Questione meridionale

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Questione meridionale

PROBLEMI DOPO L’UNITÀ D’ITALIA       

Finalmente nel 1870,dopo la breccia di porta Pia che fa decadere lo stato della Chiesa,l’Italia è finalmente unita. Ora il problema è di renderla veramente unita dando priorità prima di tutto alle linee viarie e ferroviarie,riuscendo a riunire i commerci del Nord e del Sud. Peccato che però le linee ferroviarie e viarie furono messe a nuovo solo fino a Napoli, quindi il meridione regredì in situazione economica,al contrario del settentrione che aveva contatti fra le varie regioni del nord e all’estero.
Con questa distanza tra nord e sud si crea una distanza detta anche divario. La situazione lavorativa era molto grave perché le proprietà private erano in mano dei latifondisti che non permettevano a nessuno di lavorare fermando cosi l’agricoltura,l’unica fonte di lavoro della Sicilia. Ma la cosa che fece ancora più scontenti i meridionali fu l’aumento della farina data da una tassa che andava ad uno stato che cosi rese ancora più difficili le condizioni economiche delle famiglie e il malcontento dei siciliani che questa tassa sulla farina sembrava assurda,dato che non avevano mai sentito parlare di tasse su qualcosa che dovevano acquistare. Ebbero ancora molto più da parlare sulla richiesta dello stato di mandare i giovani a fare sette anni di militare lontani dalle famiglie. Una cosa del genere avrebbe portato alla morte per fame delle famiglie,perché solo i giovani riuscivano a lavorare dato che i genitori dopo essere diventati anziani non ricevevano nessuna pensione e vivevano del lavoro dei figli. Quindi i giovani si ribellarono e decisero di non andare a fare il militare. Quando si accorsero che i militari non venivano dal sud,il re mandò giù i gendarmi per costringere i giovani a uscire allo scoperto e partire per i campi militari,ma i giovani si rifiutarono e si “diedero alla macchia” nascondendosi nell’entroterra Siciliana,poi di notte,andavano a lavorare e in qualche modo riuscivano a far vivere la famiglia. Così, decisero di affiggere ai muri le foto di tutti i ragazzi ricercati chiedendo di riferire ai gendarmi,il posto in cui risiedevano. Ma questo era inutile perché il popolo era analfabeta quindi quando guardavano quelle foto ai muri con delle scritte non capivano che cosa volessero da loro. Quando capirono che il popolo era analfabeta misero accanto ai voltanti un banditore che urlava le scritte,ma anche questo fu inutile perché il popolo non avrebbe mai detto dove si nascondessero i giovani,perché comunque quasi tutti si trovavano nelle stesse situazioni e anche se l’avrebbero detto si sarebbe scoperto e le famiglie, supportate da altre,si sarebbero vendicate contro le “spie”. Cosi i giovani continuavano a restare nascosti nell’entroterra e molti di loro si diede alla rapina,cosi che vennero chiamati briganti. I gendarmi allora, decisero di andare nelle case delle famiglie e obbligare le famiglie a farsi dire dove stavano i giovani, e se non avessero parlato sarebbero andati a finire in carcere .Ecco perché in quel periodo le carceri si riempirono di vecchi e donne. La situazione del meridione si fece sempre più impegnativa, cosi che il re decise di mandare in Sicilia una commissione che vedesse come mai questo meridione era cosi scontento e ribelle. La condizione del meridione però, già in parte si conosceva perché la corrente letteraria di quel periodo detta Verismo fece aprire gli occhi sulla realtà circostante,che non veniva assolutamente considerata all’epoca del romanticismo. Così Verga e Capuana con i loro romanzi fecero capire a tutto il resto dell’Italia il grave problema del meridione. Vista la situazione che comunque c’era in Sicilia, si svilupparono le motivazioni per l’emigrazione verso l’America(Brasile e Stati Uniti) che fanno accrescere il bisogno di trovare un nuovo lavoro per riuscire a sopravvivere. Il luogo dove andavano