Regime fascista

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Regime fascista

Il regime fascista
Il governo formato da Mussolini nel 1922 non era composto da soli fascisti, ma anche da esponenti del liberalismo, del Partito Popolare e dell’esercito. Rimasero all’opposizione comunisti, repubblicani e socialisti. Le prime azioni di governo di Mussolini furono volte a pagare i debiti alle classi alto-borghesi che lo avevano sostenuto: abolizione della nominatività dei titoli, riduzione delle imposte di successione, restituzione ai privati della rete telefonica, dei fiammiferi e delle assicurazioni sulla vita. Tutti questi provvedimenti si ispiravano ad un’impostazione liberistica ben gradita agli ambienti dell’alta finanza. Ma ancora più redditizia per i grandi borghesi fu l’intimidazione esercitata nei confronti dei sindacati. In quest’ottica si inserisce il Patto di Palazzo Vidoni  che ridusse i sindacati a due, uno per i lavoratori e l'altro per il padronato (entrambi fascisti), abolendo il diritto di sciopero (per gli operai) e di serrata (per il padronato) e riconducendo le controversie fra lavoratori e datori di lavoro all'arbitrato dello stato.
Sin dal dicembre 1922 cominciarono le riunioni periodiche del Gran Consiglio del Fascismo. Nello stesso dicembre fu istituita la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. Per portare a termine l’instaurazione di un potere totalitario, il fascismo voleva raggiungere una più ampia rappresentanza alla Camere. In tale prospettiva il duce fece sciogliere le Camere e fece approvare la legge Acerbo . Nel gennaio 1924 le elezioni vennero fissate per il 6 aprile. I fascisti di presentarono nel cosiddetto listone (liberali, clericali e fascisti) a cui si contrapposero i liberali, democratici, socialisti, comunisti e repubblicani. La campagna elettorale si svolse in un clima d’intimidazione e di sopraffazione sistematica delle opposizioni, ed i risultati furono favorevoli al listone, che si presentava come una soluzione alternativa al pericolo rosso rappresentato dal socialismo e dal comunismo. Nella nuova Camera il deputato del partito socialista, Giacomo Matteotti, contestò la validità delle elezioni e fornì un ampio e documentato elenco delle violenze compiute dai fascisti nel periodo pre-elettorale. Matteotti tenne il suo discorso alla Camera il 30 maggio 1924. Il 10 giugno fu aggredito a Roma da quattro loschi figuri dello squadrismo, rapito in automobile e trucidato. Il suo cadavere fu ritrovato il 16 agosto. L’emozione nel paese fu enorme, si ebbe così uno sbandamento parziale anche nelle stesse file del fascismo, mentre i gruppi d’opposizione, tranne i comunisti, decisero di abbandonare la Camera e si riunirono in un’altra sala di Montecitorio, sino a quando il governo non avesse fatto chiarezza sul fatto e si fosse tornati alla legalità. Questa secessione detta dell’Aventino era ispirata dall’ipotesi che il governo dovesse dimettersi. Alcuni speravano in un intervento del monarca, ma egli in realtà aveva già fatto la sua scelta nel 1922, lo stesso Giolitti non partecipò all’Aventino. Altri, come i comunisti, speravano in una mobilitazione di massa, ma ciò avrebbe significato una ripresa della politica di sinistra e ciò spaventava la borghesia ed i conservatori. In realtà Mussolini, dopo un primo momento di perplessità, passò alla controffensiva: il 10 luglio un decreto-legge assegnava al governo i più ampi poteri di controllo sulla stampa ed il 3 gennaio 1925 annunziò alla Camera la fine di ogni garanzia liberale statutaria, assumendosi la responsabilità politica, morale e storica di tutto quanto era avvenuto.
