La Francia prima della rivoluzione

La Francia prima della rivoluzione

 

 

 

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La Francia prima della rivoluzione

LA RIVOLUZIONE FRANCESE
Negli ultimi anni del Settecento la popolazione francese si attestava intorno ai 26 milioni di abitanti, distinti in tre ordini: clero, nobiltà e terzo stato. Clero e nobiltà non raggiungevano neppure il 2% della popolazione, ma possedevano quasi tutte le terre di Francia, non pagavano le tasse e godevano di svariati privilegi. Nella stessa posizione era anche l’alto clero, ovvero quegli uomini di Chiesa di origine aristocratica, che a differenza del basso clero, possedevano terre e castelli. Ma il gruppo sociale più vasto era quello formato dal Terzo Stato (borghesi, intellettuali, contadini ecc.). In Francia la maggior parte dei contadini viveva in condizioni di povertà dovendo pagare una taglia allo Stato, ai nobili i tributi feudali e al clero la decima. In Francia la monarchia era detentrice di un potere assoluto, ed ogni tentativo di riforma incontrava l’ostilità ora dell’aristocrazia che non esita a sfidare la monarchia ogni qualvolta si sentiva minacciata nei suoi interessi; ora dei Parlamenti, organi giudiziari pronti a diventare in molte occasioni veicoli di resistenza al sovrano in difesa dei propri interessi particolari, a volte reazionari a volte legati a vacui ideali di libertà. La cultura illuministica aveva dato un contributo  fondamentale alla delegittimazione dell’assolutismo.  I ceti borghesi vivevano con molto disagio questo clima socialmente e politicamente “bloccato” in cui si fronteggiavano un potere dispotico (monarchia e nobiltà) ed una società evoluta ed aperta alle novità (illuministi). Così la monarchia assoluta in Francia attraversava una crescente crisi di autorità. Nel paese ad erodere l’autorità della Corona erano due movimenti contrapposti:

  •  Quello che rimproverava alla monarchia di essere incapace a darsi strumenti idonei e coerenti con le esigenze di modernizzazione.
  • Quello che resisteva alla riforme in nome della difesa di antichi privilegi di casta ed ancora feudali.

