Storia contemporanea il novecento riassunti

Storia contemporanea il novecento riassunti

 

 

 

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Storia contemporanea il novecento riassunti

I moti del 1820-1823

Contro la Restaurazione, soprattutto in Europa meridionale. Essa aveva provocato lo scontento di quanti avevano conosciuto i vantaggi derivanti dall’applicazione dei principi rivoluzionari di libertà e uguaglianza.
Si accentua così il fenomeno delle società segrete con finalità eversive per abbattere i regimi assoluti della Restaurazione; questo fenomeno nasce prima in Francia e in Inghilterra.
Il pisano  Filippo Buonarroti coordina diverse società segrete internazionali con un programma estremistico a scopo egualitario.
Dal 1815 si diffonde in Italia, Spagna e Francia la Carboneria, che in Italia auspica l’indipendenza della nazione e l’instaurazione di un regime costituzionale; la loro azione culmina nei moti del 1820-21.

I moti spagnoli:

Con Ferdinando VII si era instaurato un clima di intransigente assolutismo.
Contro questo clima si mossero per primi i militari, che nel 1820 si sollevarono e chiesero la reintroduzione della Costituzione del 1812; Ferdinando dovette piegarsi alle richieste e la ripristinò.
Ma nel 1823 intervenne la Santa Alleanza che inviò un esercito francese per sedare i moti e restaurare il regime di Ferdinando.
Dal 1820 al 1823 anche in Portogallo i militari tentarono di instaurare un governo costituzionale, ma non ebbero successo a causa dell’appoggio dell’Inghilterra alle forze conservatrici.

Il regno delle due Sicilie:

Le adesioni alla ribellione contro i Borboni nel napoletano vi furono anche da parte delle alte gerarchie dell’esercito, tra cui Gugliemo Pepe. Dapprima Ferdinando I fu costretto a concedere una Costituzione simile a quella concessa in Spagna. I rivoluzionari erano divisi in due schiere: quella dei moderati, e quella dei radicali, di derivazione carbonara.
In Sicilia, dietro all’obiettivo della Costituzione, vi era il desiderio dei palermitani di recuperare l’autonomia dal governo centrale di Napoli.
Venne poi convocato il congresso di Lubiana, in cui Ferdinando I sollecitò l’intervento armato della Santa Alleanza contro la rivoluzione. L’esercito di Pepe venne sconfitto e nel 1821 gli Austriaci entrarono a Napoli.

I moti piemontesi:

Gran parte della società piemontese manifestava disagio verso la politica di Vittorio Emanuele I; c’era l’esigenza di una politica più moderna e si chiedeva la concessione della Costituzione e l’unificazione del Lombardo-Veneto al Piemonte. Si sperava inoltre di coinvolgere il presunto erede al trono, Carlo Alberto, che mostrava sentimenti filo-liberali.
L’insurrezione ebbe luogo ad Alessandria; Vittorio Emanuele abdica in favore del fratello Carlo Felice, anche se all’inizio sale al trono Carlo Alberto, il quale concesse la Costituzione e formò un governo di liberali; ma quando arrivò Carlo Felice si fece da parte.
A questo punto i liberali furono sopraffatti dalle truppe reali.
La repressione dei vincitori fu dura.

L’indipendenza della Grecia (1821)

Cominciò con un’insurrezione contro l’Impero ottomano.
Tra le popolazioni europee sotto il sultano, i Greci avevano un’importanza cruciale, perché occupavano posizioni chiave nell’amministrazione e nell’economia della penisola balcanica e dell’Egeo; la loro indipendenza rappresentava dunque una grave minaccia per i già precari equilibri dell’Impero.
L’insurrezione però non prese le mosse dalla Grecia, ma fu lo studio della civiltà ellenica classica che contribuì a risvegliare il sentimento nazionale delle elitès greche che vivevano fuori dalla Grecia; a ciò si unì, come elemento di identificazione nazionale, la religione cristiano-bizantina.
Uno degli esponenti dell’insurrezione fu Ypsilanti e la Grecia fu appoggiata dalla Russia, protettrice delle popolazioni greco-ortodosse e vogliosa di strappare agli Ottomani il controllo degli accessi al Mediterraneo.
Con il congresso di Epidauro nel 1821 venne proclamata l’indipendenza, a cui seguì la controffensiva ottomana. Anche l’Inghilterra adottò una politica filo-ellenica, come la quasi totalità dell’opinione pubblica europea.
Ma il sultano chiese l’aiuto della flotta egiziana, promettendo l’indipendenza, e riuscì a riconquistare la penisola greca.
Lo czar Nicola I minacciò un intervento militare contro la Turchia; per scongiurare una vittoria si fece a Londra una conferenza in cui si obbligava la Turchia a riconoscere l’esistenza dello Stato greco.
Con la battaglia di Navarino la flotta turco-egiziana venne sconfitta da quella franco-inglese.
Nel 1829 venne sancita la pace di Adrianopoli, che concluse la guerra tra Turchia e Russia; la Turchia riconobbe l’indipendenza della Grecia e l’autonomia di Serbia, Moldavia e Valacchia.
Nel 1830 ci fu il trattato di Londra, in cui Inghilterra, Francia e Russia definirono il profilo del nuovo Stato greco.
La crisi dell’Impero ottomano divenne irreversibile.
La conquista dell’indipendenza da parte della Grecia fu anche una sconfitta per la politica conservatrice dell’Austria e rivelò la fragilità della Santa Alleanza.

Il movimento operaio inglese

Gli operai specializzati e gli artigiani fondano le società di mutuo soccorso, alle quali i lavoratori versano una quota in cambio dell’aiuto economico qualora si infortunino o si ammalino, per tutelarsi dallo sviluppo selvaggio del capitalismo industriale.
Riprende anche vigore l’associazionismo clandestino per rivendicare il suffragio universale, le libertà di associazione, di stampa e di riunione.
Il governo fa interrompere una manifestazione degli operai di Manchester da parte della forza pubblica, che provoca 11 morti (viene ricordato come massacro di Paterloo -1819-).
Lo sdegno dell’opinione pubblica rafforza il movimento operaio e induce il governo nel 1824 ad autorizzare la costituzione ufficiale delle Trade Unions.

L’America

Il presidente Monroe dichiara nel 1823 che nessuna potenza straniera può arrogarsi il diritto di interferire negli affari interni del continente americano (“l’America agli americani”), frenando così i progetti di Francia e Spagna di riportare i paesi dell’America Latina alla condizione di colonie.
Il problema politico principale dell’America Latina era la frammentazione amministrativa, ereditata dal governo spagnolo; Bolivar cerca di rimediare creando la Grande Colombia, una repubblica autoritaria retta da un presidente a vita scelto da pochi. Nascono così subito dei contrasti interni.
Nel 1815 comincia l’intervento militare spagnolo per restaurare l’antica dominazione coloniale; dopo una lunga guerra risultarono decisivi gli interventi di Josè di San Martin, di Simon Bolivar e di Antonio Josè de Sucre. Il conflitto ebbe fine nel 1825 con la vittoria dei ribelli: le diverse regioni proclamarono la propria indipendenza.
Particolare fu l’indipendenza del Messico, raggiunta nel 1821: qui non si ebbero scontri tra creoli e Spagnoli, ma tra i gruppi privilegiati residenti nel luogo e alcuni movimenti di masse diseredate.
Fu ancora diverso il caso del Brasile; qui il figlio del vecchio regnante portoghese accolse le richieste di indipendenza delle oligarchie brasiliane e venne nominato imperatore sotto il nome di Pedro I; l’indipendenza venne proclamata nel 1822.
Dopo il conseguimento dell’indipendenza i grandi proprietari terrieri divennero i veri detentori del potere, sia a livello economico, sia a livello politico e militare.
Per quanto riguarda l’organizzazione politica interna, la parte portoghese conservò la sua unità, mentre la parte spagnola si divise in una molteplicità di Stati indipendenti, che non riuscirono a formare una confederazione. Tutti i tentativi di creare una struttura confederale, tra cui quelli di Bolivar culminati nel Congresso di Panama del 1826, furono sconfitti. Inoltre Gran Bretagna e Stati Uniti non appoggiarono questi progetti di federazione.
Si profila inoltre il fenomeno politico dei “caudillos”, i capi delle fazioni vincitrici instaurano crudeli dittature militari che si succedono.

L’Europa liberale dal 1830 al 1848

La rivoluzione di luglio in Francia

La crisi dell’assetto politico sancito dal congresso di Vienna parte dalla Francia.
Il nuovo monarca Carlo X aveva idee reazionarie: ripristinò l’antico rituale dell’incoronazione-consacrazione e la cerimonia delle miracolose guarigioni reali; nel 1825 emanò due leggi, la “legge del miliardo”, che indennizzava le famiglie aristocratiche per le proprietà perdute durante la rivoluzione, e la “legge del sacrilegio”, che equiparava gli atti contro il culto cattolico ai crimini di lesa maestà.
Chiamò inoltre al governo un altro conservatore, il principe di Polignac. Nel 1830, insieme, occuparono l’Algeria, con lo scopo di distogliere l’attenzione dalle vicende interne e di rilanciare la Francia come grande potenza.
Contro l’opposizione liberale ogni giorno più forte, Carlo X emanò le quattro ordinanze, con le quali abolì la libertà di stampa, restrinse il corpo elettorale e indisse nuove elezioni, realizzando un vero e proprio colpo di stato.
Nel paese si diffonde la protesta; a Parigi scoppia un’insurrezione che costringe Carlo X a fuggire. I liberali chiamano sul trono di Francia il liberale Luigi Filippo d’Orleans, il quale assunse il titolo di re dei francesi e ripristinò la bandiera tricolore, simbolo della rivoluzione e dell’età napoleonica.
La rivoluzione di luglio sancì il principio che la legittimità del potere monarchico derivava da un accordo con la nazione; inizia così la monarchia di luglio.

Le ripercussioni europee della rivoluzione di luglio

La rivoluzione si propagò:

Belgio: gli indipendentisti liberali e cattolici insorsero chiedendo la separazione dai Paesi Bassi, respingendo l’esercito olandese. L’Austria e le altre potenze non intervennero.
Luigi Filippo si oppose ad un intervento controrivoluzionario della Santa Alleanza, affermando il principio del “non intervento” negli affari interni degli Stati. Inoltre alla Francia non dispiaceva la nascita di uno stato belga, che avrebbe potuto entrare nella sua sfera d’influenza.
Il Belgio si proclamò così indipendente e nel 1831 si dette una costituzione monarchica di tipo liberale; la corono fu attribuita ad un principe tedesco, Leopoldo I di Sassonia-Coburgo.

Polonia: nel 1830 insorge contro la dominazione russa, ma il moto viene soffocato dallo zar Nicola I con l’appoggio di Austria e Prussia.

Portogallo: l’imperatore del Brasile Pedro I torna in Portogallo e cerca di spodestare il fratello reazionario Michele, con l’Aiuto delle forze costituzionali. Ne nasce una guerra civile dal 1832 al 1834, che vede vincitore Pedro I.

Spagna: alla morte del re Ferdinando VII di Borbone i discendenti si contendono il trono: don Carlos, con le forze reazionarie, e Cristina e Isabella con i liberali costituzionali. La guerra civile termina nel 1839 con la vittoria dei costituzionali.

Francia e Inghilterra, che hanno appoggiato i regimi liberali in Portogallo e Spagna, stringono con essi la Quadruplice Liberale.

 

I moti italiani:
Nel 1831 il patriota carbonaro Ciro Menotti organizza comitati insurrezionali nei ducati emiliani e in Romagna, sperando che il duca di Modena Francesco IV lo appoggi per realizzare una politica di espansione territoriale; però all’ultimo momento il duca si ritira e fa imprigionare e fucilare Menotti.
Nonostante questo l’insurrezione scoppia nel Ducato di Modena, nel Ducato di Parma e nello Stato pontificio. I patrioti riescono a proclamare il governo delle Province unite, ma presto gli Austriaci intervengono militarmente sconfiggendo i rivoluzionari e ristabilendo la situazione preesistente.

Il liberalismo in Inghilterra

Nel 1830 ci fu la caduta del ministero conservatore a favore di un governo di coalizione composto da “whigs” e “tories” liberali, presieduto da lord Charles Grey; egli presentò subito in Parlamento un progetto di riforma elettorale, che venne approvato con fatica nel 1832 (“Reform Bill”); con esso la legge elettorale rimase censitaria ma uniformata, e venne ridimensionato il predominio politico dei proprietari terrieri a favore dei nuovi interessi mercantili ed industriali.
Ci furono anche numerose riforme amministrative in ambito locale: nelle grandi città furono poste amministrazioni elette dai contribuenti, mentre nei centri minori furono posti dei giudici di pace.
Il parlamento adottò poi alcune misure di protezione sociale, tra cui la legge sulle fabbriche (“Factory Act”), la legge sui poveri, i quali potevano essere accolti nelle case di lavoro.
A partire dagli anni 30 i lavoratori dettero vita al movimento cartista, che prendeva il nome dalla Carta del popolo, un documento redatto da alcuni intellettuali radicali per una risistemazione della costituzione; essa però non venne mai accolta dal Parlamento.
Sorse anche il problema delle “Corn-Laws”, delle leggi che tenevano il prezzo del grano artificialmente elevato nell’interesse dei produttori agricoli; contro q,te leggi si schierarono i fautori del libero commercio capeggiati da Richard Cobden, i quali vinsero. L’Inghilterra ormai sarebbe stata guidata dalla borghesia industriale, finanziaria, commerciale.