La famosa normalizzazione si rivelava per quello che era effettivamente: non un ritorno alla legalità liberale, ma l’instaurazione di un regime autoritario. Il terrorismo reazionario, secondo le previsioni di Gramsci, era diventato Stato. Nel giro di pochi anni, con le cosiddette leggi fascistissime, il fascismo completò la propria edificazione in regime totalitario, ed ogni residua libertà politica e sindacale vennero a cessare. Tuttavia il regime fascista, a parere di alcuni storici, diede luogo ad un totalitarismo imperfetto, nella misura in cui dovette scendere a compromessi con le forze tradizionali della società italiana, quali la Chiesa, l’esercito e la monarchia. La stampa fu progressivamente imbavagliata mediante censure, sospensioni delle pubblicazioni, sequestri, allontanamento coatto di direttori non graditi alle autorità. Tra il febbraio ed il settembre 1929 due disposizioni di legge sostituirono ai sindaci ed ai consigli comunali i podestà e le consulte di nomina governativa. Il 3 aprile 1926 venne istituita l’Opera Nazionale Balilla (sostituita nel 1937 dalla Gioventù italiana del Littorio), che aveva il compito di monopolizzare l’educazione dei giovani e di forgiare le nuove generazioni secondo ideali del militarismo fascista. Scioperi e serrate vennero proibiti ed ogni sentenza sui contratti nazionali di lavoro venne deferita alla corte d’appello, che per l’occasione fungeva da Magistratura del Lavoro. Nel gennaio del 1927 la CGL viene sciolta. Nell’aprile del 1927 il gran Consiglio del Fascismo approva la Carta del Lavoro, che ufficialmente segna l’atto di nascita dello Stato corporativo. Lo stato corporativo venne attuato giuridicamente nel 1934 con l’istituzione di 22 Corporazioni. Sulla base di questa premessa, nel gennaio del 1939 al Camera dei deputati venne sostituita da una Camera dei Fasci e delle Corporazioni, lo stato corporativo non si fondò affatto sulla rappresentanza delle categorie economiche e sulla collaborazione tra capitale e lavoro, piuttosto sulla subordinazione delle categorie economiche al regime. Il sistema corporativo funzionò soprattutto come mezzo di sviluppo di alcune importanti oligarchie industriali (Montecatini, Pirelli, Fiat) che videro aumentare rapidamente i loro profitti in regime di prezzi artificialmente, sostenuti a danno dei consumatori. Certamente si ebbe un incremento dell’occupazione ed un’elevazione del reddito, ma si ebbe anche un aumento del debito pubblico. I deputati dell’opposizione vennero dichiarati decaduti dal mandato parlamentare; tutti i partiti e le associazioni non fasciste vennero dichiarate illegali; fu reintrodotta la pena di morte ed un Tribunale Speciale per la difesa dello Stato. Nel 1928 venne attuata una riforma elettorale, il numero dei candidati della camera fu fissato a 400, i candidati sarebbero stati proposti dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori e da una serie di enti morali; il Gran Consiglio del Fascismo avrebbe scelto tra questi nominativi (con la facoltà d’indicarne dei propri) 400 deputati da presentare all’attenzione degli elettori. Se la lista avesse avuto almeno la metà dei consensi sarebbe stata approvata in blocco.
La lotta attiva contro il Fascismo, che poteva costare il carcere o la vita, fu condotta da un’esigua élite, costretta alla clandestinità o all’esilio. Il fuoriuscitismo divenne un fenomeno estremamente importante per combattere la dittatura fascista. La data d'inizio del movimento antifascista si può far risalire all'assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti (10 giugno 1924). Con le leggi eccezionali del 1925-26 Benito Mussolini abolì le libertà politiche e costrinse gli oppositori alla clandestinità o all'emigrazione. Dopo il 1926, infatti, ogni forma di opposizione al fascismo fu condannata come un delitto contro lo Stato; di conseguenza i membri più rappresentativi dei partiti d'opposizione (di formazione democratica, socialista, comunista, liberale e cattolica) furono perseguitati (taluni condannati a lunghe pene detentive od al confino) oppure costretti a riparare come esuli all'estero, dove costituirono gruppi ed organizzazioni che ebbero soprattutto Parigi come centro principale della battaglia contro il regime. L'unica voce di dissenso tollerata dal regime fu quella del filosofo, di fama internazionale, Benedetto Croce, di formazione politica liberale