Sotto la spinta delle difficoltà economiche del paese, nel dicembre 1758 Luigi XV ha chiamato al potere il ministro delle finanze Choiseul. Choiseul pone mano ad importanti riforme di natura economia ed amministrativa. Durante il suo ministero avvengono due importanti ingrandimenti territoriali: l’annessione della Lorena e della Corsica. Ma queste riforme e queste acquisizioni territoriali, pur nella loro importanza, restano secondari rispetto al problema della tassazione. Di fronte alla continua pressione del governo di aumentare il carico fiscale, a spese tanto dei nobili quanto dei non nobili, e di dar luogo ad un moderno sistema di catastale. Sia i Parlamenti che i nobili, ma per motivi diversi, danno vita ad un’ondata di protesta. Luigi XVI impone allora al suo governo di fare marcia indietro. Il ministro Choiseul pensa allora di dare in pasto ai Parlamenti la Compagnia di Gesù, che i parlamentari considerano un potere rivale e diretto strumento del Papato. I Gesuiti vengono accusati di rappresentare una minaccia per la Nazione, sicché il re nel Novembre del 1764 con un editto scioglie la Compagnia di Gesù in Francia. Choiseul ha creduto di mettere in atto con l’affare dei Gesuiti un’azione diversiva a suo vantaggio; in realtà, egli non ha fatto altro che accrescere l’autorità dei Parlamenti. Così il re licenzia Choiseul, affidando il potere all’abate Maupeou. Quest’ultimo si pone come scopo primo e decisivo di troncare l’opposizione parlamentare, così ne scioglie 130, dei restanti ne riduce il potere. Inoltre riprende il tentativo di razionalizzare il fisco. Ma il 10 maggio 1774 Luigi XV muore di vaiolo. Gli succede il nipote Luigi XVI, uomo dotato di un certo buon senso naturale, ma pigro, incerto, pesante, volgare, che per combattere la crescente obesità va ogni giorno a caccia, si diverrete a fare il fabbro e poi si siede a tavola, dove divora sino all’indigestione. Egli ha sposta Maria Antonietta d’Asburgo, donna frivola e poco accorta alle questioni della corte. Luigi XVI di fronte all’ondata di impopolarità suscitata dalle riforme di Maupeou, lo licenzia e reintegra tutti poteri dei Parlamenti. Tuttavia egli chiama a guidare le finanze francesi il ministro Turgot, di netto orientamento riformatore. Questi due atti tra loro contradditori mettono in evidenza il carattere oscillante ed instabile del monarca. Turgot vuole ridurre le eccessive spesi di corte ed imporre una tassa unica sui terreni che gravi su tutti senza distinzione di censo e quindi vuole abolire i privilegi feudali. Inoltre pensa all’istituzione di un catasto e ad una politica di tolleranza religiosa. Queste proposte del Turgot hanno un effetto bomba. Contro il ministro si costituisce una schieramento che va dagli ambienti di corte, alla Chiesa, ai parlamentari ed a tutti coloro che si sentono minacciati dai suoi progetti di innovazione. Luigi XVI cede e licenzia il Turgot, che poco prima gli ha scritto una profetica lettera: “Sire, non dimenticate che è stata una debolezza a far perdere la testa a Carlo I d’Inghilterra”. A succedere al Turgot è chiamato il Necker. Quest’ultimo si trova ad affrontare una situazione finanziaria ulteriormente aggravata dalle spese della guerra che i francesi stanno conducendo contro gli inglesi a fianco dei coloni americani. Necker riduce le spese di corte, allarga la sfera di riscossione diretta delle tasse da parte dello stato, togliendo peso agli appalti. Tuttavia il bilancio che egli presenta alla nazione mostra con esattezza che tutte le spese che gravano sullo stato sono causati da privilegi puramente parassitari (nobiltà) . Due mesi dopo il Necker viene licenziato dal re, succube delle pressioni di quanti si sentono minacciati dai tentativi riformistici nel ministro. La monarchia ha mostrato ancora una volta la sua debolezza.  A controllore delle finanze viene chiamato il ministro Calonne che si trova dinanzi una situazione disperata. Egli chiede l’imposizione di una tassa: “la sovvenzione territoriale”, che avrebbe dovuto colpire ogni abitante di Francia. Calonne chiede tuttavia che la sua proposta venga approvata da un’assemblea di notabili (aristocratici, parlamentari, clero). La risposta dell’assemblea è un netto rifiuto alla collaborazione. Così anche Calonne viene licenziato. A succedere al Calonne è chiamato l’arcivescovo de Brienne. Egli chiede la convocazione degli Stati Generali (assemblea formata da rappresentanti del clero, della nobiltà e del Terzo Stato che non si riunivano dal 1614). Egli però chiede che il Terzo Stato abbia una rappresentanza numerica almeno pari a quella degli altri due ordini sommati assieme. L’Assemblea dei notabili però non vuole approvare la richieste di Brienne. Allora Brienne nel maggio 1787 la scioglie. I Parlamentari tornano in prima linea nell’opposizione al governo. Brienne emana una serie di provvedimenti fiscali; il re sostiene queste misure ma ne chiede l’approvazione al Parlamento di Parigi, che ovviamente si rifiuta, proclamando che soltanto gli Stati Generali composti dai tre ordini possono votare nuove imposte. L’opposizione parlamentare è sostenuta anche dai nobili e dal clero che mal sopportavano il principio della pari rappresentanza del Terzo Stato. Scoppiano rivolte e disordini ovunque, come quella a Grenoble (la cosiddetta giornata delle tegole di Grenoble che mostrò l'alleanza contraddittoria tra il Parlamento ed il popolo) , capitale del Delfinato. Brienne rassegna le dimissione e convoca gli Stati Generali per il 1 maggio 1789. Luigi XVI richiama al potere il Necker. Ma la crisi è ormai ad un punto di non ritorno, ad acuirla si aggiunge anche la questione della rappresentanza agli Stati generali del terzo stato: infatti era tradizione che ogni ordine eleggesse circa lo stesso numero di deputati e che gli eletti di ciascun ordine si riunissero, discutessero e votassero separatamente. Il risultato del voto di ciascun ordine valeva un voto. Questo era il principio del voto per ordine. In questo modo, bastava che i due ordini privilegiati votassero nello stesso modo, cioè per il mantenimento dei privilegi, che il Terzo Stato si sarebbe sempre trovato in minoranza. Il Terzo Stato chiese il raddoppio del numero dei deputati che lo rappresentavano (che già aveva nelle assemblee provinciali), affinché il numero dei loro eletti corrispondesse di più al loro peso nella società. 
La società francese alla vigilia della rivoluzione si presentava con struttura sociale che pietrificava le disuguaglianze, uno stato in cui la posizione sociale non era determinata dalla ricchezza materiale o dal ruolo detenuto nella produzione, piuttosto da condizioni di status o di “ordine”. La società era suddivisa in tre ordini:

  1. Il primo stato  è il clero composto ad uomini e donne di Chiesa. Esso possiede una grandissima quantità di terre  e gode dei proventi della “decima”. I sacerdoti non potevano essere giudicati  in tribunali comuni; il clero provvede alle finanze dello Stato con un proprio contributo (dono gratuito); assolve a compiti quali l’istruzione e l’assistenza. Al suo interno vi sono però delle disomogeneità: l’alto clero che proviene dalla nobiltà e gode di rendite enormi; il basso clero (curati, parroci, preti comuni) che vive un vita di stenti e prova risentimento verso le ingiustizie sociali.
  2. Il secondo stato è la nobiltà. L’aristocrazia è segnata al suo interno da notevoli differenze tra grande e piccola nobiltà. La prima vive a corte e riceve delle rendite elevatissime, oltre ad una serie smisurata di agevolazioni, la seconda vive in provincia e vanta antiche discendenze ma non ha il sostegno economico per vivere la vita di corte.
  3. Il terzo stato è costituito dalla quasi totalità della popolazione francese ed è estremamente eterogeneo. I suoi componenti appartengo alle professioni più varie da quelle più prestigiose a quelle più umili. Tuttavia la gran parte è formato da contadini. Su di loro pesano pesanti imposte, prestazioni, servizi, multe, tasse da versare al clero. A formare il “popolo” oltre d i contadini vi sono anche: vagabondi, miserabili e servi. La borghesia agiata costituisce lo strato più alto del Terzo stato.