La Francia sotto Luigi Filippo

Furono prese misure riformatrici: vennero aboliti la censura e i tribunali straordinari; la religione cattolica passò da religione di stato a religione “della maggioranza”; fu organizzata una guardia nazionale; fu varata una nuova legge elettorale.
Jacques Laffitte,  capo del governo, proclamò il principio del “non intervento” a sostegno delle parti politiche europee schierate contro l’assolutismo; questo principio fu ribadito anche dal successore Casimir-Pierre Perier. Ciò portò però anche allo spegnimento dei valori ideali; inoltre la monarchia di Luigi Filippo era avversata dai borbonici nostalgici dell’ancien regime, dai cattolici e dai bonapartisti, che volevano restituire alla Francia una posizione di prestigio in Europa.
Nel 1840 divenne ministro degli esteri François Guizot,  fautore di una politica di centro, lontana dagli estremismi dei reazionari e dei rivoluzionari.

I rapporti internazionali

Il nuovo assetto dell’Europa fu sancito dall’ accordo di Munchengratz,  con il quale Austria, Russia e Prussia riconfermarono la fedeltà ai principi della Restaurazione; si formò anche la Quadruplice Alleanza tra Gran Bretagna, Francia, Spagna e Portogallo.

Ma a scompaginare l’assetto europeo fu la questione d’Oriente, in cui la Russia voleva accelerare le disgregazioni dell’impero ottomano, mentre Austria e Inghilterra
si opponevano→ il pascià d’Egitto attaccò la Turchia per ottenere il controllo della Siria che gli era stato promesso per il suo aiuto offerto alla flotta egiziana contro i greci insorti; il sultano turco riuscì a respingere gli egiziani con l’intervento della Russia, alla quale fu concesso di essere la sola ad attraversare gli stretti con le sue navi.
C’erano inoltre rivalità fra Francia e Gran Bretagna.

Le correnti politiche del Risorgimento

L’Italia economica nel Risorgimento
I sovrani italiani si attennero ad una politica conservatrice: Carlo Alberto nel Regno di Sardegna, Gregorio XVI nello Stato Pontificio e Ferdinando II nel Regno delle due Sicilie.

L’epoca del Risorgimento è quella che va dai moti del 1831 alla proclamazione del Regno d’Italia nel 1861; essa vide uno scontro tra coloro che auspicavano riforme capaci di apportare modernità all’Italia e coloro che volevano un’Italia ancorata al proprio passato, nonostante le relazioni con il resto d’europa divenissero sempre più fitte.

Il panorama economico e sociale italiano era molto diversificato:

AGRICOLTURA:
Nella Pianura padana dominava la grande azienda agraria, in Toscana, Umbria e Romagna prevaleva la mezzadria; nel meridione le strutture agrarie erano di tipo feudale, tramite latifondi in concessione in affitto.

INDUSTRIA:
Intorno al 1840 in Lombardia vi fu un sensibile risveglio industriale, anche grazie all’efficiente amministrazione austriaca, ad una buona rete stradale e ad un diffuso sistema scolastico. Il settore guida era quello tessile, in cui comparvero le prime fabbriche meccanizzate; si sviluppò anche l’industria metalmeccanica.
Anche in Piemonte erano presenti elementi di crescente dinamismo economico, dapprima nel settore tessile.
Questa crescita economica era favorita dalle protezioni doganali e dalla disponibilità di forza-lavoro a buon mercato.
In Veneto la situazione era meno vivace; il porto di Venezia era in decadenza.
In Toscana si svilupparono alcune attività industriali, ma di poco conto; Livorno si distingueva per il suo porto vivace.
Lo Stato Pontificio faticava a far sorgere moderne attività manifatturiere.
Nel Regno delle due Sicilie furono fondati importanti stabilimenti tessili e metalmeccanici, anche se la società rimaneva troppo povera e arretrata.

LA QUESTIONE FERROVIARIA:
le strutture erano inadeguate; per sviluppare la rete ferroviaria si mossero i gruppi politici di ispirazione liberale e democratica, i quali incalzarono i vari Stati.

Giuseppe Mazzini

Nacque a Genova e si iscrisse subito alla Carboneria, ma venne arrestato e nel 1831 andò in esilio in Francia, entrando in contatto con gruppi democratici e repubblicani francesi, tra cui Filippo Buonarroti, legato alla tradizione giacobina della rivoluzione francese.
Secondo Mazzini i moti italiani avevano fallito a causa del tipo di azione politica svolta dalla Carboneria→ la segretezza aveva impedito ai cospiratori di creare intorno alle loro idee un ampio consenso; la mancanza di un programma ben definito aveva creato incertezze e divisioni interne.
Nel 1831 fondò quindi la Giovine Italia, un’associazione semi-segreta con impostazione repubblicana e democratica, che si diffonde tra i patrioti italiani esiliati in Francia. Il suo compito era quello di fare un’opera di educazione per formare una nazione italiana decisa a conquistare da sé il diritto alla libertà per mezzo di una partecipazione alla guerra armata per bande. I fondamenti erano la propaganda e la lotta.
L’Italia doveva essere unita e repubblicana (“Una, Indipendente e Sovrana”), grazie all’eliminazione delle divisioni politiche e della dominazione straniera.
La futura Italia doveva essere una repubblica.
Era importante per l’avanzamento dell’umanità l’associazione tra uomini.
Roma si sarebbe posta come guida della nuova Europa dei popoli, senza l’aiuto della Francia (Mazzini si considera il profeta della terza Roma). Il movimento nazionale doveva avere come protagonista il popolo.
Mazzini concepiva il popolo e la nazione solo in chiave morale e spirituale, non precisando però il tipo di istituzioni giuridico-politiche.
Non riconosceva inoltre le condizioni reali delle popolazioni italiane.
Il suo fine essenziale era il riscatto morale e politico della nazione italiana, senza indicare obiettivi economici e sociali reali.
La rivoluzione doveva essere realizzata dall’azione congiunta dei ceti borghesi e delle classi popolari.
Il suo pensiero era pervaso da una forte carica di religione laica: Dio manifesta la sua volontà attraverso la nazione, cioè il popolo. Il progresso è una missione che spetta ad ogni popolo.

Le iniziative della Giovine Italia si diffusero presto anche in Liguria, Lombardia, Emilia, Toscana e Piemonte; le azioni però non riescono a coinvolgere le popolazioni e sono represse dalla polizia. Il marinaio Giuseppe Garibaldi, che doveva organizzare l’ammutinamento della flotta sabauda a Genova, è costretto a fuggire prima in Francia e poi in Sudamerica.
Nonostante ciò nel 1834 Mazzini fonda la Giovine Europa, un movimento rivoluzionario internazionale, che però non produsse risultati di rilievo.
In seguito Mazzini venne accusato dai moderati di lanciare i suoi giovani seguaci allo sbaraglio e fu costretto ad andare in esilio a Londra.
Tra il 1840 e il 1846 si ebbero in Italia numerosi tentativi insurrezionali, tra cui quello dei fratelli Bandiera nel 1844→ i due veneziani sbarcarono con altri compagni in Calabria, dove pareva fosse in atto una sollevazione popolare antiborbonica; furono però catturati dalla gendarmeria borbonica e poi fucilati.

Il liberalismo moderato

La strategia insurrezionale dei democratici uscì screditata da queste sconfitte, mentre presero piede le posizioni dei moderati che proponevano soluzioni graduali e pacifiche.
Il movimento liberale moderato riuniva un ampio numero di scrittori e la gran parte dell’opinione pubblica borghese. Era caratterizzato dall’avversione per l’immobilismo della Restaurazione e dalla convinzione che l’Italia doveva essere avviata verso la modernizzazione civile ed economica. Privilegiava il riformismo graduale.
L’iniziativa dei moderati cominciò nel campo della CULTURA→ in letteratura: Alessandro Manzoni, che nei “Promessi Sposi” del 1827 inserì intendimenti morali e pedagogici, Silvio Pellico, Massimo d’Azeglio.
In filosofia: fu riallacciato il dialogo con il criticismo kantiano e con l’idealismo tedesco.
In campo scolastico: furono editi libri con espliciti intendimenti educativi; furono istituite scuole professionali e fondati asili infantili; fu data particolare importanza agli studi di storia, al fine di trarvi auspici per il presente; ci si concentrò anche sullo studio di problemi concreti, di ordine tecnico, economico e amministrativo.
Importante fu l’opera di informazione svolta da alcune riviste.
Nel 1839 si tenne a Pisa il primo Congresso degli scienziati italiani.

POLITICA→ il progetto politico del federalismo moderato scaturì dallo studio del passato e dalla riflessione sulle condizioni presenti.
Mancò però per molti anni una precisa strategia politica.

Vincenzo Gioberti: un abate piemontese convinto che la religione avesse una funzione essenziale per la società, in quanto senza di essa non era possibile dare unità e disciplina alla società. Il primato dell’Italia rispetto alle altre nazioni consisteva appunto nell’essere stata sede del Papato.
La proposta giobertiana era la creazione di una confederazione di stati monarchici sotto l’egida della Chiesa; con ciò egli riuscì anche ad accostare al moto nazionale il mondo cattolico, che prima era rimasto sempre ostile o in disparte.
La posizione di Gioberti, detta neoguelfismo, dal 1843 al 1848 fu l’ideologia dominante nell’ambito del liberalismo moderato. Presentava però alcuni limiti: l’improbabilità dell’unione tra cattolicesimo e libertà, a causa del papa reazionario Gregorio XVI e dell’ordine dei Gesuiti, in opposizione al liberalismo; la mancanza nel programma della soluzione del problema della presenza austriaca in Italia.
Nel 1851 Gioberti rinunciò però a questo programma, sostenendo l’esigenza di affidare al Piemonte il compito di realizzare uno Stato nazionale unitario.

Sulla questione della presenza austriaca nel 1844 era stata pubblicata l’opera di Cesare Balbo; egli condivideva la scelta monarchico-confederale di Gioberti, ma si rendeva conto che il problema italiano toccava la questione dell’equilibrio diplomatico dell’Europa.
Gli Stati italiani dovevano conquistare l’indipendenza quando la crisi dell’Impero ottomano avrebbe spinto l’Austria verso i Balcani. Con l’espansione balcanica l’Austria avrebbe rinunciato più facilmente alle province italiane, che avrebbero potuto essere assegnate al Regno di Sardegna. Grazie a questa espansione la monarchia sabauda avrebbe assunto la guida della Confederazione italiana.
Dopo l’opera ci fu un riavvicinamento di Carlo Alberto al moto nazionale.

Gli avvenimenti romagnoli del 1845: Massimo d’Azeglio bloccò un moto insurrezionale che si stava lì preparando.
In seguito d’Azeglio scrisse su questo avvenimento un opuscolo, “Degli ultimi casi di Romagna”, che divenne un vero e proprio manifesto del moderatismo liberale. Vi era denunciato il malgoverno pontificio e venivano indicate le vie della libertà e dell’indipendenza; inoltre era presente una dura critica dei metodi cospirativi e insurrezionali.
Per la creazione di un vero mercato nazionale era necessario abolire i dazi doganali che impedivano la libera circolazione delle merci tra gli Stati italiani.

Nello stesso periodo Camillo Benso conte di Cavour pubblicava su una rivista francese un articolo sulle ferrovie in Italia, in cui affermava che erano ormai passati i tempi del dispotismo conservatore e delle cospirazioni, e che si doveva guardare con fiducia ai progressi della civiltà e allo sviluppo della società.

Anche i moderati cattolico-liberali toscani, tra cui Gino Capponi e Bettino Ricasoli, si impegnarono a realizzare opere di utilità sociale per migliorare la condizione dei contadini.

Nel 1846 venne eletto il nuovo papa, Pio IX.

Il federalismo di Carlo Cattaneo

Per Cattaneo l’Italia dove mettere da parte l’orgoglio nazionale e concentrarsi per raggiungere il progresso economico e civile.
L’Italia doveva diventare un paese moderno, con una legislazione progredita, un’amministrazione efficiente e una cultura tecnico-scientifica aggiornata.
Si distingueva dalla posizione dei moderati per il suo netto laicismo e per la sua spregiudicatezza intellettuale; quindi Cattaneo fu un radicale.
Secondo lui il progresso della civiltà era la conseguenza dell’esercizio della libertà; si schierò quindi contro il protezionismo statale, contro le limitazioni poste al diritto di proprietà e contro il dispotismo.
Era convinto che la Lombardia era retta da un’amministrazione sicuramente più laica ed efficiente di quella degli altri Stati italiani, ma era anche convinto che bisognava trasformare l’impero asburgico in una federazione degli Stati, sul modello dei cantoni svizzeri, di cui avrebbe fatto parte anche il Lombardo-Veneto, in modo che fosse garantito un ordinato sviluppo della libertà. Era necessario uno stato federale in quanto con uno Stato centralizzato non si sarebbero tenute adeguatamente in conto le diverse realtà locali; per l’Italia la soluzione federalista era la più ragionevole, date le profonde diversità tra le varie regioni.
A causa delle sue posizioni ostili ai neoguelfi e moderati, ai mazziniani e ai socialisti, Cattaneo si trovò però in una condizione di isolamento politico.

