Rivoluzioni inglesi del XVII secolo

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Rivoluzioni inglesi del XVII secolo

Le rivoluzioni inglesi del XVII secolo

La prima rivoluzione e la presa del potere di Cromwell

L'assolutismo di Carlo I. La politica assolutistica di Carlo I Stuart (1625-1649), condotta con l'appoggio del cancelliere Thomas Strafford e dell'arcivescovo anglicano William Laud, suscitò un generale malcontento, che venne esasperato dai provvedimenti fiscali impopolari e dal lusso della corte, ma soprattutto dal comportamento della monarchia in campo religioso. Nel 1639, infatti, il re cominciò a favorire apertamente la diffusione dell'anglicanesimo episcopale nella vicina Scozia, dove da tempo ormai era penetrato il presbiterianesimo.
La Scozia si ribella alla Chiesa anglicana. Fu allora che gli Scozzesi, maldisposti nei confronti della Chiesa anglicana, troppo gerarchizzata e docile alla volontà del sovrano, si ribellarono all'opera di anglicanizzazione, stabilendo un patto tra grande nobiltà e gentry (piccola e media nobiltà terriera) contro ogni innovazione religiosa (1639). Davanti a tanta risolutezza, sfociata in una vera e propria lotta armata, il re riconvocò il Parlamento per poter imporre nuove tasse e procurarsi così i mezzi finanziari indispensabili per soffocare la sommossa (aprile 1640).
Il Corto e il Lungo Parlamento. La nuova assemblea ebbe però vita breve. Essa infatti, invece di concedere sussidi, chiese al sovrano di rendere conto di tutte le illegalità commesse: si trattò di un primo passo verso un ridimensionamento dell'assolutismo regio. Di qui la decisione presa da Carlo I di procedere di nuovo al suo scioglimento, dopo meno di un mese di tumultuosa attività (Corto Parlamento, 13 aprile-5 maggio 1640). I successi conseguiti dagli insorti scozzesi lo obbligarono però a convocarne un altro, passato alla storia sotto il nome di Lungo Parlamento (1640-1653), formato questa volta da una maggioranza di puritani, che riuscirono ad imporsi al re per molti anni.
Premuto dall'accavallarsi degli eventi e dall'aggravarsi della guerra contro la Scozia e dalla ribellione dei cattolici irlandesi contro la discriminazione religiosa in atto ai loro danni, il re, pur di ottenere consistenti sussidi finanziari, si trovò costretto a fare diverse concessioni, tese a limitare sostanzialmente l'assolutismo monarchico.
I diversi schieramenti del “Lungo Parlamento”.
Moderati: detti Indipendenti, rappresentanti dei grandi proprietari terrieri e dei ricchi mercanti, pur aspirando a una società tendenzialmente democratica, erano conservatori e rispettosi della monarchia, nonché difensori dei privilegi dei ceti alti e delle differenze di classe.
Estremisti: Detti Levellers (livellatori), erano decisi a trasformare la rivoluzione politica in rivoluzione sociale a favore delle masse popolari; fautori della libertà di coscienza e dell'uguaglianza fra gli uomini, essi richiedevano una maggiore democraticità in campo religioso e politico; aspiravano all'instaurazione di un regime repubblicano e all'introduzione del suffragio universale.
Radicali: detti diggers (scavatori o zappatori), costituivano la minoranza che propugnava un'uguaglianza assoluta al di sopra e al di fuori di qualsiasi distinzione e perciò una messa in comune delle risorse economiche, e in particolare della terra.

