Storia arte e cultura nel 1800

Storia arte e cultura nel 1800

 

 

 

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Storia arte e cultura nel 1800

ROMANTICISMO

Considerazioni preliminari

Come l'Illuminismo, il Romanticismo non va considerato un corpo omogeneo di dottrine filosofiche, estetiche o politiche, ma piuttosto come una nuova sensibilità culturale, un atteggiamento spirituale, che caratterizza in genere la cultura dell'Ottocento.

Rispetto all'Illuminismo, il Romanticismo appare più sfuggente nei suoi caratteri, ed è assai difficile darne una definizione univoca. Tanto più che i suoi tratti culturali variano enormemente da un paese all'altro (c'è un Romanticismo tedesco, uno francese, uno italiano ecc.). Neppure sulla cronologia si può essere troppo drastici, giacché, se il periodo aureo del Romanticismo si situa nei primi decenni dell'Ottocento, quasi tutta la cultura di questo secolo è in realtà influenzata da una diffusa sensibilità di tipo romantico. 

Tuttavia, in senso stretto il "Romanticismo" è soprattutto quello TEDESCO, in quanto è la Germania ad essere la patria d'origine di questo nuovo fenomeno culturale. Questa osservazione deve considerarsi valida anche per la FILOSOFIA DELL'ETA' DEL ROMANTICISMO, che coincide quasi esclusivamente con la tipica espressione della cultura filosofica tedesca di questo periodo: l'IDEALISMO SPECULATIVO.

Per quanto riguarda la filosofia, si dovrà considerare come tra "Romanticismo" e "Idealismo filosofico" ci sia anche una precisa distinzione, essendo il primo una tipica atmosfera culturale, una sensibilità comune a scrittori, poeti e filosofi del periodo, mentre il secondo è la tipica espressione che i filosofi dell'età del Romanticismo davano ai loro problemi speculativi.

Posto ciò, i principali esponenti dell'idealismo filosofico sono ovviamente tutti tedeschi, e sono: Johann Gottlieb FICHTE (1762-1814), Friedrich Wilhelm SCHELLING (1775-1854), Georg Wilhelm Friedrich HEGEL (1770-1831). Riguardo all’età del Romanticismo, saranno appunto questi tre autori l'oggetto principale del corso di filosofia, anche se il loro approfondimento sarà preceduto da una presentazione generale del fenomeno romantico e da una breve considerazione di alcuni dei più significativi aspetti della cultura tedesca a cavallo tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento.

Origini del movimento romantico

Il Romanticismo nasce storicamente in Germania nel 1798, quando un gruppo di intellettuali tedeschi dà vita, a Jena, ad un cenacolo letterario e ad una rivista dal nome "ATHENAEUM". Animatori del gruppo furono i fratelli Wilhelm August e Friedrich SCHLEGEL, il poeta NOVALIS, lo scrittore TIECK, il giovane filosofo SCHELLING e qualche altro (che costituirono appunto il cosidetto "gruppo di Jena", poi discioltosi nel 1800).

In contatto con numerosi altri esponenti della cultura tedesca del tempo (un altro importante gruppo romantico si era costituito a Berlino, per iniziativa del filosofo e teologo Schleiermacher), questi primi romantici erano tutti imbevuti di filosofia fichtiana (una sorta di prosecuzione del pensiero di Kant; Fichte insegnava appunto a Jena, che tra l'altro era anche la roccaforte dei kantiani).

Come vedremo più avanti, FICHTE aveva raccolto le conclusioni del dibattito filosofico postkantiano, inaugurando così la filosofia dell'IDEALISMO. E cioè, aveva interpretato Kant in maniera affatto originale partendo dall’eliminazione del controverso concetto di "cosa in sé" (la realtà esterna al soggetto) ed attribuendo tutto il mondo della conoscenza alla produzione del soggetto pensante (ovvero: non potendo noi sapere nulla delle cose in sé che stanno oltre il nostro pensiero, per noi il mondo è realmente come lo immaginiamo attraverso i nostri pensieri, ed è perciò sempre il frutto di una costruzione dello spirito umano; come tale, il mondo del conoscere è anche la realizzazione concreta, sempre "in fieri", di un'IDEA in senso kantiano).  

Questo genere di interpretazione del kantismo, molto soggettivistica e aperta ad istanze anche non propriamente razionali, magari di tipo sentimentale ed estetico (l'immagine che ci facciamo della realtà è infatti legata anche a ciò che sentiamo sia veramente la sua natura, per cui spesso alla base delle nostre conoscenze c'è piuttosto una intuizione fondamentale: un vero e proprio sentimento dell'"Assoluto") doveva entusiasmare i primi romantici, anche perché era sostanzialmente nell'"aria", visto che andava incontro ad istanze culturali piuttosto diffuse nella sensibilità dell'epoca.

Questo perlomeno in Germania, dove già si era espressa una certa irrequietezza nei confronti di un certo tipo di cultura illuministica, che ormai era sentita per molti aspetti sorpassata. Ma in particolare, il cedimento dell'Illuminismo era apparso molto chiaramente nell'esperienza (straordinariamente significativa) di un gruppo di giovani intellettuali, al quale si deve appunto la nascita del cosidetto "STURM UND DRANG" ("tempesta ed impeto").

 

Lo STURM UND DRANG (1770-75)

Lo “STURM UN DRANG” è un movimento letterario e poetico, dalla vita piuttosto breve ma eccezionalmente intensa. Nato intorno al 1770, prende il nome dall'omonimo dramma di Friedrich Klinger, il quale fu uno degli esponenti del gruppo assieme al giovane Goethe, ad Herder, al primo Schiller e a vari altri (tra cui si può associare anche Hamann (al quale si devono molti atteggiamenti e suggestioni poi ripresi dallo Sturm).

Per molti aspetti gli "Stürmer und Dränger" sono già "preromantici", anche se non sono completamente fuori dall'Illuminismo, perché il loro punto di riferimento principale è ROUSSEAU.
Partendo appunto dalla rivalutazione russouiana del SENTIMENTO, e in generale dalla tipica tesi di Rousseau secondo la quale la CIVILTA' SI E' SVILUPPATA A SPESE DELLA NATURA, corrompendo l'uomo e privandolo sempre di più della libertà, gli "Stürmer und Dränger" iniziano infatti ad attaccare il "mito" della ragione illuministica.

Questo perché l'Illuminismo appare a loro come l'espressione di quella civiltà moderna che ha prodotto una forma di vita completamente artificiale e disumanizzata, nella quale non c'è più posto per il sentimento, l'istintività e la spontaneità proprie della libertà autentica.

Per l'uomo moderno, infatti, tutto è mediato e controllato dalla riflessione, dalle convenzioni più innaturali ed astratte, nate da un tipo di "ragione" sociale che conosce solo le categorie dell'"utile" strumentale e del "necessario", sia in senso individuale che collettivo.