Anche Giuseppe Ferrari ebbe in comune l’ideologia federalista.

Il 1848

I moti del 1848 nacquero a causa della contraddizione tra l’immobilismo politico dei regimi esistenti e i processi di trasformazione economica, sociale e culturale che si stavano delineando attraverso le varie correnti dell’epoca.

Tra il 1845 e il 1846 si verificò in Europa una crisi economica nel  settore dell’agricoltura, a partire dai cattivi raccolti di patate in Irlanda.
Nel 1846 in Galizia (Polonia) scoppia un’insurrezione contro l’oppressione di Austria, Prussia e Russia. Ciò fu preso dall’Europa democratica e liberale come un segnale per tutti i popoli oppressi. Però il governo austriaco non solo riuscì a domare il moto, ma mise i contadini contro l’aristocrazia terriera polacca, accusata del moto nazionale per le sue idee liberali e patriottiche.

A Roma nel 1846 fu eletto il nuovo papa, Pio IX, considerato liberale.
Concesse infatti un’amnistia ai detenuti per reati politici, introdusse una certa libertà di stampa, istituì una Guardia Nazionale; questi provvedimenti erano molti distanti dall’oltranzismo conservatore precedente.
Una parte del clero assunse posizioni più aperte.

Nel 1847 in Svizzera la Lega dei Cantoni cattolici, il Sonderbund,  insorse contro il resto della Confederazione per ottenere la secessione, confidando di ottenere l’appoggio della Santa Alleanza. Ma l’appoggio fu minimo e la Confederazione Elvetica, nelle simpatie dei liberali europei, riscì ad evitare la secessione.

Nel 1848 ancora in Italia, a Palermo, ci fu un’insurrezione di giovani democratici contro la monarchia borbonica, che coinvolse poi tutta l’isola; le truppe borboniche furono costrette ad abbandonare Palermo.
I disordini si propagarono anche in altre zone del Regno delle due Sicilie, tra cui a Napoli; qui Ferdinando II chiese l’intervento austriaco, che però fu negato dal Papa, il quale non voleva il transito dei soldati sul suo territorio. Ferdinando fu così costretto a concedere una Costituzione a tutto il Regno.
Anche gli altri sovrani italiani dovettero concedere costituzioni, ispirate al modello della moderata Costituzione francese del 1830.; così fecero Carlo Alberto, Leopoldo II e Pio IX.

Gli avvenimenti del 1848 non ebbero un carattere unitario, ma fu furono nei singoli paesi delle rivoluzioni sociali, liberali e nazionali.
Uno dei tratti tipici di queste rivoluzioni fu il coinvolgimento di numerosi strati popolari, anche se la borghesia illuminata e gli studenti furono i più tenaci promotori.

La rivoluzione in Francia

Sotto la monarchia di Luigi Filippo e il governo di Guizot era cresciuta negli intellettuali e in vasti strati popolari l’insoddisfazione per una Francia che aveva perso i suoi ideali.
La situazione precipitò quando Guizot si rifiutò di attuare riforme richieste dall’ala moderata dell’opposizione. Le forze contrarie a Luigi Filippo e a Guizot si coalizzarono mettendo in atto una campagna politica con progetti di riforme sempre più radicali. Quando Guizot cercò di fermare questa protesta la rivoluzione esplose.
In 3 giornate di febbraio la monarchia cadde.
Il 24 febbraio ci fu la proclamazione della repubblica e la formazione di un governo provvisorio, con esponenti democratici→ fu introdotto il suffragio universale, venne abolita la schiavitù nelle colonie, venne ridotta a 10-11 ore la giornata lavorativa; furono creati degli opifici nazionali, gli “ateliers nationaux”.
queste misure però non ebbero i successi sperati.
Il 23 aprile si tennero le elezioni per l’Assemblea Costituente, che diedero la maggioranza alle forze moderate, le quali abolirono le precedenti riforme sociali e imposero una dittatura militare per stroncare la minaccia operaia. Il 21 giugno vennero chiusi gli ateliers.
La popolazione operaia di Parigi organizzò allora una dimostrazione al Campo di Marte, la quale venne sedata nel sangue dall’Assemblea.
A novembre venne varata una Costituzione che affidava il potere esecutivo a un Presidente della repubblica, con il compito di nominare i ministri e di comandare le forze armate; venne ridimensionato il ruolo del Parlamento.
A dicembre si tennero le elezioni presidenziali, in cui vinse, grazie al consenso delòle classi abbienti, Luigi Carlo Napoleone Bonaparte, nipote di Napoleone
Nel maggio del 1849 ci furono le elezioni per l’Assemblea Legislativa, che confermarono lo spostamento a destra della situazione politica.
Luigi Bonaparte riuscì a costringere in esilio i democratici e i socialisti francesi.

La rivoluzione in Austria

La rivoluzione del 1848 evidenziò due problemi: la trasformazione in senso liberale delle istituzioni e la convivenza nell’Impero delle diverse nazionalità.
Gli scontri ebbero come scenaio le città, nelle quali la diffusione delle idee liberali e della cultura romantica aveva favorito la nascita di una coscienza nazionale.
La prima città ad insorgere fu Praga, che voleva l’autonomia dal governo centrale e maggiori libertà politiche.
Poi toccò a Vienna, in cui gli insorti chiesero le dimissioni di Metternich, la concessione della Costituzione e l’introduzione di riforme liberali.
Seguirono poi le ribellioni dell’Ungheria e delle provincie italiane.
Metternich venne licenziato e il sovrano Ferdinando I formò un nuovo governo, promettendo la Costituzione.
Il Parlamento abolì le servitù feudali da parte dei contadini.

All’inizio della rivoluzioni le varie popolazioni dell’Impero promisero di collaborare tra loro; in realtà i contrasti furono subito evidenti.
I conflitti etnici si manifestarono al congresso panslavo di Praga, soprattutto tra Boemia e Germania.
Il comandante delle truppe imperiali in Boemia approfittò dell’occasione e cercò di riportare i sudditi di Praga all’obbedienza; a Praga venne instaurato un regime di occupazione militare.
La stessa cosa avvenne con l’Ungheria: qui venne sfruttata l’ostilità antimagiara degli Slavi, ai quali non venivano concessi dall’Ungheria gli stessi diritti nazionali; l’Austria inviò così contro l’Ungheria dei reparti di soldati croati.
L’Ungheria però nel 1849 riuscì a proclamare l’indipendenza
A Vienna nel mentre successe a Ferdinando, Francesco Giuseppe.
Il nuovo sovrano decise quindi di chiedere l’aiuto militare della Russia; Budapest venne così riconquistata dalle truppe zariste nel 1849.

La rivoluzione in Germania

I moti tedeschi ebbero due obiettivi: la trasformazione liberale delle istituzioni e l’unificazione.

Nel Regno di Prussia, lo stato più forte, vi erano ancora i tradizionali meccanismi politici.
Il re Federico Guglielmo IV promise così una Costituzione e convocò un’Assemblea Costituente. Il Parlamento prussiano proclamò la libertà di stampa, il suffragio universale maschile, la parità delle confessioni religiose, e il controllo sui bilanci dello Stato.
Anche tutti gli altri stati tedeschi si dettero Costituzioni e Parlamenti..

A dicembre Federico sciolse l’Assemblea Costituente e concesse ai prussiani una Carta costituzionale, che prevedeva una Camera dei Deputati eletta a suffragio universale con il sistema delle 3 classi di elettori in base al reddito; era previsto inoltre un doppio turno di votazioni; il voto era espresso in modo palese e poi registrato. La nomina del capo del governo spettava al sovrano.
Lo stesso avvenne negli altri stati tedeschi.
La misura più importante presa dalle assemblee legislative fu nel 1848 l’abolizione delle servitù feudali.
Per quanto riguarda la questione nazionale, nel 1834 era stato realizzato un mercato comune tedesco, che aveva accelerato l’integrazione dei 39 stati della Confederazione Germanica; era ora necessario eliminare anche la frammentazione economica, per permettere alla Germania di svolgere un ruolo di potenza internazionale.
La cultura romantica aveva contribuito a dare forza ed espressione a queste tendenze; infatti in Germania il romanticismo aveva puntato molto sul tema dell’unità nazionale e dell’originalità del popolo tedesco.
Per occuparsi della questione si riunì l’Assemblea di Francoforte, eletta a suffragio dalle popolazioni della Confederazione.
I contrasti riguardarono:
Il tipo di forma istituzionale per la futura Germania unita→ si optò per una forma monarchico-costituzionale.
La sua configurazione territoriale→ da una parte c’erano coloro che volevano l’inserimento dell’Austria, con i suoi domini plurinazionali, nello Stato tedesco (“Grande Germania”), in modo da radunare tutte le popolazioni di lingua tedesca; dall’altra coloro che volevano una riunificazione intorno alla Prussia, escludendo i possedimenti asburgici (“Piccola Germania”); infine un terzo gruppo voleva la nascita di un grande Stato federale dell’Europa centrale che comprendesse anche i popoli di lingua non tedesca sottomessi agli Asburgo, come Boemi, Ungheresi… (“Grande Austria”). Vinse la soluzione della Piccola Germania.
La corona venne affidata a Federico Guglielmo IV di Prussia, che però la rifiutò ritenendo inammissibile ricevere il potere da un’assemblea eletta dal popolo.
L’unificazione tedesca era fallita e gli intellettuali tedeschi ripiegarono su posizioni di adesione alle istituzioni statali esistenti.

Le rivoluzioni in Italia

Dal 1846 al 1848 ci fu il “biennio riformatore”, in cui i sovrani italiani dovettero introdurre delle innovazioni nella conduzione politica dei loro Stati.
Piemonte→ Carlo Alberto promosse un ammodernamento dei codici e dei sistemi amministrativi e concesse la libertà di stampa; in politica estera e nella politica religiosa però rimase conservatore.
Toscana→ fu parzialmente abolita la censura, venne creata la Guardia Civica e si cercò di allargare la partecipazione alla vita dello Stato. Si cercò di formare una lega doganale tra i governi di Torino, Firenze e Milano.

Da parte dei moderati però le richieste per una svolta più decisiva aumentarono. Dopo la costituzione concessa da Ferdinando II nel Regno delle due Sicilie, anche gli altri sovrani fecero altrettanto.
In Piemonte, il 4 marzo 1848, venne promulgato lo Statuto Albertino e venne eletto come Presidente del nuovo governo costituzionale il liberale Cesare Balbo.

QUESto però non bastava alle popolazioni dell’Italia centro-settentrionale.
Scoppiaro rivolte a Venezia, a Milano e nelle altre città del Lombardo-Veneto.

A Venezia gli insorti liberarono dal carcere Daniele Manin, il quale assunse la guida del movimento e cacciò gli Austriaci, formando un governo provvisorio.

A Milano Carlo Cattaneo si unì al Consiglio di guerra e, dopo 5 giorni (le “Cinque giornate di Milano”), l’esercito del maresciallo Radetzky si dovette ritirare dalla città. Fu creata una municipalità presieduta dal conte Gabrio Casati e composta da aristocratici di idee liberali-moderate; essi però non si unirono in governo con i democratici che avevano guidato l’insurrezione, ma preferirono costituirsi autonomamente in governo provvisorio, chiedendo l’intervento militare di Carlo Alberto.
Carlo Alberto pensò di dichiarare guerra agli Austriaci non per l’idea nazionale, ma per altri motivi: la pressione dell’opinione pubblica per un sostegno ai milanesi in rivolta; data la situazione dell’Impero austriaco, c’era possibilità di espandersi nella pianura Padana; appoggiava una guerra combattuta a fianco degli altri sovrani italiani e con la partecipazione del papa.
Egli però indugiò per ragioni di impreparazione militare e per trattati di amicizia stipulati con l’Austria.
Il 23 marzo però ci fu l’attesa dichiarazione di guerra; ormai però era troppo tardi ed inoltre le operazioni militari vennero condotte molto lentamente, tanto da consentire al comando austriaco di riordinare il suo esercito e di organizzarsi per la resistenza.
La guerra assunse subito un carattere federale e nazionale, contruppe regolari (dei sovrani) e reparti di volontari. Carlo Alberto però voleva prima la garanzia che la Lombardia, una volta liberata, avrebbe accettato la fusione con il Regno di Sardegna.
Carlo Alberto riuscì ad assicurarsi l’annessione della Lombardia, ma perse la guerra con Radetzky; il generale infatti riuscì a rifugiarsi nei territori del Quadrilatero, allo sbocco della valle dell’Adige, dalla quale attraverso il Brennero ricevette rinforzi.
Nonostante ciò l’esercito piemontese vinse a Pastrengo e a Goito e riuscì a prendere Peschiera.
In seguito si ritirò dalla guerra papa Pio IX, e il suo gesto segnò la fine del neoguelfismo; si ritirò anche Ferdinando di Napoli e così anche Leopoldo II.
Un contingente di universitari toscani venne sterminato a Curtatone e Montanara; l’esercito piemontese però sconfisse gli Austriaci a Goito e riuscì a conquistare Peschiera, una fortezza del Quadrilatero
L’esercito sardo venne sconfitto a Custoza e abbandonò Milano al ritorno degli Austriaci. Venne infine negoziato con gli austriaci un armistizio che ripristinava il vecchio confine tra Lombardia e Regno di Sardegna (Armistizio di Salasco).
Erano fallite le proposte del neoguelfismo e del federalismo monarchico.
Inoltre si era manifestato un altro problema: come ottenere un’adesione al moto nazionale da parte delle masse contadine, che si erano schierate con Radetzky.
La direzione del movimento nazionale passò dai moderati ai democratici:

A Venezia resisteva ancora la repubblica di Manin.