moderata, che poté continuare ad operare ed a scrivere in Italia negli anni del fascismo. Promotore nel 1925 del celebre "Manifesto degli intellettuali antifascisti", Croce diventò il principale punto di riferimento e la guida morale dell'antifascismo d'ispirazione liberale e di tutti gli intellettuali non allineati al regime. Fra le altre autorevoli voci della prima stagione dell'antifascismo vanno ricordate anzitutto quelle dei liberali democratici Giovanni Amendola (già promotore della protesta parlamentare dell’Aventino) e Piero Gobetti (giovane intellettuale torinese che fu animatore della rivista "Rivoluzione liberale"), dello storico Gaetano Salvemini (ex socialista e già interventista democratico), del cattolico democratico don Giovanni Minzoni. Dopo le leggi eccezionali del 1926, numerosi antifascisti furono costretti a scegliere la via dell'emigrazione e presero il nome, che i fascisti dettero loro, di fuoriusciti; fra questi vanno ricordati l'ex presidente del consiglio Francesco Saverio Nitti, il fondatore del Partito popolare Luigi Sturzo, i socialisti Claudio Treves, Filippo Turati e Pietro Nenni. Alcide De Gasperi, ultimo segretario del Partito popolare, trovò rifugio in Vaticano. In Italia gli antifascisti poterono esercitare una scarsa influenza politica, tuttavia essi continuarono ad alimentare dall'estero la speranza di un ritorno della libertà e per primi studiarono il fenomeno del fascismo. Dopo l'arresto di Antonio Gramsci nel novembre del 1926, il Partito comunista d'Italia costituì un centro estero a Parigi, sotto la direzione di Togliatti, ma mantenne un collegamento con alcuni gruppi di militanti che avevano scelto di organizzarsi e di operare in clandestinità in patria, pur subendo numerosi arresti e condanne. Un altro centro di opposizione al regime si formò, sempre a Parigi, nel 1927 con la Concentrazione antifascista a cui aderirono principalmente esponenti delle correnti del socialismo italiano e che si propose il compito di denunciare all'opinione pubblica internazionale il carattere illiberale del regime mussoliniano. In polemica sia con le analisi marxiste che con l'attività della Concentrazione, giudicate attendiste, sorse nel 1929 il movimento Giustizia e Libertà(GL) per iniziativa dei fratelli Carlo e Nello Rosselli. Il manifesto teorico del gruppo era contenuto nell'opera Socialismo liberale che Carlo Rosselli pubblicò a Parigi nel 1930: si teorizzava una terza via, tra capitalismo e socialismo, come prospettiva nuova che recuperasse i valori liberali e fondasse quella tradizione democratica che fino allora era mancata in Italia. Gruppi di GL si formarono in Italia soprattutto tra gli studenti universitari, molti dei quali (come Ernesto Rossi, Ferruccio Parri, Leone Ginzburg) furono arrestati e condannati a lunghe pene detentive. Neppure l'esilio bastava a garantire la vita: Carlo e Nello Rosselli furono assassinati nel 1937 da sicari francesi per ordine del governo italiano. Alla metà degli anni Trenta l'antifascismo italiano riuscì a stabilire nuovi livelli di collaborazione: a questa svolta concorsero alcuni eventi internazionali. Fu importante la linea politica adottata nel 1935 dall'Internazionale comunista, che indusse i comunisti italiani a stabilire alleanze con le forze socialiste e democratiche per fronteggiare l'avanzata dei fascismi europei, ormai rafforzati dal successo dei nazisti in Germania. Inoltre la partecipazione di più di tremila volontari italiani, in massima parte provenienti dagli ambienti dell'emigrazione politica, alla guerra civile spagnola in difesa della repubblica creò le premesse per una collaborazione operativa, che faceva in Spagna le sue prove anche sul terreno militare. Nella penisola iberica combatterono alcuni uomini che avrebbero avuto una parte di rilievo nella Resistenza e nella Repubblica italiana, quali Nenni, Sandro Pertini, Giuseppe Di Vittorio. Per la repressione dell’antifascismo, il regime istituì l'OVRA (organo di polizia segreta costituito nel 1926 dal regime fascista italiano allo scopo di reprimere le attività antifasciste e più in generale di impedire qualsiasi forma di dissenso e di opposizione) che poteva adottare procedure di intervento libere da controlli, servirsi di una propria rete di informatori ed operare anche al di fuori dei confini nazionali. La sua esistenza non venne mai ufficializzata, al punto che è tuttora dubbio il significato della sigla.
