aver sentito parlare di un'isola misteriosa e arida, una lingua di sabbia nel grande mare a ovest, chiamata isola della «Tortuga Seca», della tartaruga secca, dove i bianchi deportavano a morire tutti i capi e gli indiani dei quali non si fidavano. Ma alla fine Cavallo Pazzo cedette. Disse a Cappello Bianco che sarebbe andato a Washington, dal presidente e chiese se il tenente potesse insegnargli un poco di buone maniere, come ci si veste, come ci si comporta nelle grandi città dei bianchi. Al dottor Gillicuddy domandò di insegnargli come si reggono il coltello e la forchetta, per non far fare brutta figura ai Lakota, nella grande tenda bianca del presidente a Washington. Le autorità, quando seppero la notizia, esplosero di felicità. Promisero a Cavallo Pazzo mari e monti, gli giurarono che al ritorno gli avrebbero dato la riserva sul fiume dei Castori, anzi, molto di più. Avrebbero restituito fucili e cavalli ai suoi Oglala per un'ultima, grande caccia al bisonte nel territorio del fiume della Polvere, oltre i monti Bighorn. «Ma siete impazziti?» si precipitò a dire Nuvola Rossa, questa volta spalleggiato anche da Coda Macchiata dei Brulé. «Ma come potete ridare armi e cavalli a Tashunka? Ma non capite che li userà immediatamente contro di voi, galoppando alla testa di migliaia di guerrieri in rivolta?» Poi venne fuori la verità: «Se date armi e cavalli a lui, dovete darli anche a tutti noi». La crisi era molto seria e i comandanti dei forti si domandavano come risolverla, come conciliare il loro desiderio di veder partire Cavallo Pazzo per Washington con la necessità di non contrariare troppo Nuvola Rossa e Coda Macchiata, quando arrivò dal Nord una notizia che sembrò risolvere tutti i problemi. Dal lontano Ovest, dal territorio che oggi si chiama Oregon, una tribù di fierissimi guerrieri fino ad allora in pace con i bianchi, i Nez Percé, i Nasi Forati, aveva improvvisamente imboccato il sentiero di guerra. Sotto la guida di un capo chiamato Joseph, Giuseppe, aveva attraversato le Montagne Rocciose e si stava dirigendo verso i monti Bighorn, verso il vecchio territorio di caccia che era stato prima dei Corvi, poi dei Lakota. Sheridan, Crook e il colonnello Miles, Cappotto D'Orso, ebbero un'idea per chiudere l'affare Cavallo Pazzo in maniera geniale.  Perché non offrire a quel guerriero e ai suoi compagni la possibilità di tornare nel loro carissimo territorio di caccia, nella zona delle loro grandi vittorie, come alleati degli americani, come reparti ausiliari da mandare in guerra contro i Nasi Forati di capo Giuseppe, lasciando a loro il compito di fermarli ed evitando ai soldati l'ennesima, «sporca guerra»? «Cavallo Pazzo non accetterà mai» intervenne Cappello Bianco, il comandante di Fort Robinson, che lo frequentava più degli altri. «Cavallo Pazzo accetterà se noi metteremo una grande carota in cima al bastone» lo contraddisse il generale Crook, «se noi gli prometteremo di fare di quel territorio attorno al Powder River, sotto i Bighorn, la sua riserva. Così non gli sembrerà di combattere per noi, ma di combattere per la sua gente, per riconquistare le terre che è stato costretto ad abbandonare.» Tutti convennero che era un' eccellente idea, e non soltanto perché era venuta al signor generale. Era un'idea che mille e ottocento anni prima, e diecimila chilometri lontano, un altro popolo di implacabili conquistadores aveva avuto e aveva applicato con straordinario successo: i romani, che sapevano trasformare i nemici di ieri, i regni conquistati e sottomessi, in alleati e tributari, a difesa delle frontiere esterne dell'Impero.  Cappello Bianco fu subito incaricato di portare la proposta a Tashunka e partì per la sua tenda con una piccola delegazione di ufficiali, qualche indiano e un interprete. Parlò a Cavallo Pazzo, che aveva fatto venire altri capi guerrieri, Lui Cane, l'amico Piccolo Grande Uomo, Tocca Le Nuvole, il Giovane Che Fa Paura e la sua risposta fu positiva. «Siamo stanchi di guerra» disse parlando in lakota «ma per raggiungere la pace finale dobbiamo rassegnarci a batterci ancora una volta, anche se il nostro cuore è pesante e le nostre braccia affaticate. Haù, va bene. Riprenderemo le armi, torneremo al Nord e combatteremo per voi bianchi, fino a quando non resterà più un Naso Forato vivo.» L'interprete tradusse e quando ebbe finito di tradurre, il tenente Clark, Cappello Bianco, balzò in piedi come un ossesso, i suoi accompagna tori misero mano alle fondine, e sotto la tenda scoppiò un tumulto di voci e di gesti minacciosi. Cavallo Pazzo e gli altri capi indiani guardavano senza capire, ascoltavano sbalorditi le urla del tenente. Non avevano forse risposto di sì? Non avevano detto che sarebbero scesi in guerra contro i Nasi Forati? No, agli orecchi degli ufficiali bianchi avevano detto ben altro. L'interprete, per ignoranza, per leggerezza, o per mettere zizzania su istruzioni di un capo geloso, aveva tradotto così la frase di Tashunka: «Haù, va bene, riprenderemo le armi, torneremo al Nord e combatteremo voi bianchi, fino a quando non resterà più un uomo bianco vivo». Era falso, ma erano le parole che sembravano confermare finalmente tutto quello che da mesi i capi gelosi andavano dicendo ai bianchi sul conto di Cavallo Pazzo. Quando Cappello Bianco le riferì ai suoi superiori, per telegrafo, tutti i pezzi grossi, Sheridan, Crook, Miles, convennero che era arrivato il momento di farla finita e che non si potevano più correre rischi con quell'uomo, con quel simbolo della guerra ai bianchi, specialmente ora chei Nasi Forati bussavano alle porte. «Tre Stelle» Crook informò il tenente dal cappello bianco che sarebbe arrivatolui stesso, in persona, il giorno dopo per assumere il comando di Fort Robinson e convocare un grande consiglio di tutti gli indiani delle riserve, Cavallo Pazzo incluso. Il generale arrivò in effetti il giorno dopo - era il 2 settembre del 1877- e stava entrando al forte quando gli si fece incontro un indiano con le trecce pettinate alla maniera delle donne, e una sottana femminile. Era Vestito Di Donna, quello stesso che era corso incontro a Cavallo Pazzo per avvertirlo che Senz'Acqua aveva sposato Donna Del Bisonte Nero e per confortarlo. Ma molte lune erano passate da allora e adesso VestitoDi Donna doveva vivere della elemosina di Nuvola Rossa, dunque fare quello che lui gli chiedeva. Affrontò il generale e gli gridò: «"Tre Stelle", stai attento al consiglio dei capi, non convocarlo, perché Cavallo Pazzo ti ucciderà». Era un' altra menzogna. Sappiamo dagli amici di Cavallo Pazzo che lui aveva deciso di non partecipare al consiglio, sapendo che si sarebbe trovato sotto accusa da tutti, dai generali convinti che volesse ribellarsi e uccidere i bianchi, dai capi lakota che ormai avevano deciso di distruggerlo. Ma «Tre Stelle» Crook non poteva saperlo, non poteva neppure sapere che la traduzione dell'interprete era sbagliata. Fece quel che qualsiasi altro comandante avrebbe fatto nella sua situazione. Convocò soltanto i capi più fidati, dentro il forte. Chiese loro, come Ponzio Pilato agli Israeliti, che cosa avrebbe dovuto fare di quel Cavallo Pazzo, di quel seccatore.  I capi gli risposero: «Fallo uccidere». Ma il generale respinse il loro suggerimento. Decise invece dimandare il tenente Clark ad arrestarlo, il giorno dopo. Nuvola Rossa e gli altri se ne andarono soddisfatti. Ma, nel buio, una figura non vista da nessuno che aveva origliato quei discorsi scivolò via, verso il recinto dei cavalli militari, ne rubò uno e galoppò verso il villaggio di Tashunka Uitko. Era Penna Rossa, il fratello di Scialle Nero, il cognato di Cavallo Pazzo. Si precipitò ansimante alla tenda del cognato, gli riferì dell' ordine d'arresto e lo implorò di mettersi in salvo. Poco prima dell' alba, prima che arrivassero i soldati ad arrestarlo Cavallo Pazzo, con la prima moglie e la fedelissima concubina Larrabee, era in fuga verso la riserva di Coda Macchiata, lo zio materno. La vita di Cavallo Pazzo aveva compiuto un cerchio completo, il cerchio sacro a tutti i Lakota. Il suo cammino di uomo era cominciato dall' alto di una collina, da dove un ragazzo chiamato Riccetto aveva visto il villaggio dello zio, i Brulé, distrutto dalle truppe in giubba blu e aveva giurato di battersi contro gli invasori. E ora sarebbe finito in un villaggio dello stesso capo, al quale avrebbe chiesto un poco di quell'aiuto che lui aveva dato. I soldati e i poliziotti ausiliari indiani arrivarono puntuali al tipì di Cavallo Pazzo e lo trovarono vuoto. Immediatamente, Cappello Bianco ordinò una caccia all'uomo, offrendo 100 dollari e un cavallo sauro a chi avesse trovato e arrestato Tashunka Uitko. Fra i primi a partire per la caccia fu una nostra vecchia conoscenza, Senz'Acqua, il marito di Donna Del Bisonte Nero, quello che aveva sparato in faccia a Cavallo Pazzo. Tanta era la sua ansia di trovare il rivale che stroncò ben due cavalli sotto di sé, ma non riuscì a trovarlo. Gli spiriti, dissero i vecchi, lo avevano confuso e lo avevano portato fuori strada. Stranamente, nessuno lo trovò, e nessuno pensò di andarlo a cercare nel villaggio dello zio. Coda Macchiata aveva accolto volentieri il nipote, ma aveva subito chiarito i termini della sua ospitalità con la condizionale. Finiti erano i tempi nei quali un intero villaggio era pronto a battersi e a morire per difendere il Uakan, il sacro tabù della ospitalità. «Nipote, nel mio villaggio regna la pace e non vogliamo guai con l'Uomo Bianco. Se tu vuoi restare con noi, devi sapere che qui comando io e tutti coloro che vivono nella mia riserva devono ubbidire a me.» Cavallo Pazzo tentò di spiegare al fratello della madre che tutto era frutto di un colossale malinteso, che lui non aveva mai avuto alcuna intenzione di creare problemi o di scendere in guerra e che qualcuno avrebbe dovuto spiegare ai soldati che l'interprete aveva semplicemente sbagliato la traduzione. «Perché non lo fai tu direttamente?» suggerì una voce. Era la voce di un bianco, del tenente Jesse Lee, che era l'agente governativo assegnato alla riserva e dunque il vero, e l'unico «capo» di quel villaggio, nonostante le millanterie di Coda Macchiata. «Nessuno meglio di te può farlo ed è urgente che tu lo faccia, perché altrimenti la collera dei soldati si abbatterà sulla tua gente, sul tuo villaggio che hai abbandonato per venire qui da tuo zio.» Cavallo Pazzo lo guardò con un mezzo sorriso, con l'espressione di chi ha capito tutto. Disse allo zio, va bene, domattina andrò al forte a chiarire l'equivoco. In cambio, chiese a Coda Macchiata un impegno solenne: che la moglie, Scialle Nero, e la fedele Nellie potessero tornare a vivere per sempre fra i Brulé, sotto la protezione del capo e dell'agente, se a lui fosse accaduto quacosa. Haù, promise lo zio e manterrà la parola. La sera, la sua ultima sera prima di avviarsi verso Fort Robinson, Cavallo Pazzo cenò con la moglie, con Nellie e con Tocca Le Nuvole, il solo amico che lo avesse raggiunto senza farsi vedere dagli altri cacciatori di taglie. Il capo guerriero che aveva condotto migliaia di indiani contro le tribù nemiche e contro i Soldati Blu si ritrovava alla fine con una moglie malata, una giovanissima concubina e un solo amico. Dopo la cena, che fu consumata con il cibo dei bianchi, fette di pane fritte nel lardo, gallette militari, carne secca di manzo ammorbidita nell'acqua bollente, Cavallo Pazzo parlò ai suoi amici e disse: «Se domani, al forte, dovesse accadermi qualcosa, prendete il mio corpo, dipingetelo con il colore rosso da guerra e gettatelo nell'acqua fresca di un torrente. Se lo farete, io tornerò dalla morte e vivrò per sempre. Se non lo farete, allora le mie ossa diventeranno sassi e le mie dita pietre focaie.Ma il mio spirito non morirà comunque e resterà con voi, perché voi avrete sempre bisogno di me e io non vi abbandonerò mai». Tocca Le Nuvole lo abbracciò e gli strinse le mani. Nellie gli disse piangendo non andare, non andare, perché ho saputo che è una trappola e ti porteranno a morire sull'isola della Tartaruga Secca,ma Cavallo Pazzo la rassicurò: stai tranquilla, le disse misteriosamente, su quell'isola io non andrò mai. Scialle Nero si diede da fare in silenzio per pulire la tenda dai resti della cena. La tensione era densa come la melassa, il mattino dopo, sullo spiazzo di Fort Robinson. Migliaia di Sioux, tra i quali si era sparsa come il lampo la notizia che quel giorno Tashunka Uitko si sarebbe consegnato all' esercito, si erano affollati già dalla notte, ancora con il buio. I soldati erano nervosi, le dita sui grilletti, le orecchie attente ai comandi dei sottufficiali e degli ufficiali, gli occhi impegnati nella facile matematica del terrore a calcolare la schiacciante superiorità numerica dei Sioux dentro lo steccato. Prudentemente, il generale Crook se ne era andato il giorno prima, per urgenti necessità di comando, aveva detto. Aveva lasciato al tenente Clark quella rogna. La folla dei Sioux rumoreggiava eccitata, ma sul forte scese un silenzio sovrumano quando, nel rettangolo di legno del portone, apparve la figura di Cavallo Pazzo, illuminato dal sole rosso del pomeriggio. Era a cavallo, una bestia che gli aveva prestato lo zio. Dietro di lui, altissima, la sagoma inconfondibile di Tocca Le Nuvole, il gigante guerriero. Alla sua sinistra, circonfuso dal suo piumaggio di guerra con duecento penne d'aquila, Lui Cane.   Lo splendore della tenuta di guerra di Lui Cane faceva risaltare ancora di più la povertà dell'abbigliamento di Cavallo Pazzo. Era vestito soltanto con la sua pezzuola di pelle attorno ai fianchi e una coperta militare, di lana, buttata sulle spalle. Non portava colori sul viso o sul corpo, né amuleti al collo o alle orecchie. I capelli erano sciolti sulle spalle e in capo non c'era la sua penna di falco rosso. Aveva, diranno i testimoni, un'aria serena, strana per lui, come di chi è in pace. Dalle truppe schierate al centro del piazzale si staccò subito un cavaliere, ma non un Uas'ichu, un bianco, ma un indiano che indossava l'uniforme della polizia ausiliaria e si andò a mettere alla destra di Cavallo Pazzo allungando la mano. Il prigioniero fece finta di non vederla, perché sarebbe stato troppo doloroso per lui stringerla.Quell'indiano vestito coi panni della polizia bianca era il suo più vecchio, il suo più caro amico, il guerriero con il quale aveva combattuto ogni battaglia, sotto la cui tenda si era rifugiato quando aveva cercato di fuggire con Donna Del Bisonte Nero. Il poliziotto venuto ad arrestarlo era Piccolo Grande Uomo.