In Toscana si formò un nuovo governo diretto dal democratico Francesco Guerrazzi e da Giuseppe Montanelli. Nel 1849 il granduca Leopoldo si allontanò da Firenze.

Nello Stato pontificio si aprirono contrasti tra il papa e il movimento nazionale; il tutto culminò nell’uccisione del ministro degli interni ad opera di un reduce della guerra. Pio IX fuggì e si rifugiò a Gaeta. Nello Stato pontificio crebbe il peso della parte democratica, grazie anche ai patrioti tra cui Garibaldi e Mazzini. Nel febbraio del 1849 venne così proclamata la fine del potere temporale dei papi e l’instaurazione della Repubblica Romana, con un governo formato da Mazzini, Armellini e Saffi.

Nel Regno di Napoli ci furono tentativi da parte  dei democratici e dei moderati di mettersi a capo attraverso sollevazioni; esse però fallirono. Prese quindi vigore la restaurazione dell’assolutismo, con il ricorso a forme di dura repressione. Il malcontento si espresse soprattutto in Sicilia, la quale aveva precedentemente proclamato la sua indipendenza da Napoli e si era data una Costituzione.

In Piemonte si era formato un nuovo governo moderato, presieduto da Cesare Alfieri di Sostegno, che era però attaccato da Gioberti e dai democratici perchè restio a riprendere la guerra nazionale contro l’Austria; egli puntava su una mediazione anglo-francese. Quando fu chiaro che l’Austria non voleva cedere la Lombardia al Regno sardo, Carlo Alberto diede a Gioberti l’incarico di formare un nuovo governo, orientato verso l’indipendenza e l’unità italiana. Gioberti cercò una linea unitaria di azione con gli altri governi italiani, ma ciò era ormai superato. Perciò egli cerco di riportare al potere il granduca in Toscana, sperando di riunire contro l’Austria il granduca, Pio IX e Ferdinando II. Però si spaccò l’alleanza con il Piemonte e Gioberti dovette dimettersi.
Carlo Alberto decise quindi da solo di riprendere le ostilità contro l’Austria. Il 20 marzo fu proclamato l’armistizio, e 3 giorni dopo, a Novara, l’esercito piemontese venne sconfitto. Carlo Alberto abidica a favore del figlio Vittorio Emanuele II, il quale avviò accordi di pace con il generale Radetzky. Ci furono numerose dimostrazioni popolari a favore della prosecuzione della guerra; a Genova si verificò una vera e propria insurrezione contro il governo e contro il re, sedata dall’esercito sardo. A Brescia ci fu un’insurrezione contro gli Austriaci, che riuscirono però a riconquistare la città.

Il tracollo sabaudo incoraggiò le forze reazionarie.
In Sicilia ritornò Ferdinando II, mentre in Toscana i democratici furono vinti dai moderati che permisero il ritorno del granduca  Leopoldo al seguito dell’esercito austriaco.

Roma aveva appoggiato la ripresa della guerra da parte di Carlo Alberto, ma dopo la sconfitta di Novara venne istituito un triumvirato, composto da Mazzini, Saffi e Armellini, con il compito di proseguire la guerra di indipendenza e di salvare la repubblica.
Pio IX decise di rivolgersi alla Francia per riconquistare Roma; la Francia voleva infatti controbilanciare la presenza austriaca in Italia e conservare l’appoggio degli ambienti cattolici. Il 30 aprile, nel primo scontro coi difensori della repubblica,comandati da Pisacane e Garibaldi, l’esercito francese fu sconfitto. A giugno i francesi lanciarono un attacco a sorpresa a Roma, la quale dovette arrendersi il 3 luglio→ fine della repubblica romana.

Venezia resisteva ancora, ma ben presto anche la sua repubblica dovette arrendersi.

L’unificazione d’Italia

Le relazioni internazionali

Elementi di novità:

Ascesa al potere in Francia di Luigi Bonaparte, eletto il 10 dicembre 1848 e divenuto imperatore dei Francesi col nome di Napoleone III; intesificò l’espansione coloniale della Francia (in Africa settentrionale, in Estremo Oriente, in Africa centrale) cercando l’egemonia continentale. Era di idee conservatrici.
Cercò di modificare l’assetto europeo sancito dal Congresso di Vienna.
Napoleone III è considerato tra gli artefici della nuova Europa che si formò tra il 1860 e il 1870.

Fine della solidarietà tra Russia e Austria in relazione alla questione d’Oriente:
negli anni ’50 scoppiò la Guerra di Crimea, che oppose tra loro le grandi potenze europee e aprì un’insanabile frattura tra Austria e Russia.
Nel 1852 lo czar Nicola I di Russia accentuò la politica anti-ottomana per vari motivi: espandersi verso il Mar Nero e gli Stretti, proporsi come protettrice dei cristiani ortodossi e cercare l’egemonia sulle popolazioni slave della penisola balcanica.
L’Inghilterra però non appoggiava i disegni russi per ragioni economiche → l’Impero ottomano infatti era un buon partner commerciale, mentre la Russia stava adottando una politica protezionistica che ostacolava la penetrazione dei prodotti inglesi; e per ragioni politiche→ gli Inglesi volevano che la Russia restasse fuori dal Mediterraneo per salvaguardare il loro controllo sulle rotte verso l’Egitto e l’Oriente.
La Francia aveva invece solo l’interesse di stabilire rapporti amichevoli con l’Inghilterra e quindi la guerra contro la Russia appariva a Napoleone III come un’occasione per rinsaldare i rapporti con la Gran Bretagna e ottenere la leadership politica e militare sul continente.
Nel 1853 scoppiarono le ostilità tra Russia e Turchia; Francia e Inghilterra posero l’assedio a Sebastopoli, in modo da togliere alla Russia la possibilità di minacciare la Turchia, ma incontrarono difficoltà e perciò cercarono un’alleanza con la Prussia o con l’Austria. PER ottenere l’aiuto dell’Austria contro la Russia firmarono un trattato con il Regno di Sardegna,il quale, in cambio di una riconsiderazione dei problemi italiani, inviarono truppe in Crimea (Guerra di Crimea) Nel 1855 Sebastopoli cadde e Francesco Giuseppe lanciò un ultimatum contro la Russia. L’attuale czar era ora Alessandro II.
La Russia capitolò; nel 1856 ci fu il Congresso di Parigi→  l’Impero ottomano fu posto sotto la garanzia collettiva delle potenze europee, la Russia fu costretta a a rinunciare ad ogniu mira sugli Stretti, Turchi mantennero i loro territori a patto di garantire a cristiani e musulmani gli stessi diritti e si delineò la Romania indipendente. Al Congresso partecipò anche il Piemonte con Camillo Cavour; la questione italiana fu portata all’attenzione delle potenze divenendo una questione di rilievo internazionale, anche se i rappresentanti austriaci cercarono di opporsi.
Le conseguenze della Guerra di Crimea→ isolamento diplomatico dell’Austria e ridimensionamento della potenza della Russia.

La reazione in Italia e il Piemonte costituzionale

La Restaurazione attuata da Francesco Giuseppe cercò di creare una compagine statale assolutistica e centralizzata; sospese quindi ogni istituzione rappresentativa, accentò il controllo poliziesco e si riavvicinò alla Chiesa.

Lombardo-Veneto: fu affidato ad un governo generale capitanato da Radetzky con un forte regime militare. La repressione dei moti del 1848-1849 fu molto dura. Venne adottata una politica finanziaria di tipo punitivo, con un notevole aggravio fiscale. Il progresso non venne promosso.

Stato pontificio: Pio IX ripristina le vecchie forme di governo; la legislazione rimase arretrata, la pubblica amministrazione inefficiente e corrotta. Il diffuso malcontento per queste condizioni si espresse nel brigantaggio.

Regno delle Due Sicilie: Ferdinando II adottò una politica di spietata reazione. Venne cancellata ogni traccia di liberalismo e venne instaurato un regime di terrore contro i patrioti. La spesa pubblica  era molto contenuta e quindi non veniva svolta alcuna attività di promozione.
L’opposizione politica ai Borboni fu forte: da una parte vi era l’orientamento democratico e rivoluzionario di Carlo Pisacane, dall’altra l’orientamento moderato, il murattismo, che voleva portare sul trono Napoleone Luciano Carlo Murat.

Toscana: la reazione fu abbastanza mite. La politica di Leopoldo II abbandonò la strada del cauto riformismo e della buona amministrazione; stipulò un concordato con la Chiesa, aumentò la vigilanza poliziesca, emarginò i liberali dal governo, abolì lo Statuto, istituì la censura sulla stampa, aumentò il carico fiscale.

Regno di Sardegna: qui invece il movimento liberale riuscì, dopo molte difficoltà, a far mantenere lo Statuto e condusse alla modernizzazione politica e civile. I democratici volevano riaprire le ostilità contro gli Austriaci, mentre a ciò si opponevano i moderati e il re. Il 20 novembre 1849 nacque il proclama di Moncalieri: d’intesa con il capo del governo d’Azeglio il re sciolse le Camere e indisse nuove elezioni; i democratici vennero sconfitti.
I democratici però continuavano a premere per una decisa politica antiaustriaca e promuovevano agitazioni governative, mentre il partito reazionario voleva l’abrogazione del costituzionalismo e il ripristino dell’ancien regime. Il governo di d’Azeglio nel 1850 presentò un pacchetto di leggi, le leggi Siccardi→ colpivano alcune prerogative ecclesiastiche: abolizione del diritto d’asilo dei luoghi sacri, abolizione della censura religiosa preventiva sulle pubblicazioni,l soppressione del tribunale della Chiesa. La protesta dei clericali e dei conservatori fu durissima ma inutile. Le leggi erano anche appoggiate da Cavour, che fece anche un discorso conclusivo alla Camera.
Cavour entra poi nel governo d’Azeglio, anche se per lui l’equilibrio politico raggiunto dal Piemonte non era un traguardo, ma un punto di partenza per ulteriori svolte in senso liberale.

Il fronte democratico

In prima fila su questo fronte vi era ancora Giuseppe Mazzini.
Egli costituì con Saffi un Comitato nazionale italiano che ripropose il programma mazziniano: l’unità d’Italia come obiettivo e l’insurrezione popolare come metodo.
Nel 1853 creò il Partito d’Azione, composto da combattenti disposti a prendere le armi.
Mazzini si occupò della sempre più importante questione sociale; infatti accentuò il suo interesse verso gli strati popolari ed i problemi dei lavoratori. Intensificò anche la polemica contro i socialisti, perchè non bisognava legare l’unità d’Italia ad un rivolgimento delle condizioni sociali.
Alcuni democratici criticarono il programma di Mazzini, tra cui Giuseppe Ferrari, il quale riteneva che la priorità data da Mazzini agli obiettivi dell’indipendenza e dell’unità non riusciva a mobilitare veramente le popolazioni; per Ferrari era invece prioritario un cambiamento rivoluzionario nei diversi Stati, che si sarebbero trasformati in repubbliche socialiste confederate. Anche la guerra all’Austria era un falso obiettivo. Infine, a differenza di Mazzini, Ferrari riteneva che la rivoluzione in Italia potesse avvenire solo all’interno di una rivoluzione europea, il cui segnale doveva venire dalla Francia.
Le idee di Ferrari vennero condivise da Carlo Pisacane, secondo il quale la futura rivoluzione italiana doveva avere un carattere socialista; per il suo successo bisognava infatti far leva sullo spirito di ribellione latente nelle masse contadine e spingerle a tentare un movimento decisivo. Si convinse ben presto che i tempi per una ribellione erano sempre più vicini; nel 1857 sbarcò quindi a Sapri, contando di sollevare le popolazioni contadine del Cilento, ma Pisacane e i suoi uomini furono uccisi dalla popolazione e dai gendarmi borbonici.
Anche Carlo Cattaneo era molto critico verso il mazzinianesimo, in quanto era convinto che la libertà era più importante dell’unità e dell’indipendenza; non condivideva le posizioni socialiste, in quanto riteneva che la rivoluzione non dovesse partire dal popolo oppresso ma da persone istruite e politici; per questo si dedicò all’educazione dell’opinione pubblica, cercando di rendere partecipi delle cause del fallimento dei moti del 1848.