Nel 1789 in Francia la devozione per il re restava grandissima; nelle passe popolari era diffusa la convinzione che i mali della società francese non fossero da imputare al re piuttosto ai suoi consiglieri. Nel novembre del 1788 il Sieyés pubblica un Saggio sui privilegi ed un pamphlet Che cos’è il terzo stato?, in cui sostiene che la società è talmente sviluppata da poter ben vivere senza gli ordini privilegiati, poiché tutte le funzioni sociali sono concentrate nelle mani del Terzo Stato. Il vero tallone d’Achille della società francese è la finanza, infatti i ceti più produttivi sono strangolati dai privilegi di nobiltà e clero, che non pagano le tasse, permangono in una condizione parassitaria e non fanno circolare moneta, ed è proprio sulla questione fiscale che precipita l’Antico regime. Gli anni di regno di Luigi XVI sono segnati anche da una grave crisi economica, poiché la produzione è stagnata, aumentano i prezzi ed a pagarne le conseguenze sono solo le classi più indifese, più povere. Questa situazione fa da sfondo alla convocazione degli Stati Generali. La convocazione genera un fermento politico nel paese senza precedenti. Le elezioni per scegliere i rappresentanti da inviare a Versailles si svolgono durante delle assemblee pubbliche dove i sudditi sono inviatati a comporre i Cahier de doleances(quaderni di lagnanze). Questi sono documenti dove sono contenute le richieste degli elettori. La maggior parte di essi denuncia uno stato di insofferenza nei confronti dell’assolutismo e dei privilegi nobiliari.
Fra gli eletti ad andare agli Stati Generali vi sono 291 ecclesiastici, 270 nobili, 578 membri del Terzo Stato. Tuttavia sia tra il clero che tra i nobili vi sono chi ha delle visioni liberali, poiché aperti ad una cultura illuministica. Nelle fila del Terzo Stato mancano completamente i rappresentanti dei contadini, degli artigiani e degli strati popolari, sono presenti invece soltanto appartenenti all’alta borghesia ed al mondo intellettuale. Vi sono anche dei nobili che hanno rinunciato a rappresentare il proprio rango, ad esempio il marchese Mirabeau, l’abate Sieyés, il vescovo Talleyrand ed il marchese La Fayette.  Alla prima seduta degli Stati Generali sia il re che il Necker mostrano una totale mancanza di iniziativa politica, soprattutto non intervengono sul tema cruciale del voto. Infatti i primi due stati avrebbero voluto votare per ordini mentre il terzo stato chiede che si voti per testa. Paralizzati sulla questione del voto, i rappresentanti del Terzo Stato, su proposta di Sieyés, assumono il nome di Assemblea Nazionale. Il re protesta, come pure la nobiltà e l’alto clero, ed ordina alle guardie reali di intervenire per impedire al terzo stato di riunirsi. Così i deputati del Terzo stato il 20 giugno si proclamano Assemblea Nazionale Costituente, si trasferiscono nella sala della Pallacorda e qui giurano che non si sarebbero più separati sino a quando non avessero dato alla Francia una Costituzione. Il 22 giugno al Terzo Stato si uniscono anche i primi due stati. Quando Luigi XVI si rende conto che anche parte dell’aristocrazia cede al compromesso liberale, si arrende ed esorta i tre ordini a riprendere i lavori in seduta comune. L’Antico Regime è fatto a pezzi. L’Assemblea nazionale si proclama costituente: è la fine dell’assolutismo.
Parigi diviene così il centro della vita politica di Francia e non più Versailles, l’azione politica non è più soltanto in mano degli Stati Generali ma anche in mano degli strati popolari. Luigi XVI con il suo stato di indecisione cerca di organizzare un corpo d’azione militare, a questo scopo fa concentrare truppe a Versailles ed a Parigi, licenzia il Necker e decide di sciogliere l’Assemblea. Tutti questi atti mettono in moto le masse popolari che, vedendo minacciate le conquiste sin qui raggiunte, assaltano l’hotel degli Invalidi, antico deposito miliare. Così, forti del possesso di numerose armi, il 14 luglio pongono l’assedio alla Bastiglia, antico carcere e simbolo dell’assolutismo regio, la Bastiglia capitola brevemente. E’ una svolta di portata enorme: ha inizio la rivoluzione con l’ingresso delle masse popolari in campo.
Moltissimi fattori hanno portato allo scoppio della Rivoluzione francese, che possono essere condensati in quattro ordini di motivi (sociali, politici, economici, culturali):