Si tratta di un atteggiamento che rispecchia una società basata interamente su rapporti di forza e di interesse personale, di grettezza utilitaria e di dominio dell'uomo sull'uomo; un tipo di società dalla quale non può scaturire altro che la diseguaglianza e la tirannia politica (come faceva ben intendere Rousseau nel "Discorso sull'origine della diseguaglianza"). 

Con questo, evidentemente, gli "Stürmer" non intendevano affatto rinnegare le aspirazioni illuministiche ad una cultura capace di liberare l'uomo dalle catene dell'oppressione, ma solo giungere alla affermazione che la "Ragione" illuministica non sempre è lo strumento più adatto.

D'altra parte, queste considerazioni partivano anche da un dato di fatto storico, perché gli intellettuali tedeschi avevano alle spalle la deludente esperienza dell'Illuminismo tedesco, il quale, con il suo servile moderatismo politico, alla fine non aveva fatto altro che legittimare il potere assoluto dei cosidetti "sovrani illuminati". Questo perché, in un paese arretrato come la Germania, privo di una borghesia sviluppata, gli illuministi avevano considerato "utile" al progresso sociale (e dunque "ragionevole"), il mantenimento dell'assolutismo politico (essendo il popolo troppo "ignorante" e "immaturo" dal punto di vista civile per sottrarsi alla tutela dei sovrani).

Si capisce allora perché, in Germania, nella seconda metà del Settecento, fare i radicali poteva significare l'assunzione di posizioni alquanto critiche verso la cultura illuministica ufficiale: era un modo come un altro per contestare l'idea di un potere assoluto, forse anche "razionale", ma pur sempre calato dispoticamente dall'alto. Un potere – per intenderci- come quello di un sovrano illuminato come FEDERICO II di Prussia, che poteva bene pavoneggiarsi nelle vesti di autocrate riformatore, saggio e "illuminato" (e passare addiritura come il campione della "ragione" europea, in quanto amico e protettore di molti filosofi illuministi, tra cui lo stesso Voltaire), pur rimanendo di fatto un despota assoluto.

Insomma, essendo questa una situazione del tutto normale in Germania, appare chiaro che una espressione culturale di ribellione contro l'immobilismo della società tedesca, di contestazione dell'assolutismo, e di rivendicazione dei diritti individuali alla libertà, non poteva infine che rivoltarsi contro l'Illuminismo stesso (magari in nome della stessa libertà del sentimento popolare e delle sue espressioni più genuine).

Questo è appunto il caso degli “Stürmer und Dränger", che non solo rivendicano al "genio" poetico la funzione di esprimere la vera voce profonda del popolo, ma esprimono pure un individualismo ribelle di stampo quasi anarchico, sotto il quale si celano in realtà tendenze politiche libertarie molto radicali (e comunque decisamente democratiche, per l'effetto dell'ispirazione roussoiana).

Da dire però che lo Sturm non esprime queste istanze direttamente, in modo politico, quanto sotto la forma della polemica letteraria ed estetica, diretta in particolare contro il classicismo settecentesco.

Ed è per questo che lo Sturm contrappone in genere la POESIA DEL POPOLO, frutto della spontanea libertà del "genio popolare" alla poesia artificiosa ed innaturale del classicismo di stampo francese che era allora di moda nelle corti germaniche.

Inoltre, tipicamente, gli "Stürmer" esaltano il TITANISMO e lo SPIRITO RIBELLE della gioventù, che reclama i diritti naturali della libertà contro la rigidità ossificata delle convenzioni sociali imposte dall'alto, e dunque considerano solo il SENTIMENTO e la PASSIONE quali unici criteri di autenticità morale ed etica.

D'altronde, non sono i precetti di una morale astratta e consuetudinaria ad avvicinarci al senso profondo della vita, perché solo il "cuore" riesce a far percepire all'uomo quel corretto rapporto originario con la NATURA che la civiltà ha obliato e corrotto. La NATURA stessa, infatti, è stata falsificata dalla civiltà moderna e dalla sua astratta "razionalità" scientifica, in quanto di una cosa vivente si è fatto una morta macchina materiale assolutamente priva di vita e di libertà.

L'impeto ribelle degli "Stürmer und Dränger" riconosce così nella vitalità e nella spontaneità della natura il vero significato della libertà, in quanto essa coincide con ciò che vi è di più autentico nella stessa passionalità profonda dell'uomo.

Ed è degno di nota proprio il completo rifiuto da parte di questi intellettuali preromantici del concetto illuministico di NATURA, al quale viene opposta una concezione tipicamente VITALISTICA (=la natura come un tutto vivente) e PANTEISTICA (= Dio è la natura) di stampo spinoziano (Goethe in particolare combatterà con forza quello che egli giudicava il pessimo materialismo meccanicistico del Settecento, che riduce l'uomo stesso a macchina inerte).

Chiaramente, qui non si trattava affatto di tornare al teismo tradizionale, ma di recuperare il senso della sacralità divina di una "natura" intesa in senso un pò paganeggiante e mistico, con la quale si intendeva in realtà difendere la libertà di tutto ciò che è spontaneo e vitale nell'uomo.

Come vedremo, gli "Stürmer und Dränger" anticipano così una parte importante dei caratteri principali del successivo Romanticismo, anche se bisogna dire che la loro stagione fu molto breve, e non durò più di un lustro (nel 1775 il gruppo si era già sciolto). Tuttavia, personaggi come Goethe e Schiller, oppure Herder, continuarono ad esercitare una straordinaria influenza sulla cultura tedesca degli anni successivi, anche se la loro "tempesta" di ribellione giovanile si calmerà abbastanza presto, anche da un punto di vista politico.
Partiti infatti da posizioni roussoiane e quasi anarchiche, e in ogni caso decisamente filogiacobine (almeno all'inizio), gli "Stürmer" approderanno tutti a posizioni molto più moderate dopo la Rivoluzione. Stesso percorso vedremo poi in quasi tutti i principali autori romantici della generazione successiva, i quali passeranno regolarmente dall'entusiasmo rivoluzionario della gioventù a posizioni spesso filoconservatrici, e talvolta persino reazionarie.
Inoltre, bisogna aggiungere che, per motivi storici abbastanza evidenti, accadeva pure che l'irrequietezza di questi intellettuali di fine Settecento e di inizio Ottocento non andava mai al di là della sublimazione letteraria ed estetica, o anche filosofica, dei reali conflitti della loro epoca. In generale, avremo ampio modo di osservare come nell'ideologia tipicamente borghese della cultura dell'età del Romanticismo tutto venga sempre rappresentato nel mondo fatato delle idee e delle concezioni estetiche o filosofiche. La realtà viene appunto quasi sempre deformata attraverso lo specchio di una coscienza culturale tormentata, ma proprio per questo costantemente tentata dalla facilità di dare una soluzione puramente ideale ai propri contrasti.
Vedremo infatti come alla sensibilità romantica in genere, l'"Idea" di un mondo riconciliato e armonico non serva affatto per mutare la storia, ma solo per sopportare la tragicità della vita, dandogli un senso e una direzione ideale. Per molti Romantici, la "Rivoluzione" (la possibilità cioè di un mondo rigenerato e giusto), era ormai un sogno puramente utopico, che solo pochi pazzi potevano ancora coltivare come possibile. La storia aveva già dimostrato che l'"Idea" non si può calare di colpo nella realtà senza generare terrore e devastazione. 