Cavour

La sua formazione fu caratterizzata da spirito d’intraprendenza economica e cosmopolitismo culturale. Fu tra i primi fautori dello sviluppo ferroviario e tra i fondatori della Banca di Torino.
Il suo ingresso in politica avvenne nel 1847, con la pubblicazione del giornale “Il Risorgimento”. Era un liberale, moderato, piemontese, di cultura europea. La vita pubblica spettava ai rappresentanti dei ceti istruiti ed industriosi.
Era avverso ai miti nazionali del primato e dell’iniziativa del popolo; secondo lui il Piemonte e l’Italia dovevano accostarsi ai Paesi dell’Occidente e in particolare all’Inghilterra, tramite l’acquisizione di competenze tecniche, produttive e professionali, e l’incremento del benessere e dell’istruzione; ciò poteva avvenire solo con i metodi della libertà.
Dal 1849 Cavour divenne la figura più importante della maggioranza moderata nel Parlamento di Torino, ricoprendo poi la carica di ministro dell’agricoltura e delle finanze.
Dopo il colpo di stato del 1851 compiuto da Bonaparte in Francia, decise di chiedere l’appoggio dei settori moderati dell’opposizione di sinistra, guidati da Urbano Rattazzi; con essi strinse un accordo politico, il “connubio”→ Rattazzi fu nominato presidente della Camera, Cavour si dimise, e ciò provocò una crisi politica che fu risolta nel 1852 con la sua nomina a primo ministro al posto del troppo moderato d’Azeglio. Il connubio fu molto importante per vari motivi:
-Segnò la trasformazione del regime piemontese da costituzionale puro a parlamentare; il governo divenne espressione del Parlamento.
Segnò una svolta politica in senso liberale emarginando le forze conservatrici che    frenavano lo sviluppo del Piemonte.
In questo modo Cavour riuscì a governare assieme al Parlamento e ad attuare con il suo consenso l’azione riformatrice da lui voluta per evitare l’estremismo rivoluzionario.
L’obiettivo della sua azione era quello di incanalare il movimento nazionale italiano all’interno delle istituzioni del Regno Sardo divenute liberali.

Politica interna:
mirò alla modernizzazione del Piemonte; cercò di svecchiare la pubblica<amministrazione sostituendo i funzionari dell’ancien regime

Politica economica:
favorì i settori più dinamici abbandonando il tradizionale regime protezionistico; utilizzò gli strumenti del liberismo nel commercio estero e del forte incremento della spesa pubblica.
L’apertura ai mercati esteri provocò un maggiore interessamento da parte dei capitali stranieri. La politica liberistica valse anche la simpatia dell’Inghilterra, favorevole alla libera circolazione delle merci e dei capitali.
PER favorire le iniziative economiche il governo potenziò il sistema bancario e fondò la Banca Nazionale, anche se si dovrà attendere il 1893 perchè l’Italia abbia una vera  banca di Stato, la Banca d’Italia.
Risanò il deficit finanziario precedente non attraverso il contenimento della spesa pubblica, ma con un forte incremento del carico fiscale. Si fece anche una politica di investimenti in settori strategici, che aumentò il debito pubblico.
Fu estesa la rete delle comunicazioni ferroviarie e potenziati alcuni porti.
L’accrescimento della ricchezza nazionale permisero di rafforzare l’esercito e la marina.

Politica ecclesiastica:
le minacce maggiori al governo di Cavour provennero dalla Destra reazionaria e clericale che era appoggiata dalla Chiesa. Essa chiedeva la limitazione della libertà di stampa, una politica di accordo con l’Austria e una finanza prudente.
Cavour invece si era impegnato nel limitare le prerogative ecclesiastiche e nel realizzare uno Stato laico, di tipo moderno e occidentale.
Nel 1845 Cavour propose una legge per eliminare i conventi tenuti da religiosi contemplativi (Legge dei conventi); il clero si mobilitò e scoppiò una crisi, detta “calabiana” dal nome di un vescovo. Cavour, non appoggiato dal re, dovette dimettersi nel 1855. Fu però richiamato subito al potere e dovette mitigare la legge.
Cavour si rese conto che il principio del “libera Chiesa in libero Stato” poteva attuarsi solo dopo che i privilegi ecclesiastici fossero stati eliminati e fosse stata realizzata l’uguaglianza civile dei cittadini.

Cavour però non si occupò della riforma del sistema legislativo e i codici piemontesi, destinati a diventare i codici dell’Italia unita, che rimasero di tipo pre-costituzionale.

Politica estera:
intuì che Napoleone III avrebbe scosso gli equilibri internazionali esistenti.
Cavour, in accordo con il re Vittorio Emanuele, decise di intervenire a fianco della Francia e dell’Inghilterra nella Guerra di Crimea; i soldati che vennero inviati erano capitanati da Alfonso La Marmora.
Al successivo Congresso di Parigi il Piemonte ottenne che la questione italiana fosse per la prima volta discussa davanti ad un congresso europeo.

Molti politici italiani emigrarono ben presto in Piemonte e qui iniziò a prefigurarsi la futura classe dirigente dell’Italia unita. Il Piemonte svolgeva sempre più una funzione nazionale, così come aveva intuito Gioberti. Alla politica di Cavour espressero consenso molti intellettuali, tra cui Francesco De Sanctis e Bertrando Spaventa.
Anche molti ex-mazziniani auspicavano una soluzione sabauda al problema italiano.
Nel luglio 1857 Cavour fondò la Società Nazionale, in cui confluirono molti patrioti, tra cui Manin, Garibaldi e Giuseppe La Farina, che ne divenne il segretario; si formarono nei Ducati dei gruppi organizzati di liberali che si battevano per l’annessione al Piemonte.
Nel 1858 però il mazziniano Felice Orsini tentò un attentato contro Napoleone III, considerato nemico della repubblica. Grazie al discorso fatto alla Francia da Orsini sulle sorti dell’Italia e all’abilità di Cavour che condannò duramente l’attentato, Napoleone III capì che trovare una soluzione politico-diplomatico-militare per l’Italia era ormai nell’interesse della pace e dell’ordine in Europa.
Furono stipulati gli accordi di Plombieres tra Napoleone III e Cavour→  la Francia doveva intervenire in aiuto del Piemonte qualora fosse stato attaccato dall’Austria, e al termine della guerra, in caso di vittoria, si sarebbe costituito un Regno dell’Alta Italia, sotto Vittorio Emanuele II; il papa avrebbe conservato Roma e i territori vicini. In cambio di ciò il Piemonte doveva cedere alla Francia Nizza e la Savoia. Si parlò anche di costituire un Regno dell’Italia Centrale e uno dell’Italia Meridionale.
Subito gli ambienti conservatori e clericali francesi e le potenze europee, tra cui Gran Bretagna e Russia, cercarono di evitare la guerra, cercando di organizzare una conferenza internazionale; ma gli Austriaci si opposero per evitare che fosse messo sotto accusa l’operato austriaco in Italia, e chiesero il disarmo del Regno di Sardegna, che fu però respinto.
26 aprile 1859: l’Austria dichiara guerra al Piemonte→ II Guerra d’Indipendenza.

La seconda Guerra d’Indipendenza

Napoleone III assunse il comando delle forze alleate franco-piemontesi e passò all’offensiva facendo ripiegare gli Austriaci.
4 giugno: battaglia di Magenta→ l’esercito franco-piemontese ha via libera su Milano.
Gli austriaci comandati da Giulay, abbandonano Milano e si concentrano sul Quadrilatero; i patrioti chiesero l’unione con il Piemonte eliminando i vecchi governi.
8 giugno: Napoleone e Vittorio Emanuele entrano a Milano, mentre Garibaldi libera Bergamo e Brescia.
24 giugno: i Piemontesi a San Martino e i Francesi a Solferino sconfiggono gli Austriaci.

Ma quando ci si apprestava a liberare Venezia, Napoleone III aprì i negoziati con l’imperatore austriaco; le ragioni erano: in Francia l’opposizione di destra voleva la fine delle ostilità per evitare che, con la situazione italiana, fosse compromesso anche lo Stato del papa; inoltre l’Inghilterra temeva il rafforzamento delle posizioni francesi e la Prussia sembrava volesse intervenire in aiuto dell’Austria in cambio di un riconoscimento di egemonia sulla Confederazione germanica. Infine c’era il rischio che si formasse un Regno d’Italia nel Centro-Nord senza che la Francia ottenesse compensi.
11 luglio: Austria e Francia firmano l’armistizio di Villafranca. La Lombardia sarebbe stata ceduta alla Francia e poi al Regno di Sardegna; sarebbero stati restaurati i governi legittimi a Modena e in Toscana; il papa doveva introdurre riforme nel suo Stato; doveva crearsi una confederazione italiana sotto la presidenza del papa; l’Austria conservava il Veneto.
Cavour si dimise, e l’incarico per il nuovo governo fu affidato ad Alfonso Lamarmora e a Rattazzi.

In questa situazione di stallo i mazziniani cercarono di riprendere in mano l’iniziativa, con l’intento di marciare verso il Meridione (dove regnava Francesco II di Borbone), attraverso gli Stati del papa e ricongiungersi con le insurrezioni locali che sarebbe state nel mentre organizzate in Sicilia e in altri luoghi. Mazzini per compiere l’unificazione si dichiarò pronto a collaborare anche con i governi provvisori dell’Italia centrale e con Vittorio Emanuele.
La proposta di Mazzini non ebbe succeso ma si alimentò di nuovo l’idea unitaria.
Nel 1860 Napoleone III pubblicò un opuscolo nel quale indicava che con il prossimo congresso internazionale sulla questione italiana, il papa rinunciasse alla Romagna, alle Marche e all’Umbria e si costituisse un regno indipendente dell’Italia centrale.

Il 20 gennaio Cavour ritornò al governo e offrì subito a Napoleone la cessione della Savoia e di Nizza, come era stato concordato a Plombieres, in cambio dell’accettazione delle annessioni dell’Italia centrale al Piemonte.
A Marzo si tennero i plebisciti, che furono a favore dell’unione al Regno di Sardegna.
Le successive elezioni per la Camera del nuovo regno furono favorevoli a Cavour.

La spedizione dei Mille e l’annessione del Mezzogiorno

Nel Regno delle Due Sicilie il sovrano era Francesco II detto Franceschiello, contrario ad ogni tipo di riforma che era proposta dal presidente del consiglio Carlo Filangieri, che si dimise nel 1860.
Vi erano forti possibilità di moti insurrezionali in Sicilia, particolarmente avversa al regime borbonico. I mazziniani Rosolino Pilo e Francesco Crispi cercarono di organizzare un moto antiborbonico e si rivolsero a Garibaldi, che si dimostrò disponibile per guidare una spedizione in Sicilia.
L’insurrezione scoppia in Sicilia tra il 3 e il 4 aprile; Cavour cercò per ò di constrastare questo moto, mentre Vittorio Emanuele si mostrò favorevole a Garibaldi.
6 maggio: I volontari salpano da Quarto.
11 maggio: giungono a Marsala
15 maggio: entrano a Calatafimi e sconfiggono la truppa borbonica
27 maggio: i Mille raggiungono Palermo. La città insorge e poco dopo i borboni sono costretti a fuggire a Napoli.
Cavour temeva però un possibile conflitto con la Francia qualora Garibaldi avesse avuto l’intenzione di marciare fino a Roma o qualora la liberazione del Mezzogiorno, compiuta da forze democratiche o da volontari, non fosse compiuta dalle forme parlamentari e costituzionali dello Stato, come egli aveva desiderato.
Quindi incoraggiò il rientro nel Mezzogiorno degli esuli più moderati; inviò dei rappresentanti in Sicilia per controllare la situazione; cercò di organizzare una sollevazione liberale moderata nel Napoletano. Tutto ciò non riuscì, anche se la spedizione garibaldina fu tenuta sotto controllo e il Regno Sardo tolse ogni responsabilità sull’iniziativa.

In Sicilia però, di fronte alla disgregazione dello Stato borbonico scoppiò un conflitto tra proprietari terrieri e contadini, i quali si appropriarono delle terre demaniali a loro esurpate.
Il caso più noto fu quello di Bronte, dove il luogotenente di Garibaldi, Nino Bixio cercò di reprimere le agitazioni contadine.

20 luglio: battaglia di Milazzo
27 luglio: presa di Messina; la Sicilia era liberata.
21 agosto: cade Reggio; tutto lo Stretto è sotto il controllo di Garibaldi.
7 settembre: Garibaldi raggiunge Napoli e fa fuggire Francesco II a Gaeta.

Cavour decise allora di intervenire per evitare che Garibaldi avanzasse verso Roma e per recuperare i territori meridionali all’autorità dello Stato sabaudo, anche per evitare il possibile intervento di altre potenze.

18 settembre: l’esercito piemontese entra nello Stato pontificio e sconfigge le truppe papali a Castelfidardo.
1 ottobre: la controffensiva di Francesco II fallisce nella battaglia di Volturno.
13 ottobre: l’esercito piemontese entra nell’ex- Regno borbonico.

Nel Mezzogiorno però esponenti reazionari filoborbonici e membri del clero stavano organizzando movimenti contadini contro i liberali e i sostenitori della nuova politica.
26 ottobre: a Teano Garibaldi si incontra con l’esercito di Vittorio Emanuele e rimette il Regno da lui liberato nelle mani del re; si ritira poi a Caprera.

Si tennero nel Mezzogiorno i plebisciti per l’annessione al Regno di Vittorio Emanuele, che proclamarono il sì.
17 maggio 1861: a Torino si riunisce il primo Parlamento italiano, che proclamò Vittorio Emanuele re d’Italia.