  • Cause sociali: la società francese era suddivisa in tre ordini: Aristocrazia, Clero e Terzo Stato. Più del 95% della popolazione era però costituito dal Terzo Stato e vi era di conseguenza un forte squilibrio numerico. Le classi erano inoltre eterogenee: in ognuna c'erano sia individui ricchi che individui poveri, poiché ogni persona era classificata in base ad un titolo. Vennero così a formarsi delle alleanze "trasversali" e censuarie tra persone di diverse classi.
  • Cause politiche: dal punto di vista della politica estera, la Rivoluzione Americana, avvenuta prima di quella francese, fece da modello di ribellione ai cittadini francesi. Dal punto di vista della politica interna, l'incapacità di governare dei successori di Luigi XIV, ovvero Luigi XV e in particolar modo Luigi XVI, fece nascere l'ostilità del popolo. Essi non ebbero né la forza né il carisma per sostenere le loro posizioni; inoltre lo scontento aumentò grazie alla presenza impopolare di Maria Antonietta, moglie di Luigi XVI, la quale era troppo legata alla sua patria austriaca.
  • Cause culturali: in Francia, soprattutto, si sviluppò una nuova cultura, l'Illuminismo, che poi si diffuse nel resto dell'Europa. Era basata su tre principi fondamentali: Razionalismo,Egualitarismo e Contrattualismo (corrente di pensiero portata dal rifiuto per l'Assolutismo, basata su un contratto posto tra popolo e chi lo governa).
  • Cause economiche: raccolti andati a male, le carestie ed il clima avverso portarono ad una forte inflazione. Le tasse elevate pesavano sul Terzo Stato (il quale era l'unico a pagarle) e, dato che non produceva più beni commerciabili, lo Stato non riusciva ad arricchirsi attraverso la tassazione.