 

Hamann

Passando adesso ad esaminare rapidamente gli autori appena citati, sarà bene fissare alcuni punti di riferimento essenziali. Per quanto riguarda Johann Georg Hamann (1730-1788) bisogna subito dire che non si tratta propriamente né di uno “Stürmer” né (ovviamente) di un romantico. Però Hamann suscitò una straordinaria influenza sulle generazioni sturmeriane e romantiche, e più in generale su tutta la cultura tedesca di fine Settecento.

Curiosa figura di letterato, filosofo e teologo, Hamann viveva a Königsberg (la città di Kant) come semplice impiegato della dogana, coltivando interessi  letterari e filosofici legati soprattutto ai temi della religiosità tradizionale luterana.

Di Hamann è notevole soprattutto la concezione della poesia che egli andava diffondendo nei suoi scritti, nei quali, già dal 1762 (nell'"Aestetica in nuce") aveva rivendicato l'importanza dell'immaginazione e delle passioni contro le estetiche razionalistiche del Settecento

Secondo Hamann (che qui sembra ripetere il filosofo napoletano del primo Settecento Giovan Battista VICO) la poesia è la vera lingua originaria dell'umanità, perché tutta la conoscenza e la felicità dell'uomo è fatta di immagini e di passioni, e perché lo stesso Creatore ha voluto parlare all'uomo attraverso immagini.
Insomma: la natura stessa -che è la diretta manifestazione di Dio- è per l'uomo la concreta e visibile esperienza della vita divina che è in noi, e che non si può assolutamente ridurre allo scheletro matematico della ragione scientifica.
In questo senso, la natura è il libro vivente della divinità, e come tale può essere veramente compresa solo dalla vita, o da qualcosa che nasce dalla vita stessa. Per questo, solo il POETA (in quanto la poesia è espressione della vita) è capace di coglierne l'autentico significato (cioè il divino che in essa si manifesta).

L'intelletto scientifico, invece, "uccide" la natura, perché i suoi procedimenti analitici e dimostrativi non colgono l'unità organica del "Tutto" che ne spiega la vitalità profonda.
E se non è la "ragione" a comprendere la natura, solo la poesia, secondo Hamann, è veramente capace di farlo, quasi come se essa fosse una sorta di RAGIONE kantiana di secondo grado, capace di percepire e rappresentare (anche se solo per immagini, simboli e allegorie) il segreto profondo delle cose. Così, se Kant escludeva che la "ragione" potesse afferrare l'unità metafisica nascosta dietro il fenomeno, Hamann sostiene che la POESIA riesce concretamente a farlo.

Anzi, Hamann se la prende proprio con l'atteggiamento critico e illuministico del suo illustre concittadino, perché con il suo "purismo" Kant ha sì preteso studiare una ragione "pura", ma ha finito per separarla dalla storia, dall'esperienza e dalla vita concreta del sentimento.

Per questo la ragione kantiana non può dirci nulla, mentre la poesia, in quanto linguaggio originario e autentico dell'uomo, è l'unica vera "ragione" concreta dei popoli, attraverso cui l'uomo è capace di scavare nel senso delle cose e di ritrovare il loro significato più autentico (e ogni riferimento alla tesi romantica dell'arte come organo di conoscenza dell'Assoluto non è affatto casuale).

Goethe

Di Johann Wolfgang Goethe (1749-1832), invece, bisogna ovviamente dire che si tratta del massimo poeta e scrittore tedesco di tutti i tempi, autore di capolavori immortali come "I dolori del giovane Werther", il "Faust" e il "Wilhelm Meister" (vero prototipo del classico "Bildungsroman" romantico) .
Nonostante l'esperienza sturmeriana, peraltro assai breve, si dovrà ricordare che Goethe non deve essere considerato un "romantico" in senso proprio, in quanto il suo ideale poetico della maturità sarà piuttosto quello di un rinnovato classicismo ispirato a un autentico umanesimo, non deformato dalla sterile ripetizione di canoni artistici (e di vita) già dati.

In filosofia la sua opera ha una certa importanza per la sua concezione della NATURA come TUTTO VIVENTE, in quanto diretta manifestazione di una divinità che -in tutto o in parte- coincide con la natura stessa, e che si rivela solo nell'immediato sentimento interiore che lega l'uomo alle cose che lo circondano.
D'altronde, solo la vita può capire veramente la vita, proprio in virtù di quel rapporto indissolubile che lega ogni vivente a quella totalità infinita che è Dio. Anche per questo, come dirà Goethe, Dio va cercato in "erbis et in lapidibus", e non nella metafisica e nelle dottrine astratte, che piuttosto costituiscono una deformazione di quello che è l'originario rapporto simpatetico tra l'uomo e la realtà che lo circonda.
E questo vale soprattutto per l'immagine metafisica della natura che è prodotta dalla scienza moderna, la quale è completamente falsa e parziale. Falsa appunto perché è il prodotto di un tipo di intelligenza matematica incapace di comprendere i fenomeni del vivente, parziale perché ignorando l'aspetto qualitativo delle cose finisce per ridurre tutto ad un semplice schema di quantificabilità meccanica che rappresenta solo l'esteriorità calcolabile dei fenomeni naturali.

La natura, secondo Goethe (che tra l'altro polemizza con Newton), deve essere invece concepita secondo un paradigma ORGANICISTICO, in quanto costituisce una specie di grande animale, nel quale ogni parte è intimamente connessa al Tutto vivente (cioè l'Unità stessa della Vita, che nel suo incessante fluire eracliteo origina e distrugge ogni cosa).

Come si è già detto, quella di Goethe è una concezione della natura sostanzialmente PANTEISTICA, molto simile a quella di autori rinascimentali e moderni come Bruno e Spinoza. Goethe fu anzi uno dei protagonisti principali della ricoperta del pensiero di Spinoza, che in quegli anni diventò una vera e propria moda anche a causa della polemica sollevata dal filosofo Jacobi sul grande illuminista tedesco LESSING (che Jacobi voleva far passare per "ateo" in quanto panteista e spinoziano).
Si vedrà in seguito l'importanza di questa concezione goethiana della natura in certi filosofi idealisti (Schelling, in particolare). 