Azione di forza del re contro il Parlamento. Ecco perché, allo scopo di evitare una piena capitolazione, Carlo I, prendendo spunto da una violenta insurrezione dei cattolici irlandesi, che, nel tentativo di reagire alla discriminazione religiosa posta in atto ai loro danni, avevano finito per massacrare ben 30.000 anglicani nell'Ulster (1641), decise nel 1642 di arruolare un forte esercito e di tentare una soluzione di forza contro il Parlamento arrestandone i capi più intransigenti e a lui ostili, sfruttando a tal fine anche i contrasti tra moderati ed estremisti in seno all'assemblea.
Scoppia da guerra civile. L'operazione contro il Parlamento tuttavia non riuscì: i principali esponenti dell'opposizione parlamentare, avvertiti in precedenza, riuscirono infatti a mettersi in salvo grazie anche all'appoggio della popolazione di Londra, la quale costrinse il re ad abbandonare la città, mentre il Parlamento stabiliva una stretta alleanza con gli Scozzesi ribelli. Si giunse così a una vera e propria guerra civile, che vide scontrarsi le classi conservatrici e feudali da una parte, e la borghesia e l'opposizione religiosa (puritana e indipendente) dall'altra, ovvero i seguaci del re, detti anche “cavalieri”, e i seguaci del Parlamento, definiti per disprezzo dagli avversari “teste rotonde” per il fatto che i loro capelli corti non erano coperti dalle tradizionali parrucche.
Cromwell si afferma come leader della rivoluzione. La lotta, all'inizio favorevole a Carlo I, si trasformò ben presto per lui in un vero e proprio disastro, anche per merito di un nobile di provincia, il puritano Oliver Cromwell (1599-1658), il quale nel corso della rivoluzione aveva dato prova di possedere ottime doti di soldato e di capo. Ripetutamente sconfitto, il sovrano cercò scampo presso gli Scozzesi nell'illusione di poter venire a un accordo con loro; essi invece lo tradirono, consegnandolo per 400.000 sterline al Parlamento (1647), che lo imprigionò. Carlo I però riuscì a fuggire, il che riaccese la guerra civile (1648), che si concluse con un nuovo arresto del re.
Decapitazione di Carlo I e ascesa al potere di Cromwell. A questo punto Cromwell, inflessibile nella sua volontà di mutamento politico e di imposizione della propria fede puritana, comprese che i tentennamenti del Parlamento nei confronti del re avrebbero fatto fallire la lotta. Decise quindi, con l'aiuto dell'esercito, di allontanare dal Parlamento tutti i membri palesemente legati alla monarchia e all'anglicanesimo, che avrebbero probabilmente tentato di evitare l'esecuzione del sovrano; successivamente sottopose al giudizio dei parlamentari rimasti lo stesso re Carlo I, che il 30 gennaio 1649 fu condannato a morte per decapitazione come tiranno e traditore del popolo.
La proclamazione della repubblica. Era la prima testa di re che cadeva sotto la scure rivoluzionaria: si trattò di un evento sconvolgente, che aprì all'Inghilterra la via verso un'esperienza repubblicana, seppur di carattere moderato e di breve periodo, e che fece intravedere un nuovo modo di intendere i rapporti tra governanti e governati: i re, d'ora in poi, sapevano di poter essere abbattuti non solo da rivali o nemici esterni, ma dal loro stesso popolo. A quel punto, dopo che il Parlamento ebbe a proclamare ufficialmente decaduta la monarchia, Cromwell, forte ormai dell'appoggio dell'esercito, con un'apposita legge fece dichiarare l'Inghilterra una “libera repubblica governata dai rappresentanti del popolo” (maggio 1649). Approfittando inoltre del fatto che contro la nuova repubblica o Commonwealth, (nome assegnato al governo repubblicano nel 1649 dopo l'esecuzione di Carlo I e rimasto in vigore fino alla restaurazione degli Stuart nel 1660) le più potenti dinastie europee di Spagna, Francia e Austria non avevano reagito soprattutto perché sorprese dal regicidio, Cromwell già nel 1650 si impegnò nella rivolta dei cattolici irlandesi, ancora una volta insorti in seguito al trionfo del puritanesimo e al conseguente timore di nuove persecuzioni.
Cromwell sconfigge gli Irlandesi e gli Scozzesi. Nei confronti della rivolta degli Irlandesi egli condusse una battaglia talmente aspra e cruenta che molti di essi si videro costretti ad abbandonare il Paese e ad emigrare nel Nuovo Mondo, al punto che tra il 1641 e il 1651 la popolazione irlandese risultò dimezzata. Subito dopo egli si rivolse contro gli Scozzesi, che nel frattempo avevano proclamato loro re Carlo II Stuart, figlio del precedente sovrano, e riuscì a batterli in campo aperto.
In tal modo Inghilterra, Scozia e Irlanda ritornarono alla pace, anche se sotto il peso della dittatura, che Cromwell esercitava con il titolo di “Lord protettore di Inghilterra, Scozia e Irlanda”: titolo, che si attribuì nel 1653 e che, unitamente a tutti i diritti (compreso quello dell'ereditarietà) propri dei re d'Inghilterra, mantenne fino alla morte (1658).