Dopo la presa della Bastiglia inizia la prima ondata di emigrazione di nobili (il conte Artois, il principe di Condé, il duca di Polignac). I funzionari della Corona sono esautorati; l’esazione delle imposte è sospesa; in moltissime città sorgono nuove municipalità; è la fase della “rivoluzione municipale”. La presa della Bastiglia ha allargato la base rivoluzionaria, causando un effetto dirompete sui contadini, che tra la fine di luglio ed i primi giorni di agosto del 1789 assalgono numerosi castelli nobiliari, e bruciano tutti i documenti relativi ai diritti feudali. Molti aristocratici vengono uccisi, in tutta la Francia dilaga un generale senso di timore, provocando orrore e fuga. In un clima di generale sospetto prevalgono sentimenti di oscuri ed irrazionali, di panico e sconcerto. Di fronte al dilagare della rivolta l’Assemblea dichiara la fine dei diritti feudali, l’introduzione dell’eguaglianza fiscale, l’abolizione della servitù, l’eguale possibilità di accesso a tutte le cariche, l’abolizione della decima (4 agosto 1789). Per timore che il popolo approfittasse ulteriormente del crollo del vecchio apparato amministrativo e passasse nuovamente all'azione, la borghesia parigina si affrettò a istituire un governo locale provvisorio e una milizia popolare (Guardia nazionale), comandata dal marchese di La Fayette. Un tricolore rosso, bianco e blu sostituì lo stendardo bianco dei Borbone. Luigi XVI, non potendo contenere la crescente rivolta, ritirò le truppe, richiamò Necker e legittimò le misure prese dalle autorità provvisorie. Il 26 agosto l’Assemblea emana la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, che in diciassette articoli, dà piena espressione ai principi dello Stato liberale e democratico ("liberté, égalité, fraternité"), stabilendo che gli individui posseggono diritti inalienabili, che ogni sovranità deriva popolo, che i poteri debbano essere separati, che tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge ed infine che la proprietà privata è un diritto inviolabile ma che le necessita dello Stato sono superiori. In questo clima parte dei grandi borghesi, degli aristocratici più liberali e del clero più avveduto pensano a ricostruire un potere monarchico rinnovato sul modello inglese. Perciò avanzano la proposta di creare una Camera alta di nomina regia (l’equivalente della Camera dei Lords). L’assemblea sceglie una linea di compromesso è vota per un sistema monocamerale e concede al re un veto sospensivo. Ma il re rifiuta ancora di firmare i decreti di agosto. In questo clima di ottusità politica, nascono le “giornate di ottobre”. Nel corso di un banchetto a Versailles, ufficiali della guardia reale calpestano la coccarda tricolore inneggiando al re ed alla regina; così una folla di donne parigine esasperate dalla fame assaltano la reggia. Il re dichiara di firmare i decreti di agosto, il popolo è riuscito laddove l’assemblea aveva fallito. Addirittura il re è costretto a lasciare la reggia di Versailles per trasferirsi a Parigi in quest'occasione gli venne imposto di indossare la coccarda blu e rossa, (i colori della città di Parigi), che Luigi XVI fissò al suo cappello associando anche il colore bianco della monarchia. Questo gesto voleva simboleggiare la riconciliazione di Parigi con il suo Re. All’interno del Terzo Stato si verificano varie spaccature ideologiche: da una parte chi vuole la formazione immediata di un governo autorevole che ripristini l’ordine sovvertito dal popolo, dall’altra parte chi vuole che i rappresentanti si facciano portavoce degli interessi degli strati più bassi della popolazione. Fautori della prima ipotesi sono larghi strati della borghesia e della nobiltà. Lo scopo è quello di costruire una monarchia di tipo inglese liberale e costituzionale ma anche quello di tenere a freno le masse popolari, escludendole dal gioco politico.
Tra i primi atti che l’Assemblea costituente emana vi è quello della riforma amministrativa. Le circoscrizioni amministrative dell'Ancien Régime erano troppo complesse. Le generalità, i governi, i parlamenti e le diocesi si sovrapponevano senza avere gli stessi confini. I deputati cercarono di semplificarli. Essi si dedicarono innanzitutto alla riforma municipale, resa urgente dai disordini suscitati nei corpi municipali dagli scompigli dell'estate. A partire dal gennaio 1790, ogni comune della Francia organizzò l'elezione dei propri eletti. Queste furono le prime elezioni della Rivoluzione. Con la legge del 22 dicembre 1789, l'Assemblea creò i dipartimenti: essi erano delle circoscrizioni ai fini amministrativi, giudiziari, fiscali e religiosi. Nel numero di 83, i dipartimenti portavano dei nomi legati alla loro geografia fisica (corsi d'acqua, montagne, mari) e furono suddivisi in distretti, cantoni e comuni. I loro dirigenti furono eletti dal popolo. Nella primavera 1790, una commissione fu incaricata dall'Assemblea della suddivisione della Francia e di rispondere alle liti causate tra le città candidate a diventare capoluoghi. Le nuove amministrazioni elette democraticamente furono messe in funzione a partire dall'estate 1790. Allo scopo di favorire l'economia fu adottato il principio fisiocratico del laissez faire (lasciar fare), basato sul liberismo economico, che