Piccolo Grande Uomo fece cenno a Cavallo Pazzo di seguirlo verso la baracca dell'ufficiale di giornata e i due, appaiati e seguiti da Tocca Le Nuvole, arrivarono davanti alla porta e smontarono da cavallo. Due guardie bianche appiedate si affiancarono e una terza, un soldato semplice chiamato William Gentiles, si portò alle spalle del prigioniero, perché quello era ormai, un prigioniero, anche se ancora non lo sapeva. Gentiles, come le altre guardie, aveva la baionetta inastata sul fucile. L'ufficiale di giornata uscì in fretta dalla baracca e borbottò che era ormai tardi, che non aveva il tempo di parlare con Cavallo Pazzo per chiarire quel famoso malinteso, ma che non ce n'era comunque bisogno perché l'errore di traduzione era stato già ammesso dall'interprete e tutto era a posto. Ora, se soltanto Cavallo Pazzo avesse avuto la cortesia di entrare nella baracca e di accomodarsi per la notte, il giorno dopo il comandante in persona, Cappello Bianco, gli avrebbe parlato e avrebbe discusso con lui la questione della riserva da assegnargli e ogni altra cosa. E si allontanò in fretta. Piccolo Grande Uomo sospinse il suo vecchio amico, il suo eroe, verso la porta, ma sentì il corpo di Cavallo Pazzo irrigidirsi e resistere. Nella penombra della sera, aveva visto che cosa c'era dentro quella baracca. Sbarre. Sbarre di ferro alle finestre, alle porte, e catene penzolanti dalle pareti, con le palle di ferro, come quelle che aveva visto mettere ai piedi dello zio, come quelle che avevano strappato le gambe ai cadaveri dei due impiccati a Fort Laramie. Disse semplicemente, senza gridare: «No. Nella gabbia dell'Uomo Bianco, no». Abbassò la mano verso la cintura della sua pezza attorno ai fianchi, si scrollò la coperta dalle spalle ed estrasse il pugnale che aveva nascosto. Piccolo Grande Uomo, che aveva combattuto decine di battaglie con lui e conosceva tutti i suoi trucchi, se lo aspettava, e gli afferrò con due mani il braccio che reggeva il coltello. I due lottarono per qualche secondo. Cavallo Pazzo riuscì a ferire Piccolo Grande Uomo alla mano, ma il guerriero divenuto poliziotto non lasciò la presa. Pur insanguinato, riuscì a bloccare le braccia di Cavallo Pazzo e a costringerlo ad arretrare di qualche passo.  Giusto quanto bastò al soldato semplice William Gentiles per conficcargli alle spalle la sua baionetta nella schiena. La lama penetrò nella pelle, attraversò un rene, e un fiotto di sangue uscì dalla ferita. Per il dolore, Cavallo Pazzo fece un passo in avanti, ma Piccolo Grande Uomo lo rispinse indietro, e la baionetta di Gentiles penetrò una seconda volta nella schiena. Si afflosciò a terra, mormorando:  «Basta, amici, basta, non vedete che mi avete già ucciso?». Un testimone sostiene che sia stato addirittura Piccolo Grande Uomo, il piccolo grande Giuda, ad affondare la lama nella schiena del suo ex amico e maestro, ma probabilmente non è vero. Piccolo Grande Uomo si era limitato a svolgere la parte che il cavaliere della visione sul lago aveva profetizzato a Riccetto.  Aveva bloccato le braccia a Cavallo Pazzo, impedendogli di difendersi. Il guerriero che in 22 battaglie con l'Uomo Bianco non era mai stato neppure graffiato stava morendo perché le mani di uno dei suoi lo avevano paralizzato. Perché il suo popolo lo aveva tradito e consegnato ai bianchi. La profezia si era avverata. Tocca Le Nuvole fu il primo a gettarsi sul corpo dell'amico ferito. Respirava ancora. Lo prese tra le braccia facilmente, lui così grosso, Cavallo Pazzo così piccolo e magro e lo portò dentro la prigione, cercando una branda militare sulla quale deporlo. Ma Cavallo Pazzo gli sussurrò di nuovo: No, non voglio morire sul letto dell'Uomo Bianco,voglio morire sulla terra dei Lakota».  Tocca Le Nuvole lo sdraiò delicatamente sopra la polvere. Arrivò di corsa il medico, il dottor Gillicuddy che lo esaminò e fece l'unica cosa che potesse fare per il suo amico indiano, una potente iniezione di morfina contro il dolore tremendo che gli straziava la schiena e rimase accanto a lui.  Entrò, poco dopo, anche il padre, Verme, l'uomo che aveva accompagnato orgoglioso quel suo ragazzo strano fra i tipì del villaggio per cantare la sua vittoria contro gli Shoshoni e ora doveva aiutarlo a morire.  La matrigna, Coperta Agitata, restò fuori, cominciando a cantare le neniedella morte, «...questo è mio figlio, il figlio del tuono e del fulmine, che torna nel cielo del Grande Spirito, questo è mio figlio che torna...». Il padre si chinò sul corpo del figlio, sdraiato bocconi perché la polvere non sporcasse le ferite aperte sulla schiena, e ascoltò le sue ultime parole. «Padre perdonami, perché sto morendo e non potrò più aiutare te e il mio popolo.» Verme lo cosparse delle erbe sacre, la salvia, il tabacco, la polvere di cuore e di cervello d'aquila, per accompagnarlo nel volo finale verso il cielo e gli accarezzò i capelli ancora un poco ricci, come quando era bambino. Poco prima della mezzanotte del 5 settembre 1877 Tashunka Uitko morì, sulla nuda polvere di una prigione militare. Tocca Le Nuvole uscì all'aperto e parlò alla folla dei Sioux che era rimasta compatta, in silenzio ad aspettare la morte del loro profeta armato. «Una cosa buona è accaduta questa notte, fratelli Lakota. Un uomo ha cercato la morte e la morte lo ha trovato.
Un forte vento si alzò improvviso sul piazzale, raccontò il dottore, caddero gocce di pioggia e un tuono possente scosse il cielo. Gli indiani annuirono con l'aria di chi sa. Il tuono era venuto a riprendersi suo figlio.