Schiller

 

Friedrich Schiller (1759-1805) è un altro degli "Stürmer und Dränger" che in seguito sarà destinato ad esercitare una enorme influenza sulla cultura del periodo.
Molto affine a Goethe per sensibilità culturale e preferenze artistiche, anche lui non va propriamente considerato un romantico (in arte è infatti piuttosto un classicista, perdipiù molto polemico contro certe espressioni del Romanticismo). Tuttavia, Schiller ha elaborato alcune categorie culturali di fondamentale importanza per il Romanticismo, e soprattutto quella che riguarda la distinzione tra la poesia ingenua degli antichi e la poesia sentimentale dei moderni.

Il punto di partenza di Schiller è Kant, visto però in connessione con Rosseau, nel senso che Schiller ripete la tesi secondo cui l'uomo moderno vive una frattura insanabile con la NATURA, in quanto ha creato una società di obblighi e di imposizioni esteriori che negano il fondamentale impulso umano alla libertà.

Non ci può essere infatti autentica libertà senza accordo con la natura, e tantomeno se si vive in un mondo dominato in tutti i sensi dalla pura logica del dominio. Dominare il prossimo, esattamente come "dominare" la natura, significa appunto degradare l'altro a "strumento", negandogli libertà e dignità. Schiller pensa appunto alla seconda formulazione dell'imperativo categorico kantiano ("tratta l'umanità, nella tua come nell'altrui persona, sempre come fine, mai come mezzo") perché il problema è che, se un simile atteggiamento strumentale non deve essere applicato all'uomo, questo vale anche per la natura. E ciò semplicemente perché anche l'uomo é natura, e violentando la natura, l'uomo violenta anche se stesso, e nega la sua libertà.

Che la civiltà moderna sia poi affetta da questa frattura, o opposizione con la natura, secondo Schiller è poi evidente nelle nostre concezioni etiche e morali, che si basano sul dominio della ragione sulla sensibilità e sulla spontaneità delle passioni naturali.
E questo non vale solo per la società, ma anche per i filosofi, che della cultura di questa società rispecchiano il modo di vedere.
Ad esempio, l'estremo rigorismo della concezione morale kantiana, secondo Schiller, deriva proprio da questo fatto. Il razionalista Kant, infatti, ha concepito la RAGIONE MORALE NEMICA DELLA SENSIBILITA', come se l'unico modo di essere "morali" fosse quello di fare guerra alla natura. Tuttavia, nella sua genialità, Kant è stato anche capace di indicare il senso di questa opposizione, quando nella "Critica del giudizio" ha ammesso la possibilità di un accordo spontaneo tra la natura sensibile dell'uomo e la ragione, che si realizzerebbe appunto nel giudizio estetico.  

Difatti, Schiller è convinto che vi possa essere un modo per essere autenticamente morali senza che si crei un conflitto tra la ragione e la sensibilità umana, e che questo accada quando la moralità coincide con la "bellezza".

L'ANIMA BELLA schilleriana sarebbe appunto l'anima capace di realizzare questa armonia spontanea tra l'istinto naturale e la libertà dell'autodeterminazione morale in senso kantiano. E si tratta di una "bellezza" etica che Schiller vede realizzabile solo per una moralità concepita come ARTE, in quanto solo l'arte è la capacità di realizzare questo magico incontro tra l'uomo e la natura.

Ma come abbiamo già detto, la civiltà moderna è nemica della natura e dell'arte, e perciò nega quella bella spontaneità etica in cui, ad es., vivevano i GRECI.
I Greci erano LIBERI, ma non vivevano questa libertà come negazione della natura da parte della ragione, ed è per questo che la loro civiltà ci appare come quel modello di perfezione irripetibile che ci è stato conservato dalla suprema armonia della loro arte
Chiaramente, qui Schiller si ricollega in generale al neoclassicismo di Winckelmann (1718-68), anche se nel suo discorso c'è ancora dell'altro da aggiungere.

Per i MODERNI, infatti, quella armonia creata dalla civiltà greca E' IRRIMEDIABILMENTE PERDUTA, perché è perduta quella caratteristica INGENUITA' che nell'uomo greco faceva sorgere l'idea di una sua facile realizzabilità.
E questo a differenza dell'uomo moderno, che ha invece acquistato una tale coscienza della conflittualità latente con la natura da aver completamente perso l'illusione di una facile riconciliazione. Ed è per questo motivo che l'arte e la poesia dei moderni non può più essere INGENUA (come quella greca), ma SENTIMENTALE, in quanto vive animata dalla tensione che la spinge alla disperata ricerca dell'Armonia perduta.
D'altra parte, questo va ricollegato anche al senso spirituale dell'esperienza culturale cristiana, che corrisponde al senso di quella conflittualità (e dunque alla speranza di un suo superamento). D'altronde, l'uomo greco non conosceva affatto il concetto della speranza, perché la spontanea perfezione della sua vita non gli suscitava il bisogno di aspirare a qualcosa di più. L'uomo moderno, e in generale quello cristiano, vive invece tormentato dal senso di una lacerazione insopportabile, che solo l'arte può forse aiutare a risolvere (non per nulla Schiller scrive nel 1795 un famoso saggio intitolato "Lettere sull'educazione estetica del genere umano".)

Da aggiungere, ovviamente, che anche Schiller, come Goethe, è decisamente PANTEISTA, ma è ovvio che nella sua concezione c'è anche "in nuce" una teoria del significato della spiritualità cristiana e del senso della mitologia religiosa popolare (motivo poi sviluppato da Hegel). Secondo quest'ottica, il Cristianesimo nasce appunto dalla coscienza della tragicità del contrasto tra uomo (ragione) e natura (sensibilità), e il mito religioso cristiano è l'espressione di una intuizione artistico-morale di tipo metafisico della vita e della realtà,  volta a dare un senso a quella frattura (e cioè è il continuo tentativo umano di risolverla nell'"al di là" di un Ideale che non può mai realizzarsi in questa vita).     

Hölderlin

A questo punto, per far risaltare meglio il tipo di rapporto tra gli autori appena affrontati e il Romanticismo in genere, sarà bene fare un salto in avanti e citare un poeta romantico della prima generazione particolarmente significativo.
Nato nel 1770, compagno di studi di Schelling e di Hegel a Tubinga, Hölderlin fu a Jena a seguire le lezioni di Fichte, ed ebbe contatti con Schiller, Goethe ed Herder. Giacobino dichiarato (come tutti gli altri romantici, anche se a differenza di questi non rinnegò mai i suoi ideali rivoluzionari), Holderlin è il classico prototipo del poeta romantico dal temperamento morboso e un pò folle (morì completamente pazzo), spesso tendente a esagerazioni di tipo mistico e religioso.
Tuttavia, la sua poesia esprime in modo suggestivo alcuni concetti di straordinaria profondità, che non a caso sono stati poi ripresi da alcuni filosofi contemporanei (ad es. da Nietzsche, e soprattutto da Heidegger, il padre dell'esistenzialismo contemporaneo)  

Di Hölderlin, è tipico l'atteggiamento di amara disillusione verso la realtà contemporanea, che si esprime con la tesi secondo la quale la nostra vita è ormai fatta solo di disperazione e di sofferenza, in quanto viviamo in un'epoca di sostanziale POVERTA' SPIRITUALE.
L'uomo moderno è infatti completamente perso, perché non possiede più nemmeno l'illusione di poter ritrovare l'ideale armonia perduta (quella di cui parla Schiller, beninteso).

