Peste nera storia cause sintomi

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Peste nera storia cause sintomi

 

LA PESTE NEL MEDIOEVO

 

LA PESTE NEL MEDIOEVO

 

ORIGINE E DIFFUSIONE

La peste nera, che i medievali europei denominarono la grande Epidemia e i medievali musulmani l’Anno della Distruzione, resta il più grande dei disastri naturali della storia dell’umanità.

In Italia giunse nel settembre del 1347, quando alcune galee del governo di Genova provenienti dalla città di Caffa, in Crimea, dove la repubblica genovese aveva un centro commerciale, fecero scalo al porto di Messina.
L’equipaggio di queste navi era già stato contagiato dalla peste e questa si diffuse rapidamente al territorio cittadino.
Le navi ripartirono alla volta di Genova, ma quasi tutta la popolazione di Messina fu sterminata dalla malattia.
Quasi immediatamente la gente cominciò ad ammalarsi, manifestando sintomi che nessuno aveva visto prima. Innanzitutto, racconta Fra’ Michele nella sua “Historia Siciliae”, “una specie di vescica delle dimensioni di una lenticchia spuntava su una coscia o su un braccio, poi le vittime tossivano violentemente sputando sangue, e dopo tre giorni di incessante vomito … per cui non c’era rimedio, morivano… e a morire erano non soltanto coloro che avevano parlato con persona infetta, ma anche chiunque avesse acquistato, toccato o solo sfiorato qualcosa che le fosse appartenuto.”
Ben presto Messina si divise in due distinte aree: la città degli infetti, colma di disperazione e di dolore,  e la città dei sani, dove regnava la paura e l’odio, e cominciò a svuotarsi.
“La malattia portò con sé tale abbattimento”dice fra’ Michele “che se un figlio si ammalava il padre rifiutava di restargli accanto”.

A Venezia la peste fece la sua comparsa nel gennaio del 1348.
Per i tempi la città cercò di reagire con una risposta ben organizzata.
Il Gran Consiglio e il Doge nominarono un comitato di crisi che emanò delle istruzioni secondo le quali tutte le navi che entravano nel porto dovevano essere perquisite e, se vi fossero cadaveri, date alle fiamme.
In città le morti dovevano essere denunciate e i cadaveri consegnati ai barcaioli che provvedevano a sepolture comuni.
Infine si pensò anche al morale della popolazione, proibendo di mostrarsi al pubblico in lutto.
Anche Venezia ben presto si svuotò; si verificarono almeno 70.000 morti su 120.000 abitanti.

A Firenze le autorità cittadine, allarmate per l’imminente arrivo del contagio, si prepararono ad affrontarlo. Fu istituita una speciale commissione per l’igiene pubblica con il compito di tenere pulite le case e le strade, senza ottenere tuttavia apprezzabili risultati.
A marzo del 1348 lo storico fiorentino Giovanni Villani era intento a scrivere la sua Storia della Peste, mentre questa  era ancora  attesa a Firenze.
La città si stava già spopolando: chiunque ne avesse la possibilità la abbandonava.
Mentre l’epidemia dilagava, Villani completava la sua storia, ma non poté apporre l’ultima frase perché la peste lo uccise.
Nella scena iniziale del Decameron, di Giovanni Boccaccio, ambientato nelle colline che circondano Firenze, troviamo la descrizione della peste e la narrazione dell’epidemia che meglio coglie le condizioni di vita e gli umori della città.
In particolare lo scrittore è colpito dal fatto che “li padri e le madri, i figlioli, quasi loro non fossero, di visitare e servire schifavano”; dalla “gran moltitudine dei corpi” che venivano ammucchiati nelle fosse comuni, dal piccolo numero di persone in lutto che seguivano i cadaveri degli appestati, dai becchini che si aggiravano per Firenze come avvoltoi.
A Firenze la peste uccise il 50% della popolazione. La spiegazione di una mortalità così alta sta probabilmente nei postumi della carestia del 1347 e in una igiene pubblica che non era capace di risolvere i problemi legati ad una elevata concentrazione di persone, insieme a ratti, pulci e immondizia.

A Siena la peste arrivò proveniente da Pisa e in entrambe le città il morbo imperversò da aprile a ottobre del 1348. Agnolo da Tura, uno dei grandi cronisti italiani del XIV sec., descrisse la “grande mortalità, la maggiore e la più oscura, la più horribile che la città abbia mai conosciuto”.
Morirono circa 52.000 persone, tra le quali la moglie e i cinque figli di Agnolo e i grandi pittori senesi Pietro e Ambrogio Lorenzetti.