 

TORO SEDUTO (TATANKA YOTAKE )

 

Toro Seduto nasce a Grand River nell'attuale Sud Dakota, un tempo chiamata dai nativi “Many Caches” per via delle numerose scorte di viveri nascoste sotto terra. Visse un'infanzia tranquilla senza essere a conoscenza di ciò che il futuro avrebbe avuto in serbo per lui. Alla tenera età di quattordici anni partecipò alla sua prima battaglia contro un gruppo di Crow, la sua audacia e il suo attaccamento al suo popolo gli fecero guadagnare in un primo momento la nomina al gruppo dei Cuori Forti e più tardi divenne un importante membro dei Mangiatori Silenziosi, un gruppo che si occupava di far sì che il popolo avesse tutto ciò di cui necessitava anche a discapito di sé stessi.  Dovette aspettare altri diciotto anni dal suo primo scontro per incontrare per la prima volta l'uomo bianco, ciò avvenne quando l'esercito americano mosse una estesa rappresaglia nei confronti dei Santee Sioux che si ribbellarono nell'attuale Minnesota dopo che i primi trattati stipulati con l'uomo bianco vennero traditi. L'anno successivo prese parte agli scontri che avvennero nelle Killdeer Mountain e nel 1865 prese sotto assedio il nuovo presidio militare Fort Rice in Nord Dakota. Il rispetto del popolo nei suoi confronti aumentava di giorno in giorno, nel 1868 venne proclamato capo della sua nazione, il suo coraggio era leggendario. Nel 1872 mentre l'esercito americano era impegnato a proteggere dagli attacchi degli indiani gli operai che lavoravano alla costruzione della linea ferroviaria che passava in mezzo allo Yellowstone River,ci furono degli scontri; in uno di questi Toro Seduto, accompagnato da altri quattro guerrieri si sedette tra le due linee che combattevano, caricò la sua pipa e la fumarono, non curandosi delle pallottole che passavano loro sopra la testa. Quando finirono di fumarla Toro Seduto avvolse la sua pipa nella custodia e si diresse verso i suoi uomini camminando tranquillamente senza badare a ciò che gli stava succedendo attorno. Due anni dopo si arrivò al limite di sopportazione dei soprusi dell'uomo bianco, quando una spedizione scientifica guidata dal Generale Custer confermò la presenza dell'oro sulle Black Hills, evento che fece rompere l'ennesimo trattato stipulato tra i Sioux e gli invasori firmato a Fort Laramie nel 1868 che dichiarava off-limits le colline all'uomo bianco in quanto sacre per i nativi.  Si scatenò una caccia all'oro che ebbe come conseguenza una mobilità da parte dei Sioux in difesa delle Black Hills. Il Governo americano cercò subito di acquistare il territorio dai nativi, ma rendendosi conto che loro non avevano nessuna intenzione di cedere le colline, trovò subito il modo di appropriarsene ugualmente e il responsabile degli affari indiani comunicò che tutti gli indiani che a partire dal 31 gennaio del 1876 non si fossero trovati dentro le riserve a loro assegnate sarebbero stati considerati ostili. Toro Seduto e la sua gente decisero di rimanere dov'erano senza accettare le condizioni dei coloni. Nel marzo dello stesso anno il Generale George Crook con il Generale Alfred Terry e il Colonnello John Gibbon guidarono tre colonne di soldati contro i Lakota. I Cheyenne, gli Arapaho e altri gruppi di nativi si unirono a Toro Seduto e alla sua gente nell'accampamento sulle rive del Rosebud Creek. In questo periodo Tatanka Iyotanka organizzò una Danza del Sole di dimensioni enormi, nella quale ricevette in dono una visione, dove vide un'invasione di soldati che cadavano dal cielo sull'accampamento come fossero cavallette. Sentendo il racconto di questa visione un altro grande guerriero Lakota ovvero Tashunka Uitco (Cavallo Pazzo) decise di radunare cinquecento guerrieri e il 17 giugno dello stesso anno condusse i suoi uomini contro l'esercito condotto dal Generale George Crook, costringendo lui e i suoi uomini al ritiro dal Rosebud Creek. Entusiasti del successo, Cavallo Pazzo e Toro Seduto decisero di spostare i propri accampamenti sulle rive del Little Bighorn, dove vennero raggiunti da altri tremila indiani che, venuti a conoscenza dei successi di Toro Seduto e Cavallo Pazzo, decisero di abbandonare le riserve e di unirsi a loro. L'accampamento fu uno dei più grandi che ci siano mai stati nella storia dei Lakota e nonostante la massiccia presenza di indiani, la visione di Toro Seduto si realizzò da lì a poco, infatti il 25 giugno del 1876 l'accampamento venne attaccato dal settimo cavalleggeri guidato dal Generale Custer. Nonostante egli sapesse che i nativi fossero di numero superiore alle sue truppe, il settimo cavelleggeri avanzò ugualmente ma venne sconfitto. L'opinione pubblica era indignata da questo affronto e pretese una dura reazione nei confronti degli indiani, questo portò alla decisione di inviare soldati contro le diverse tribù per costringere ai capi ad arrendersi. Ma Toro Seduto non intendeva arrendersi e prese la decisione di spostarsi con la sua gente oltre il confine americano stabilendosi in Canada. Lo stato americano decise che il Generale Terry dovesse partire e convincere Toro Seduto ad arrendersi e ritornare in territorio americano dichiarandogli che non ci sarebbero state ripercussioni su di lui e la sua gente, ma il suo viaggio si concluse con un fallimento: Toro Seduto rifiutò categoricamente di ritornare nel Dakota. Trascorsero quattro anni da quando Tatanka Iyotanka trasferì il suo popolo in Canada, la situazione stava degenerando, il cibo stava iniziando a scarseggiare, i bisonti si erano quasi estinti e come se non bastasse la gente aveva freddo. Dopo aver considerato che così non avrebbero resistito ancora a lungo, Toro Seduto si sentì in dovere di prendere la decisione di arrendersi e così fece.  Nel luglio del 1881 consegnò il suo fucile all'ufficiale in comando a Fort Buford, nel Montana. Questa resa però non fu causa di sconforto per l'orgoglio del grande uomo, in quanto Toro Seduto fu l'ultimo dei grandi condottieri Lakota che si arrese al potere dell'uomo bianco. Le uniche sue condizioni quando si arrese furono la possibilità di ritornare ad abitare nelle vicinanze delle Black Hills e di poter tornare a vivere in Canada qualora avesse capito che sarebbe stata l'unica possibilità per aiutare la sua gente. Come accadeva spesso in quel periodo, le richieste da lui fatte non furono accettate, infatti venne mandato a Standing Rock. Al suo arrivo si scatenò il panico, in quanto tra la gente circolava la voce che Toro Seduto, essendo molto influente nel suo popolo, avesse potuto organizzare qualche rivolta. Questa paura portò alla decisione di costringerlo alla reclusione a Fort Randall nelle vicinanze del fiume Missouri. La sua prigionia durò due anni, dopo di che venne rimandato dalla sua gente a Standing Rock. L'agente indiano assegnato a quella riserva, volendo diminuire l'influenza che Toro Seduto aveva sulla gente, decise di non concedere nessun privilegio e fece in modo che lavorasse allo stremo delle forze, ma ciò non servì allo scopo e gli indiani continuarono ad avere una grossa stima nei suoi confronti. Nel 1885 riuscì ad ottenere il permesso per aggregarsi allo show di Buffalo Bill. Qui ebbe modo di guadagnare qualche dollaro, ma la sua permanenza fu relativamente breve: durò all'incirca quattro mesi. Volle ritornare dalla sua gente in quanto rimase disgustato dal modo di vita che conduceva l'uomo bianco, lo trovava ipocrita per non dire falso. Ritornato a Standing Rock andò a vivere in una capanna sulle rive del Grand River, nelle vicinanze di dove nacque. Continuò a condurre la sua vita in modo tradizionale nonostante il governo americano avesse dato la disposizione che gli indiani non continuassero a seguire la loro religione, ma che dovessero convertirsi a quella cristiana. Nonostante ciò rimase irremovibile sul fatto di non convertirsi al cristianesimo, ma decise ugualmente di far andare nelle scuole cattoliche i propri figli perchè credeva che le generazioni future dei Lakota avrebbero dovuto imparare a leggere e scrivere e pensava che così facendo l'uomo bianco avrebbe avuto una motivazione in meno per prendere in giro il popolo indiano. Poco dopo essere tornato tra la sua gente, Toro Seduto ebbe nuovamente una visione, nella quale gli apparse un'allodola che lo avvertiva che la sua dipartita sarebbe stata per mano del suo popolo. Gli anni trascorrevano nella miseria, del grande popolo che erano i Lakota non rimaneva che un'ombra, nel 1890 si sparse a macchia d'olio tra le tribù una nuova cerimonia che aveva preso il nome di Ghost Dance. Questa danza secondo quello che diceva Wovoka (colui che la ricevette in visione), avrebbe dovuto permettere ai nativi di riavere la libertà che un tempo avevano. Questa voce raggiunse anche Toro Seduto per merito di Kicking Bear, un Lakota Miniconjou. L'uomo non credeva in questa cosa ma vedendo che tutto ciò dava una luce di speranza alla sua gente decise che non avrebbe fatto nulla per far sì che i Lakota nel suo campo non eseguissero la danza. Nel South Dakota la cerimonia prese rapidamente piede, nelle riserve di Pine Ridge e di Rosebud la si celebrava praticamente regolarmente tutti i giorni. Vedendo ciò il governo americano ebbe paura che anche Toro Seduto avrebbe dato inizio alla cerimonia e che, approfittando dello stato d'animo che pervadeva la sua gente, organizzasse una rivolta. Il giorno in cui si sarebbe realizzata la sua visione si stava avvicinando, il governo decise di inviare quarantatrè poliziotti Lakota ad arrestare Toro Seduto. All'atto dell'arresto di fronte alla capanna di Toro Seduto si radunò molta gente che inveì contro i poliziotti che stavano effettuando l'arresto; dalla confusione si passò all'utilizzo delle armi da fuoco, uno dei poliziotti colpì alla testa Toro Seduto, ferendolo a morte. Correva il quindici dicembre del 1890 quando venne assassinato un grande uomo. Per l'ennesima volta un uomo che non chiedeva altro che poter vivere in pace con la sua gente si spegneva a causa di azioni subdole. I suoi resti vennero sepolti in primo luogo a Forte Yates nel Nord Dakota e nel 1953 alcuni dei suoi discendenti fecero in modo che le spoglie venissero spostate da dove si trovavano per essere sepolte a Mobridge sulle rive del Missouri, qui venne eretta una effige di granito in memoria dell'uomo. Toro Seduto viene ricordato ancora oggi come un uomo di gran cuore, di indomito coraraggio, come un uomo molto religioso. Ma le sue virtù non si fermano solo a queste appena dette ma era anche un padre premuroso che metteva prima di tutto i propri figli, era un uomo affabile sempre molto amichevole con chi gli si avvicinasse, ed era anche un gran poeta.
Hau Tatanka Iyotanka
Edo ( Wambli Gleska )
CAVALLO ALTO
(Racconta una Antica Storia del Suo Popolo)

 