GLI ANTICHI DEI (che qui rappresentano gli ideali che danno forma e senso compiuto alla vita) SONO INESORABILMENTE TRAMONTATI, e ancora non ne sono sorti di nuovi. Come dice il canto luterano (poi ripreso anche da Nietzsche) "Dio è morto", e solo il poeta veglia ancora nell'ultimo istante del crepuscolo degli dei, prima della notte della morte, e nell'attesa forse vana e irrazionale dell'alba splendente di un nuovo giorno.

Per questo "tramonto" di ogni senso possibile dell'esistere, Holderlin è drastico nei confronti della modernità: l'uomo moderno è "empio", perchè ha perso quel "culto degli dei" attraverso il quale l'uomo del passato percepiva la maestà divina e tragica del divenire dell'Universo, sentendosi perciò in armonia con quel "Tutto Vivente" che è la natura (cioè, il "Deus sive Natura" di Spinoza).
E da un punto di vista etico, questa perdita della dimensione religiosa e sacrale della vita gli appare mortale, perché significa anche che l'uomo ha completamente smarrito la capacità di sacrificarsi per una finalità che va oltre l'individuo, e per la quale soltanto può esistere qualcosa che dia valore alla pena del vivere.

L'uomo vive infatti sempre in funzione di un contesto che lo trascende (che può essere la famiglia, la comunità, lo Stato ecc.), ma che, al limite, abbraccia tutta l'umanità, la natura e l'Universo intero. E questo significa che i valori che orientano la vita umana sono anche in funzione della nostra concezione della TOTALITA' delle cose (tesi che rivedremo comparire in Hegel). Ebbene: l'uomo contemporaneo non riesce a concepire questa totalità se non in funzione di sé, e la sua l'"empietà" consiste appunto nel non considerare nulla di "sacro" se non l'individuo stesso e il suo mero egoismo privato. Solo che così, alla fine, l'individuo vive lacerato, separato da se stesso e dagli altri (che sono il nostro specchio vivente), e si ritrova in un mondo nemico di indifferenze reciproche. Ma in questo mondo, nulla di nobile e di alto è più possibile, perché l'individuo non crede veramente più nemmeno a se stesso (perché riversa quell'atteggiamento di sfruttamento strumentale che ha verso gli altri anche verso di sé).

Hölderlin ha espresso parte di questi concetti in un famoso romanzo filosofico, intitolato IPERIONE (1799), nel quale -non a caso- il protagonista fallisce nel suo disperato tentativo di far rinascere l'antico spirito greco battendosi contro i turchi per l'indipendenza dell'Ellade. Così, una volta che Iperione capisce di aver perduto tutto (compresa l'amata Diotima e ogni altra speranza negli uomini, animati solo dalla grettezza), non può far altro che rifugiarsi nella mistica contemplazione del Divenire dell'Universo, le cui segrete armonie forse nascondono il senso riposto del tragico destino umano.         

Il romanzo esprime dunque il senso di sconforto e di fallimento del poeta romantico, che si sente perso in un mondo che non crede più a nulla, e nel quale non rimane altra consolazione se non il senso di qualcosa di prezioso che gli uomini hanno irrimediabilmente perduto.
Questo è appunto ciò che il poeta riesce ancora ad avvertire nel seno della natura, quasi come una presenza misteriosa e nascosta, per cui il suo animo è pervaso da quella caratteristica SEHNSUCHT (struggente nostalgia) che per i romantici deve animare la vera poesia. Più precisamente, si tratta di quel significato globale e assoluto per cui la vita deve essere possibile, e che la natura in qualche modo cela in sé. Tuttavia, si tratta di qualcosa che all'uomo moderno non è più tanto facile percepire, ma che il poeta romantico tende comunque a recuperare disperatamente. "Disperatamente" proprio perché tutti i miti religiosi e gli ideali faticosamente elaborati dalla storia sono inesorabilmente crollati, e al romantico non rimane altro che la nostalgia di cui ancora si nutre il suo indeterminato STREBEN (sforzo) verso l'Infinito.

Herder

Per finire con questa carrellata di personaggi che fanno di contorno al clima di preparazione del Romanticismo, si dovranno dire anche due parole su Johann Gottfried HERDER (1744-1803). Passato anche lui per l'esperienza sturmeriana, Herder è importante per la formazione delle teorie romantiche sul linguaggio e sulla STORIA (ed è anzi considerato addirittura un precursore dello storicismo contemporaneo).
Punto di partenza di Herder è appunto il LINGUAGGIO, che lui considera appunto come lo "strumento" attraverso cui l'uomo organizza l'universo delle conoscenze che lo circondano.
Il "privilegio" concesso all'uomo dal "creatore" (a differenza dagli animali) è appunto quello della capacità di "crearsi" un mondo nella storia attraverso il linguaggio e la ragione. In altri termini, per Herder l'uomo è sostanzialmente un ANIMALE CULTURALE, che produce continuamente immagini linguistiche della realtà (non è un concetto banale: molti filosofi del Novecento riprenderanno quest'idea, anche i più inaspettati, come ad es. Ludwig Wittgenstein).
Ora, secondo Herder questa produzione non avviene mai in modo astratto, e cioè separato dalle diverse componenti sentimentali e affettive di cui è fatta la concreta vita umana. Anche nelle sue rappresentazioni più complesse ed astratte, la RAGIONE non è mai isolata rispetto alla sensibilità e alla immaginazione, in quanto è appunto la capacità di organizzare in modo significativo le esperienze di vita del genere umano.

Per questo, Herder finisce per riprendere la critica che abbiamo visto fare da Hamann a Kant, e sostenere che la filosofia trascendentale kantiana non ha fatto altro che analizzare lo scheletro logico di un determinato linguaggio storico (quello della scienza moderna). Ma ogni linguaggio è sempre concreto, storicamente determinato, e legato a tutta la complessità dei suoi contenuti, dal quale è inscindibile.

Ogni linguaggio, infatti, è connesso all'intero patrimonio storico e culturale di un popolo, alle sue convinzioni etiche, a quelle religiose, alla sua arte, e così via. Per questo, Herder lo considera appunto come un fatto GLOBALE, (il che, nella terminologia romantica, si esprime dicendo che il linguaggio è un fenomeno SPIRITUALE, nel senso di qualcosa che esprime lo "spirito" di un popolo, di una comunità o di una cultura, e della sua storia).
Ma pure, se questo è vero, ciò vorrà dire che anche la "Ragione" è un fatto storico, e che non esistono affatto criteri assoluti di razionalità attraverso i quali giudicare in modo definitivo culture ed epoche storiche diverse dalla nostra. OGNI CULTURA E OGNI EPOCA STORICA HA INFATTI UNA SUA "RAGIONE" PROFONDA, che può essere intesa solo dall'interno.