 


La dittatura di Cromwell

La politica interna di Cromwell. Dopo aver raggiunto la pacificazione interna e aver momentaneamente sedato le contraddizioni sociali e religiose, Cromwell perseguì una politica inedita nel resto dell'Europa, soprattutto perché mantenuta con grande abilità in equilibrio tra l'autoritarismo e l'egualitarismo democratico dei Levellers (estremisti) e dei Diggers (radicali), equilibrio certamente rassicurante per la maggior parte della popolazione, che non voleva sostenere più a lungo le incertezze e i disordini di un aspro scontro sociale. Così facendo, Cromwell perseguì ancora una volta gli interessi di quei proprietari terrieri e di quella borghesia commerciale puritana che lo avevano portato al potere e costituivano la vera forza politica e morale del Paese.
Cromwell infatti incentivò con ogni mezzo lo sviluppo e il potenziamento della proprietà privata e stimolò il commercio mediante una legislazione volta a eliminare i privilegi locali e a ridurre il prelievo fiscale. Abolì inoltre tutta una serie di privilegi riconosciuti ai nobili, come quello di poter sfuggire alla magistratura ordinaria per essere giudicati solo da un tribunale di pari, di poter godere dell'immunità dalle pene corporali e dall'arresto a causa di debiti e di poter esigere - specie nelle campagne - vecchi diritti feudali. Notevole fu anche lo sforzo compiuto per la moralizzazione del Paese: egli infatti ricercò la pacificazione religiosa attraverso una politica di tolleranza, che però non riguardava i cattolici, visti come nemici pubblici in quanto filomonarchici e considerati soprattutto eredi di quell'astio religioso che si era venuto accumulando fin dal tempo della Riforma. Provvide anche a instaurare un rigido controllo sulla moralità pubblica, preoccupandosi soprattutto di determinare nel cittadino piena fiducia nella forza e nella presenza effettiva della legge, estesa a tutto il Paese.
La politica estera di Cromwell. I maggiori successi di Cromwell vennero conseguiti però in politica estera: infatti egli provvide all'ampliamento della flotta e attuò un'intraprendente espansione commerciale sul mare. Operando in tal senso, era inevitabile uno scontro sia con l'Olanda o Repubblica delle Province Unite, divenuta l'incontrastata dominatrice dei traffici marittimi, sia con la Spagna, che, nonostante le sconfitte subite nell'ultimo periodo della guerra dei Trent'anni, costituiva ancora la maggiore potenza coloniale del mondo.
L'Atto di navigazione contro l'Olanda. Fu appunto contro l'Olanda che Cromwell, sulla base di una spregiudicata politica di emancipazione economica, promulgò il 9 ottobre del 1651 l'Atto di navigazione, rimasto poi in vigore per circa due secoli, con il quale - oltre a limitare il diritto di pesca nelle acque territoriali inglesi - stabiliva che potessero giungere nell'isola solamente merci trasportate da navi inglesi. Tale iniziativa, oltre a essere a vantaggio del commercio esercitato dagli Inglesi, era nella sostanza un atto di aperta ostilità verso gli Olandesi, che dal trasporto per conto terzi e dal commercio internazionale fra l'Oriente e l'Europa ricavavano cospicui guadagni. Ne derivò una serie di guerre tra i due Paesi, che si protrassero con varie interruzioni dal 1652 al 1783 e segnarono l'inizio del predominio inglese sui mari e nel contempo il declino del primato commerciale ed economico dell'Olanda.
La guerra contro la Spagna. Il successo ottenuto sul fronte olandese indusse poi Cromwell a esercitare una politica aggressiva anche contro la Spagna, la quale, non avendo sottoscritto la pace di Westfalia, si trovava ancora in uno stato di più o meno aperta belligeranza con la Francia. E proprio a fianco di quest'ultima e del Portogallo, liberatosi nel frattempo dalla tutela spagnola, egli intervenne nella lotta. La vittoria che ne seguì permise agli Inglesi di ottenere la ricca isola di Giamaica nelle Antille, preziosissima base per quella politica di espansione coloniale a largo respiro verso cui l'Inghilterra si stava sempre più orientando, e di assicurarsi nello stesso tempo la piena libertà di azione negli scali atlantici del Portogallo.
Il dispotismo di Cromwell favorisce il ritorno del re. Malgrado i vantaggi conseguiti, il peso della dittatura esercitata da Cromwell si faceva sempre più chiaramente avvertire anche a causa dei soprusi e delle brutali violenze di cui si rendeva protagonista l'esercito del dittatore, preparando così la strada al ritorno della monarchia.