 

A Perugia le autorità locali chiesero aiuto a Gentile da Foligno, considerato uno dei massimi luminari della medicina dell’epoca.
Interrogato sulla peste, Gentile da Foligno, professore dell’università di Perugia, inizialmente era stato molto rassicurante, descrivendo la peste come un’epidemia meno pericolosa di altre. successivamente, tuttavia, quando la pestilenza si avvicinava a Perugia, si rese conto della potenza distruttiva della Yersinia Pestis e parlo di epidemia di “una gravità inaudita e senza precedenti”.

 Nel giugno del 1348, quando il caldo dell’estate incombe sulle colline umbre, l’illustre medico morì mentre era impegnato a curare alcuni pazienti nella città di Perugia, probabilmente a causa della peste.

Nell’autunno del 1348 la peste attraversò le Alpi.
In Italia in un anno circa aveva decimato almeno il 50% della popolazione.
Complessivamente la Yersina  Pestis in tre anni e mezzo, tra il 1347 e il 1351, percorse tutto il continente europeo, dalla Sicilia a Mosca,  uccidendo il 33% dei suoi abitanti, pari a 25.000.000 di persone.

 

 

 

CAUSE DELL’EPIDEMIA E DESCRIZIONE DELLA MALATTIA

 

La maggior parte degli storici moderni ritiene che la peste nera, così denominata sia per il colore dei bubboni che per l’aspetto del sangue espulso dai malati con le loro emottisi, si sia sviluppata nel cuore dell’Asia per diffondersi verso oriente e verso occidente lungo le rotte del commercio internazionale.
La diffusione della malattia è attribuita alla pulce, “Xenopsilla Cheopis”, che, colpita dal bacillo della peste, “pasteurella pestis” o “bacillodi Yersin”, dal nome del ricercatore svizzero che alla fine dell’ ‘800 lo isolò e lo descrisse per primo in Cina, trasmette al ratto nero o rattus rattus, la specie di roditore più diffusa in Europa nel ‘300, l’infezione.
Il bacillo della peste si installa nella parte anteriore dell’apparato digerente della pulce, formando una sorta di blocco che aumenta la capacità dell’insetto di diffondere il contagio per due motivi.

Innanzitutto perché la Xenopsilla Cheopis, affetta da fame cronica, continua a mordere incessantemente; inoltre, poiché nel preventricolo si forma un tappo di sangue e bacilli estremamente infetto che viene iniettato direttamente con il morso nel ratto o nell’uomo.
A causa della morte dei topi le pulci per sopravvivere si trasferiscono in massa sull’uomo. Esse sono in grado di sopravvivere anche 4-6 settimane  in assenza di simbiosi con un animale, viaggiando sugli indumenti o in un sacco di grano.
Come altri agenti patogeni, la Yersinia Pestis è diventata un killer di successo poiché è riuscita ad adattarsi imparando ad eludere quasi tutto ciò che cerca di ucciderlo, compresi gli antigeni della pulce e quelli umani, confondendo il sistema immunitario.
Il bacillo, tuttavia,  trova  un ambiente particolarmente favorevole in condizioni di  temperatura tra i 10 e i 27 gradi e di umidità di almeno il 60%.

Nella trasmissione del contagio tra gli uomini pare che abbia un ruolo accessorio anche la pulce umana, pulex irritans, come serbatoio di diffusione della malattia.

 

La Yersinia Pestis contagiò per la prima volta l’uomo nell’epoca di Giustiniano (VI sec. d.C.) e per l’ultima volta in Cina alla fine dell’’800, quando l’allievo di Pasteur, Yersin, descrisse in modo accurato l’agente patogeno della peste.
Pochi anni dopo un ricercatore francese identificava nella pulce del ratto, Xenopsilla Cheopis, il vettore della peste.
Pochi decenni dopo cominciarono ad essere disponibili le prime medicine.

