La guerra del Vietnam e la primavera di Praga 1968

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La guerra del Vietnam e la primavera di Praga 1968

La protesta studentesca negli Stati Uniti
Una delle novità più significative che distinguono il XX secolo dalle epo­che che l'hanno preceduto, è la diffusione capillare dell'istruzione; nei decenni seguenti il 1945 si verificò un fortissimo incremento della scolarizzazione nel mondo sviluppato. Inoltre, in un contesto economico caratterizzato dalla cre­scita economica costante, sia negli Stati Uniti che in tutti i principali paesi europei l’istruzione universitaria cessò di essere un fenomeno elitario e fu accessibile a masse di studenti sempre più ampie.
A partire dalla metà degli anni Sessanta, questo nuovo soggetto sociale cominciò a farsi sentire, dando vita ad un vasto fenomeno di protesta che, iniziato negli Stati Uniti, si diffuse poi in tutti i principali paesi d'Europa. Le prime campagne, per riformare le università e per difendere i diritti della minoranza nera, comparvero a Berkeley nel 1964. Negli anni seguenti, il principale bersaglio della contestazione divenne, invece, la guerra del Vietnam, nella quale gli Stati Uniti si trovarono coin­volti a partire dall'inizio degli anni Sessanta. In un primo tempo, gli ame­ricani si erano limitati a fornire aiuti al governo sud-vietnamita, per reprimere la guerriglia sostenuta dal regime comunista del nord del paese. Rapidamente il coinvolgimento dell'esercito statunitense si era tuttavia fatto ingente, al punto che, alla fine del 1967, i soldati americani erano circa mezzo milione.
Questo conflitto generò nel paese un crescente malessere fra i giovani, che sempre più numerosi cominciarono a rifiutare le cartoline-precetto inviate dal governo. La protesta raggiunse la sua massima intensità nell'ottobre 1967, allorché più di 50000 giovani marciarono davanti al Pentagono, il quartier generale delle forze armate statunitensi. Questo epi­sodio, apice della ribellione giovanile negli Stati Uniti, segnò pure l'inizio del suo declino. Gli studenti, infatti, dopo aver messo in discussione tutte le istituzioni e le autorità tradizionali (i genitori, i rettori delle università, i partiti, l'esercito), non riuscirono a darsi una vera ideologia, né riuscirono a costruire un nuovo partito; non alterarono perciò le strutture socio-economiche americane. Invece, si può senza dubbio affermare che la protesta giovanile ebbe una notevole importanza storica sul piano del costume (diffondendo, ad esempio, una nuova morale sessuale) e che indusse il governo a cercare una soluzio­ne di pace alla guerra del Vietnam.

Il Sessantotto in Europa e nel mondo socialista
Nei principali paesi europei, la protesta studentesca esplose nel 1968; non era certo la prima volta che, in Europa, i giovani si ribellavano contro la società degli adulti. La novità più significativa del Sessantotto consisté nel fatto che, mentre in passato (nell'Ottocento, oppure nel 1914) gli stu­denti avevano assunto solitamente posizioni di tipo nazionalistico (per cui per i governi era stato relativamente semplice inca­nalare le loro energie in direzione di sostegno alla guerra), verso la fine degli anni Sessanta la protesta assunse fin dall'inizio tinte ideologiche radicali. La ribellione del Sessantotto fu diretta, in primo luogo, contro la società capitalistica che - si diceva - riduceva l'uo­mo alla pura dimensione economica e subordinava l'individuo alle esigen­ze del profitto. In opposizione, vennero contrapposti modelli di società alternativi (come quello cubano e quello cinese), che venne­ro idealizzati e considerati delle vere incarnazioni e realizzazioni dell'uto­pia egualitaria.
La prima grande città europea in cui la protesta si manifestò fu Berlino Ovest, che divenne centro di grandi manifestazioni di solidarietà con il Vietnam in lotta contro il gigante americano e, più in generale, il sistema capitalistico. Fu tuttavia Parigi, in maggio, a divenire l'epicentro (e il simbolo) del movimento del Sessantot­to. I giovani contestavano, in primo luogo, le rigide regole che caratterizzavano il funzionamento delle principali università francesi, molte delle quali vennero occupate dagli studenti. La situazione raggiunse l'apice della tensione allorché, il 3 maggio, venne chiu­sa la facoltà di Lettere e la polizia entrò con la forza alla Sor­bona. Cominciarono allora violenti scontri fra i dimostranti e la polizia; il 12 maggio, tuttavia, alla grande manifestazione che si snodò per le vie di Parigi si unirono anche numerosi operai e cittadini, mobilitati dai sindacati e dai partiti della sinistra. L'obiettivo di questa dimostrazione, seguita da un’ondata di scioperi e di occupazioni di fabbri­che che paralizzarono il paese, era quello di spingere alle dimissioni De Gaulle (al potere dal 1959, artefice di una riforma che rafforzava i poteri presidenziali).
De Gaulle, invece, rispose sciogliendo il Parlamento e convocando nuove elezioni, che si risolsero con una grande vittoria dei partiti sosteni­tori di De Gaulle ed una pesante disfatta della sinistra. L'elettorato francese aveva mostrato col proprio voto la volontà di stabilità. Nello stesso tempo, però, la popolarità di De Gaulle stava calando: chiamati di nuovo alle urne per un referendum, ad un anno di distanza gli elettori boc-ciarono la linea politica dell’ormai anziano Presidente, che si dimise nell'a­prile 1969.
Mentre in Occidente avveniva tutto ciò, bisogna ricordare che anche il mondo socialista era in fermento. In particolare, in Cecoslovacchia – uno degli stati socialisti più floridi e di maggiori tradizioni democratiche – vennero realizzati dei tentativi di riforma del sistema della “democrazia popolare”; il Partito non veniva più considerato infallibile e veniva aperto lo spazio al dibattito. Questo processo (Primavera di Praga) venne portato avanti dal segretario del locale Partito comunista Alexander Dubček durante i primi mesi del 1968, venendo poi soffocato dai sovietici attraverso l’invio delle truppe del Patto di Varsavia (20 agosto 1968), in modo simile a quanto era successo in Ungheria dodici anni prima. Nello stesso momento anche la Cina comunista stava attraversando grosse tensioni interne, che si conclusero col riaffermarsi indiscusso della leadership di Mao Zedong (termine della Rivoluzione culturale del 1966-8, con numerose esecuzioni). Le tensioni si trasferirono poi in campo di politica estera, con gli scontri (sul fiume Ussuri, sulla frontiera comune) tra Unione Sovietica e Cina nell’agosto 1969. Già dal 1960-1 si era consumata la rottura ideologica tra i due Stati (la Cina accusava l’URSS di imperialismo, invece di dedizione alla causa socialista) e questi scontri furono il naturale coronamento della tensione. Mao, rendendosi conto che la Cina non sarebbe stata in grado di combattere contemporaneamente con Stati Uniti e Unione Sovietica, scelse quello che gli appariva il “male minore”, riallacciando lentamente dal 1971 i rapporti con gli USA. Ciò si rivelerà proficuo nel breve termine (con la fine della guerra in Vietnam) e lungo termine (accordi commerciali e sviluppo economico cinese).
Da F. M. Feltri, M. M. Certazzoni, F. Neri, I giorni e le idee, vol. 3B, Sei, Torino, 2006, pp. 474-6 e 775-6, con modifiche.

 

Fonte: http://www.bellodie.altervista.org/storia5a_file/1968.doc

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