La restaurazione della monarchia

Il ritorno della monarchia. La dittatura di Cromwell non ebbe comunque seguito. Alla sua morte (1658) gli succedette il figlio Richard, uomo di scarso ingegno e di poca energia. Dopo neppure un anno di governo, di fronte alla crescente ostilità del Parlamento e dell'esercito, egli infatti preferì abbandonare il potere e ritirarsi a vita privata. La difficile situazione che ne seguì e che determinò la spaccatura tra monarchici e repubblicani indusse i moderati - timorosi di vedere il Paese nuovamente in preda a disordini incontrollabili - ad appoggiare il generale e uomo politico George Monk (1608-1670), il quale, inalberando il vessillo reale degli Stuart, invase l'Inghilterra alla testa dell'esercito scozzese e nel febbraio 1660 marciò vittoriosamente su Londra. Convocato un nuovo Parlamento, Monk fece votare la restaurazione dell'autorità regia e il ritorno al potere della dinastia degli Stuart nella persona del figlio di Carlo I, Carlo II (1660-1685), il quale già in precedenza si era impegnato a concedere un'amnistia e a tutelare la libertà di coscienza, oltre che a mantenere l'ordine e a rispettare la legge.
Il governo di Carlo II Stuart. Dopo essere ritornato al potere nel 1660, accolto dal favore generale, Carlo II Stuart dimenticò la promessa, fatta prima di essere richiamato al trono, di rispettare il Parlamento e le conquiste democratiche ottenute dalla rivoluzione. Ben presto, infatti, egli ritornò alla politica assolutistica paterna, favorendo il regime di privilegio goduto dai nobili e dalla Chiesa episcopale anglicana, da sempre sostenitori del potere regio, e perseguitando i seguaci di Cromwell.
Difesa dell'anglicanesimo e limitazione del potere del re. Di qui un grave stato di tensione dentro e fuori dal Parlamento, al punto che il sovrano, spaventato dalla minaccia di una nuova rivoluzione, fece approvare due importantissime leggi, volute dalla Camera dei Comuni e destinate da allora a garantire in Inghilterra la libertà individuale contro ogni arbitrio del potere regio e a impedire il ritorno all'assolutismo:
1) il Test Act (Atto di prova), del 1673, che prevedeva l'ammissione alle cariche pubbliche solo per i seguaci della religione anglicana. Tale provvedimento era stato voluto dal Parlamento per abrogare il Decreto di indulgenza (1672) emesso da Carlo II, con il quale il re formalmente riconosceva la libertà di culto anche a coloro che non appartenevano alla fede anglicana, ma di fatto favoriva i cattolici, per compiacere la Francia di Luigi XVI, che gli garantiva cospicui aiuti economici.
2) L'Habeas Corpus Act del 1679, che vieta l'arresto arbitrario e illegale dei sudditi e il carcere preventivo, conferendo solo al magistrato il potere di decidere della legalità dell'arresto. Questa legge, unitamente alla Magna Charta e alla Petizione dei diritti, sarà destinata a costituire uno degli elementi fondamentali dell'ordinamento politico inglese.
Due contrapposti partiti per la successione. Il Parlamento si occupò anche del problema della successione. Poiché il sovrano era privo di figli, il trono doveva passare al fratello Giacomo (duca di York), fervente cattolico. Di qui la formazione nel Parlamento di due partiti: quello dei Whigs, favorevoli all'esclusione del duca dalla successione; e quello dei Tories, favorevoli invece alla legalità e quindi alla successione.
I due partiti, espressione rispettivamente della borghesia e della nobiltà, avrebbero in seguito assunto un peso sempre maggiore nella vita politica inglese: i primi, i Whigs, rappresentanti della borghesia e quindi dei grandi interessi commerciali e delle ambizioni marittime e coloniali, erano di indirizzo progressista e liberale nonché convinti sostenitori della libertà religiosa; i secondi, i Tories, rappresentanti della nobiltà e quindi tradizionalisti e conservatori, erano invece legati all'anglicanesimo e agli interessi della proprietà terriera.