Questo è appunto il motivo per cui Herder polemizza con la storiografia illuministica (che pretendeva di giudicare le epoche passate al "lume" della ragione), opponendogli, ad esempio, la rivalutazione di quel Medioevo che gli stessi illuministi avevano condannato come epoca "barbara" ed incivile.      
Per Herder, invece, ogni epoca storica ha una sua individualità e un suo valore insostituibile, in quanto è sempre un tassello fondamentale dell'esperienza umana.
Per questo, la storia non va giudicata, ma compresa, perché solo così può diventare un elemento capace di concorrere alla crescita e al miglioramento del genere umano (cfr. Herder: "Ancora una filosofia della storia per l'educazione dell'umanità", 1774)

Da ricordare inoltre, che le tesi di Herder furono riprese da un altro personaggio di eccezionale statura nel panorama della cultura tedesca tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento, e cioè Wilhelm K. von Humboldt (1767-1835). Considerato uno dei padri del liberalismo ottocentesco, anche Humboldt ha avuto un'enorme influenza per la formazione delle idee romantiche sulla STORIA.
Tralasciando l'aspetto per cui Humboldt approfondisce l'analisi di Herder nei confronti del linguaggio (giungendo a risultati che gli fanno meritare il titolo di iniziatore della linguistica moderna), qui conta sottolineare la conseguenza dell'applicazione di questi risultati alla storiografia. Per Humboldt infatti, tutti i linguaggi umani sono RELATIVI, in quanto elaborati in funzione del contesto di vita dei popoli che li usano.
Ma allo stesso modo dei linguaggi, si può dire che anche le CULTURE UMANE SONO RELATIVE, in quanto espressioni dell'attività spirituale di ogni popolo in una certa epoca storica. Proprio per questo, allora, non si può giudicare così facilmente una cultura o una epoca storica diversa dalla nostra, ma bisogna piuttosto comprenderla dall'interno.
Per il resto, vale anche ricordare che la produzione di Humboldt è in generale molto legata all'ideale umanistico di Goethe, Schiller e di Herder, e inoltre, pur inserendosi nel clima culturale del Romanticismo, mantiene anche un forte legame con l'eredità dell'Illuminismo. 

 

 

I ROMANTICI

Affrontati gli autori che principalmente concorrono alla formazione del clima culturale in cui si sviluppa il Romanticismo, non ci rimane ora che affrontare brevemente i veri e propri "romantici" in questione. Di uno (Hölderlin) abbiamo già detto, degli altri sarà importante solo citare Friedrich Schlegel, Novalis (pseudonimo di Friedrich Von Hardemberg) e Schleiermacher . Le ragioni di questa brevità sono semplici: in realtà i "romantici" non dicono nulla di nuovo rispetto agli autori appena esposti, e solo aggiungono ai concetti che abbiamo esposto il caratteristico "tono" romantico della loro sensibilità.

Un tono caratterizzato appunto da quella "sete" di Infinito che tormenta ogni romantico, e che si esprime da una parte nella "SEHNSUCHT" (“Sehnsucht”= “nostalgia” o “nostalgia struggente”) per qualcosa di perso e di irraggiungibile, e dall'altra in in quello "STREBEN" (“Streben”= sforzo, tensione) con il quale i romantici indicano l'infinito sforzo umano di dare un senso compiuto alla vita, per il quale l'uomo si rapporta all'Infinito che pure vive in lui.

D'altra parte, l'unità ideale perduta, se pure è mai esistita in una lontana epoca di felicità, è solo un sogno (il "fiore azzurro irraggiungibile" di Novalis), ma un sogno attraverso il quale si anima di speranza il tormento della vita umana, e in particolare di quella lacerata e contradditoria dell'uomo moderno. Attraverso questo sogno, infatti, i romantici pensano si esprima forse la realtà di una superiore armonia delle cose, per la quale tutto trova un senso e una giustificazione finale. Ed è appunto questo, e non altro, il significato del loro atteggiamento religioso di fronte alla vita. 

Per il resto, i romantici riprendono:

- a) la critica che già abbiamo visto nei confronti della cultura illuministica, in quanto frutto di una ragione "astratta", arida e incapace di comprendere la vita;

- b) il caratteristico PANTEISMO che abbiamo già visto in Goethe, compresa la visione della natura infinita come "Tutto vivente" che è, o Dio stesso, o una diretta manifestazione della divinità; in genere, questo panteismo non esclude pure una rivalutazione della religiosità tradizionale (perché basata sul SENTIMENTO, e dunque considerata più vicina allo spirito della divinità di quanto non lo fosse il Deismo razionalistico degli illuministi, che era basato invece sulla RAGIONE);

- c) la tesi per cui ogni aspetto della vita umana è sempre connesso alla Totalità, e cioè all'INFINITO (Dio o la Natura, s'intende), per cui l'uomo vive male se ha un pessimo rapporto con l'universo delle cose che lo circondano (di cui egli stesso è appunto una parte: l'uomo moderno, ad es., vive male perché ha un pessimo rapporto con la natura, e cioè con se stesso, e dunque con il Dio che vive dentro di lui);

- d) la tesi per cui il POETA riesce meglio di chiunque altro a percepire i legami tra l'uomo e il Tutto, il FINITO e l'INFINITO (e dunque comprende la natura meglio dello scienziato perché solo la Vita comprende la Vita; l'ARTE, per i romantici, è in generale l'unica chiave d'accesso all'ASSOLUTO, e cioè l'Uno Tutto Infinito che è Dio).

- e) il tipo di rivalutazione della storia che abbiamo visto in Herder (in polemica con l'Illuminismo, il Romanticismo si presenterà come una cultura STORICISTICA, che considera tutto come il prodotto di un'evoluzione storica); in genere i romantici esalteranno pure il MEDIOEVO CRISTIANO contro l'ETA'MODERNA, perché considerereranno il primo un periodo storico spiritualmente vivo (mentre l'età moderna, per loro, ha invece ucciso il sentimento e la spiritualità dell'uomo, non conosce la speranza e non vede più nella natura la vera "Teofania"= manifestazione di Dio) 

Da considerare, ovviamente, che si tratta di una serie di aspetti che portano la cultura romantica ad incontrarsi anche con il clima della Restaurazione. Tuttavia, la critica contro l'Illuminismo, contro la ragione e la scienza moderne, la rivalutazione della storia e delle tradizioni, del sentimento religioso ecc., non devono portare ad appiattire il Romanticismo alla Restaurazione stessa. Abbiamo infatti già detto che i primi romantici passarono tutti per una fase GIACOBINA, per poi spostarsi su posizioni più moderate. Ugualmente, si deve tornare a sottolineare il fatto che l'intellettuale romantico è l'intellettuale borghese di questo periodo, e come tale esprime il senso di disorientamento della borghesia per il fallimento dei suoi ideali storici, che gli si sono addiruttura rivoltati contro durante la Rivoluzione.
Il conflitto tra IDEA e REALTA', FINITO e INFINITO, corrisponde infatti anche a questa situazione storica contradditoria, che il romantico cerca di affrontare elaborando un corrispondente atteggiamento culturale (peraltro, da un punto di vista politico non è vano ricordare che il Romanticismo, molto più che alla Restaurazione, è strettamente collegato alla prima gestazione del LIBERALISMO ottocentesco e alle stesse rivendicazioni nazionali di questo secolo).