Il fascismo fu largamente favorito dall’atteggiamento benevolo e conciliante di papa Pio XI (1922-39). Per la Chiesa il fascismo si presentava infatti come una controrivoluzione preventiva contro il comunismo ateo. Da parte di Mussolini i motivi che spingevano all’accordo erano più semplici ed immediati. Malgrado il suo superficiale e violento anticlericalismo, egli considerava la Chiesa come una tradizionale forza d’ordine, di disciplina, di gerarchia, pericolosissima come nemica, preziosissima come alleata, e voleva trasformarla in un pilastro del fascismo. Dalle due parti esistevano dunque ragioni di convergenza. I contatti, iniziati sin dal 1926, per una conciliazione fra Stato e Chiesa vennero portati a buon termine l’11 febbraio 1929 quando Mussolini ed il cardinale Gasparri firmarono i Patti Lateranensi articolati in un concordato, in una convenzione finanziaria in un trattato. Con il trattato s’abrogava la legge delle guarentigie e si riconosceva alla Santa Sede al piena sovranità sul Vaticano e la Chiesa a sua volta riconosceva il Regno d’Italia con Roma capitale. Con la Convenzione finanziaria l’Italia si obbligava a versare la somma pari circa a 2000 miliardi di lire a titolo d’indennizzo per l’occupazione del Vaticano nel 1870. Con il concordato, rimasto in vigore sino al 1984 (rivisto dagli accordi Craxi-Casaroli), si riconosceva il cattolicesimo religione di stato in Italia, si definiva una nuova disciplina del matrimonio religioso che, regolato dal diritto canonico, aveva tutti gli effetti civili e dell'insegnamento della religione; i chierici venivano esonerati dall’obbligo del servizio militare e lo stato s’impegnava ad usare speciali riguardi nel caso di procedimenti penali contro prelati; i preti apostati ed irretiti da censura non potevano esercitare alcun ufficio che li mettesse a contatto con il pubblico. Inoltre si riconoscevano le organizzazioni dipendenti dall’Azione Cattolica, nella misura in cui svolgessero la loro attività al di fuori di ogni partito politico, per la diffusione e l’attuazione di dei principi cattolici.
Nella prima fase (dal 1922 al 1924) la politica economica del fascismo fu favorita da un ciclo di espansione economica e si caratterizzò, nell’azione del ministro delle finanze Alberto de Stefani, per una serie di provvedimenti ispirati ai principi del liberismo economico. La lira, dopo un periodo di stabilità, riprese a deprezzarsi fra il 1925-26. Tale deprezzamento, se per un verso conservava la competitività dei nostri prodotti sul piano internazionale, per l’altro rendeva rovinoso l’acquisto all’estero di materie prime e del grano in special modo. Il governo pensò dunque di ricorrere ai ripari e decise di difendere la lira al oltranza, mediante provvedimenti monetari intesi a contenere le importazioni di grano, petrolio, minerali e cellulosa. Il traguardo di quota novanta – così definito perché portò il cambio con la sterlina a poco più di novanta lire – fu annunciato dal duce nel 1926, ovviamente tutto ciò fu reso possibile anche grazie alla compressione dei salari. Con la crisi del ’29 la politica economica del fascismo entrò in una nuova fase, connotata da una sempre più massiccia presenza dello stato nelle attività produttive e finanziarie. Poiché le banche si trovavano in gravi difficoltà nel 1931 venne creato l’IMI (Istituto Mobiliare Italiano), per concedere prestiti a lungo e breve termine alle grandi industrie mentre le piccole aziende venivano falciate. Il processo di concentrazione industriale subì una forte accelerazione nel 1932 favorendo la fusione di aziende che ne