Negli esseri umani la peste può assumere tre forme cliniche.
La peste bubbonica.
Viene trasmessa dalla pulce e ha un periodo di incubazione che varia da due a sei giorni. “Guarda, il gonfiore, il segno di avvertimento inviato dal signore”, scriveva un contemporaneo alludendo al sintomo più caratteristico della peste, il bubbone ovoidale.
Causati da un accumulo di bacilli nel linfonodo più vicino alla puntura, i bubboni si sviluppano per lo più nella regione inguinale, nelle ascelle o sul collo,sono accompagnati da febbre acuta e possono essere molto vistosi.
La peste bubbonica è molto debilitante e causa vomito, diarrea sanguinolenta, bava schiumosa, vesciche, pustole e foruncoli.
Può coinvolgere anche il sistema nervoso e provocare emorragie sottocutanee.
Nel medioevo era anche una malattia molto maleodorante e i bubboni erano molto dolorosi.
In compenso permette la maggior possibilità di sopravvivenza: il tasso di mortalità oscilla tra il 40 e il 60%.
La peste polmonare.
Si diffonde direttamente da persona a persona.
In alcuni casi i bacilli della peste creano delle metastasi polmonari e, non appena la vittima comincia a tossire e a sputare sangue, la malattia viene trasmessa per via aerea.
La peste polmonare è terribilmente letale e si diffonde rapidamente: la mortalità è del 95% .
In alcuni casi la fine può sopraggiungere dopo poche ore.

 

La peste setticemica.
Si ha quando il bacillo entra direttamente nel sangue.E’ estremamente rara, ma è assolutamente letale.

Tutti gli storici sono concordi nel ritenere che, poiché si potesse verificare una epidemia di tali proporzioni, furono necessari una serie di fattori concomitanti.

  • La ripresa dei commerci internazionali che consentirono un rapido spostamento dei ratti e delle pulci nelle regioni dell’Asia e dell’Europa;
  • condizioni sociali e demografiche che portarono al sovraffollamento delle città in presenza di condizioni igieniche proibitive che fecero delle città un paradiso per i ratti;
  • assenza di igiene personale che, tra l’altro, era ritenuta un peccato dalla religiosità medievale;
  • le gravi carestie precedenti la peste, determinate dall’eccessivo sviluppo demografico in rapporto alle risorse e alla produttività dei terreni e anche da cambiamenti climatici;
  • la violenza crescente delle guerre.

 

TEORIE SULLA CAUSA, EFFETTI E TERAPIE  DELLA PESTE NEL MEDIOEVO

 

La peste colse l’arte medica ad un momento di svolta.
La Nuova Medicina medievale era basata su un’interpretazione e un ampliamento della medicina classica da parte degli arabi.
La teoria dei quattro umori, creata da Ippocrate e ampliata da Galeno, poteva trovare una spiegazione a tutto. I quattro umori erano sangue, bile gialla, bile nera e flegma; caratterizzati da quattro qualità che erano il caldo, il freddo, l’umido e l’asciutto .
Ippocrate scriveva che la salute è la condizione in cui i quattro elementi costitutivi sono presenti nelle giuste proporzioni e ben amalgamati.

Anche la teoria relativa ai miasmi o aria infetta aveva un ruolo importante.
L’aria cattiva era pericolosa perché rompeva l’equilibrio degli umori del corpo.
Particolarmente pericolosa era l’aria calda ed umida perché calore e umidità minano la forza vitale attorno al cuore. Il contagio era la conseguenza di questa azione debilitante.
Le persone si ammalavano a causa dei vapori infetti emanati dai corpi degli ammalati.
Si pensava  che la peste fosse determinata da una putrefazione degli organi interni generata nell’organismo dal cibo e dall’aria in esso immessi.
Un clima afoso e umido, l’aria sopra sopra le acque stagnanti ed in particolare il respiro degli ammalati erano ritenuti pericolosi.
Tuttavia l’opinione più diffusa era che le infezioni fossero la conseguenza di uno sfavorevole allineamento dei pianeti.

 

 

 

 

Che fare per difendersi dalla peste?

Tra il 1348 e il 1350 furono scritti 24 trattati per lo più da parte di medici che avevano studiato nelle facoltà di medicina, denominati “Consigli contro la peste” e “Regimi contro la peste” : alcuni delineavano panoramiche d’ampio respiro, altri invece formulavano consigli pratici sul modo migliore per mantenersi in buona salute.
Le teorie del XIV sec. sulla peste culminarono nel “Paradigma del soffio pestifero” di Gentile da Foligno. 

 

Secondo Gentile, esalazioni insalubri furono risucchiate dal mare e dalla terra nell’aria (aer corruptus). Se un tale soffio pestifero viene inspirato dall’uomo, i vapori velenosi diventano una massa che infetta cuore e polmoni dell’individuo e può contagiare i vicini.
Secondo Gentile una terapia efficace consisteva nell’irrobustire il cuore e gli altri organi e lottare contro la putrescenza velenosa, impedendone lo sviluppo nei malati e l’insorgenza nei sani.