comprendeva anche l'eliminazione delle dogane. In un clima di sfida faccia a faccia dei raggruppamenti professionali, la legge  vietava tutte le associazioni padronali e operaie, dette anche sindacati. Venne vietato anche lo sciopero. Inoltre furono incentivate tutte le forme di produzione in senso capitalistico attraverso incentivi alla produzione privata. La Rivoluzione, nella sua diffidenza verso i gruppi, nella sua esaltazione delle libertà individuali, mise gli operai nell'incapacità di organizzarsi per la difesa dei loro diritti per quasi un secolo. La situazione della Francia rimane comunque grave in relazione alla riscossione delle imposte. Il ministro Talleyrand propone allora di requisire i beni ecclesiastici. A partire dall'11 agosto 1789, le decime vennero soppresse senza compensazioni, privando così il clero di una parte delle sue risorse. Il 2 novembre dello stesso anno, su proposta di Talleyrand, vescovo di Autun, i beni del clero furono messi a disposizione della Nazione per l'estinzione del debito pubblico. Essi divennero dei beni nazionali che sarebbero stati venduti in lotti per ricoprire il deficit dello Stato. Lo stesso anno vennero introdotti gli assegnati, una forma di carta moneta garantita dai «domini nazionali», che i detentori potevano scambiare con i terreni confiscati. Utilizzati inizialmente come buoni del Tesoro, essi ricevettero corso forzoso  nell'aprile 1790 per divenire una vera moneta. Furono emessi circa 400 milioni di assegnati e questo fu l'inizio di un periodo di forte inflazione. La nazionalizzazione dei beni del clero costrinse l'Assemblea costituente ad interessarsi del finanziamento del clero: la Costituzione civile del clero, adottata il 12 luglio 1790 e ratificata dal re il 26 dicembre 1790, trasformò i membri del clero in funzionari salariati dallo Stato. I membri del clero secolare erano eletti e dovevano prestare un giuramento di fedeltà alla Nazione, alla Legge ed al Re. Seguendo una tradizione gallicana ben ancorata in una parte della borghesia e degli illuministi favorevoli alla secolarizzazione della società, i deputati non domandarono al papa il suo giudizio sulle riforme del clero cattolico. I primi chierici cominciarono a prestare giuramento senza attendere il giudizio del sovrano pontefice. Ma nel marzo 1791, papa Pio VI condannò tutte queste riforme riguardanti la Chiesa di Francia. La Costituente divise la popolazione in due campi antagonisti: circa il 45% degli ecclesiastici furono non giuranti o refrattari.
A Parigi si organizzano vari gruppi politici che si incontrano per discutere sulla situazione della Francia. Molti di questi gruppi si riuniscono all’interno di strutture religiose dando origine ai cosiddetti club. Tra questi vanno ricordati: i giacobini (sostenitori della repubblica), i foglianti (sostenitori della monarchia costituzionale) ed i cordiglieri (sostenitori della repubblica ma con caratteri di estremismo sociale).
Il 3 settembre 1791 l’assemblea costituente approva la Prima Costituzione. A questo punto essa si scioglie e nasce l’Assemblea legislativa i cui deputati sarebbero dovuti essere eletti secondo i principi della nuova costituzione. Questa costituzione prevede che tutti i Francesi sono cittadini e tutti possono godere dei diritti civili, mentre i diritti politici sono riconoscibili soltanto a chi possiede un reddito. I cittadini senza reddito sono definiti passivi e privi di ogni diritto politico. I cittadini attivi sono quelli che possono pagare una tassa pari ad almeno 3 giornate di lavoro, essi si riuniscono in assemblee primarie dove eleggere gli elettori da cui deriva la nomina dei deputati. Per essere eletti elettori bisogna pagare una tassa pari ad almeno 10 giornate lavorative, mentre i deputati debbono pagare un’imposta pari almeno ad un marco d’argento. E’ evidente dunque che si tratta di una rappresentanza politica di tipo censitario. Il potere esecutivo rimane nelle mani del re che diviene re dei Francesi (del popolo dunque) e non della Francia. Il re è tenuto ad osservare la legge stabilita dall’Assemblea, egli deve scegliere i ministri ma questi rispondono non al re ma solo all’Assemblea. Il potere giudiziario è invece affidato ai magistrati indipendenti dal re. I diritti civili sono estesi a tutti protestanti ed ebrei. L'Assemblea legislativa, riunitasi il 1° ottobre, era divisa in fazioni le cui idee politiche erano ampiamente divergenti. La più moderata siede a destra ed era quella dei foglianti, sostenitori della monarchia costituzionale prevista nella Costituzione del 1791; al centro si collocava la maggioranza (detta "Pianura"), senza un programma preciso, ma compatta nell'opposizione ai repubblicani, seduti a sinistra, distinti in girondini, che chiedevano la trasformazione della monarchia costituzionale in repubblica federale, e montagnardi (giacobini e cordiglieri, che occupavano i seggi più in alto, quelli appunto della "Montagna"), che propugnavano una repubblica. Prima che queste differenze provocassero una grave frattura interna allo schieramento, i repubblicani riuscirono a far approvare alcune leggi importanti: a livello amministrativo è abolita la venalità delle cariche pubbliche; a livello fiscale viene stabilito che vi sono tre imposte:

  • Contribuzione fondiaria: tassa il reddito derivante da proprietà terriere
  • Contribuzione mobiliare: tassa il reddito ricavato dalle abitazioni
  • Patente: tassa il reddito proveniente dal commercio e dall’industria.

Tuttavia la situazione economica francese non migliora infatti emergono contrasti economici tra gli stati sociali più poveri e la ricca borghesia. In questo clima matura l’idea del re di fuggire all’estero per ritornare in Francia a suon di baionette e ripristinare l’assolutismo. Così il 21 giugno 1791 la famiglia reale fugge ma a Varennes i re viene riconosciuto e costretto a ritornare a Parigi. I cordiglieri invocano la nascita della repubblica, Robespierre ed i giacobini vogliono che il re venga processato. Ma la borghesia moderata, per evitare che la situazione sfugga di mano, decide di dichiarare pubblicamente che il re è stato rapito. Tutto ciò provoca una frattura insanabile tra democratici/repubblicani e borghesi moderati. La frattura si tinge di sangue quando il i17 luglio la Guardia Nazionale spara su un gruppo di cordiglieri che manifestano in Campo di Marte. Il re, messo alla strette, si trova obbligato a giurare di rispettare la Costituzione. Vi è pero la nube nera all’orizzonte della minaccia dell’intervento straniero. Il 27 agosto l’imperatore Leopoldo II d’Austria e Federico Guglielmo II di Prussia, minacciano di intervenire militarmente contro la Francia a difesa della famiglia reale.
L’ottimismo generato dall’accettazione del re della Costituzione va scemando quando si prospetta la possibilità della guerra contro le potenze straniere. La guerra è auspicata dal re e dai girondini, ovviamente per motivi diversi, mentre i giacobini sono contrari alla guerra in quanto sostengono che la guerra contro le potenze straniere avrebbe potuto portare ad una guerra civile, all’interno del paese, tra interventisti e disfattisti. L’idea di una guerra rapida e vittoriosa finisce per prevalere e nel 1792 viene dichiarata guerra all’Austria. Tuttavia l’esercito è impreparato e le spese belliche inaspriscono i conflitti sociali. L’Assemblea propone una serie di leggi punitive contro gli aristocratici ed i preti refrattari di cui si chiede la deportazione. Il re è contrario alla deportazione dei preti, allontana i girondini dal governo e chiama i più moderati foglianti. Il popolo insorge ed invade il palazzo delle Tuileries, minacciando il re e la famiglia reale. L’aggravarsi della guerra e l’ostilità del re spingono i giacobini ed il loro leader Robespierre a chiedere nuove elezioni a suffragio universale per eleggere una Convenzione che trasformi la Costituzione in senso democratico e repubblicano. In questo clima di esasperazione politica il popolo di Parigi insorge nuovamente e crea una “Comune insurrezionale” espressione dei ceti popolari. La folla si dirige verso il palazzo reale e chiede la sospensione del re. Viene così riconosciuta la Comune insurrezionale il cui capo diviene Danton, appartenente al club dei Cordiglieri. Questo passaggio ha segnato in modo inequivocabile la comparsa come fattore politico degli strati popolari nella Rivoluzione, in particolare di coloro che vengono chiamati “sanculotti” (poiché non portano la culotte). Essi sono artigiani, salariati, contadini che chiedono il suffragio universale e nutrono una profonda ostilità non solo verso il re e gli aristocratici ma anche verso i ricchi borghesi. Con i sanculotti e il loro organo di potere, la Comune insurrezionale, si può parlare di “seconda rivoluzione”. Il potere in Francia si trova così diviso in due: il Comune insurrezionale e l’Assemblea legislativa, la prima espressione popolare e giacobina, la seconda espressione borghese e girondina. Intanto l’andamento sfavorevole della guerra e l’inasprimento fiscale fa crescere il malcontento, da questo stato di cose viene fuori una controrivoluzione o guerra civile tra rivoluzionari e controrivoluzionari. Il centro della controrivoluzione è in Vandea. A Parigi il Comune insurrezionale esorta il popolo a prendere le armi ed a combattere contro i dissidenti e le potenze straniere. Centinaia di parigini prima di partire per il fronte assaltano le prigioni e compiono un eccidio di massa, massacrando più di mille prigionieri "massacri di settembre". Il Comune addirittura premia i rivoltosi ed i responsabili del massacro. Questo è il periodo del “primo terrore”, scatenato in nome della “salute pubblica”. I sacerdoti refrattari sono deportati, sono sciolte le congregazioni, le chiese sono private di ogni oggetto sacro di valore per ricavarne denaro. Il Comune si assume il compito di registrare le nascite e le morti togliendo questo ufficio alle parrocchie. Sul fronte militare la Francia inizia a vincere Verdun ed a Valmy. Goethe, al seguito dei corazzieri prussiani sconfitti ebbe a dire: “Oggi inizia una nuova era nella storia del mondo”. Sull’onda dei successi militari la Convenzione, eletta a suffragio universale, rivendica la totalità dei poteri. I girondini a capo della Convenzione cercano immediatamente di far raffreddare quel clima inferocito delle stragi di settembre, per porre fine alla dittatura popolare. Il 21 settembre 1792 la monarchia è abolita e nasce la Repubblica. All’interno della Convenzione tutti i gruppi di sinistra prendono il nome di “montagnardi” e Robespierre ne è il capo indiscusso. Il re viene condannato quando viene scoperto un armadio di ferro in cui sono custodite le lettere del re e della regina di richiesta d’aiuto alla potenze straniere. A questo punto, nonostante i girondini vogliano risparmiare la famiglia reale, la situazione precipita e Luigi XVI il 21 gennaio 1793 viene decapitato. Con la morte del re non avviene la fine di un uomo, come giustamente avevano notato Robespierre e Saint-Just, ma di una istituzione intera: la monarchia, l’Antico regime, l’Assolutismo. La Francia ha adesso fermato le armate prussiane e passa al contrattacco, conquistando il Belgio, Nizza, Savoia e le regione ad ovest del Reno. Le vittorie francesi hanno portato a creare un fronte antifrancese. L’iniziativa è del governo inglese di William Pitt. Pitt decide l’intervento militare perché teme che anche l’Olanda, a cui l’Inghilterra e legata da precisi accordi economici, cada in mano ai Francesi. Viene così a nascere la prima coalizione antifrancese a cui aderiscono: Inghilterra, Olanda, Spagna, Prussia, Austria, Russia, Portogallo, Regno di Sardegna, Stato della Chiesa, Regno di Napoli. La guerra, vista la sproporzione delle forze in campo, inizia ad avere un andamento negativo. Vengono fuori nuovi gruppi estremisti “gli arrabbiati”, i quali reclamano la requisizione dei cereali e la loro distribuzione al popolo affamato. La Convenzione ha addirittura ordinato una leva di massa: 300.000 uomini sono mandati al fronte. Viene ordinato anche un prestito forzoso ai ricchi borghesi per finanziare la guerra. La situazione sociale ed economica della Francia precipita ed i girondini sono messi sotto accusa. Il potere viene preso dai montagnardi e dai giacobini che decretano la nascita di un “tribunale rivoluzionario” che condanni tutti i dissidenti. Viene ordinata la confisca dei beni del ribelli della Vandea. E’ creato un Comitato di Salute Pubblica, un organo di governo dotato di poteri eccezionali, operante in segreto, allo scopo di scovare i nemici della rivoluzione. Si prepara così una terza ondata rivoluzionaria che