L’Europa dal 1850 al 1870

La crescita economica

Nonostante le profonde trasformazioni che si verificarono, esistevano ancora in Europa regioni più arretrate, con minimi progressi.
I progressi erano dovuti a vari fattori:

  • La realizzazione e la diffusione delle precedenti innovazioni
  • La concentrazione delle attività produttive in unità sempre maggiori
  • La riorganizzazione e la redistribuzione delle industrie
  • La diffusione delle ferrovie e della navigazione a vapore.
  • Le scoperte aurifere in California e Australia.

Ciò portò ad un incremento del commercio, che si manifestava sia tra i paesi industrializzati e le aree meno sviluppate, sia tra i paesi industrializzati.
Importante fu la diffusione del liberismo, il libero commercio, per lo sviluppo economico; solo negli Stati Uniti rimase un moderato protezionismo.
L’industria più sviluppata era quella siderurgica del ferro e del carbone, e il settore più attivo era quello delle costruzioni ferroviarie.
Il legame tra industria e ricerca scientifica si faceva sempre più stretto, soprattutto con l’industria chimica ed elettrica che stavano appena nascendo.
Divenne più stretto anche il legame tra sviluppo industriale e finanza; si diffusero società azionarie formate da più capitalisti singoli. Sorsero le banche miste, che attuavano anche prestiti alle imprese.
Maggiori capitali provennero anche dagli investimenti esteri, con il trasferimento di capitali da un paese all’altro.
Il ruolo dello Stato divenne ora decisivo; l’aumentata spesa pubblica rese necessaria l’emissione di obbligazioni e titoli di Stato.

La Gran Bretagna

Era all’avanguardia nello sviluppo industriale e commerciale.
Vi era il regno della regina Vittoria.
Grazie ai numerosi progressi ci fu un incremento del reddito nazionale e una crescita demografica.
La situazione favorevole portò ad un clima di maggiore concordia sociale.
Il movimento operaio si organizzò nel cooperativismo e nelle Trade Unions, le quali volevano l’introduzione di aggiustamenti nel sistema produttivo capitalistico per favorire i lavoratori.
Il fenomeno più importante nella società inglese del secondo Ottocento fu però il superamento delle divisioni tra ricchi e poveri, grazie all’emergere di un nuovo ceto operaio formato da lavoratori qualificati e ben retribuiti e alla pressione esercitata dallo Stato e dalle autorità locali con la diffusione di alcuni strumenti del tempo libero che realizzarono l’integrazione delle classi lavoratrici.
Tale sviluppo derivò anche dalla solidità delle istituzioni politiche.
Sulla scena politica le forze opposte erano i liberali e i conservatori, che erano cmques d’accordo sul sistema politico-istituzionale vigente.
Dal 1846 al 1874 furono però i liberali a dirigere la politica inglese, soprattutto con le figure di Palmerston→ si concentrò nella politica estera, garantendo il dominio dei mari,la difesa dell’equilibrio in Europa, la presenza vigile nelle controversie internazionali, la pressione per ottenere la piena libertà dei commerci e il dominio coloniale in varie parti del mondo. Si realizzò così la pax britannica, una sorta di protettorato economico e politico su gran parte della terra.
Gladstone→ riuscì a mettere d’accordo gli interessi della borghesia liberale con quelli dei lavoratori, grazie a riforme riguardanti soprattutto l’istruzione e l’esercito. Dovette anche fronteggiare la questione irlandese, reprimendo duramente le rivendicazioni indipendentiste.

Dal 1866 al 1868 furono al governo i conservatori, con Disraeli, che attuarono un’importante riforma elettorale, il Reform Bill, che estese il diritto di voto alla totalità dei lavoratori di città.

La Francia del secondo Impero

1850: l’Assemblea modificò in senso restrittivo la legge elettorale; Luigi Bonaparte, ponendosi come difensore del popolo, si oppose, con l’intento di instaurare un governo personale. Era appoggiato dal clero, dalla borghesia, dall’esercito e dai contadini.
1 dicembre 1851: attua il colpo di Stato e dichiara sciolta l’Assemblea
21 dicembre: un plebiscito legittima il colpo di Stato
1852: nuova Costituzione, che assegnò al Presidente della repubblica tutto il controllo esecutivo; il potere legislativo venne invece diviso tra un’Assemblea, un Senato e un Consiglio di Stato.
Il regime ebbe un carattere autoritario e centralistico, che si manifestò con una legge che limitava la libertà di stampa e potenziava l’istituto delle prefetture.
2 dicembre 1852: restaurazione dell’Impero; Bonaparte assume il titolo di Napoleone  III.
Napoleone puntò sulla stabilità sociale, la crescita economica e la tutela degli interessi nazionali.
Politica economica:
riuscì ad aumentare il volume del commercio e la crescita industriale, soprattutto grazie al suo sostegno alle forze produttive e ai numerosi investimenti esteri.
In altri settori produttivi ( tessili, edilizia, legno) però rimasero ancora le strutture tradizionali e la crescita demografica fu più contenuta che in Inghilterra. L’agricoltura inoltre rimase arretrata e dominata dalla piccola proprietà contadina.
Affidandosi a tecnici di formazione saint-simoniana, attuò la trasformazione di Parigi; il prefetto Haussmann trasformò molti quartieri in boulevards.
Politica estera:
proclamò il sostegno al principio di nazionalità, per permettere alla Francia di riconquistare le sue posizioni in Europa. Il secondo Impero doveva continuare l’opera del primo: ridare alla Francia il suo primato.
Combattè contro la Russia nella Guerra di Crimea e contro l’Austria nella Guerra d’Italia, perdendo però il sostegno cattolico; si erse a protettore del cattolicesimo e del papa.
Nel 1864 intervennè anche nella guerra civile scoppiata in Messico; qui il presidente Garçia aveva sospeso per difficoltà finanziarie il pagamento dei debiti ad alcuni Stati, tra cui la Francia; Napoleone III cercò allora di imporre come imperatore del Messico il principe Massimiliano d’Asburgo, fratello minore di Francesco Giuseppe, ma i patrioti messicani sconfissero le truppe francesi e uccisero Massimiliano.
La politica estera poco brillante fece diminuire il consenso a Napoleone III.
Dopo le elezioni del 1863 egli decise quindi di attuare una cauta conversione in senso liberale, ripristinando la libertà di stampa e di propaganda politica, e di concedere aperture verso i lavoratori.
Alle elezioni del 1869 la sua popolarità dimunì, e così nel 1870 decise di affidare l’incarico di formare il governo a Ollivier.
Nella guerra di Prussia venne però sconfitto e catturato a Sedan; l’Impero finì.
4 settembre 1870: viene proclamata la III repubblica francese.

L’Impero austriaco

Dal 1848 era al trono Francesco Giuseppe; la classe dirigente era immobilista.
Dopo il 1849 il governo puntò sul rafforzamento del potere centrale e su un intransigente autoritarismo, rispondendo in maniera repressiva ai movimenti nazionali delle province del Regno.
Nel 1859 ci fu la sconfitta in Italia nella II Guerra d’Indipendenza.
Dopo questi avvenimenti risultò opportuno moderare l’assolutismo per dare spazio alla modernizzazione e all’industrializzazione; le forze che si contrastavano per realizzare ciò auspicavano l’una il centralismo, l’altra il federalismo.
Nel 1866 scoppiò la guerra con la Prussia, in cui l’esercito austriaco fu sconfitto; si decise quindi nel 1867 di creare una “duplice monarchia” (compromesso istituzionale), che diede l’autonomia all’Ungheria e trasformò l’Impero d’Austria in Impero austro-ungarico; venne quindi sancita l’alleanza tra le nazionalità dominanti dell’Impero a discapito della maggioranza della popolazione che era d’origine slava.
Fu creato un sistema istituzionale tripartito: istituzioni centrali a carattere unitario e istituzioni specifiche per i due Regni d’Austria e d’Ungheria.
L’unità dell’Impero fu salvaguardata indicando che le decisioni in materia di politica estera, di guerra e di finanza spettavano ai ministeri centrali unitari.
Vi era anche un Consiglio della Corona, composto dai responsabili dei ministeri centrali, dai primistri dei due governi e presieduto dall’imperatore.
I territori vennero suddivisi in 17 province dotate di autonomia amministrativa.
Furono anche promosse riforme costituzionali e civili.
Restava ancora irrisolto il problema dei rapporti tra le varie etnie, i cui contrasti creavano instabilità politica.
Nel 1873 si verificò una crisi economica molto grave.

La Russia

Il territorio si estendeva dalla Polonia all’Alaska e i suoi confini erano sempre in movimento.
All’interno dell’Impero vi erano gruppi etnici vari e nazionalità diverse.
Si registrò l’incremento di popolazione più forte in Europa.
Rimaneva cmq un Paese molto arretrato; per questo il nuovo czar Alessandro II intraprese una politica di riforme.
Un problema grosso era quello della diffusa servitù, con servi appantenenti ai privati e servi appartenenti allo Stato che spesso alimentavano ribellioni.
L’agricoltura era ancora antiquata e caratterizzata da immobilismo.
Alessandro II emanò un decreto che liberava i contadini di Stato e nel 1861 fu varata una normativa che aboliva la servitù. I contadini ricevettero così la libertà personale, ma dovettero pagare un prezzo fissato per legge per la terra loro assegnata. La maggioranza dei terreni furono acquistati dai mir, gli organi amministrativi dei villaggi, che li assegnarono ai loro membri ponendo su di loro un controllo vincolante.
Fu tentata una riforma anche in campo amministrativo. Nel 1864 furono istituite delle assemblee elettive nelle province, con funzioni di autogoverno per l’assistenza pubblica, la sanità, l’istruzione e le strade. PER amministrare le città furono istituiti dei consugli elettivi, le dume.
Ci furono riforme anche in campo giudiziario: vennero abolite le pene coroporali più dure, furono introdotte le giurie popolari…
Venne potenziata l’istruzione.
Durante quest’azione riformatrice ci fu un periodo di crescita economica.
L’azione riformatrice si arrestò però dopo poco.
1863: insurrezione nazionale nelle province polacche dell’Impero, repressa da Alessandro.
Il malcontento per l’arretratezza e la miseria formò un’opposizione radicale, che si espresse con il:
populismo→ movimento per liberare il popolo russo e creare una società socialista e legata alle tradizioni comunitarie del mondo rurale russo, diversa da quella del capitalismo occidentale; si ispirò a Herzen.
anarchismo→ propagandato da Bakunin, che voleva la formazione di piccoli gruppi organizzati che innescassero un movimento rivoluzionario attraverso azioni violente e terroristiche.
nichilismo→movimento filosofico e letterario contro il dispotismo e le limitazioni della libertà individuale imposti dalla società e dalle tradizioni.
Gli atti terroristici che seguirono portarono, nel 1881, all’assassinio di Alessando II.

L’industrializzazione e l’unificazione della Germania

4 periodi dello sviluppo industriale tedesco:
-fino al 1830: periodo di immobilismo
-1830-1840: crescita dell’industria dopo la fondazione del mercato comune tedesco (Zollverein)
-1840-1850: nascita dell’industria delle costruzioni ferroviarie
-1850-1873: decollo dell’industria tedesca

Tra il 1830 e il 1870 anche l’agricoltura progredì; l’aumento della popolazione portò un rialzo dei prezzi agricoli, che produsse forti investimenti e fecero sorgere aziende agrarie moderne.
Si verificò anche una grossa espulsione di forza lavoro dalle campagne verso il settore industriale. In questo periodo la regione della Ruhr divenne una delle regioni a più forte concentrazione urbana nel mondo.

Fu rapida anche l’industrializzazione, in cui ebbe un ruolo importante l’industria pesante.
Un’altra caratteristica fu il ruolo avuto dalla scienza e dall’industria sullo sviluppo; la Prussia promosse infatti la ricerca e l’insegnamento tecnico-scientifico.
L’industrializzazione però non fu accompagnata da un ‘evoluzione in senso democratico delle strutture sociali e politiche, ma i vertici della politica, dell’amministrazione e dell’esercito furono occupate dall’aristocrazia. La società tedesca era infatti ancorata ai valori etici di origine nobiliare.

La questione costituzionale:
la Prussia fu il solo Stato che non abrogò la Costituzione, anche se la modificò in senso restrittivo e limitò le libertà di stampa e di associazione.

La questione nazionale:
il nuovo sovrano Guglielmo I rilanciò questa questione.
I sostenitori della Grande Germania erano sempre di meno dopo l’isolamento dell’Austria in seguito alla Guerra di Crimea e il suo indebolimento dopo la guerra con i Franco-Piemontesi.
La Prussia quindi ebbe più spazio d’azione e cercò di conquistare un ruolo nazionale, cercando di dotarsi di un più efficiente apparato militare attraverso una riforma militare.
Essa fu predisposta nel 1860 dal generale von Roon; prevedeva il prolungamento a 3 anni del periodo di leva, l’aumento del numero di soldati nell’esercito statale e la riduzione della milizia territoriale, che doveva essere sostituita da un esercito tecnicamente e professionalmente preparato. La Camera dei deputati, che era liberale, però si oppose all’incremento delle spese militari; infatti essa voleva che l’unificazione tedesca avvenisse solo grazie ad un consolidamento delle istituzione parlamentari e ad un allargamento del ruolo politico dei ceti borghesi.
Il 22 settembre 1862 Guglielmo I affidò la direzione del governo a Otto von Bismarck, di posizioni conservatrici; egli infatti attuò subito la riforma senza ascoltare l’opposizione del Parlamento.
Bismarck riuscì ad avere il pieno controllo del paese grazie all’esautoramento del Parlamento, all’attribuzione di poteri speciali alle forze di polizia, e ad un’intensa campagna nazionalistica.
Si rese conto che per unificare la Germania sotto la Prussia era inevitabile uno scontro con l’Austria e per questo si assicurò la neutralità di Napoleone III, grazie a possibilità di ingrandimenti territoriali, e l’appoggio dell’Italia, con cui stipulò un’alleanza antiaustriaca.