In generale c’era un sostanziale accordo sul fatto che la miglior difesa contro la peste fosse il mantenersi in buona salute, soprattutto tenendosi lontano dall’aria infetta.
Un modo era evitare le acque stagnanti, un altro mantenere aperte solo le finestre esposte a nord.
Per proteggersi dall’infezione all’interno degli edifici alcuni consigliavano di bruciare legna odorosa.
All’esterno era consigliabile portare con sé una sfera profumata.
Gentile da Foligno affermava che le erbe odorose  andavano benissimo in casa  e raccomandava di accendere falò agli angoli delle strade.
Tuttavia nessun antidoto poteva rivaleggiare con uno smeraldo ridotto in polvere.
Altri trattati mettevano l’accento su una dieta adeguata che mantenesse in equilibrio i quattro umori del corpo, evitando cibi che andavano facilmente a male.

Inoltre erano da evitare, per il legame tra corpo e mente, la paura, la preoccupazione, la collera, ma anche la tristezza.
Gli interventi praticati erano la flebotomia per ridurre la quantità di sangue infetto e i clisteri ripetuti per eliminare i gas prodotti dalla putrefazione dei cibi. 

L’unico dato certo che già si era capito anche da parte delle autorità  era la contagiosità della peste.
Già nel 1348 furono presi alcuni provvedimenti per arginare l’epidemia: per esempio a Venezia con l’obbligo di denuncia, le sepolture di massa, l’isolamento dei malati.

Per quanto riguarda le misure profilattiche, oggi possiamo dire che alcune  erano sensate: certamente le pulci rifuggivano da certe sostanze odorose, così come dal calore del fuoco, ma erano poco efficaci.
Più efficace fu senz’altro l’intuizione che gli ammalati andavano isolati.

Per la Chiesa e il popolino la peste era una specie di punizione divina.
Si diffuse una grande devozione per quei santi in qualche modo legati alla peste e dei quali si invocava la protezione per sfuggire alla malattia e perché salvassero il mondo da quella immane catastrofe. In particolare si diffuse il culto di S.Sebastiano in quanto questo venne considerato il simbolo dell’umanità trafitta dagli strali della peste.

La convinzione che la peste fosse una punizione divina in Europa centrale  scatenò uno scoppio di antisemitismo senza precedenti.
In Germania determino il fenomeno dei Flagellanti, un movimento religioso convinto che la moria potesse essere evitata facendo penitenza e massacrando gli ebrei.

Tuttavia di fronte a tale scenario apocalittico la reazione di una parte della gente  non fu quella di pregare per i propri peccati in vista di una imminente fine dell’umanità, ma, come racconta Boccaccio, mentre alcuni cercavano di sfuggire alla malattia cercando di evitare il contatto con gli altri, altri cercavano di godere e di soddisfare al massimo i propri desideri.

 

 

CONSEGUENZE E RIPERCUSSIONI

Alla fine dell’epidemia si diffuse immediatamente un’atmosfera di euforia e di rilassatezza morale che amareggiò Matteo Villani, fratello di Giovanni.
Ma l’allegria isterica non era altro che la tenue maschera di un incessante dolore e di un terribile senso di smarrimento.
Nel 1349 quando la peste lasciò l’Italia un amareggiato Petrarca scrisse al suo amico Louis Heygligen “la vita che conduciamo è come un sogno. Qualunque cosa facciamo non è che un sogno. Soltanto la morte interrompe il sogno e ci sveglia. Vorrei essere svegliato prima di tutto questo.”

E in effetti nel 1361  iniziò una nuova epidemia di peste e questo anno segnò l’inizio di una lunga serie di epidemie che per due secoli si sarebbero succedute.