....Vi dirò che a quei tempi non era facile ottenere una ragazza, quando un giovane voleva sposarsi. A volte bisognava faticare molto, e sopportare molte difficoltà. Supponiamo che io sia un giovane e abbia visto una ragazza che mi pare tanto bella da farmi sentire male ogni volta che penso a lei. Non posso abbordarla direttamente e dirle come stanno le cose e poi sposarla se accetta. Solo per poter parlare con lei, debbo servirmi di molti sotterfugi, e una volta che sono riuscito a parlare con lei, non è che l'inizio. Probabilmente è già da un pezzo che mi sento male quando penso a una certa ragazza, perchè sono così innamorato di lei, ma lei nemmeno mi guarda, e i suoi genitori la sorvegliano bene. Ma io mi sento peggio ogni giorno; e così può darsi che io mi avvicini di nascosto alla sua tenda nel buio, ad aspettare che lei esca. Forse debbo aspettare tutta la notte e rimango senza dormire e lei non esce per niente. Allora mi sento peggio di prima quando penso a lei. Forse mi nascondo tra i cespugli, vicino alla fonte dove lei va a volte a prender l'acqua, e quando lei arriva, se nessuno ci guarda, salto fuori, la tengo stretta e la costringo ad ascoltarmi. Se anche lei mi trova di suo gusto, me ne accorgo da come si comporta, perchè è molto vergognosa e forse la prima volta non mi risponde una parola o nemmeno mi guarda. Così la lascio andare, e allora cerco un'occasione per parlare con suo padre, quando non c'è nessuno, e gli dico quanti cavalli posso dargli in cambio della bella ragazza, e ormai sono così innamorato di lei che gli darei tutti i cavalli del mondo se potessi. Dunque, questo giovane della storia si chiama Cavallo Alto, e nel villaggio c'era una ragazza che a lui sembrava così bella che a forza di pensare a lei si sentiva proprio male, e ogni giorno la cosa peggiorava. La ragazza era molto timida, e i suoi genitori ne pensavano un gran bene perchè ormai erano vecchi e non avevano altri figli. Perciò la sorvegliavano tutto il giorno, e avevano cura che non le capitasse nulla di notte, mentre loro dormivano. Tanto bene le volevano che le avevano fatto un letto di cuoio crudo per dormire, e quando si accorsero che Cavallo Alto le gironzolava intorno, presero delle cinghie di cuoio crudo e di notte la legavano al letto perchè nessuno potesse rubarla, mentre loro dormivano, anche perchè non erano molto sicuri che la ragazza in realtà non volesse che la rubassero. Bene, dopo aver perso molto tempo a gironzolarle intorno e a nascondersi e ad aspettarla e a sentirsi sempre peggio, Cavallo Alto finalmente riuscì a sorprenderla sola e la costrinse a parlare con lui. Allora scoprì che forse lui le piaceva un pochetto. Naturalmente questo non lo fece star meglio. Anzi adesso si sentiva peggio di prima; ma allo stesso tempo, era diventato più coraggioso di un bisonte, e così andò direttamente a parlare col padre di lei e gli disse che era tanto innamorato della ragazza che avrebbe dato per lei due cavalli buoni: uno giovane e l'altro non tanto vecchio. Ma il vecchio fece soltanto un segno negativo con la mano, come per dire a Cavallo Alto di andarsene e di non dire sciocchezze. Cavallo Alto adesso si sentiva peggio di prima; ma c'era un altro giovane, il quale gli disse che gli avrebbe dato due cavalli in prestito; poi, quando avrebbe avuto più cavalli, Cavallo Alto gli avrebbe ripagato il prestito. Allora Cavallo Alto andò di nuovo a trovare il vecchio e gli offrì quattro cavalli per la ragazza: due erano giovani gli altri due non si potevano ancora dire vecchi. Ma il vecchio fece un segno di rifiuto con la mano e non volle nemmeno parlare della cosa. cavallo Alto rimase a gironzolare intorno, finchè non riuscì a parlare di nuovo con la ragazza, e allora la pregò di fuggire con lui. Le disse che certamente, se lei non accettava, gli sarebbe venuto un colpo e sarebbe caduto morto. Ma lei disse che non sarebbe fuggita con lui; voleva essere comperata come una donna di valore. Vedete che anche lei aveva un'alta opinione di se stessa. Allora Cavallo Alto si sentì tanto male che ormai non riousciva a mangiare nemmeno un boccone, e andava in giro con la testa china, come se stesse per cadere e morire in qualsiasi momento. Daino Rosso era un altro giovane, e lui e Cavallo Alto erano molto amici, e sempre facevano tutto insieme. Daino Rosso, quando vide come si comportava Cavallo Alto, gli disse: "Cugino, che succede? Hai il mal di pancia? dall'aria che hai si direbbe che stai per morire". Allora Cavallo Alto raccontò a Daino Rosso come stavano le cose, e gli disse che non sarebbe vissuto a lungo, secondo lui, se non sposava presto la ragazza. Daino Rosso ci pensò un poco e dopo disse:"Cugino, ho un piano, e se sei abbastanza uomo per fare come ti dico io, vedrai che tutto si aggiusta. Lei non vuole fuggire con te; suo padre non vuole accettare quattro cavalli; e più di quattro cavalli non puoi trovare. Allora devi rubarla e scappare con lei. Poi, passato un poco di tempo, puoi ritornare e il vecchio non può fare nulla perchè ormai sarà la tua donna. Probabilmente anche lei vuole che tu la rubi". Così prepararono bene quello che Cavallo Alto doveva fare, e lui disse di amare tanto la ragazza, che si sentiva uomo abbastanza da fare qualunque cosa Daino Rosso o chiunque altro potesse inventare. E questo è quel che fecero. A tarda notte si avvicinarono senza far rumore alla tenda della ragazza e aspettarono, per essere sicuri che il vecchio e la vecchia e la ragazza dormissero profondamente. Allora CAvallo Alto, strisciando, si infilò sotto la tenda con un coltello. Prima doveva tagliare le cinghie di cuoio crudo, e poi Daino Rosso, allentati i paletti che tenevano chiuso quel lato della tenda, lo avrebbe aiutato a trascinare fuori la ragazza e a imbavagliarla. Dopo di che, Cavallo Alto l'avrebbe messa di traverso sul suo cavallo e se la sarebbe portata via in fretta, e poi sarebbe vissuto felice per sempre. Quando Cavallo Alto si trovò dentro la tenda lo prese una tale agitazione che il cuore gli batteva come un tamburo, e faceva tanto rumore, gli pareva, da svegliare i due vecchi. Ma i vecchi non si svegliarono; così dopo un poco il giovane cominciò a tagliare le cinghie. Ogni volta che ne tagliava una, la cinghia faceva pop e lui si sentiva morire dalla paura. Ma se la stava cavando abbastanza bene, ed era riuscito a tagliare tutte le cinghie, giù fino alle cosce della ragazza, quando lo prese di nuovo l'agitazione e il coltello gli scivolò via e finì col pungere la ragazza, che cacciò un urlo fortissimo. Allora i vecchi si alzarono di scatto e urlarono anche loro. Ma ormai Cavallo Alto era fuori e fuggiva con Daino Rosso, come due antilopi. Il vecchio e alcuni altri inseguirono i giovani ma questi si dileguarono nel buio e nessuno seppe chi era stato. Insomma, se avete mai desiderato una bella ragazza, capirete come doveva sentirsi male Cavallo Alto. Infatti stava malissimo e sembrava che sarebbe morto di fame, se prima non moriva di un colpo. Daino Rosso ci pensava sempre; qualche giorno dopo andò a trovare Cavallo Alto e gli disse:"Cugino, fatti coraggio! Ho un altro piano, e questa volta sono sicuro che, se sei uomo abbastanza, riusciremo a rapirla via". E Cavallo Alto disse:" Sono uomo abbastanza da fare qualunque cosa mi dicano di fare, pur di ottenere quella ragazza". E questo è quel che fecero. Si allontanarono tutti e due, soli, dal villaggio, e Daino Rosso disse a Cavallo Alto di spogliarsi. Poi gli dipinse tutto il corpo di bianco, bene bene; Quindi sul bianco gli tracciò dappertutto delle strisce nere, e dei cerchi neri intorno agli occhi. Cavallo Alto aveva un aspetto spaventevole; così spaventevole che quando Daino Rosso finì il lavoro e gli diede uno sguardo d'insieme, per vedere come gli era riuscito, disse che perfino a lui faceva un poco di paura. "Adesso se ti sorprendono di nuovo si spaventeranno tanto che penseranno che sei uno spirito maligno e avranno paura di inseguirti", disse Daino Rosso. Cavallo Alto entrò strisciando col suo coltello, come la prima volta; Daino Rosso aspettava fuori, pronto a trascinare fuori la ragazza e imbavagliarla non appena Cavallo Alto avesse finito di tagliare tutte le cinghie. Cavallo Alto strisciò fino al letto della ragazza e cominciò a tagliare tutte le cinghie. Ma nel frattempo pensava:"Se mi vedono mi uccideranno, perchè faccio tanta paura". La ragazza era irrequieta e continuava ad agitarsi molto nel letto; e ogni volta che tagliava una cinghia, la cinghia faceva pop. Per questo Cavallo Alto lavorava molto lentamente e con grande cura. Ma lo stesso avrà fatto rumore, perchè a un tratto la vecchia si svegliò e disse al vecchio:"Vecchio, sveglia!C'è qualcuno in questa tenda!" Ma il vecchio aveva molto sonno e non voleva che lo disturbassero. Disse:"Lo so bene che c'è qualcuno in questa tenda, dormi e non mi dare fastidio". E poi si mise a russare di nuovo. Ma ormai Cavallo Alto era così spaventato che non osava muoversi nè sollevare la testa da terra. Ora, era successo che da molto tempo non aveva dormito quasi niente, per colpa della ragazza. E mentre stava lì schiacciato a terra, aspettando che la vecchia cominciasse a russare anche lei, a un tratto si dimenticò di tutto, perfino di quanto era bella la ragazza. Daino Rosso che era sdraiato fuori, pronto a fare la sua parte, si domandava una e cento volte che cosa stesse succedendo là dentro, ma non osava chiamare l'amico a voce alta. Dopo non molto cominciò ad albeggiare e Daino Rosso dovette andarsene, con i due cavalli che teneva lì legati pronti per il suo compagno e per la ragazza; altrimenti l'avrebbero visto. E così se ne andò. Quando cominciò a fare giorno dentro la tenda, la ragazza si svegliò e la prima cosa che vide fu un animale spaventevole, tutto bianco con strisce nere, che dormiva sdraiato accanto al suo letto. Allora si mise a strillare, e anche la vecchia strillò, e il vecchio urlò. Cavallo Alto si alzò di scatto, con una paura da morire, e nella fretta di uscire quasi fece cadere la tenda. Ormai la gente accorreva da tutti gli angoli del villaggio con fucili e archi e asce, e tutti urlavano. Ma Cavallo Alto si mise a correre così svelto che quasi non toccava la terra con i piedi, e il suo aspetto era così terribile che la gente scappava via e lo lasciava correre. I più bravi volevano sparargli addosso , ma gli altri dicevano che doveva essere una creatura sacra e che ucciderlo poteva portare chissà quale guaio. Cavallo Alto si diresse verso il fiume più vicino; tra la boscaglia trovò un albero con il tronco vuoto e si infilò dentro. Poi arrivarono alcuni coraggiosi; Cavallo Alto li udiva dire che doveva essere uno spirito maligno, uscito dall'acqua, e che oramai era tornato nell'acqua. Quel mattino stesso i capi ordinarono a tutti gli abitanti del villaggio di levare le tende e di lasciare quel luogo. Così se ne andarono, mentre Cavallo Alto era nascosto nell'albero vuoto. Orbene, daino Rosso era rimasto a guardare tutto questo scompiglio, dalla sua tenda, fingendo di essere sorpreso e spaventato quanto gli altri. E così quando l'accampamento si trasferì altrove, egli corse di nascosto al fiume dove il suo amico era scomparso. Quando si trovò nella boscaglia, cominciò a chiamare e Cavallo Alto rispose, perchè riconosceva la voce del suo amico.  Daino Rosso aiutò Cavallo Alto a lavarsi il corpo, che era dipinto, e poi si sedettero in riva al fiume per parlare dei loro guai. Cavallo Alto disse che non sarebbe ritornato al villaggio mai più in vita sua e che ormai non gli importava nulla di nulla. Disse che aveva deciso di mettersi sul sentiero di guerra da solo. Daino Rosso disse:< No, cugino, non ti metterai sul sentiero di guerra da solo, perchè io verrò con te. Così Daino Rosso fece tutti i preparativi, e giunta la notte si misero sul sentiero di guerra da soli. Dopo qualche giorno di viaggio arrivarono ad un accampamento di Crow, verso il tramonto; quando si fece buio si avvicinarono di nascosto al luogo dove pascolavano i cavalli dei Crow, uccisero l'uomo che sorvegliava i cavalli, il quale non si apsettava un attacco perchè credeva che tutti i Lakota fossero molto lontano, e così se ne andarono con un centinaio di cavalli. Avevano dato loro un forte vantaggio, perchè tutti i cavalli dei Crow, si erano messi a corre3re come pazzi, e probabilmente i Crow dovettero aspettare fino al mattino per trovare altri cavalli, prima di poterli inseguire. Daino Rosso e Cavallo Alto fuggirono con il loro branco di cavalli, per ben tre giorni e tre notti, infine raggiunsero il loro villaggio. Allora costrinsero l'intero branco ad entrare nel villaggio e non si fermarono finchè non furono davanti alla tenda della ragazza. Il vecchio era nella tenda; cavallo Alto lo chiamò e gli chiese se forse adesso credeva che i cavalli bastassero per pagare la ragazza. Questa volta il vecchio non lo accolse con un gesto di rifiuto. Non erano i cavalli quello che lui voleva. Quello che voleva era un figlio che fosse un vero uomo e capace di fare qualcosa. E così Cavallo Alto ebbe finalmente la sua ragazza, e io credo che se la meritava.