Schlegel

Tra i romantici del circolo di Jena la figura principale è sicuramente Friedrich Schlegel (1772-1829), al quale si deve la definizione stessa della POESIA e dell'ARTE ROMANTICA. Su Schlegel ebbero particolare influenza soprattutto Schiller e Fichte, dai quali egli riprese con originalità alcuni spunti che poi finirono per diventare dei veri e propri capisaldi di tutto il Romanticismo.

Come ha già spiegato Schiller, la fase "ingenua della civiltà e della storia in cui l'uomo si sentiva spontaneamente conciliato con la natura e con i suoi simili è tramontata per sempre. Con il cristianesimo e con il mondo moderno si è entrati in una fase "sentimentale" dell'arte e della civiltà, in cui la conciliazione e l'armonia esistono solo come IDEALI irrealizzati e irrealizzabili.

L'opera d'arte, perciò, non può più essere la rappresentazione concreta di una forma di vita ideale che si realizza, ma deve esprimere piuttosto l'irraggiungibilità dello stesso ideale.
Il romantico non può così limitarsi a riprodurre qualcosa di già dato, ripetendo in modo sterile i canoni artistici del passato, ma deve sforzarsi di rapportarsi a qualcosa di INFINITO, consapevole che nessuna realizzazione finita potrà mai eguagliare l'Idea che egli vuole rappresentare.

Così, "Romantico", per Schlegel, è ciò che ci rappresenta una materia SENTIMENTALE in una forma fantastica (è cioè il tentativo di dare corpo visibile a qualcosa di INFINITO e IRRAGGIUNGIBILE, che solo il sentimento rivela).
Ma pure, in quanto la poesia romantica presenta qui qualcosa che è l'animo nascosto di ogni forma d'arte, e in quanto esprime l'essenza di quella tensione che lega l'uomo al TUTTO VIVENTE (alla "sacra pienezza di vita della Natura creatrice"), la poesia romantica contiene anche un elemento spirituale di carattere universale, il quale fa sì che Schlegel la definisca come POESIA UNIVERSALE PROGRESSIVA.

UNIVERSALE appunto perché racchiude in sé tutte le forme di poesia, PROGRESSIVA perché non può che proiettare nel futuro il proprio compito di esprimere l'INFINITO, e perciò "può soltanto divenire, mai essere".
Inoltre, secondo Schlegel, la poesia romantica è IRONICA, nel senso dell'ironia socratica come consapevolezza dell'inarrivabilità del limite e della sua continua inadeguatezza di fronte all'Infinito che vuole rappresentare.
Per ultimo, in quanto consapevole dei propri limiti, la poesia romantica è anche TRASCENDENTALE, perché la coscienza del limite le è connaturata così come i limiti della ragione e della conoscenza sono connaturati alla filosofia trascendentale.

Come vedremo, proprio quest'ultimo tratto collega chiaramente la definizione di Schlegel alla filosofia di Fichte (che si presentava allora, all'Università di Jena, come il diretto continuatore della filosofia trascendentale kantiana).
Questo anche perché Fichte interpretava il kantismo alla luce di una concezione della conoscenza come progresso continuo, nel quale il limite finito è continuamente superato dall'Io nella continua tensione che lo spinge ad afferrare l'Infinito
Ma l'INFINITO, ovviamente, è qualcosa che la RAGIONE può rappresentarsi (nelle "idee" trascendentali), ma mai afferrare definitivamente. Tuttavia, L'INFINITO (per Fichte come per tutti i romantici) NON E' NEPPURE AL DI LA' DELL'IO, per il semplice fatto che l'uomo è parte di esso (cioè è parte dell'Infinita Natura vivente, che è la realtà assoluta di tutto ciò che è).
Perciò, l'uomo ha comunque un rapporto con l'INFINITO, ed è capace di SENTIRE questo rapporto, anche se con la conoscenza razionale non può mai definirlo una volta per tutte (per i romantici, solo la POESIA e l'ARTE riescono infatti a stabilire un rapporto positivo tra l'uomo e l'Infinito).

Di Schlegel si potrebbero aggiungere poi alcune altre cose, soprattutto per il suo atteggiamento nei confronti della religione e per la sua improvvisa conversione al cattolicesimo, ma per non farla troppo lunga si rimanda ad una lettura del Moravia e a quanto diremo tra poco su Novalis.

Novalis

Tra i membri del circolo romantico di Jena, uno dei personaggi di maggior spicco fu certamente il poeta e filosofo Novalis (pseudonimo di Friedrich von Hardemberg, nato nel 1772 e morto per tisi appena ventinovenne, nel 1801).
Il pensiero di Novalis viene normalmente definito IDEALISMO MAGICO per la sua particolare e suggestiva interpretazione dell'idealismo di Fichte.
In pratica, se Fichte aveva affermato che tutta la realtà deriva dal soggetto (in quanto noi non sappiamo nulla di "cose in se stesse" fuori di noi), e che l'"oggetto" che ci appare esterno è una produzione del pensiero, Novalis ne trae la ovvia conclusione che Natura e Spirito sono la stessa cosa.
Difatti, l'uomo (che è Spirito) è infatti una parte di Natura cosciente di sé, per cui, le cose "esterne" che appaiono alla nostra coscienza non sono altro che l'immagine riflessa della Natura che vive ed opera in noi (è come se nella coscienza umana la Natura stessa si guardasse allo specchio)    
Questo è appunto il significato della metafora esposta da Novalis ne "I discepoli di Sais", dove si racconta di colui che riuscendo a sollevare il velo che copriva il volto della Dea (che qui rappresenta la Natura), vide con meraviglia se stesso.
La conclusione a cui vuole giungere Novalis è abbastanza chiara: Natura e Spirito sono le due facce della stessa unica Realtà vivente, per cui, se esiste un contrasto o una lacerazione tra questi due aspetti, in effetti il conflitto è tutto interno all'uomo.
Per superare la scissione bisogna infatti riconquistare il senso dell'Unità e dell'armonia delle cose, dando nuovamente quel significato "magico" alla Natura per cui essa acquista vita e sensibilità.