clandestinamente era l’America. Viaggiavano clandestinamente dentro stive di barche, indebitandosi e vendendo tutto quello che avevano per riuscire a entrare a far parte del viaggio, che durava circa tre mesi e in condizioni pietose. E in quelle condizioni non tutti i clandestini arrivavano vivi a destinazione: gli uomini a cui si sospettava qualche malattia infettiva veniva buttato in mare perché non contagiasse tutti. Dopo che si arrivava allo stremo delle forze a destinazione,venivano sottoposti a un esame del cavo orale per vedere eventuali infezioni o infiammazioni. Gli uomini più forti che non dimostravano nessuna malattia venivano mandati a lavorare. La questione meridionale emerse compiutamente dopo l'unità d'Italia nell'analisi condotta da Pasquale Villari (Lettere meridionali, 1861). La denuncia delle origini sociali del problema, insieme con la ricerca delle soluzioni, dimostrarono come non fossero sufficienti gli strumenti approntati dallo stato unitario, tanto meno quelli meramente repressivi adottati per sconfiggere il brigantaggio. Da queste analisi scaturiva l'appello a interventi positivi che ripianassero il divario Nord/Sud, frazionando il latifondo e favorendo la piccola proprietà.
Tra il 1874 e il 1876 gran parte dei collegi elettorali del Sud furono conquistati dai candidati della sinistra, i quali richiedevano maggiori investimenti pubblici nelle infrastrutture (strade, ferrovie, scuole), ma che, una volta insediatisi nei posti di governo locale e nazionale, non si discostarono dai loro predecessori nella gestione clientelare della cosa pubblica.
A fondamento del nuovo Regno d'Italia venne mantenuto lo Statuto albertino del 1848. Tale prudenza fu giustificata dal timore di ritorsioni internazionali, a conferma della fragilità che connotava lo stato unitario, le cui sorti erano strettamente legate agli equilibri europei. Cavour, che dell'unità era stato uno degli artefici, morì nel giugno di quello stesso anno: il successore Bettino Ricasoli ne proseguì la linea politica all'insegna del liberalismo moderato.
Uno dei principali problemi del nuovo Regno derivava dalla questione romana: essa si traduceva nell'ostruzionismo praticato dal papa Pio IX, che non riconobbe l'esistenza del nuovo Regno e si rifiutò di aprire trattative che avessero come obiettivo l'acquisizione di Roma all'Italia. Mentre il governo sceglieva le vie diplomatiche, mazziniani e garibaldini premevano per una soluzione di forza. La tentò una prima volta Garibaldi, che mosse dalla Calabria con un gruppo di volontari, ma fu fermato dall'esercito piemontese (Aspromonte, 1862). Per aggirare l'ostacolo rappresentato soprattutto dalla Francia, le cui truppe difendevano lo Stato Pontificio, nel 1864 il governo stipulò un accordo: la Francia si impegnava a ritirare entro due anni i soldati, in cambio dell'impegno italiano a non violare militarmente lo Stato Pontificio. Una clausola dell'accordo prevedeva il trasferimento della capitale da Torino a Firenze (1865). Il governo italiano negli anni successivi prese drastici provvedimenti per la riduzione del potere temporale della Chiesa.
Nel 1866 l'Italia partecipò alla guerra austro-prussiana, alleandosi con la Prussia (Terza guerra d'indipendenza). Grazie ai successi dell'alleato, che fecero passare in secondo piano le sconfitte subite dall'esercito italiano, l'Italia acquisì il Veneto.
La via per Roma si aprì invece nel 1870, in seguito alla disfatta della Francia nel conflitto con la Prussia: lo Stato Pontificio non aveva più la protezione francese. A quel punto l'Italia fu libera di muovere l'esercito, fatto che avvenne il 20 settembre 1870. Roma fu annessa al Regno e ne divenne la capitale. I rapporti Stato-Chiesa si fecero ancora più tesi dopo il trasferimento della capitale. Il governo italiano emanò nel 1871 la Legge delle guarentigie: al pontefice fu riconosciuta la posizione di sovrano straniero e assegnato un territorio (attuale stato del Vaticano).