Cavallo Alto Innamorato che racconta in prima persona, una antica storia Indiana.

GERONIMO

 

lo stavo vivendo pacificamente con la mia famiglia, avevo cibo a sufficienza, dormivo bene, avevo cura della mia gente e stavo benissimo. Non so chi fu il primo a mettere in giro quelle brutte storie.Ci stavamo comportando bene; e il mio popolo stava bene. lo mi comportavo bene. Non avevo ucciso né un cavallo né un uomo, ne americano né indiano. lo non so di che cosa la gente ci accusasse.

Essi sapevano come stavano le cose e tuttavia dissero che io ero un uomo cattivo: l'uomo peggiore del posto; ma che cosa avevo fatto? lo stavo vivendo pacificamente qui con la mia famiglia sotto l'ombra degli alberi, facendo proprio ciò che il generale Crook mi aveva detto di fare e cercando di seguire il suo consiglio. lo voglio sapere ora chi ha ordinato di arrestarmi. lo stavo pregando la luce e l'oscurità. Dio e il sole, di lasciarmi vivere tranquillamente qui con la mia famiglia. Non so per quale ragione quella gente parlava male di me. Molto spesso si raccontano storie sui giornali che io sto per essere impiccato. lo non voglio che lo si dica più. Quando un uomo cerca di fare il giusto, simili storie non dovrebbero apparire sui giornali. Ora, sono rimasti pochissimi dei miei uomini, Essi hanno fallo alcune cose cattive, ma io non voglio. che vengano tutti cancellati e non si parli più di loro, Sono rimasti così pochi di noi.

Goyathlay (Geronimo)

Dopo la morte di Kociss nel 1874, Taza, suo figlio maggiore, divenne capo dei Chiricahua,e Taglito (Tom Jeffords) continuò a fare l'agente nella riserva di Passo Apache. Contrariamente a suo padre, Taza non riuscì ad assicurarsi la costante obbedienza di tutti i Chiricahua. Nel giro di pochi mesi questi Apache si divisero in fazioni, e nonostante i seri sforzi compiuti sia da Taza che da Jeffords, ripresero le incursioni che Kociss aveva severamente proibito. Poiché la riserva dei Chiricahua si trovava vicino al Messico, divenne una tappa obbligata e un rifugio per i gruppi di predoni apache che entravano e uscivano dall'Arizona e dal Messico. Coloni affamati di terra, minatori e politici non persero tempo a chiedere lo spostamento di tutti i Chiricahua in qualche altra località. Nel 1875 la politica indiana del governo degli Stati Uniti tendeva alla concentrazione delle tribù o nel Territorio Indiano o in vaste riserve regionali. La riserva White Mountain, coni suoi due milioni e mezzo di atri nell'Ari zona orientale, era più grande di tutte le altre riserve apache del Sudovest messe insieme.  La sua agenzia, San Carlos, era già la sede amministrativa di sette bande apache, e quando i funzionari di Washington cominciarono a ricevere rapporti di disordini nella riserva dei Chiricahua, pensarono che questa era un'eccellente scusa per spostare i Chiricahua a San Carlòs. L'agenzia, posta alla confluenza dei fiumi San Carlos e Gila, era considerata dagli ufficiali dell'esercito uno dei posti più desolati e inospitali. «Un terreno piatto e ghiaioso , scrisse uno «si elevava di circa 9 metri sopra le rive del fiume, ed era punteggiato qua e là dagli edifici di mattoni grigi dell'agenzia. Squallidi filari di pioppi sparuti, striminziti, quasi senza foglie, segnavano il corso del fiume. La pioggia cadeva così raramente che quando pioveva sembrava di assistere a un fenomeno eccezionale. Venti quasi sempre secchi, caldi spazzavano la pianura, sollevando nubi di polvere e di sabbia, distruggendo ogni traccia di vegetazione. In estate una temperatura di 43° all'ombra era considerata un clima fresco. In tutti gli altri periodi dell'anno sciamavano a milioni mosche, zanzare e piccoli insetti innominabili...  L'agente di questo posto, nel 1875, era lohn Clum, che pochi mesi prima aveva salvato Eskiminzine i suoi Aravaipa da Camp Grant e li aveva aiutati a diventare praticamente autosufficienti, irrigando la terra lungo il fiume Gila. Con il suo modo cocciuto di fare, Clum costrinse i militari a ritirarsi dalla vasta riserva White Mountain, sostituì le truppe con una compagnia di Apache, che aveva l'incarico di mantenere l'ordine pubblico nella loro agenzia, e istituì un sistema di tribunali apache per processare i trasgressori. Sebbene i suoi superiori vedessero con sospetto il metodo non ortodosso di Clum di permettere agli indiani di prendere le proprie decisioni, non poterono negare il suo successo nel mantenere la pace a San Carlos.Il 3 maggio 1876 l'agente Clum ricevette un telegramma dal commissario agli Affari Indiani, che gli ordinava di recarsi nella riserva chiricahua, di occuparsi degli indiani del posto, di sospendere l'agente Jeffords e di spostare i Chiricahua a San Carlos. Clum non era entusiasta di questo incarico spiacevole;

dubitava che i Chiricahua, amanti della libertà, si sarebbero adeguati alla vita regolata nella riserva White Mountain. Insistendo perché l'esercito tenesse a distanza la cavalleria, Clum condusse la sua polizia indiana a Passo Apache per informare i Chiricahua del loro spostamento forzato.  Fu sorpreso di vedere che Jeffords e Taza erano disposti a collaborare. Taza, come suo padre Kociss, voleva mantenere la pace. Se i Chiricahua dovevano lasciare la loro patria e andare a White Mountain per mantenere la pace, lo avrebbero fatto. Tuttavia, solo la metà circa dei Chiricahua marciò verso San Carlos. Quando l'esercito entrò nella riserva abbandonata per rastrellare i recalcitranti, la maggior parte di essi passò il confine e fuggì nel Messico.  Fra i loro capi vi era un Apache Bedonkohe di quarantasei anni che si era alleato da giovane con Mangas Colorado, e poi aveva seguito Kociss, ed ora si considerava un Chiricahua. Si chiamava Goyathlay, ed era meglio conosciuto dai bianchi come Geronimo. Sebbene i Chiricahua che andarono volontariamente a San Carlos non nutrissero per l'agente Clum gli stessi calorosi sentimenti delle altre bande apache, non gli procurarono fastidi. Più tardi, nell'estate del 1876, quando Clum otte"nne il permesso dall'lndian Bureau di condurre ventidue Apache a fare un giro nell'Est, invitò Taza a venire. Sfortunatamente, mentre il gruppo stava visitando Washington. Taza morì improvvisamente di polmonite e fu sepolto nel cimitero del Congresso. Clum, tornato a San Carlos, dovette affrontare Naiche, un fratello minore di Taza. «Tu hai portato via mio fratello, disse Naiche,- «Egli stava bene ed era forte, ma tu sei tornato indietro senza di lui, e dici che è morto. lo non lo so. Penso che forse tu non ti sei curato di lui. Hai permesso che venisse ucciso dagli spiriti maligni dei visi pallidi. lo ho un grande dolore nel mio cuore. Clum tentò di rassicurare Naiche chiedendo a Eskiminzin di fare un resoconto della morte di Taza, ma i Chiricahua rimasero sospettosi. Senza i consigli di Taglito Jeffords, non sapevano fino a che punto potevano fidarsi di John Clum o di qualsiasi altro uomo bianco. Durante l'inverno del 1876-1877 i loro parenti nel Messico, ogni tanto, entravano furtivamente nella riserva portando notizie di ciò che accadeva oltre il confine. Avevano saputo che Geronimo e la sua band(i stavano compiendo razzie ai danni dei loro vecchi nemici, i messicani, e stavano mettendo insieme grosse mandrie di bestiame e di cavalli. In primavera Geronimo aveva portato questo bestiame rubato nel Nuovo Messico, lo aveva venduto ai ranchers bianchi, e aveva comperato nuovi fucili, cappelli, stivali e molto whiskey. Questi Chiricahua si stabilirono in un nascondiglio vicino ai loro cugini Mimbres, presso l'agenzia Ojo Caliente, dove il capo era Victorio. Nel marzo 1877 John Clum ricevette ordini da Washington di condurre la sua polizia apache a Ojo Caliente e di trasferire a San Carlos gli indiani che erano lì. Inoltre, doveva arrestare Geronimo e tutti gli altri Chiricahua «rinnegati, che si trovavano nelle vicinanze. Geronimo dichiarò in seguito a questo proposito: «Da San Carlos furono mandate due compagnie di esploratori.  Fecero sapere a me e a Victorio di venire in città. I messaggeri non dissero ciò che volevano da noi, ma poiché sembravano amici, pensammo che volessero tenere un consiglio e andammo a cavallo a incontrare gli ufficiali. Appena arrivammo in città,i soldati ci circondarono, ci disarmarono e ci condussero entrambi al quartier generale dove fummo processati da una corte marziale. Ci fecero solo poche domande, poi Victorio fu rilasciato e io fui condannato alla prigione. Le guide mi condussero in carcere e mi incatenarono.  Quando io chiesi loro perché facevano questo, dissero che era perché io avevo lasciato Passo Apache e io non credo di aver mai dipeso da questi soldati a Passo Apache, o che avrei dovuto chiedere loro dove potevo andare... Fui tenuto prigioniero per quattro mesi, durante i quali fui trasferito a San Carlos. Poi credo di aver avuto un altro processo, sebbene non fossi presente. In realtà, non so se ho avuto un altro processo, ma mi è stato detto che l'ho avuto, comunque, fui rilasciato.Sebbene Victorio non fosse stato messo agli arresti, egli e la maggior parte degli Apache di Warm Springs furono trasferiti a San Carlos nella primavera del 1877. Clum si sforzò di conquistare la fiducia di Victorio, conferendogli un'autorità maggiore di quanto il capo ne avesse mai avuta a Ojo Caliente.
Per poche settimane sembrò quasi che potessero svilupparsi nella riserva White Mountain pacifiche comunità di Apache, ma poi improvvisamente l'esercito spostò una compagnia di soldati sul fiume Gila (Fort Thomas).  L'esercito annunciò che si trattava di una manovra precauzionale a causa della concentrazione a San Carlos di «quasi tutti gli indiani più refrattari del Territorio , Clum era furioso. Telegrafò al commissario degli Affari Indiani, chiedendo l'autorizzazione di equipaggiare un'altra compagnia di polizia apache per sostituire i soldati e chiedendo che le truppe fossero allontanate. A Washington, i giornali vennero a conoscenza dell'audace richiesta di Clum e la pubblicarono. La cosa sollevò le ire del dipartimento della Guerra. Nell'Arizona e nel Nuovo Messico i fornitori civili dell'esercito, temendo una massiccia partenza dei soldati e una perdita di affari redditizi, condannarono la «sfacciataggine e l'impudenza, del pivello ventiseienne che credeva di poter fare da solo ciò che diverse migliaia di soldati non erano riusciti a fare da quando crano iniziate le guerre apache. L'esercito rimase a San Carlos e John Clum dette le dimissioni. Sebbene simpatico, Clum non aveva mai imparato a pensare come un Apache, a mettersi nei panni degli Apache, come aveva fatto Tom Jcffords. Non riusciva a capire che resistevano fino alla fine. Non riusciva a vederli come figure eroiche che preferivano la morte alla pcrdita della loro eredità. Agli occhi di John Clum, Geronimo, Victorio, Nana, Loco, Naiche e gli altri combattenti erano fuorilegge, ladri, assassini e' ubriaconi: troppo reazionari per adottare il modo di vivere dell'uomo bianco. E così John Clum lasciò gli Apache a San Carlos. Andò a Tombstone, nell'Arizona, e fondò un giornale battagliero, 1'« Epitaph , Prima della fine dell'estate del 1877 la situazione a San Carlos divenne caotica. Sebbene il numero degli indiani fosse aumentato di diverse centinaia di unità, i rifornimenti supplementari giungevano con lentezza. A peggiorare le cose, invece di distribuire le razioni nei vari accampamenti, il nuovo agente pretese che tutte le bande si recassero nel principale edificio dell'agenzia.  Alcuni Apache dovevano fare più di 30 chilometri a piedi, e se i vecchi e i bambini non erano in grado di recarvisi, non ricevevano le razioni. Anche i minatori invasero la parte nord-orientale della riserva e si rifiutarono di andarsene. Il sistema di autocontrollo istituito da Cluri1 cominciò a disgregarsi. La notte del 2 settembre Victorio condusse fuori dalla riserva la sua banda di Warm Springs e iniziò il viaggio di ritorno a Ojo Caliente. La polizia apache lo inseguì, ricatturò la maggior parte dei cavalli e dei muli che gli indiani di Warm Springs avevano preso dai recinti di White Mountain, ma lasciò andare gli uomini. Dopo vari scontri a fuoco lungo il cammino con ranchers e soldati, Victorio raggiunse Ojo Caliente. Per un anno l'esercito lo lasciò stare lì insieme al suo popolo, sotto la sorveglianza dei soldati di Fort Wingate e poi, verso la fine del 1878, giunse l'ordine di riportarli a San Carlos. Victorio pregò gli ufficiali dell'esercito di lasciar vivere il suo popolo nel territorio dove era nato, ma quando comprese che non glielo avrebbero permesso, gridò: <Potete mettere le nostre donne e i nostri bambini nei vostri carri, ma i miei uomini non partiranno! > Victorio e circa ottanta dei suoi guerrieri fuggirono sui monti Mimbres e passarono un duro inverno lontano dalle loro famiglie. Nel febbraio 1878 Victorio e pochi uomini si recarono al presidio di Ojo, Cali ente e dichiararono di arrendersi se l'esercito avesse fatto tornare le loro famiglie da San Carlos. L'esercito rimandò la decisione per alcune settimane, quindi, finalmente, annunciò che si sarebbe fatto un compromesso. Gli Apache di Warm Springs avrebbero potuto stabilirsi nel Nuovo Messico, ma avrebbero dovuto vivere con i Mescalero a Tularosa. Victorio si dichiarò d'accordo e per la terza volta in due anni egli e il suo popolo dovettero ricominciare da capo. Nell'estate del 1879 fu presentata contro Victorio una vecchia accusa di furto di cavalli e assassinio; e gli uomini della legge giunsero nella riserva per arrestarlo. Victorio fuggì, e gli Apache erano condannati, a meno che non si difendessero con le armi come avevano fatto in Messico da quando erano arrivati gli spagnoli. Dopo aver stabilito la sua roccaforte nel Messico, Victorio cominciò a reclutare un esercito di guerriglieri «per fare la guerra per sempre» contro gli Stati Uniti. Prima della fine del 1879 aveva messo insieme una banda di duecento guerriglieri mescalero e chiricahua.