La ripercussione della peste nera, che avrebbe comportato in Europa un decremento demografico che andò dal 30/40 fino al 60/70 per cento, determinò numerose e diverse conseguenze che furono decisive nel segnare il passaggio dal Medioevo al Rinascimento. 
Il crollo demografico determinò la mancanza di manodopera giovane e forte.
La prima conseguenza fu il declino delle infrastrutture nelle città: agli inizi del ‘400 l’Europa aveva ripreso l’aspetto della Roma medievale.
Un altro effetto fu l’aumento del costo del lavoro e di tutto ciò che era frutto del lavoro.
Invece, i prezzi dei generi alimentari verso il 1375 cominciarono a scendere per la diminuzione della domanda conseguente al declino della popolazione.
Nei cinquant’anni successivi alla peste assistiamo ad una decadenza della nobiltà terriera, a causa dell’alto costo del lavoro e dei bassi prezzi dei generi alimentari; mentre poté migliorare il tenore di vita dei lavoratori e degli artigiani.
Il crollo demografico stimolò l’innovazione tecnologica e la sua applicazione alla produzione.
In sintesi, si può dire che la peste nera salvò l’Europa, paradossalmente, da un futuro di decadenza economica. Infatti, una popolazione ridotta significò maggiori risorse per i superstiti, sviluppo dell’innovazione tecnologica, valorizzazione del lavoro e maggiore produttività.

 

Innovazioni si ebbero anche nel campo della professione medica che, come la Chiesa, aveva visto diminuire il proprio prestigio.
Innanzitutto venne dato maggior rilievo alla medicina pratica orientata clinicamente, un cambiamento che rifletteva l’importanza del chirurgo e il declino del medico teorico
I testi di anatomia divennero più accurati perché la pratica dell’autopsia diventava più comune e nelle scuole di medicina ci fu uno spostamento verso le scienze applicate. Questi cambiamenti contribuirono a creare i presupposti verso una medicina più scientifica dal momento che sempre più il medico, invece di limitarsi a trarre conclusioni dal semplice ragionamento, formulava teorie, le sottoponeva alla prova dell’osservazione, analizzando i risultati per vedere se confermavano la teoria stessa.

Anche gli ospedali cominciarono a cambiare e ad assumere l’aspetto moderno di luogo di cura e non solamente di isolamento in attesa della morte.
Dopo la peste, gli ospedali tentarono di curare gli ammalati, anche se, ancora, coloro che venivano dimessi lo erano più per le loro difese immunitarie che per le cure ricevute.
In generale la peste  nera ebbe un ruolo importante nella nascita della sanità pubblica.
Una delle prime innovazioni fu l’istituzione di un apposito consiglio, come quelli creati a Firenze e a Venezia contro l’epidemia.
In seguito queste istituzioni divennero più sofisticate e complesse.
Nel 1377, Venezia istituì la prima quarantena nella colonia di Ragusa.
Il lazzaretto creato dalle autorità fiorentine per ricoverare gli appestati fu un punto di partenza del servizio sanitario pubblico.
Con la peste in Europa si sviluppò una nuova idea sulla trasmissione della malattie.
Non fu un caso che la prima sistematizzazione sul contagio sia stata elaborata da  Fracastoro, un medico del servizio sanitario pubblico fiorentino.

 

 

Cambiò inoltre anche la concezione  stessa della vita e la cultura

L’esperienza della peste aveva evidenziato in modo drammatico l’incertezza del domani e fu una spinta al rinnovamento culturale che caratterizzò il periodo successivo dell’Umanesimo e del Rinascimento. 
Lo sviluppo dell’ingegno, il sorgere della borghesia, il moltiplicarsi delle università, lo studio della filosofia e del diritto, la più vasta conoscenza del mondo determinarono un allargamento delle mentalità.
L’uomo colto si scrollò di dosso gli impedimenti etici, mise in dubbio le verità imposte dalla religione, non considerò peccato godere delle bellezze della natura e dell’arte e la nuova libertà risveglio la sua potenza creativa.

Si può dire, perciò,  che la grande peste del 1348 determinò cambiamenti radicali nello sviluppo delle città, dell’economia, della produzione, della scienza e della società e, soprattutto, mutò il modo di pensare degli uomini del tempo.

   

BIBLIOGRAFIA

  • La peste nera, di John Kelly – Ed. PIEMME, Casale di Monferrato, 2005.
  • Preludio. Il Rinascimento a Firenze, di Will Durant – Orpheus Libri – mondadori editore Milano 1957.
  • La società italiana prima e dopo la “peste nera”, di antonio Ivan Pini – Ed, società pistoiese di storia patria, Pistoia 1981.
  • La peste nera e la fine del Medioevo, di Klaus Bergdolt – Ed. PIEMME, Casale di Monferrato, 1997.
  • Morire di peste. Testimonianze antiche e interpretazioni moderne della peste nera del 1348, di Ovidio capitani – Ed. Patron, Bologna 1995.

 

 

 

 

Fonte: http://www.mediaaetas.altervista.org/peste.doc

Sito web da visitare: http://www.mediaaetas.altervista.org

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