 

LA FONDAZIONE DELLO STATO UNITARIO

Nel 1861 il Regno d'Italia si configurava come una delle maggiori nazioni d'Europa, almeno a livello di popolazione e di superficie, ma non poteva considerarsi una grande potenza, a causa soprattutto della sua debolezza economica e politica. Le differenze economiche, sociali e culturali ereditate dal passato ostacolavano la costruzione di uno stato unitario. Accanto ad aree coinvolte in processi di rapida modernizzazione, esistevano situazioni statiche ed arcaiche, presenti soprattutto nell'economia agricola del Mezzogiorno. Ristrette erano le basi sociali su cui poggiava lo stato. Nelle campagne la gran massa dei contadini era rimasta quasi del tutto estranea, in certi casi ostile, al Risorgimento. Nel Sud l'ostilità esplose in una grande ribellione durata dal 1861 al 1865, che venne sfruttata dal partito borbonico e che spinse il governo a una durissima repressione militare (vedi Brigantaggio).
Il nuovo stato nacque su un'impronta centralistica, nella quale alla corona vennero lasciati ampi poteri in politica interna ed estera. Il ruolo del sovrano si esplicò ampiamente nel primo decennio, quando tutte le crisi di governo furono risolte dal re, scavalcando le prerogative del Parlamento. Nelle mani della corona si concentravano alcune leve fondamentali del potere: l'esercito, la burocrazia, la giustizia, la corte e il Senato, i cui membri, a differenza dei deputati della Camera, non erano eletti ma di nomina regia.

 

I GOVERNI DELLA DESTRA E DELLA SINISTRA

Dal 1861 al 1876 al governo furono nominati uomini della cosiddetta Destra storica, moderati e conservatori che si consideravano eredi politici di Cavour e che avviarono il processo di unificazione istituzionale del paese. Il fiorentino Bettino Ricasoli, il bolognese Marco Minghetti e il piemontese Quintino Sella ne furono gli esponenti di maggiore spessore politico e intellettuale. In campo economico l'obiettivo principale della Destra fu di pareggiare il bilancio dello stato. Il ministro delle Finanze, Sella, vi riuscì con una severa azione fiscale, che comportò il ripristino dell'impopolare tassa sul macinato, tanto odiata da causare malcontento e rivolte; essa era infatti stata introdotta per la prima volta nel XVI secolo e sembrava definitivamente scomparsa. Ma vari ministeri, oltre al Sella, ne avevano chiesto la reintroduzione, approvata definitivamente nel 1869. In campo economico si attuarono misure per il libero scambio e fu dato avvio alla costruzione della rete ferroviaria nazionale.
Un parziale ricambio nella classe dirigente si verificò a seguito delle elezioni del 1876, vinte dai candidati che appartenevano alla cosiddetta Sinistra storica. Si trattava di uno schieramento di notabilato borghese meno conservatore della Destra, perché sosteneva la necessità di moderate riforme e di un intervento dello stato nell'economia a difesa dei ceti più deboli. I primi governi della Sinistra, guidati da Agostino Depretis, introdussero l'istruzione elementare obbligatoria dai sei ai nove anni. Con la riforma elettorale del 1882 la Sinistra riuscì a ottenere anche un parziale allargamento del corpo elettorale, che fece salire da 600.000 a due milioni circa il numero degli italiani aventi diritto al voto: in questo modo i diritti politici furono estesi alla piccola borghesia, agli operai, ai contadini benestanti e ai piccoli proprietari terrieri.
Dal 1887 al 1896, salvo un'interruzione di due anni, fu presidente del Consiglio Francesco Crispi, il quale avviò un'opera di adeguamento dello stato alle nuove realtà sociali ed economiche, con il varo del codice sanitario, della riforma degli enti locali e del codice penale (che dal suo estensore prese il nome di codice Zanardelli, 1890). Crispi praticò una politica estera che, imitando le scelte imperialistiche delle grandi potenze, si tradusse nella conquista dell'Eritrea. Ma la sconfitta subita dall'esercito italiano ad Adua nel 1896 (vedi Guerra d'Eritrea) bloccò l'espansionismo coloniale italiano e provocò le dimissioni di Crispi.