 

La “gloriosa rivoluzione” e la monarchia costituzionale

Il breve regno di Giacomo II. Alla morte del re Carlo II (1685), alcuni gravi dissensi tra i Whigs finirono per favorire i Tories, che prevalsero in Parlamento e ratificarono la regolare successione dinastica di Giacomo II (1685-1688), il cui breve regno fu travagliato da violente lotte religiose. La sua politica filocattolica inasprì tanto i suoi avversari quanto i suoi sostenitori, per cui il Parlamento decise di offrire la corona d'Inghilterra al principe protestante Guglielmo III d'Orange (1650-1702), stadhouder (cioè comandante supremo dell'esercito) d'Olanda e marito di Maria Stuart, anch'ella protestante e figlia del re Giacomo II.
La “gloriosa rivoluzione” di Guglielmo III. Dopo lo sbarco di Guglielmo III in Inghilterra nel novembre 1688 e la sua rapida e trionfale marcia su Londra, Giacomo II fu costretto ad abbandonare Londra e a cercare rifugio in Francia. Fu per l'appunto questa “gloriosa rivoluzione” a consolidare il sistema parlamentare in Inghilterra. Guglielmo III, infatti, prima di essere incoronato sottoscrisse nell'aprile 1689 la Dichiarazione dei diritti (Bill of Rights), già emanata dal Parlamento nel mese di gennaio al fine di circoscrivere i poteri della corona: questo atto segnò la fine della monarchia assoluta, in quanto negava al re la facoltà di sospendere l'applicazione di una legge, di esigere tasse per uso personale, di mantenere un esercito in epoca di pace, e nello stesso tempo al Parlamento garantiva piena libertà di parola, immunità ai suoi rappresentanti per le idee sostenute, oltre a libere votazioni e a un regolare funzionamento dell'assemblea.
L’affermazione della monarchia parlamentare costituzionale. Un primo decisivo passo era stato così compiuto: ma non sarebbe rimasto l'unico. La sovranità, infatti, era passata al Parlamento, ma il re poteva continuare a esercitare una politica personale, in quanto gli era stato riconosciuto il diritto di designare in piena autonomia i ministri. Di qui l'origine di nuovi attriti, spesso così gravi da indurre il nuovo sovrano a scegliere i propri collaboratori di governo su indicazione della maggioranza parlamentare. Nasceva così la monarchia parlamentare costituzionale, cioè una monarchia disposta ad accettare nell'amministrazione del Paese la collaborazione del Parlamento in veste di rappresentante della volontà della nazione, e rispettosa dei diritti dei cittadini fissati da una “Costituzione” qual era la Dichiarazione dei diritti.
Tale sistema continuava però ad escludere la popolazione nella sua generalità dalla vita politica. Infatti, mentre i membri della Camera alta o dei Lords erano tali per diritto ereditario o per nomina reale, quelli della Camera dei Comuni erano eletti dalle classi più ricche, cui era riservato il privilegio di sedere sui banchi del Parlamento grazie anche all'arma della corruzione, diffusamente usata pur di conservare la maggioranza e quindi il potere. L'affermazione del sistema parlamentare, tuttavia, pur segnando soltanto l'inizio della complessa storia dell'Inghilterra moderna, costituì una tappa importante verso la democrazia in un'Europa, nella quale facevano ancora sentire tutto il loro peso le numerose monarchie per diritto divino.