Per procurarsi i cavalli e i rifornimenti, saccheggiavano le fattorie messi cane e poi facevano audaci incursioni nel Nuovo Messico e nel Texas, uccidendo i coloni dovunque li trovassero, tendendo imboscate alle forze di cavalleria lanciate al loro inseguimento e fuggendo poi dall'altra parte del confine. Con il perdurare della guerriglia, l'odio di Victorio si fece più profondo. Egli divenne un assassino spietato, che torturava e mutilava le sue vittime. Alcuni dei suoi seguaci lo giudicarono un pazzo e lo abbandonarono. Sulla sua testa fu posta una taglia di tremila dollari. Infine, gli eserciti degli Stati Uniti e del Messico decisero di collaborare nello sforzo congiunto di prenderlo in, trappola. Il 14 ottobre 1880 i soldati messicani intrappolarono la banda di Victorio sulle colline Tres Castillos fra Chihuahua e El Paso. Massacrarono ventotto Apache, compreso Victorio, e catturarono sessantotto donne e bambini. Circa trenta guerrieri fuggirono. Fra quelli che fùggirono vi era un guerriero mimbres che aveva già oltrepassato la settantina. Il suo nome era Nana. Sin da quando era giovane aveva combattuto gli uomini bianchi di lingua spagnola e di lingua inglese. Nana non aveva alcun dubbio che la resistenza doveva continuare. Avrebbe reclutato un altro esercito di guerriglieri, e il posto migliore dove trovarli erano le riserve, in cui centinaia di giovani vivevano rinchiusi senza aver nulla da fare. Nell'estate del 1881 questo piccolo Apache, coperto di cicatrici e di rughe, attraversò il Rio Grande con un pugno di seguaci. In meno di un mese essi combatterono otto battaglie, catturarono duecento cavalli e ripararono nel Messico con un migliaio di cavalleggeri alle calcagna.  Le razzie di Nana non avvenivano mai vicino a White Mountain, ma gli Apache del posto sapevano delle sue imprese audaci e l'esercito reagì inviando centinaia di soldati a cavallo a guardia della riserva. In settembre i Chiricahua di San Carlos si allarmarono causa di una esercitazione della cavalleria vicino al loro accampamento. Circolavano dovunque voci preoccupanti; si diceva che l'esercito si stava preparando ad arrestare tutti i capi che erano sempre stati ostili. Una notte, alla fine di quello stesso mese, Geronimo, Juh, Naiche e circa settanta Chiricahua fuggirono da White Mountain e si diressero verso i! Sud, nella loro vecchia roccaforte della Sierra Madre in Messico. Sei mesi dopo (aprile 1882), bene armati ed equipaggiati, i Chiricahua tornarono a White Mountain. Erano decisi a liberare tutto il loro popolo e qualunque altro Apache che volesse tornare in Messico con loro. Fu un'audace impresa. Galopparono nell'accampamento di Capo Loco e persuasero la maggior parte dei restanti Apache Chiricahua e Warm Springs a partire per il Messico.  Furono subito inseguiti da sei compagnie di cavalleria comandate dal colonnello George A. Forsyth. (Egli era sopravvissuto alla battaglia in cui fu ucciso Naso Aquilino). Nel Canyon Horse Shoe, Forsyth raggiunse gli Apacbe in fuga, ma con una brillante azione di retroguardia gli indiani trattennero le truppe il tempo necessario da permettere al gruppo principale di entrare nel Messico. Qui accadde il disastro in modo inaspettato. Un reggimento messicano di fanteria piombò sulla colonna apache, massacrando la maggior parte delle donne. e dei bambini che cavalcavano in testa. Fra i capi e i guerrieri che riuscirono a scampare vi furono Loco', Naiche, Chato e Geronìmo. Esacerbati, ridotti a un pugno di uomini, si unirono presto al vecchio Nana e ai suoi guerriglieri. Per tutti loro si trattava ormai di una guerra per la sopravvivenza. Ogni nuova fuga a White Mountain aveva prodotto un incremento del numero dei soldati. Pullulavano dovunque, a Fort Thomas, Fort Apache, Fort Bowie - e ogni loro aumento numerico produceva maggiore inquietudine fra gli Apache nella riserva, più fughe nel Messico, con le inevitabili razzie ai danni dei ranchers lungo le strade che percorrevano nella fuga. Per porre fine al caos, l'esercito chiamò ancora una volta il generale George Crook che nel frattempo era diventato un uomo completamente diverso da quello che aveva lasciato dieci anni prima l'Arizona per andare al Nord a combattere i Sioux e i Cheyenne. Egli aveva imparato da loro e dai Ponca, durante il processo di Orso in Piedi, che gli indiani erano esseri umani, un punto di vista che la maggior parte dei suoi ufficiali subalterni non aveva ancora accettato.