facevano richiesta. Nascevano così potentissimi trust in condizione di monopolio, come quello delle industrie idroelettriche, come quello degli zuccherieri, protetto da dogane, o come la società di Montecatini che si consolidò. Nel gennaio del 1933 viene fondato l’IRI. La battaglia del grano iniziata nel 1925 era rivolta a diminuire l’importazione del grano, essa ottenne notevoli risultati, culminati nel 1933 con una produzione che copriva quasi per intero il fabbisogno nazionale, con lo svantaggio che il grano nazionale raggiunse dei prezzi molto superiori a quello straniero. Nel 1928 fu iniziato un programma di bonifica integrale, esito estremamente vantaggioso l’ebbe la bonifica dell’Agro Pontino, in questo territorio vennero costruite anche due città: Littoria e Sabaudia ed alcuni borghi rurali. Allo scopo di frenare gli effetti della crisi economica mondiale il fascismo fra il 1929-34 diede un particolare impulso ai lavori pubblici, sviluppando la rete autostradale, ferroviaria ed incrementando l’edilizia pubblica, trasformandosi così in uno stato imprenditore. Sempre in quest’ottica a partire al 1935 in campo economico di ebbe una forte tendenza all’autarchia, cioè all’autosufficienza economica. Il commercio con l’estero venne sottoposto ad uno stretto controllo, si procedette alla ricerca di giacimenti minerari. L’intervento statale risultò ancora più massiccio aumentando la produzione militare e l’accentuazione di un regime di protezione doganale.  Distrutto ogni autentico sindacalismo, il fascismo varò una legislazione sociale che stabiliva in otto ore la durata del lavoro, che elevava da 12 a 14 anni l’età minima per l’assunzione dei giovani. Più autentiche furono le cure che il regime dedico alla maternità con l’Opera Nazionale per la maternità e per l’infanzia fondata nel dicembre del 1925. Per l’aumento demografico fu imposta una tassa sul celibato, delle facilitazioni fiscali per le famiglie numerose, la premiazione delle madri prolifiche.
Scopo dichiarato della politica estera fascista, fin dai primissimi atti e discorsi politici di Mussolini, era quello di assicurare "ad un popolo di quaranta milioni di individui" un posto di primo piano sulla scena mondiale. Questo significava annettere all'Italia territori coloniali dove "esportare" la propria eccedenza demografica attraverso la valorizzazione delle colonie esistenti e poi - nel 1935 - con la conquista dell’Etiopia. Contemporaneamente, la politica a breve periodo previde - fin quando possibile - la revisione dei trattati sottoscritti dall'Italia fra il 1918 e il 1922 che "mutilavano" la vittoria nella grande guerra e che portarono l'Italia ad acquisire Fiume nel 1924. Spartiacque della politica estera fascista fu essenzialmente la prima crisi austriaca del 1934, con il tentativo di Hitler di annettere l'Austria dopo aver fatto assassinare il cancelliere austriaco Engelbert Dollfuss (amico personale di Mussolini). In quel frangente l'Italia schierò le proprie divisioni al Brennero, minacciando un'azione militare in difesa dell'alleato austriaco, se la Germania avesse varcato le frontiere. Di fronte a questa crisi - tuttavia - le potenze europee rimasero a guardare, ingenerando in Mussolini la penosa sensazione che in caso di guerra fra Italia e Germania, la sua nazione sarebbe stata lasciata sola. Così nel 1925 l’Italia aderì ai patti di Locarno e ci fu una collaborazione con il governo inglese. Era il periodo in cui il fascismo cercava di consolidare il suo potere tanto all’interno quanto all’estero, del resto l’amicizia con l’Italia all’Inghilterra giovava per ottenere un compromesso nel Mediterraneo dinanzi alla crescente influenza francese. Da ciò i rapporti italo-francesi ne risultarono compromessi. Rimase ferma invece la linea d’amicizia con Inghilterra ed USA. Quando infine la Germania uscì dalla SDN accostò alla Francia ed all’Inghilterra nel Fronte di Stresa. Tale alleanza fu il frutto di un incontro tenutosi nella cittadina di Stresa sul Lago Maggiore tra l’11 e