In questo senso, per Novalis, la filosofia è magia (perché recupera l'Unità del Reale), ma ancora di più lo è l'ARTE, perché solo l'arte consente di recuperare il senso dell'armonia delle cose, trasfigurando la realtà in un'immagine di sogno per cui vale la pena di viverla.

Esagerazioni romantiche a parte, non si deve pensare che Novalis creda che per incanto tutto si possa facilmente trasformare in qualcosa di fatato. Piuttosto, egli intende esprimere in forma poetica un concetto molto semplice, e cioè che per gli uomini la VERITA' è una specie di SOGNO, attraverso cui essi tentano di esprimere in modo vivibile il senso di quell'inafferrabile mistero che li circonda.
La vita è infatti sopportabile solo se la realtà ha un senso e una direzione ideale in cui gli uomini possano ritrovare se stessi, superando le lacerazioni e i conflitti che li torturano. Per questo, afferma Novalis, "un mendicante è l'uomo quando pensa, un Dio quando sogna".

Questo è poi anche il significato del romanzo incompiuto "Henrich von Ofterdingen", dove, attraverso la mescolanza di sogno e realtà, poesia e prosa, Novalis narra le peripezie del protagonista alla ricerca del "fiore azzurro irraggiungibile", che simboleggia appunto il limite inarrivabile di una Realtà pacificata; ovvero: l'IDEALE di una ritrovata ARMONIA TRA L'UOMO E LA REALTA' INFINITA CHE TUTTO SOSTIENE.

Novalis rappresenta così la forma più tipica della visione romantica della vita, in un modo che può anche spiegare il perché di certi eccessi di morbosità e di esasperazione spiritualistica.
Anticipando in questo Schlegel, l'ultimo Novalis approderà infatti ad una sostanziale rivalutazione del cristianesimo tradizionale e della cultura medioevale, vagheggiando in essi la realtà di quel "sogno" culturale che permetteva un tempo all'uomo occidentale di sopportare la tragedia della vita, e di sconfiggere perciò l'oscura ombra della morte.        


Schleiermacher

Se in Novalis appare chiarissimo il sottofondo religioso che anima la tensione romantica tra FINITO ed INFINITO, per approfondire il senso di questo rapporto che lega l'uomo, la natura e Dio bisogna ricorrere ai "Discorsi sulla religione" di Friedrich Daniel Ernst Schleiermacher (1768-1834).
Filosofo e teologo all'Università di Berlino, Schleiermacher fu l'animatore del circolo romantico che si formò in quella città.
Tipica di Schleiermacher è la tesi secondo la quale la RELIGIONE, prima ancora dell'arte o della filosofia, esprime l'essenza del legame profondo tra l'uomo e l'Infinito. Questo perché l'Arte e la filosofia, come ogni altra manifestazione culturale finita, sono sempre il tentativo di concretizzare in un'IMMAGINE determinata la Realtà Assoluta, la quale sta naturalmente al di là di ogni capacità di rappresentazione umana. 
Perciò, solo la religione, in quanto esprime il puro SENTIMENTO DELLA DIPENDENZA DALL'ASSOLUTO, riesce a cogliere il rapporto di unità tra l'uomo e il Tutto Infinito.

Tuttavia, il sentimento religioso intuisce l'Assoluto solo in maniera indeterminata, per cui esso non va assolutamente confuso con le RELIGIONI STORICHE, che sono piuttosto il tentativo di esprimere in forma determinata questo rapporto.
Alcune religioni esprimono infatti questa intuizione nella forma di una rappresentazione ARTISTICA dell'Infinito, mentre altre sono invece rappresentazioni di tipo MORALE, o anche solo FILOSOFICO (anche se in effetti questi tre aspetti sono sempre intrecciati: la mitologia greca, ad es., esprimeva artisticamente, in forma religiosa, anche le concezioni etiche e filosofiche dell'uomo greco).  

Insomma, la conclusione di Schleiermacher è che TUTTE LE RELIGIONI STORICHE SONO RELATIVE (in quanto manifestazioni parziali dell'Assoluto), mentre non è affatto relativo il SENTIMENTO religioso con cui l'uomo percepisce l'unità profonda che lo lega alla Infinita Realtà vivente.

Per il resto, come dice anche Moravia, questo relativismo religioso di Schleiermacher non si capirebbe se non si tenesse conto del suo sostanziale PANTEISMO, che è appunto la concezione di sfondo di quasi tutti i romantici.

I quali romantici, pur esaltando Spinoza -che in passato si era spesso visto affibbiare l'etichetta di "ateo maledetto"-, non rinuciano nemmeno a cercare una conciliazione con la "mitologia" religiosa cristiana (per questo, vedi sempre Moravia). 
L'unico ad esprimere una posizione differente su questi temi, era stato Friedrich Heinrich JACOBI (1743-1819), un filosofo tedesco dell'epoca che era stato vicino agli "stürmer" in  gioventù, ma che poi si era dedicato a una riflessione di tipo prevalentemente religioso. Tuttavia, contro ogni sua aspettativa, era stato proprio Jacobi a suscitare l'interesse di tutti verso lo spinozismo, con la pubblicazione (nel 1785) delle famose "Lettere sulla dottrina di Spinoza" (vedi sempre Moravia).   
Secondo Jacobi, Spinoza rappresenterebbe infatti, nella forma più pura, il sostanziale esito ateistico di tutto il pensiero moderno. Un esito al quale non si sottraggono tutte le filosofie che privilegiano l'intelletto sulla FEDE, che per Jacobi è l'unico modo autentico di rapportarsi al mistero insondabile di Dio.

Su Schleiermacher, ancora, vale la pena di ricordare che questo autore ha una importanza fondamentale per le contemporanee riflessioni di filosofia della religione, e che oggi è stato anche rivalutato da alcune impostazioni filosofiche legate alla problematica ERMENEUTICA (che un tempo era la scienza dell'interpretazione dei testi sacri). Partendo da HEIDEGGER, infatti, un filosofo tedesco contemporaneo (Hans Georg GADAMER) ha rilanciato il tema della filosofia come "arte" dell'interpretazione continua della vita e della realtà.

A Gadamer si sono poi ricollegati moltissimi filosofi che oggi riflettono sui temi della FINE DELLA MODERNITA' (il famoso Post-moderno) e del crollo delle IDEOLOGIE (che pretendono appunto di dare una interpretazione filosofica definitiva della realtà dei problemi umani). In Italia, in particolare, questa corrente è stata rappresentata da Gianni VATTIMO e dal suo "pensiero debole", che negli anni ottanta è diventato un vero e proprio slogan filosofico popolare.

 

 

 

Fonte: http://lnx.liceicarbonia.it/j7250/images/Arangino%20dati/ROMANTICISMO%20010%201.doc

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