vedrà l’ascesa di Robespierre, il quale nei primi giorni del giugno 1793 condanna a morte vari capi girondini. Anche la stessa regina finisce sotto la ghigliottina. E’ la dittatura giacobina di Robespierre. Il 24 giugno 1793 viene approvato una seconda Costituzione che stabilisce la nascita della democrazia diretta ed il suffragio universale. La nuova Costituzione non entra in vigore immediatamente ma si attende la fine della guerra. Saint - just disse che: "Nelle circostanze in cui si trova la Repubblica, la costituzione non può essere stabilita, si immolerebbe da sola. Essa diventerebbe la garanzia per gli attentati contro la libertà, perché mancherebbe della volontà necessaria per reprimerli". Una nuova ondata controrivoluzionaria porta alla contrapposizione tra giacobini e girondini. In questo clima il radicale giacobino Marat viene assassinato da Carlotta Corday, una girondina della Normandia. Viene varata la legge dei sospetti che instaura un clima di repressione e terrore. All'interno l'opposizione veniva repressa: il 16 ottobre 1793 fu giustiziata la regina Maria Antonietta e, due settimane dopo, ventuno girondini; migliaia di monarchici, ecclesiastici, girondini e altri, accusati di attività o simpatie controrivoluzionarie, furono processati e mandati al patibolo, per un totale di 2639 esecuzioni, di cui più della metà tra giugno e luglio del 1794. Il tribunale di Nantes condannò a morte oltre 8000 persone in tre mesi e in tutta la Francia si eseguirono quasi 17.000 pene capitali che, sommate ai morti nelle prigioni sovraffollate e malsane e ai rivoltosi uccisi sul campo, portarono le vittime del Terrore a circa 50.000. Viene operata la scristianizzazione della società. Le chiese sono chiuse ed adibita al culto della dea “ragione”, i martiri della libertà sostituiscono i martini cristiani. Viene introdotto un nuovo calendario e si contano gli anni a partire alla nascita della I Costituzione del 1792. I generali che vengono sconfitti sono giustiziati immediatamente. Tuttavia questo clima di terrore e di dittatura porta ad una spaccatura nella Convenzione tra Danton che sostiene la fine del terrore e della politica estremistica e Robespierre che sostiene il mantenimento del terrore. Moltissime sono le teste che cadono ai piedi della ghigliottina; Danton e tra i primi. Questa operazione di chirurgia politica porta Robespierre al massimo del potere. Il Comitato di salute pubblica si regge su ordinanze arbitrarie ed aberranti, cade ogni garanzia del cittadino. Mentre all’interno della Francia si consuma il “Grande terrore” sul fronte estero la Francia è vittoriosa. Sarà proprio la vittoria militare a causare la fine di Robespierre. Troppi a questo punto avversano la dittatura terroristica e non si ravvede più la necessità di un tale clima. Robespierre, Sant-Just ed atri capi giacobini finiscono sulla ghigliottina: è la svolta termidoriana (27 luglio 1794). Con la Rivoluzione del 9 termidoro, gli avversari di Robespierre sono decisi a difendere la repubblica, a continuare un’energica azione militare e porre fine al giacobinismo ed al terrore. E’ evidente che la fase popolare è finita mentre si assiste la primato politico della borghesia. Inizia il cosiddetto “terrore bianco” migliaia di giacobini finiscono sulla ghigliottina; il culto cattolico è reintegrato; i sacerdoti ritornano sotto la completa autorità papale senza alcuna ingerenza statale. La sconfitta dei giacobini fa sperare i monarchici, ma la repubblica interviene prontamente soffocando nel sangue ogni eventuale colpo di stato monarchico (13 vendemmiaio – 5 ottobre). Nell’agosto del 1795 viene varata la Costituzione dell’anno III antigiacobina e moderata. Viene difesa la repubblica, ma sono respinti il suffragio universale, la democrazia sociale e la concentrazione dei poteri. Nasce il Direttorio (potere esecutivo) composto da cinque membri e il Consiglio degli Anziani (250 membri) e il Consiglio dei Cinquecento (potere legislativo bicamerale). Tuttavia l’autorità del potere del direttorio poggia su basi molto fragili: non ha il consenso dei monarchici né della popolazione tanto che scoppiarono dei disordini, che furono sedati dai soldati guidati dal generale Napoleone Bonaparte (il futuro Napoleone I). Nonostante il contributo di abili statisti, il Direttorio dovette fronteggiare subito numerose difficoltà: sul fronte interno l'eredità di un'acuta crisi finanziaria aggravata da una disastrosa svalutazione (99% circa), lo spirito giacobino ancora vivo tra le classi più povere, il proliferare tra i benestanti che propugnavano la restaurazione monarchica; sul fronte internazionale la costante minaccia alla rivoluzione, che ancora dominava quasi tutta l'Europa. I raggruppamenti politici borghesi, decisi a conservare il potere conquistato, presto scoprirono i vantaggi derivanti dal distogliere le masse dirottandone le energie in questioni militari. A circa cinque mesi dall'insediamento, il Direttorio aprì la prima fase (marzo 1796 - ottobre 1797) delle guerre napoleoniche. Tre colpi di stato, sconfitte militari, difficoltà economiche e fermento sociale misero in grave pericolo la supremazia politica borghese. Gli attacchi della sinistra culminarono in un complotto del riformatore radicale Babeuf. Egli è convinto che la rivoluzione debba avere come sua conclusione naturale il riconoscimento dell’uguaglianza sociale, della fine della proprietà privata, dell’introduzione di un sistema economico comunista Un colpo di stato rovesciò il Direttorio (9 novembre 1799, corrispondente al 18 brumaio dell'anno VIII nel calendario repubblicano) e Napoleone Bonaparte, idolo popolare grazie alle sue recenti vittoriose campagne militari, salì al potere come Primo console, chiudendo il periodo "rivoluzionario". Il parziale fallimento della rivoluzione fu compensato dal suo dilagare in quasi tutta l'Europa. Il risultato immediato della rivoluzione fu l'abolizione della monarchia assoluta e dei privilegi feudali (Feudalesimo): la servitù, i tributi e le decime furono soppressi; i grandi possedimenti vennero frazionati e si introdusse un principio equo di tassazione. Con la redistribuzione delle ricchezze e dei terreni, la Francia divenne il paese europeo con il maggior numero di piccoli proprietari terrieri indipendenti. A livello sociale ed economico, furono aboliti l'incarceramento per debiti e il diritto di primogenitura nell'eredità terriera, e venne introdotto il sistema metrico decimale.

 

 Lo Stato percepiva 503 milioni di lire di entrate contro 629 di spese. Gli interessi sul debito ammontavano da soli a 318 milioni, cioè la metà delle spese. L'opinione pubblica fu molto scandalizzata nell'apprendere che la corte spendeva, in tempi di povertà e fame, 38 milioni in feste e pensioni per i cortigiani.

Le proteste delle famiglie toccate dalla crisi economica si moltiplicarono dopo il mese di maggio e queste agitazioni obbligarono la guarnigione ad intervenire il 7 giugno, ma essa venne accolta dal getto di tegole lanciate dagli abitanti di Grenoble saliti sui tetti. 

Con corso forzoso si intende la non convertibilità tra la moneta e l'equivalente in metallo prezioso (oro e/o argento, di solito) in un sistema monetario bilanciato sul valore dell'oro (sistema aureo).

 

Fonte: http://liceoscientificomajorana.eu/wp-content/uploads/2013/07/larivoluzionefrancese.doc

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