il 14 aprile del 1935 tra i governanti di Gran Bretagna, Francia e Italia in risposta al rifiuto di Hitler di accettare le clausole del trattato di Versailles (1919), che ponevano limiti al riarmo della Germania. La conferenza, comunque, si rivelò l'ultima dimostrazione di unità tra gli ex alleati della prima guerra mondiale contro l'antico nemico: il "Fronte di Stresa" si sciolse rapidamente a causa del perseguimento di strategie diplomatiche divergenti. Nel maggio del 1935 la Francia firmò un patto franco-sovietico con Stalin ed alcuni mesi dopo la Gran Bretagna inaugurò la sua politica di appeasement, stipulando unilateralmente un trattato con la Germania (trattato navale anglo-tedesco).  Pertanto la contraddittoria politica Inglese e Francese, unitamente alla scarsa coesione del Fronte di Stresa, convinse Mussolini di dover dotare l'Italia di un potente impero coloniale al più presto, come "retrovia" e riserva demografica, industriale, agricola e di materie prime in caso di un nuovo conflitto generalizzato in Europa. Giocoforza, questo impero non poteva che essere cercato in Abissinia, uno dei pochi territori africani ancora indipendente. La campagna fu condotta con un imponente dispiegamento di forze e vinta con relativa facilità. Dal punto di vista propagandistico, essa fu il più grande successo del regime fascista: riuscì a attirare intellettuali e perfino antifascisti attorno ai leitmotiv del posto al sole, della liberazione degli abissini dalla schiavitù e della rinascita dell'Impero Romano. L'invasione dell'Etiopia fu intrapresa nell'ottobre del 1935 con l'occupazione di Adua. La Società delle Nazioni intervenne con un appello alla cessazione del conflitto, accusando l'Italia di aver bombardato obiettivi civili, di aver fatto uso di gas asfissianti e di aver colpito bersagli protetti dalla Croce rossa. Il negus Hailé Selassié abbandonò la capitale Addis Abeba, che venne occupata il 5 maggio dalle truppe italiane, passate sotto il comando del maresciallo Pietro Badoglio. Quattro giorni dopo Mussolini in un discorso alla folla annunciò la nascita dell'impero dell'Africa Orientale Italiana, costituito da Eritrea, Somalia ed Etiopia, la cui corona fu assunta da Vittorio Emanuele III. Come conseguenza dell'aggressione all'Etiopia, l'Italia subì la condanna della Società delle Nazioni, che determinò un blocco commerciale del mar Mediterraneo e le sanzioni economiche condotte da 52 nazioni (fra cui tutte le potenze coloniali europee). Ciò favorì l'avvicinamento economico e politico dell'Italia alla Germania nazista (sebbene questa avesse rifornito di armi l'Etiopia in funzione anti-italiana sino a poco prima del conflitto), che era già uscita dalla Società delle Nazioni e aveva denunciato gli accordi di Versailles. Pertanto, lungi dal rafforzare economicamente il paese, la conquista dell’Etiopia in politica estera determinò l’allontanamento dalla Francia e dall’Inghilterra, spingendo l’Italia ad allinearsi in maniera crescente con la Germania nazista (1936: Asse Roma-Berlino, 1937: Patto Anticomintern ; 1939: Patto d'Acciaio in funzione offensiva). L’avvicinamento alla Germania di Hitler fu cementificato anche dall’introduzione in Italia dell’antisemitismo. Le leggi razziali in Italia furono una questione squisitamente politica priva di qualsiasi contenuto ideologico, poiché gli ebrei che vivevano in Italia erano perfettamente integrati nel tessuto sociale e mancava nella mentalità collettiva nazionale quel mito della superiorità della razza tanto sponsorizzato in Germania. L’emanazione delle leggi razziali avvenne nel 1938: vennero vietati i matrimoni tra ebrei ed i dipendenti dello stato. Gli ebrei non potevano possedere aziende o beni immobili che oltrepassassero un cero valore, né prestare servizio nella pubblica amministrazione, né assolvere al servizio militare. Vennero esclusi dalle scuole pubbliche. Tali provvedimenti non furono mai accettati dal popolo italiano che restò impermeabile alla campagna propagandistica del regime. 