Il 4 settembre 1882 Crook assunse il comando del dipartimento dell'Arizona a Whipple Barracks e poi si affrettò ad andare nella riserva White Mountain. Tenne consigli con gli Apache a San Carlos e a Fort Apache; prese da parte singoli indiani e parlò privatamente con loro. «Mi accorsi subito che vi era un sentimento generale di sfiducia verso il nostro popolo in tutte le bande di Apache » egli riferì. c Fu con molta difficoltà che riuscii a farli parlare, ma dopo' aver superato i loro sospetti, conversarono francamente con me. Mi dissero che avevano perso la fiducia in ogni cosa, e che non sapevano più a chi o a che cosa credere; che veniva loro detto continuamente, da parte di gruppi irresponsabili, che dovevano essere disarmati, che stavano per essere attaccati dalle truppe nella riserva e spostati dal loro paese; e che stavano giungendo rapidamente alla conclusione che sarebbe stato più da uomini morire combattendo che essere annientati a quel modo. » Crook era convinto che gli Apache della riserva «non solo avevano tutte le ragioni di lamentarsi, ma avevano dimostrato una notevole pazienza rimanendo in pace». Sin dalle sue prime indagini scoprì che gli indiani erano stati derubati «delle razioni e delle merci acquistate dal governo per il loro mantenimento e sostentamento, da agenti disonesti e da altri uomini bianchi senza scrupoli». Trovò una quantità di prove che gli uomini bianchi stavano cercando di spingere gli Apache a un'azione violenta, per poterli scacciare dalla riserva, e arraffare le terre rimaste libere. Crook ordinò l'immediato allontanamento dalla riserva di tutti i minatori e pionieri bianchi e poi chiese la completa collaborazione dell'lndian Bureau per introdurre riforme. Invece di essere costrette a vivere vicino a San Carlos o a Fort Apache, alle diverse bande fu dato il diritto di scegliere nella riserva il posto che preferivano per costruirvi le case e i ranch. I contratti per la fornitura del fieno sarebbero stati stipulati con gli Apache invece che con fornitori bianchi; l'esercito avrebbe comperato tutte le eccedenze di mais e di ortaggi prodotti dagli indiani, pagando in contanti. Avrebbero potuto auto-governarsi, riorganizzare la toro polizia e mantenere i propri tribunali, come avevano fatto ai tempi di lohn Clum, Crook promise che non avrebbero mai visto i soldati nella loro riserva, a meno che si dimostrassero incapaci di mantenere l'ordine. Inizialmente gli Apache erano scettici. Essi ricordavano i modi duri di Crook ai. vecchi tempi quando egli era il Lupo Grigio che dava la caccia a Kociss e ai Chiricahua, ma essi scoprirono presto che egli intendeva fare ciò che diceva. Le razioni divennero più abbondanti, gli agenti e i commercianti smisero di truffarli, non vi erano più i soldati a maltrattarli, e il Lupo Grigio li incoraggiò ad allevare le loro mandrie e a cercare posti migliori per coltivare il mais e i fagioli, Erano di nuovo liberi, finché restavano dentro la riserva. Ma non riuscivano a dimenticare i loro parenti che erano veramente liberi nel Messico e vi era sempre qualche giovane che fuggiva verso il Sud, e qualcuno che ritornava con eccitanti notizie di avventure e di divertimenti. Anche Crook pensava molto agli Apache Chiricahua e Warm Springs che si trovavano in Messico. Egli sapeva che era solo una questione di tempo e che presto o tardi avrebbero attraversato ancora una volta il confine; e sapeva che doveva tenersi pronto. Il governo degli Stati Uniti aveVa recentemente firmato un accordo con il governo messicano che permetteva ai soldati di ciascun paese di attraversare il confine durante l'inseguimento di Apache ostili. Egli si stava preparando ad approfittare di questo accordo, sperando che così facendo avrebbe potuto evitare che i civili dell'Arizona e del Nuovo Messico lo costringessero a iniziare una guerra.  < Accade troppo spesso , disse Crook «che i giornali di frontiera spargano ogni genere di esagerazioni e di falsità sugli indiani, che vengono riprese da giornali accreditati e a grande tiratura, in altre parti del paese, mentre si viene a sapere molto raramente la versione indiana dei fatti. In questo modo la gente si fa una falsa idea di tutta la faccenda. Poi, quando avvengono i disordini, l'attenzione generale è rivolta agli indiani, vengono condannati solo i loro crimini e atrocità, mentre le persone la cui ingiustizia li ha spinti in questa direzione, la fanno franca e sono quelli che li denunciano con maggior foga, nessuno conosce questa situazione meglio degli indiani, e quindi è scusabile se non vedono alcuna giustizia in un governo che pensa solo a punirli, mentre permette all'uomo, bianco di derubarli come meglio gli pare. >

L'idea di un'altra guerriglia con gli Apache faceva inorridire Crook. Egli sapeva che era praticamente impossibile vincerli nel territorio montuoso dove si sarebbe svolta la guerra. «Con tutti gli interessi che sono in gioco, non possiamo permetterei di combatterli» ammise francamente. «Noi siamo troppo colpevoli, come nazione, dell'attuale stato di cose. Ne consegue che dobbiamo accontentarli e che d'ora in avanti dovranno essere trattati con giustizia e protetti dagli abusi degli uomini bianchi. » Crook credeva che avrebbe potuto convincere Geronimo e gli altri capi della guerriglia delle sue buone intenzioni, non combattendoli, ma parlando con loro. 1l posto migliore per fare questo sarebbe stata una delle loro roccaforti messicane dove non vi sarebbero stati fomentatori di guerre indiane o giornali tendenziosi che istigassero a una guerra per accumulare profitti e accaparrare terre. Mentre attendeva una incursione sul confine per avere la scusa di entrare nel Messico, Crook formò con calma il suo «corpo di spedizione». Esso era costituito da circa cinquanta soldati e interpreti civili accuratamente scelti e da circa duecento giovani Apache della riserva. molti dei quali avevano partecipato almeno una volta a qualche razzia nel Messico. Nelle prime settimane del 1883 spostò una parte di questi uomini vicino alla nuova Southern Pacific Railroad che attraversava l'Arizona a circa 8O chilometri dal confine. Il 21 marzo tre capi minori - Chato, Chihuahua e Bonito - fecero un'incursione in una miniera vicino a Tombstone. Appena Crook fu informato dell'incidente, iniziò gli ultimi preparativi per entrare nel Messico. Tuttavia, solo dopo parecchie settimane di ricerche, le sue guide scoprirono che il campo base dei Chiricahua si trovava nella Sierra Madre del Messico. In quella stagione Quando le Foglie Sono Verde-Scuro (maggio), Geronimo guidò una razzia contro i ranchers messicani per procurarsi bestiame. l soldati messicani inseguirono la banda di Geronimo, ma questi tese un'imboscata ai soldati, inflisse loro gravi perdite e fuggì. Mentre gli Apache stavano tornando alla loro base, uno degli uomini che erano stati lasciati di guardia incontrò Geronimo e gli disse che Lupo Grigio (Crook) aveva preso l'accampamento e catturato tutte le donne e i bambini. Jason Betzinez, uno dei cugini di Geronimo che cavalcava con il gruppo apache, raccontò in seguito che Geronimo scelse due dei suoi più anziani guerrieri perché andassero là con una bandiera bianca e scoprissero cosa era venuto a fare Lupo Grigio. «Invece di tornare dove si trovava Geronimo", disse Betzinez «i due uomini risalirono a metà la montagna e dissero a tutti di venire giù... I nostri guerrieri scesero il fianco della montagna, proseguirono fino alla tenda del generale Crook, dove, dopo una lunga riunione dei capi, ci arrendemmo tutti al generale.  In realtà Geronimo ebbe tre lunghi colloqui con Crook prima di raggiungere un accordo. Il capo apache dichiarò che aveva sempre voluto la pace, ma che era stato maltrattato a San Carlos da cattivi uomini bianchi. Crook ammise che ciò era probabilmente vero, ma se Geronimo voleva tornare alla riserva, Lupo Grigio avrebbe fatto in modo che fosse trattato giustamente. Tutti i Chiricahua che tornavano, tuttavia, avrebbero dovuto lavorare come contadini e allevatori di bestiame per guadagnarsi da vivere. «lo non vi porto via le vostre armi,» aggiunse Crook «perché non ho paura di voi. » A Geronimo piacquero i modi bruschi di Crook, ma quando il generale annunciò che doveva riportare la sua colonna in Arizona entro un giorno circa, Geronimo decise di metterlo alla prova, per vedere se Crook veramente si fidava di lui. Il capo apache disse che ci volevano diversi mesi per radunare tutto il suo popolo. «lo rimarrò qui» egli disse «fino a quando avrò raccolto l'uItimo uomo, donna e bambino chiricahua." Anche Chato sarebbe rimasto ad aiutarlo. Insieme avrebbero portato tutto il popolo a San Carlos. Con grande sorpresa di Geronimo, Crook accettò la proposta. Il 30. maggio la colonna partì verso il Nord. Con essa partirono 251 donne e bambini e 123 guerrieri, compresi Loco, Mangas (il figlio di Mangas Colora do), Chihuahua, Bonito e persino il vecchio rugoso Nana, tutti i capi di guerra tranne Geronimo e Chato. Passarono otto mesi, e poi fu Crook a rimanere sorpreso. Fedeli alla parola data, Geronimo e Chato attraversarono la frontiera nel febbraio 1884 e furono scortati a San Carlos. «Sfortunatamente, Geronimo fece l'errore di portare con sé una grossa mandria di bestiame che aveva rubato ai messicani » disse Jason Betzinez. «Questo sembrava molto giusto a Geronimo che pensava che fosse l'unico modo di fornire una buona scorta di cibo al suo popolo. Le autorità, ragionando da un diverso punto di vista, gli sequestrarono il bestiame.»
L'onesto Lupo Grigio ordinò di vendere il bestiame e poi inviò il ricavato di 1.762,50 dollari al governo messicano perché fosse distribuito ai legittimi proprietari qualora fossero stati rintracciati. Per oltre un anno il generale Crook poté vantarsi che «nessun reato o razzia di nessun genere» erano stati commessi dagli indiani dell'Arizona e del Nuovo Messico. Geronimo e Chato facevano a gara a sviluppare i loro ranchos e Crook teneva d'occhio l'agente perché distribuisse provviste adeguate. Fuori dalla riserva e dai presidi militari, tuttavia, Crook veniva molto criticato e accusato di essere troppo accondiscendente con gli Apache; i giornali che egli aveva accùsato di diffondere «ogni genere di esagerazioni e di falsità sugli indiani » ora si volsero contro di lui. Alcuni giornalisti, particolarmente in malafede, arrivarono al punto di spargere la voce che Crook si era arreso a Geronimo nel Messico e aveva fatto un accordo con il capo chiricahua per salvare la propria vita. Per quanto riguarda Geronimo, ne fecero una specie di diavolo, inventando decine di storie atroci sul suo conto e invitando i membri del comitato di vigilanza a impiccarlo, se non l'avesse fatto il governo. Mickey Free, l'interprete ufficiale dei Chiricahua, raccontò a Geronimo queste storie che circolavano sui giornali. «Quando un uomo cerca di fare il giusto, » commentò Geronimo «simili storie non dovrebbero apparire sui giornali. Dopo l'Epoca di Piantare il Mais (primavera 1885) i Chiricahua divennero scontenti. C'era poco da fare per gli uomini, tranne che ritirare le razioni, giocare d'azzardo, litigare, oziare e bere tiswin. Il tiswin era proibito nella riserva, ma i Chiricahua avevano una gran quantità di mais per fare la birra e il bere era uno dei pochi piaceri dei vecchi tempi che era rimasto loro. La notte del 17 maggio, Geronimo, Mangas, Chihuahua e Nana, ubriachi fradici di tiswin, decisero di andare nel Messico. Si recarono a trovare Chato 'per invitarlo' a seguirli, ma Chato era sobrio e rifiutò. Egli e Geroniino litigarono e per poco non passarono a vie di fatto prima della partenza di Geronimo e degli altri. Del gruppo facevano parte novantadue donne e bambini, otto ragazzi e trentaquattro uomini.  Appena lasciarono San Carlos, Geronimo tagliò i fili del telegrafo. Sia gli uomini bianchi sia gli Apache cercarono di spiegare in vari modi questo improvviso esodo da una riserva dove tutto apparentemente sembrava andare liscio. Alcuni dissero che la cosa era imputabile all'euforia del tiswin; altri dissero che le brutte storie che circolavano sui Chiricahua avevano fatto temere loro di essere arrestati. «Essendo stati messi in catene una volta prima che la banda venisse spedita a San Carlos, » disse Jason Betzinez « alcuni capi erano decisi a non subire un'altra volta un simile trattamento. > Geronimo in seguito spiegò la cosa in questo modo: «Qualche tempo prima che-me ne andassi, un indiano di nome Wadiskay ebbe un colloquio con me. Disse: "Stanno pensando di arrestarti", ma non gli badai, pensando che non avevo fatto nulla di male; e ]a moglie di Mangas, Huera, mi disse che stavano pensando di prendermi e di mettere me c Mangas in prigione e venni a sapere dai soldati americani e apache, da Chato e da Mickey Freeche gli americani si stavano preparando ad arrestarmi e a impiccarmi e così me ne andai » La fuga dèl gruppo di Geronimo attraverso l'Arizona diede il via a un susseguirsi di voci incontrollate. I giornali uscirono con titoli a caratteri cubitali: GLI APACHE SONO USCITI DALLA RISERVA! La stessa parola «Geronimo» divenne un sinonimo di sangue. Il «Tucson Ring» di appaltatori. vedendo una possibilità di una lucrosa campagna militare, chiese al generale Crook di mandare subito truppe per proteggere i cittadini bianchi indifesi dagli assassini apache. Geronimo invece stava disperatamente cercando di evitare qualsiasi scontro con i cittadini bianchi; tutto ciò che egli voleva fare era far passare rapidamente la frontiera al suo popolo e raggiungere il vecchio rifugio sulla Sierra Madre. Per due giorni e due notti i Chiricahua cavalcarono senza posa. Lungo il cammino, Chihuahua cambiò idea e decise di non andare più nel Messico; uscì dalla pista con la sua banda con l'intenzione di ritornare nella riserva. I soldati che lo inseguivano raggiunsero Chihuahua, lo costrinsero a combattere, dopo di che egli iniziò una sanguinosa serie di saccheggi prima di varcare il confine del Messico. Tutte le aggressioni che egli commise furono attribuite a Geronimo, perché pochi nell'Arizona avevano mai sentito parlare di Chihuahua.