La guerra con l’Austria:
16 giugno 1866: inizio della guerra
3 luglio: a Sadowa l’esercito austriaco viene battuto dalle truppe di von Moltke
23 agosto: pace di Praga→ scioglimento della Confederazione germanica ed espulsione dell’Austria dalla Germania, oltre che dal Veneto. Nasce la Confederazione tedesca del nord, presieduta da Guglielmo I, con Bismarck cancelliere. I territori degli Stati tedeschi sconfitti vengono incorporati al Regno di Prussia. Gli Stati meridionali rimasero indipendenti e protetti dalla Francia, che voleva evitare la formazione di un troppo grosso Stato tedesco unificato.
Il liberalismo tedesco fu sconfitto, vinse l’autoritarismo prussiano.

PER l’Italia questa fu la III guerra d’indipendenza: infatti l’Italia alleata con la Prussia mirava a completare l’unificazione nazionale conquistando il Veneto e Venezia.

Bismarck si adoperò poi per allargare la Confederazione del Nord con gli Stati meridionali; l’unico problema per questa unificazione era rappresentato dalla Francia, che proteggeva la loro indipendenza.

La guerra franco-prussiana

L’occasione del conflitto venne dalla Spagna, dove una rivoluzione aveva fatto cadere la monarchia borbonica; il Parlamento spagnolo offrì la corona a un principe degli Hohenzollern. Napoleone III si oppose, mentre Bismarck appoggio questa successione, anche per spingere la Francia alla guerra e manipolò un telegramma inviatogli da Guglielmo I  (telegramma di Ems) comunicandolo in modo offensivo per la Francia.

19 luglio 1870: Napoleone dichiara guerra  alla Prussia
2 settembre: i Prussiani circondano l’esercito francese a Sedan
4 settembre: cade il secondo Impero francese; viene proclamata la repubblica e costituito un governo provvisorio.
8 settembre: elezioni in Francia per l’assemblea Nazionale che danno la vittoria ai moderati, con a capo Thiers
18 gennaio 1871: viene firmato l’armistizio e proclamata la nascita dell’Impero tedesco, con imperatore Guglielmo I.
26 febbraio: pace di Versailles con Bismarck; la Francia cede l’Alsazia e la Lorena, ciò alimenta nei Francesi un forte sentimento di rivincita antitedesco, accorda facilitazioni doganali ai prodotti tedeschi e paga un’indennità.

La guerra portò anche alla fine del Regno di Prussia e alla formazione del Reich tedesco.

L’Italia unita e la destra storica

La classe politica dell’Italia unita

A partire dal 1861 per la classe dirigente l’obiettivo principale era la salvaguardia dell’unità conseguita.
I gruppi liberali e democratici si resero però conto che le masse popolari erano avverse ai principi dello stato unitario; si proposero quindi il compito di creare uno Stato e il senso della sua sovranità attraverso il rispetto delle leggi: era necessario definire un organismo statale, realizzare l’effettiva sovranità dello stato nazionale e l’integrazione della società civile; realizzare queste cose non era però un compito facile.

La classe politica che diresse l’Italia negli anni dopo l’unità fu quella formatasi negli anni del Risogimento.
La Destra :
Era formata dagli eredi del liberalismo moderato di Cavour, e venne detta storica per l’importanza della sua azione; tra i suoi esponenti vi furono: Bettino Ricasoli, Marco Minghetti, Urbano Rattazzi, Alfonso La Marmora, Quintino Sella.
Era legata al mondo dei proprietari terrieri settentrionali e aperta agli interessi del mondo finanziario, con connotati culturali di tipo aristocratico-borghese.
La Sinistra:
Era invece formata da uomini legati alle cospirazioni mazziniane ed al volontariato garibaldino. Tra i suoi esponenti vi furono: Agostino Depretis, Francesco Crispi, Giovanni Nicotera, Francesco De Sanctis. Erano legati ai ceti commerciali e industriali; richidevano azioni più energiche per risolvere i problemi di Roma e Venezia e appoggiavano le iniziative di Garibaldi.
Tra Destra e Sinistra c’erano molte affinità, tra cui la prossimità delle rispettive basi elettorali e l’assenza di profonde divisioni ideali.
Fu però la Destra ad avere la maggioranza in parlamento e al governo fino al 1876.

Il sistema elettorale durante la formazione del Regno era quello dei plebisciti a suffragio universale, che divenne un suffragio a base censitaria; queste restrizioni elettorali furono mantenute perché si riteneva che la partecipazione politica poteva allargarsi solo dopo la diffusione dell’istruzione e del benessere.
I candidati alle elezioni non erano esponenti di partiti organizzati, ma notabili locali.

La costruzione dello Stato italiano

Le basi dello stato unitario furono poste tra il 1861 e il 1865 dalla Destra.
La classe dirigente liberale scelse un’ordinamento dello stato di tipo acentrato, soprattutto per evitare che autonomie troppo ampie e non controllate dall’alto potessero favorire le forze dominanti nelle singole località, certamente non disponibili a promuovere il progresso.
Nel marzo 1965 furono proclamate delle leggi che estesero a tutto il Regno l’ordinamento amministrativo piemontese e che lasciarono un’autonomia molto ridotta agli enti locali. Il sindaco era nominato dal re, mentre fu posto un prefetto per controllare gli atti delle amministrazioni comunali → unificazione amministrativa.
Ci fu anche l’unificazione dei codici e l’unificazione delle tariffe doganali e della moneta.
Questa unificazione fu detta “piemontesizzazione”, cioè adozione delle norme piemontesi. Contro ciò operavano i gruppi clericali e reazionari, d’intesa con Pio IX e con i Borboni.

 

 

Politica finanziaria:
lo Stato italiano nacque con un bilancio in deficit; la politica della Destra si orientò quindi verso il contenimento della spesa pubblica e l’aumento delle entrate con l’aggravio delle imposte; venne anche reintrodotta la tassa sul macinato, avversata dai ceti popolari.
La spesa pubblica (costruzioni ferroviarie ed armamenti) privilegiò le regioni del centro nord mentre il Meridione ebbe pochi benefici. Queste popolazioni, non abituate a una forte pressione fiscale si ribellarono; inoltre l’eliminazione delle dogane interne privò molte imprese meridionali della protezione in passato offerta dal regime doganale borbonico. A tutto ciò si aggiunsero l’obbligo di leva e le incomprensioni tra le popolazioni meridionali e il nuovo apparato di funzionari statali piemontesi. Di questo malcontento approfittarono gli agenti pontifici e borbonici; nacque il fenomeno del brigantaggio, formato da bande che si opponevano alle forze governative. Lo stato italiano, per eliminare il fenomeno, emanò nel 1863 la Legge Pica e inviò nel sud reparti militari.
Erano ostili allo stato unitario anche le popolazioni rurali siciliane, che portarono alla rivolta di Palermo nel 1866 ed alla diffusione della mafia; nell’area napoletana nacque invece la camorra.

L’annessione del Veneto e di Roma (III Guerra di Indipendenza)

10 novembre 1859: pace di Zurigo; gli accordi di Villafranca vengono ufficializzati e lì
Austria conserva il Veneto e il Mantovano.
1866: l’Italia entra in guerra con la Prussia contro l’Austria. Dal punto di vista militare la guerra però non va bene, tuttavia gli austriaci vengono sconfitti dai prussiani a Sadowa.
3 ottobre 1866: pace di Vienna tra Italia ed Austria; Mantova e il Veneto vengono ceduti a Napoleone III e poi all’Italia.
Grazie alla III Guerra d’Indipendenza all’unificazione mancavano ora solo le terre del Trentino e della Venezia Giulia, ed inoltre lo stato italiano era ufficialmente riconosciuto dall’Austria e dalla diplomazia europea.

Questione di Roma:
L’annessione di Roma al Regno d’Italia era necessaria per spostare la capitale a Roma, per limitare le iniziative insurrezionali di Garibaldi e perché si riteneva che Torino non potesse rimanere a lungo la capitale del Regno, anche per far tacere le accuse di piemontesizzazione.
Occupare Roma però non era semplice perché Napoleone III difendeva Pio IX.
Un altro problema era quello che riguardava la futura configurazione dei rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa, la quale aveva ostacolato l’unificazione italiana. I rapporti tra la Chiesa e lo Stato peggiorarono ancora quando i governi italiani, per esigenze finanziarie, vararono nel 1866-1867 un pacchetto di leggi che espropriarono e misero in vendita i beni appartenenti agli ordini ed alle corporazioni religiose.
Per risolvere la questione romana il presidente del consiglio Ricasoli nel 1861 si rivolse al pontefice chiedendo alla Chiesa di rinunciare al potere temporale.
Con il governo seguente di Rattazzi Garibaldi diede il via ad un’azione, che però venne bloccata dall’esercito regio sull’Aspromonte nel 1863.
1864: il governo di Minghetti stipula con Napoleone III la Convenzione di settembre, in base alla quale la Francia si impegnava a ritirare il suo presidio militare da Roma, mentre l’Italia si impegnava a non attaccare lo Stato pontificio.
Il pontefice, deluso per questo accordo, emana l’enciclica Quanta cura, contro il liberalismo.
1865: la capitale italiana è trasferita da Torino a Firenze.
1867: Garibaldi riprende l’iniziativa, ma anche questa volta, a Mentana, viene fermato dai soldati francesi in difesa del papa.
1870: le truppe francesi sono allontanate da Roma a causa della guerra con la Prussia, nella quale Napoleone è sconfitto a Sedan. Le truppe piemontesi comandate da Cadorna ne approfittano e penetrano nello Stato pontificio. Il 20 settembre c’è la breccia di Porta Pia; i soldati occupano Roma tranne il Vaticano. I plebisciti seguenti sanciscono l’annesisone del Lazio.
Per risolvere il rapporto con il papa il parlamento italiano votò nel 1871 la legge delle guarentigie. Pio IX non accettò però la legge e riconfermò l’opposizione all’avvenuta unificazione italiana, come era emerso dal Concilio Ecumenico Vaticano I.
L’opposizione del papa all’unificazione ebbe numerose conseguenze: tenne la borghesia catotlica lontana dal processo di costruzione dello Stato, alimentò nelle classi poplari l’estraneità alle istituzioni.
Nonostante ciò lo Stato italiano continuò nel suo progetto, dimostrando la propria adesione al liberalismo per quanto riguarda la separazione tra Stato e Chiesa.

Gli Stati Uniti (1800-1865)

Espansione territoriale

Nel 1803 il presidente Jefferson acquistò la Louisiana da Napoleone I.

Tra il 1812 e il 1815 ci fu la guerra con la Gran Bretagna, la quale voleva che gli Americani non avessero più rapporti commerciali con la Francia; la guerra terminò con una pace che ristabilì lo status quo.

In seguito ottennero la Florida spagnola, durante la ribellione delle colonie centro e sudamericane.

Il presidente Monroe enunciò i principi fondamentali della politica estera americana (“dottrina Monroe”): gli Stati Uniti si astenevano dall’intervenire nelle questioni europee, ma si opponevano ad ogni colonizzazione di regioni americane da parte europea e ad ogni intervento politico, in America, di forze politiche non americane.

Nel 1863 i coloni americani proclamarono una repubblica indipendente nel territorio messicano del Texas. Nella successiva guerra con il Messico gli Usa vinsero e acquistarono i territori del su-ovest.

1867: acquisto dell’Alaska dallo czar Alessandro II.

L’avanzamento verso l’Ovest ebbe però molti problemi.
Il più grave era quello dei rapporti con le popolazioni native, gli Indiani; infatti gli americani penetravano nelle loro terre e li aggredivano. La soluzione era quella del loro allontanamento; gli Indiani furono deportati a forza nelle riserve.
Analoghe restrizioni territoriali furono imposti ad altre minoranze (indios, meticci, mormoni, neri).

Si verificò un grosso aumento della popolazione, grazie alla salubrità del clima e alle prospettive economiche.

Un altro fenomeno fu l’immigrazione, soprattutto protestanti dal Centro e dal Nord Europa; a partire dal 1840 era composta in prevalenza da Irlandesi cattolici.

Ci fu un potenziamento delle vie di comunicazione. A partire dagli anni ’30 ci fu la costruzione delle prime linee ferroviarie.

Intorno al 1860 gli Usa divennero il secondo paese industriale del mondo.
Le nuove imprese industriali si localizzarono soprattutto nel Nord-Est.
Nell’Ovest l’agricoltura divenne più produttiva anche grazie a nuovi macchinari e allo sviluppo delle ferrovie, che abbatteva i costi di trasporto.
Negli stati del Sud si espanse invece la piantagione del cotone, con l’impiego di schiavi neri; il Sud però cresceva meno del Nord e dipendeva da esso per i mezzi finanziari, industriali e alimentari.
Il primo forte contrasto tra Nord e Sud si manifestò riguardo alla politica doganale dell’Unione; infatti, nell’interesse delle industrie settentrionali, erano state votate alte tariffe protezionistiche. A ciò si ribellò soprattutto la Carolina del Sud. Si giunse poi ad un compromesso e vennero ribassate le tariffe.
Il secondo contrasto era la questione della schiavitù, in quanto gli stati del Nord erano contrari ad estendere la schiavitù ad Ovest; si giunse a dei compromessi. La difesa della schiavitù divenne per gli Stati del Sud una questione di principio.