Organo politico del regime fascista che divenne operante nel dicembre del 1922. Composto dai dirigenti che detenevano posizioni di rilievo sia nel governo sia nelle organizzazioni paramilitari, sindacali e politiche, fu concepito come uno strumento per la realizzazione dello stato fascista. Fu trasformato in un organismo istituzionale con una legge predisposta da Alfredo Rocco e promulgata il 9 dicembre 1928.

Corpo militare istituito da Mussolini nel 1923 allo scopo d’inquadrare e legittimare le Camicie Nere.

Legge di riforma elettorale emanata il 18 novembre 1923. Elaborata da Giacomo Acerbo, la riforma era intesa a favorire il Partito nazionale fascista. In base ad essa, infatti, alla lista che avesse ottenuto anche una lieve maggioranza relativa, cioè un numero di voti superiore a quello delle liste concorrenti, sarebbero spettati i due terzi dei seggi alla Camera; i seggi rimanenti sarebbero stati ripartiti proporzionalmente fra le altre liste.

Organizzazione ricreativa e paramilitare sorta durante il regime fascista, rivolta all'educazione morale, fisica e politica della gioventù secondo i valori del fascismo. Istituita nel 1926, organizzava i ragazzi dagli otto ai dieci anni nei "balilla" ed i giovani tra i dodici ed i diciotto anni negli "avanguardisti". Divenne nel 1928 l'unica associazione giovanile autorizzata: per questo motivo fu criticata dalle gerarchie ecclesiastiche che si sentivano minacciate in un terreno tradizionalmente da loro egemonizzato. L'organizzazione fu sciolta nel 1937 per essere assorbita nella Gioventù italiana del Littorio.

Sistema politico ed economico che si propone di superare l'antagonismo fra lavoratori e datori di lavoro, creando un sistema di mediazione degli interessi sotto l'egida dello stato. Il fascismo italiano adottò il corporativismo come forma istituzionale capace di promuovere la solidarietà nazionale e la produzione, subordinando gli interessi dei lavoratori e degli imprenditori all'interesse supremo dello stato. Le relazioni industriali sotto il fascismo, tuttavia, furono regolate sostanzialmente in modo autoritario attraverso il divieto di sciopero ed il Sindacato unico fascista, che era dotato di personalità giuridica pubblica. Le corporazioni furono inizialmente concepite come organi di collegamento tra le organizzazioni sindacali nazionali con compiti di conciliazione delle controversie di lavoro. L'ordinamento corporativo trovò piena attuazione legislativa nel 1934; nel 1939 il Consiglio nazionale delle corporazioni si fuse con il Consiglio nazionale del partito fascista per dare vita alla Camera dei fasci e delle Corporazioni. L'ordinamento corporativo italiano fu soppresso nel 1944.

Impresa pubblica fondata il 13 gennaio 1933 allo scopo di provvedere al salvataggio di alcune banche messe in difficoltà dalla crisi del 1929 (Banca Commerciale Italiana, Credito italiano, Banco di Roma) ed alla gestione delle aziende industriali in precedenza affidate all'Istituto di liquidazione creato dal governo nel 1926. Nel 1937 assunse il controllo e la gestione delle imprese a partecipazione statale, quelle cioè di cui lo Stato italiano era in qualche misura azionista; a tal scopo, l'IRI creò una serie di società finanziarie sotto il proprio controllo per i singoli settori di attività. Sino al 2002, anno in cui cessò di esistere perché sottoposto ad un processo di privatizazione, aveva inoltre il controllo dei trasporti aerei tramite il gruppo Alitalia, della società Autostrade, che gestisce la rete autostradale, e della RAI, nel campo delle comunicazioni radiotelevisive.

Politica di compromesso seguita, a costo di pesanti concessioni, dai governi britannico e francese nei confronti delle tendenze espansionistiche della Germania nazista e dell'Italia fascista negli anni Trenta. Dettata dalla convinzione di poter scongiurare una guerra europea, la politica di appeasement ("pacificazione") si tradusse fin dall'inizio in una serie di cedimenti di fronte alle mire aggressive italo-tedesche.

 

 

 

 

 

Fonte: http://liceoscientificomajorana.eu/wp-content/uploads/2013/07/ilregimefascista.doc

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Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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