LEVELLERS: DEMOCRAZIA E LIBERTÀ
J. Liburne, W. Walwyn, T. Prince, R. Overton, I dibattiti di Putney, 1647
"La suprema autorità d'Inghilterra e dei territori in essa incorporati sarà e risiederà d'ora in avanti in una Rappresentanza del popolo composta da quattrocento persone [...].
Non diamo il potere di arruolare o costringere chicchessia a prestare servizio in guerra, sul mare o per terra, giacché la coscienza di ogni uomo deve essere persuasa della giustezza della causa per la quale egli arrischia la propria vita o può distruggere quella altrui [...]. Nessun parlamento avrà il potere di conservare o di creare leggi, che proibiscano o restringano la facoltà di chiunque di commerciare o trafficare con qualsiasi luogo d'oltremare dove altri cittadini di questa nazione siano liberi di commerciare.
DIGGERS: LA TERRA PATRIMONIO COMUNE
Gerard Winstasnley, capo politico dei Diggers, Alziamo la bandiera degli scavatori, 1649
Ricordate bene che l'Inghilterra non sarà un popolo libero fino a che i poveri senza terra non avranno pieno diritto di zappare e lavorare le terre comunali e vivere altrettanto bene che i proprietari terrieri nelle loro terre recintate. Il popolo non ha speso il suo denaro, o sparso il suo sangue, perché i proprietari terrieri avessero ancora la libertà di governare tirannicamente attraverso i Lords, i proprietari terrieri, i giudici, gli amministratori o i funzionari di stato: ma perché gli oppressi fossero liberati, le porte delle prigioni aperte, e il cuore dei poveri confortati dall'unanime decisione di fare della terra un patrimonio comune.
Cromwell. Appartenente alla piccola nobiltà terriera, Cromwell è animato da un'ardente fede puritana, che lo porta ad opporsi tanto al potere monarchico quanto all'episcopalismo anglicano, che ne costituiva il supporto religioso. Allo scoppio della rivoluzione, si mette a capo dei rivoltosi, riuscendo a creare un forte esercito nazionale (detto "Nuovo Modello"), con cui sconfigge le forze realiste e occupa Londra (1647). In seguito al tentativo di restaurazione di Carlo I, decide di passare a una soluzione di forza: espelle dal Parlamento i moderati (fautori di una monarchia costituzionale), fa decapitare Carlo I e proclama la Repubblica (1649), di cui assume il titolo di "Lord protettore". Deciso a reprimere con la forza le molteplici correnti politiche che agitavano il blocco rivoluzionario, nel 1653 scioglie il Parlamento e instaura una ferrea dittatura, concentrando su di sé ogni potere, con il diritto di nominare un proprio successore (negando quindi un criterio democratico nella scelta del futuro capo del governo).
Cromwell si crede investito da Dio della mistica missione di elevare spiritualmente il popolo e condurlo verso la santità, imponendo con la forza un rigido moralismo. In tal modo, per assurdo, egli realizza quell'assolutismo intollerante e liberticida che Carlo I non era riuscito ad instaurare. Occorre però tenere presente che la dittatura cromwelliana si basa su forze sociali (borghesia mercantile, piccola nobiltà agraria, popolo minuto londinese) antagoniste a quelle su cui si fondava l'assolutismo regio (nobili e ricchi borghesi), e che per questo rappresenta un evento profondamente innovativo, destinato ad aprire la strada alla concezione moderna della politica.
Dal Bill of Rights allo Stato di diritto. Il Bill of Rights segna il passaggio dalla monarchia assoluta a quella costituzionale. Nella prima il potere del sovrano è illimitato e incondizionato, nella seconda invece viene limitato e regolato dall'esistenza di una legge fondamentale, la Costituzione per l'appunto, che anche il re deve applicare. Si tratta della prima espressione di un principio che rimane basilare anche negli attuali ordinamenti statali: prova ne sia che ancora oggi alcuni articoli del Bill of Rights si ritrovano nelle Costituzioni di tutti gli Stati che compongono la federazione americana.
Anche oggi questo principio viene solitamente tradotto con l'espressione "Stato di diritto", per sottolineare il fatto che, all'interno di uno Stato, tutti e allo stesso modo sono sottoposti al diritto. Il presupposto dello Stato di diritto, infatti, è che in esso non sono gli uomini a comandare, ma il diritto. Ecco perché tutti i poteri devono essere regolati e limitati dalla legge. Così i cittadini non possono vantare diritti naturali e originari, come faceva il sovrano fino al XVII secolo. In compenso, però, essi sono titolari di diritti e di libertà riconosciuti e garantiti dalla legge e dalla fedele applicazione di questa fanno i giudici.
La Dichiarazione dei diritti: la fine della monarchia assoluta
I Comuni dichiarano:
1. che il preteso potere di sospendere le leggi, o l'esecuzione delle leggi, per autorità regia, senza il consenso del Parlamento, è illegale;
2. che il preteso potere di dispensare dalle leggi, o dall'esecuzione delle leggi, per autorità regia, com'è stato affermato ed esercitato recentemente, è illegale;
4. che imporre tributi in favore o ad uso della Corona, per pretese prerogative, senza l'approvazione del Parlamento è illegale;
5. che i sudditi hanno il diritto di petizione al Re, e ogni incriminazione o persecuzione per tali petizioni è illegale;
6. che riunire e mantenere nel Regno in tempo di pace un esercito stabile, se non vi è il consenso del Parlamento, è contro la legge;
7. che i sudditi Protestanti possono tenere armi per loro difesa adeguate alla loro condizione e permesse dalla legge;
8. che l'elezione dei membri del Parlamento deve essere libera;
9. che la libertà di parola e di discussione o di stampa in Parlamento non deve essere impedita o contestata in nessuna Corte o luogo fuori del Parlamento.


Presbiterianesimo.

Chiesa anglicana.

Il Parlamento inglese.

Puritani.

L’Ulster.

Il concetto di “morale”.

La Magna Charta.

La Petizione dei Diritti.

La Dichiarazione dei Diritti.

Episcopalismo.

L’esercito repubblicano.

 

Fonte: http://sandroarcais.altervista.org/Quarta_Storia_RivoluzioniInglesi.doc

Sito web da visitare: http://sandroarcais.altervista.org/

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