L'INDUSTRIALIZZAZIONE

Negli ultimi anni dell'Ottocento l'Italia fu afflitta da un'emigrazione di massa, nel corso della quale milioni di contadini si trasferirono nelle Americhe e in altri stati europei. In quel periodo, però, l'Italia fece anche un decisivo passo in avanti, avvicinandosi ai paesi più moderni. Ebbe inizio un ciclo di rapida industrializzazione; si affermò il movimento operaio; l'economia progredì, favorita dall'adozione di misure protezionistiche e dai finanziamenti concessi dallo stato e da alcune importanti banche (Banca commerciale italiana, Credito italiano). L'industrializzazione ebbe i suoi punti di forza nella siderurgia (gli operai del settore tra il 1902 e il 1914 aumentarono da 15.000 a 50.000) e nella nuova industria idroelettrica. Quest'ultima sembrava risolvere una delle debolezze dell'Italia, paese privo di materie prime essenziali come il carbone e il ferro. Utilizzando l'acqua dei laghi alpini e dei fiumi fu possibile ottenere energia senza dipendere dall'estero per l'acquisto del carbone: la produzione di energia idroelettrica, tra il 1900 e il 1914, salì da 100 a 4.000 milioni di kwh. L'industria tessile mantenne una posizione di rilievo con prodotti venduti sia sul mercato interno sia su quello internazionale. Anche l'industria meccanica cominciò ad affermarsi nel settore dei trasporti (auto, treni) e delle macchine utensili. Ciononostante l'economia conservava forti squilibri tra il Nord del paese, industrializzato e moderno, e il Sud, arretrato e prevalentemente agricolo.
La modernizzazione si manifestò anche nelle forme della vita politica e del conflitto sociale. Nel 1892 fu fondato a Milano da Filippo Turati il Partito socialista italiano, principale referente del movimento operaio fino all'avvento del fascismo. Una grande esplosione di protesta popolare si registrò in Sicilia dopo il 1890 e vide migliaia di contadini, spinti dalla crisi che impoveriva l'economia dell'isola, battersi per una riforma agraria. Il governo, presieduto da Francesco Crispi, decretò l'occupazione militare della Sicilia e la condanna dei capi sindacali (vedi Fasci siciliani).

 

LA CRISI DI FINE SECOLO

Negli ultimi anni del secolo a una nuova ondata di scioperi il governo rispose con una dura repressione, il cui culmine si ebbe nel maggio del 1898 a Milano, dove il generale Bava Beccaris fece aprire il fuoco sulla folla che reclamava pane e lavoro. Si contarono alcune centinaia di morti. Subito dopo il massacro, la polizia arrestò i dirigenti socialisti, chiuse i giornali di opposizione e le sedi dei partiti operai.
La situazione italiana si trovò allora a un passaggio difficile. C'era il rischio che prevalesse un governo reazionario.
L'attentato in cui morì il re Umberto I, compiuto a Monza nel 1900 da un anarchico, rese più tesa la situazione. D'altra parte diversi uomini della borghesia industriale e i partiti di sinistra (socialisti, repubblicani e radicali) puntavano invece a una svolta democratica. Questa si presentò nel 1901, quando il nuovo re Vittorio Emanuele III affidò la carica di primo ministro a Giuseppe Zanardelli, un liberale che si era pronunciato contro la repressione. Ma l'uomo di maggiore prestigio di quel governo era il ministro degli Interni, Giovanni Giolitti. Egli divenne primo ministro nel 1903 e mantenne la massima carica politica fino al 1913, salvo brevi interruzioni.

TEMA
Esponi i più gravi problemi dell’Italia meridionale dopo l’Unità soffermandoti sulla cosiddetta “Questione Meridionale”.

 

Fonte: http://classe4ba.altervista.org/questionemeridionale.doc

Sito web da visitare: http://classe4ba.altervista.org/

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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