Nel frattempo Crook stava cercando di evitare ]a vasta operazione militare che i membri del Tucson Ring e i loro amici politici a Washington gli stavano chiedendo. Egli sapeva che l'unico modo di trattare con tre dozzine di guerrieri apache era quello di negoziare personalmente: A ogni modo, per la tranquillità dei cittadini locali, ordinò a pochi soldati di cavalleria di uscire da tutti i forti, posti sotto il suo comando, ma egli contava esclusivamente sulle sue fide guide apache per trovare i Chiricahua ribelli. Fu grato che Chato e il figlio minore di Kociss, Alchise, si offrissero entrambi volontariamente di cercare Geronimo. Poiché l'autunno si avvicinava, era chiaro che Crook avrebbe dovuto attraversare ancora una volta la frontiera del Messico. Gli ordini da Washington erano inequivocabili: uccidere i fuggitivi o costringerli a una resa senza condizioni. . Nel frattempo i Chiricahua avevano scoperto che nella Sierra Madre li stavano aspettando alcune unità dell'esercito messicano. Dovendo scegliere fra i messicani, che volevano solo ucciderli, e gli americani, che erano disposti a farli prigionieri, Geronimo e gli altri capi decisero infine di ascoltare Chato e Alchise. Il 25 marzo 1886 i capi apache c ostili. si incontrarono con Crook a pochi chilometri a sud del confine a Canon de los Emhudos. Dopo tre giorni di discorsi appassionati, i Chiricahua acconsentirono ad arrendersi. Crook poi disse loro che dovevano arrendersi senza condizioni; e quando essi chiesero che cosa significava, rispose loro francamente che probabilmente sarebbero stati portati lontano, nell'Est, in Florida, come prigionieri. Essi replicarono che non si sarebbero arresi finché Lupo Grigio non avesse promesso che sarebbero ritornati nella loro riserva dopo due anni di prigione. Crook accolse la proposta: gli sembrava fattibile. Credendo di poter convincere Washington che una simile resa era meglio di nessuna resa, acconsentì. c lo mi consegno a te. disse Geronimo. c Fai di me ciò che ti pare. lo mi arrendo. Una volta mi muovevo come il vento. Ora mi arrendo a te e questo è tutto. Alchise chiuse il consiglio pregando Crook di avere pietà dei suoi fratelli Chiricahua smarriti. c Sono tutti buoni amici ora e io sono contento che si siano arresi perché sono tutti lo stesso popolo... un 'unica famiglia di cui faccio parte anch'io; proprio come quando si uccide un cervo, tutte le sue parti appartengono allo stesso corpo; così con i Chiricahua... Noi vogliamo ora viaggiare sul sentiero aperto e bere le acque degli americani e non nasconderei sulle montagne; vogliamo vivere senza pericoli o disagi. Sono molto contento che i Chiricahua si siano arresi e che io sia riuscito a parlare per loro... lo non ti ho mai detto una bugia, né tu hai mai detto una bugia a me, e ora io ti dico che questi Chiricahua davvero vogliono fare ciò che è giusto e vivere in pace. Se essi non lo faranno, allora ho detto una bugia, e tu non devi credermi più. Va tutto bene; va' avanti a Fort Bowie: io voglio che tu porti via nella tua tasca tutto ciò che è stato detto qui oggi. Convinto che i Chiricahua sarebbero venuti a Fort Bowie con il suo gruppo di guide, Crook corse là a telegrafare al dipartimento della Guerra a Washington le condizioni che aveva concesso ai capi chiricahua, Con sua grande delusione, ricevette la seguente risposta: Non possiamo approvare la resa degli indiani ostili a condizione che vengano imprigionati per due anni nell 'Est con l'intesa di lasciarli tornare poi nella riserva Lupo Grigio aveva fatto un'altra promessa che non poteva mantenere. Come colpo finale, il giorno dopo venne a sapere che Geronimo e Naiche si erano staccati dalla colonna a pochi chilometri da Fort Bowie e stavano fuggendo nella direzione opposta, verso il Messico, Un commerciante del c Tucson Ring. li aveva riempiti di whiskey e di menzogne su come i cittadini bianchi dell'Arizona li avrebbero certamente impiccati, se fossero tornati. Secondo lason Betzinez, Naiche si ubriacò e sparò in aria con il fucile. Geronimo pensò che fosse iniziato il combattimento con le truppe. Egli e Naiche, presi dal panico, fuggirono precipitosamente. insieme a circa trenta seguaci. » Forse accadde anche qualcos'altro. «Temevo di essere tradito» disse in seguito Geronimo «e quando diventammo sospettosi., tornammo indietro." Naiche qualche tempo dopo disse a Crook: « Avevo paura di essere portato da qualche parte dove non mi sarebbe piaciuto: in un posto che non conoscevo. Pensavo che tutti quelli che venivano portati via sarebbero morti... Ci ero arrivato con la mia testa da solo... Ne parlammo fra noi. Eravamo ubriachi... perché vi era un sacco di whiskey e volevamo bere qualcosa, e così bevemmo ».

Come risultato della fuga di Geronimo, il dipartimento della Guerra rimproverò severamente Crook per la sua negligenza, per aver concesso condizioni di resa non autorizzate, per il suo atteggiamento tollerante verso gli indiani. Egli rassegnò immediatamente le dimissioni e fu sostituito da Nelson Miies (Cappotto d'Orso), un comandante di brigata che aspirava a una promozione. Cappotto d'Orso assunse il comando il 12 aprile 1886, Con il pieno appoggio del dipartimento della Guerra, mise rapidamente in campo cinquemila soldati (circa un terzo degli effettivi dell'esercito). Egli disponeva inoltre di cinquecento guide apache e di migliaia di civili raggruppati nella milizia. Organizzò una colonna volante di cavalleggeri e un costoso sistema di eliografi per trasmettere messaggi attraverso l'Arizona e il Nuovo Messico. Il nemico che doveva essere sconfitto da questa potente forza militare era Geronimo e il suo «esercito» di ventiquattro guerrieri. che per tutta l'estate del 1886 furono anche costantemente inseguiti da migliaia di soldati dell'esercito messicano. Alla fine furono Grande Naso Capitano (tenente Charles Gatewood) e due guide apache, Martine e Kayitah, che trovarono Geronimo e Naiche nascosti in un canyon della Sierra Madre. Geronimo depose il fucile e strinse la mano a Grande Naso Capitano domandandogli tranquillamente come stava. Chiese poi notizie degli Stati Uniti. Come stavano i Chiricahua'! Gatewood gli disse che i Chiricahua che si erano arresi erano già stati spediti in Florida. Se Geronimo si fosse arreso al generale Miles sarebbe stato probabilmente mandato in Florida e li avrebbe raggiunti.Geronimo voleva sapere tutto di Cappotto d'Orso Miles,

 

La sua voce era aspra o gradevole all'udito? Era crudele o di animo gentile'? Quando parlava. guardava il suo interlocutore negli occhi o guardava a terra? Avrebbe mantenuto le sue promesse? Poi disse a Gatewood; «Vogliamo il tuo consiglio. Immagina di essere uno di noi. e non un uomo bianco. Ricordando tutto ciò che è stato detto oggi, e da Apache, che cosa ci consiglieresti di fare date le circostanze?". Mi fiderei del generale Miles e della sua parola" rispose Gatewood. E così Geronimo si arrese per l'ultima volta. 11 Grande Padre a Washington (Grover Cleveland), che credeva a tutte le sinistre storie raccontate dai giornali sul conto di Geronimo, propose che fosse impiccato. Il consiglio di uomini che conosceva meglio le cose, prevalse, e Geronimo e i suoi guerrieri sopravvissuti furono spediti a Fort Marion, in Florida.

Egli trovò la maggior parte dei suoi amici che stava morendo in quella terra umida e calda, così diversa dal paese secco e montuoso dove erano nati. Più di un centinaio morirono di una malattia diagnosticata come tubercolosi. Il governo portò via tutti i loro bambini e li mandò nella scuola indiana a Carlisle, in Pennsylvania, e più di cinquanta dei loro bambini morirono là. Non solo furono mandati in Florida gli indiani «ostili », ma anche molti di quelli «amici », comprese le guide che avevano lavorato per Crook. Martine e Kayitah, che condussero il tenente Gatewood nel nascondiglio di Geronimo, non ricevettero i dieci cavalli che gli erano stati promessi per la loro missione; furono invece mandati in prigione in Florida. Chato, che aveva cercato di dissuadere Geronimo dal lasciare la riserva e poi aveva aiutato Crook a trovarlo, fu improvvisamente prelevato del suo rancho e inviato in Florida. Perse il suo appezzamento di terreno e tutto il suo bestiame; due dei suoi bambini furono mandati a Carlisle e morirono lì entrambi. I Chiricahua rischiavano di estinguersi; avevano combattuto troppo duramente per conservare la loro libertà. Ma essi non erano i soli. EskimiQzin degli Aravaipa, che era diventato economicamente indipendente nel suo ranch sul fiume Gila, fu arrestato sotto l'accusa di avere avuto rapporti con un fuorilegge noto come Apache Kid. Eskiminzin e i quaranta Aravaipa superstiti furono mandati a vivere con i Chiricahua in Florida. In seguito, tutti questi esiliati furono trasferiti a Mount Vernon Barracks, nèll'Alabama. Se non fosse stato per gli sforzi di alcuni amici bianchi come George Crook, lohn Clum e Hugh Scott, gli Apache sarebbero stati presto sepolti sotto terra in quel posto infestato da febbri malariche sul fiume Mobile. Malgrado le obiezioni di Cappotto d'Orso Miles e del dipartimento della Guerra, riuscirono a far ritornare a San Carlos Eskiminzin e gli Aravaipa.  I cittadini dell'Arizona tuttavia si rifiutarono di riammettere nello stato i Chiricahua di Geronimo. Quando i Kiowa e i Comanche appresero dal tenente Hugh Scott la situazione in cui si trovavano i Chiricahua, offrirono ai loro vecchi nemici apache una parte della loro riserva. Nel 1894 Geronimo accompagnò i sopravvissuti a Fort Sin, dove, quando morì nel 1909, ancora prigioniero di guerra, fu sepolto nel cimitero apache. Circola ancora una leggenda che poco tempo dopo la sua sepoltura, le sue ossa furono segretamente dissepolte e portate da qualche parte nel Sud-ovest: forse sui Mogollon, o sui monti Chiricahua, o nel cuore della Sierra Madre nel Messico. Egli fu l'ultimo dei capi apache.

 

Fonte: http://www.altrestorie.org/nativi/LA%20STORIA%20DEGLI%20INDIANI%20DAMERICA

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