Il sistema politico americano

1801: Jefferson presidente repubblicano-democratico, appoggiato dagli Stati del Sud.
In seguito le posizioni di repubblicani e federalisti si avvicinarono.

Il rinnovamento in politica venne dal West, che dotò i suoi Stati di Costituzioni e portò al suffragio universale.

Nel 1828 divenne presidente Jackson, leader dei democratici e candidato della gente comune→ avanzamento della democrazia.
Il presidente diventa con lui il rappresentante di tutto il popolo americano
La politica populistica-democratica di Jackson fu però avversata dai repubblicani-nazionali, difensori degli interessi del mondo finanziario ed industriale→ ritorno al bipartitismo.
Nel mentre però il movimento antischiavista diventava sempre più forte e per evitare scontri tra abolizionisti e schiavisti all’interno dello stesso partito, nel 1854 venne creato il partito repubblicano, formato da abolizionisti prima nel partito democratico; il loro candidato alle elezioni del 1860 era Lincoln.
Democratici: sostenitori della schiavitù e partito del Sud
Repubblicani: abolizionisti e partito del Nord.

La guerra civile (1861-1865)

1860: i repubblicani vincono le elezioni con Lincoln
1861: gli Stati del Sud dichiarano la secessione dall’Unione e formano la Confederazione degli Stati del Sud, con presidente Davis.
12 aprile 1861: le truppe della Confederazione dichiarano guerra all’Unione.
Il capo della Confederazione era Lee.
Gli Stati del Nord ebbero come obiettivo quello di abolire la schiavitù.
12 settembre 1862: Lincoln dichiara la fine della schiavitù negli Usa.
L’Unione riuscì ad attuare un blocco navale lungo le coste del Sud.
1863: Lee viene sconfitto a Gettysburg
Il generale dell’Unione Grant spacca la Confederazione in due.
9 aprile 1865: Lee si arrende ad Appomattox. La guerra finisce.

15 aprile 1865: Lincoln viene assassinato da un estremista sudista.

La seconda rivoluzione industriale

Periodo in cui il sistema dell’economia capitalistica subì trasformazioni di grande portata..
La nuova fase dell’economia ebbe inizio con una crisi di sovrapproduzione nel 1873, che si fece sentire anche nei due decenni successivi con una caduta dei prezzi; essa fu un prodotto delle trasformazioni organizzative e delle innovazioni tecnologiche che ridussero i costi di produzione. Gli scambi commerciali cmques crebbero.

QUESta fase fu caratterizzata soprattutto dal declino dei valori della libera concorrenza.
Nacquero così grandi consociazioni (holdings) per il controllo finanziario di diverse imprese, consorzi (cartelli) fra aziende dello stesso settore che si accordavano sulla produzione e sui prezzi e le concentrazioni (trusts) fra imprese.
Un ruolo importante in questi processi fu svolto dalle banche, infatti tra imprese e banche si creò uno stretto rapporto ( capitalismo finanziario).
Con la fine del liberismo i governi intervennero maggiormente per favorire l’economia nazionale, o tramite interventi diretti o tramite l’aumento delle tariffe doganali per proteggere la produzione interna e scoraggiare le importazioni.

La Gran Bretagna invece rimase sempre un Paese liberista, ma per questo fu danneggiata; vide infatti ridursi gli sbocchi di mercato e dovette assistere allo sviluppo delle industrie nei paesi concorrenti. Essa reagì ampliando il vasto impero d’oltremare e intensificando gli scambi con le colonie.

Assunse grande importanza la corsa ai nuovi mercati→ età dell’imperialismo.

La crisi agraria

La caduta dei prezzi si fece più sentire nel settore dell’agricoltura.
Alla fine dell’800 l’agricoltura realizzò importanti progressi tecnici, tra cui la meccanizzazione, opere di bonifica, progressi nell’ingegneria idraulica, introduzione di nuove colture e di nuovi sistemi di rotazione. QUESti progressi interessarono però solo alcuni paesi, come la Gran Bretagna, la Germania, il Belgio…
Nel resto dell’Europa persistevano invece i latifondi ed erano praticate le colture estensive.
Negli Usa si stava sviluppando una nuova agricoltura, grazie alla vasta disponibilità di terreni e all’adozione di tecniche avanzate. Quando si abbassarono i costi di trasporto, i prodotti americani, che avevano prezzi più competitivi, cominciarono ad arrivare in Europa; l’agricoltura europea subì un duro colpo. Conseguenze della crisi furono l’aumento delle tensioni sociali nel mondo rurale e l’aumento dell’emigrazione verso le aree industriali e l’America del Nord.
I governi adottarono perciò la streada del protezionismo, riuscendo a tamponare parzialmente gli effetti della crisi con interventi che ebbero costi molto elevati.

Scienza e tecnologia

La vera novità fu l’applicazione delle scoperte fatte in vari rami dell’industria e il legame stretto tra scienza e tecnologia e tecnologia e mondo della produzione.
Il tratto distintivo dell’epoca fu il grosso impiego dell’acciaio grazie a nuove tecniche di fabbricazione meno costose; permise anche la costruzione di grandi edifici e ponti.

Furono importanti anche gli sviluppi dell’industria chimica (coloranti, dinamite, fibre tessili artificiali). Legati a questo sviluppo furono anche l’industria farmaceutica e l’industria alimentare.

La Seconda Rivoluzione fu caratterizzata dall’invenzione del motore a scoppio, che nel 1885 portò alla nascita delle prime automobili che usavano benzina; si diffuse così anche l’estrazione del petrolio, soprattutto in Nord America.

Un’altra industria tipica fu quella dell’elettricità, la cui invenzione decisiva fu, nel 1879,  la lampadina  di Edison. Negli anni ’80 nacquero così le prime grandi centrali termiche per l’illuminazione privata e pubblica e per i mezzi di trasporto; furono costruite anche centrali idroelettriche.
Legate all’elettricità furono l’invenzione del telefono nel 1871 da Meucci e del cinematografo nel 1895 dai fratelli Lumiere.

Sviluppo industriale

Tra il 1896 e il 1913 ci fu uno sviluppo generalizzato della produzione e crebbe il livello medio dei salari e il reddito pro-capite.
La crescita dei redditi portò un allargamento del mercato, con la diffusione dei prodotti in serie e una rete commerciale più estesa.
Nel 1913 fu introdotta la prima catena di montaggio, che riduceva i tempi di lavoro ma lo rendeva anche ripetitivo e spersonalizzato.
La razionalizzazione produttiva ebbe come sostenitore Taylor.

Il boom demografico

Fu caratterizzato dalla caduta della mortalità, grazie ai progressi della medicina e dell’igiene e dell’industria alimentare, e dalla riduzione della natalità, con il controllo della fecondità e la diffusione di metodi contraccettivi.

La società di massa

Nacque a partire dalla fine dell’800 grazie alla diffusione dell’industrializzazione e dei fenomeni dell’urbanizzazione.
I caratteri della società di massa furono: gli agglomerati urbani, le grandi istituzioni nazionali, l’economia di mercato.

Aumentò anche la stratificazione sociale, con la distinzione fra manodopera generica e lavoratori qualificati e la nascita di nuovi ceti medi, più vicini alla borghesia.

Un ruolo importante nel plasmare la nuova società fu assunto dalla scuola, che divenne un vero servizio pubblico da cui nessuno doveva essere escluso.
Attraverso la scuola lo stato poteva diffondere i suoi valori tra le giovani generazioni, oltre che favorire la promozione sociale.
A partire dagli anni ’70 i governi cercarono di rendere l’istruzione elementare obbligatoria e gratuita, che portò ad un aumento della frequenza scolastica e ad una diminuizione del tasso di analfabetismo.
Legato a ciò ci fu la diffusione della stampa quotidiana e periodica.

Un contributo allo sviluppo della società di massa fu dato anche dall’introduzione del servizio militare obbligatorio dagli anni ’70. Gli ostacoli erano però di carattere economico e politico, in quanto non si poteva ora più negare il diritto di voto.
I fattori che spingevano verso la trasformazione dell’esercito erano di carattere politico-militare, in quanto serviva un esercito che fungesse da deterrente anche in tempo di pace, ed inoltre era ora possibile la produzione in serie di armi e la possibilità di spostamento veloce grazie allo sviluppo delle ferrovie.

Suffragio  universale, partiti di massa, sindacati

La partecipazione alla vita politica aumentò.
Nel 1890 il suffragio universale maschile era presente solo in Francia, Germania e Svizzera; esso negli anni successivi si diffuse anche in altri paesi, tra cui in Italia nel 1912.
Con la diffusione del suffragio universale nacquero anche i partiti di massa.
Crebbero anche le organizzazioni sindacali, soprattutto quelle dei lavoratori, dopo la diffusione del movimento socialista, che fecero valere i loro diritti contro le classi dirigenti conservatrici. Si svilupparono anche le associazioni sindacali cattoliche.

La questione femminile

Le donne erano ancora escluse dall’elettorato e a a volte anche dagli studi universitari.
In Gran Bretagna il movimento femminile riuscì ad imporsi all’opinione pubblica, combattendo soprattutto per il diritto al suffragio (suffragette). Nel 1918 esse riuscirono in Gran Bretagna ad allargare il voto anche alle donne.

Riforme e legislazione sociale

Anche grazie ai sindacati furono introdotte forme di legislazione sociale: assicurazione contro gli infortuni, previdenza per la vecchiaia, sussidi per i disoccupati.
Per sopperire alle nuove spese sociali i governi dovettero però aumentare le imposte dirette.

I partiti socialisti e la Seconda Internazionale

I partiti socialisti diffusero il modello del partito di massa.
Il più importante partito socialista fu quello socialdemocratico tedesco, nato nel 1875, di base ideologica marperista.
In Francia il partito di ispirazione marxista fu la Sfio (sezione francese dell’Internazionale operaia), nata nel 1905.
In Inghilterra l’ideologia marxista non riuscì a diffondersi; nacque nel 1906 il Partito laburista.
Tutti i partiti operai europei erano però accomunati dal voler superare il sistema capitalistico
e dal creare una gestione sociale dell’economia e si ispiravano a ideali internazionalisti e pacifisti.

Nel 1889 ci fu la Seconda Internazionale, in cui i partiti europei, soprattutto di ideologia marxista, si riunirono a Parigi e approvarono deliberazioni→ giornata lavorativa di 8 ore, primo maggio. Essa fu una federazione di partiti nazionali autonomi e sovrani.

Il movimento operaio adottò come sua dottrina quella marxista, nella versione elaborat da Engels e interpretata dal leader della socialdemocrazia tedesca, Kautsky.
La dottrina marxista ebbe due aspetti:
Democratico-riformistico→ l’esponente principale fu Bernstein, secondo il quale i partiti operai dovevano collaborare con le altre forze progressiste; la società socialista sarebbe nata solo grazie ad una trasformazione graduale realizzata dalle organizzazioni operaie e dal movimento sindacale. Le tesi di Bernstein furono definire revisioniste, perchè implicavano una revisione della teoria marxista.
Rivoluzionario→ formato da correnti estrema sinistra. Particolare fu la corrente della socialdemocrazia russa, guidata da Lenin; egli voleva un partito votato alla lotta. Il partito in seguito siu divise in due correti: bolscevica, guidata da Lenin, e menscevica (minoritaria).
In Francia nacque il sindacalismo rivoluzionario, guidato da Sorel, per cui il compito dei sindacati era quello di educare i lavoratori alla lotta contro la società borghese, con il mezzo dello sciopero, utile per prepararli al grande sciopero generale rivoluzionario che avrebbe fatto cadere la società borghese.

I cattolici e la “Rerum novarum”

Reazioni della Chiesa all’industrialismo, al movimento operaio e alle manifestazioni della società di massa:

Nuove pratiche religiose, come la promozione di forme di religiosità più individuali.
La Chiesa riuscì a supplire ai fenomeni di disgregazione socialee di perdita di identità indotti dall’urbanizzazione, attraverso strutture come le parrocchie, le associazioni caritative e i movimenti di azione cattolica. Ciò si verificò soprattutto durante il nuovo pontificato di Leone XIII, successore di Pio IX.
Maggio 1891: Leone XIII emana l’enciclica Rerum novarum, dedicata ai problemi della condizione operaia; vi era la condanna del socialismo, l’auspicio di realizzare la concordia fra le classi e di creare delle società operaie e artigiane ispirate ai valori cristiani.

In politica, soprattutto in Italia e in Francia, nacque la democrazia cristiana, che voleva conciliare la dottrina cattolica con la democrazia.
Legato a ciò fu la nascita di una corrente di riforma religiosa, il modernismo, che voleva reinterpretare la dottrina cattolica in chiave moderna.

1903: Pioper nuovo papa; legato ad una visione più tradizionale della Chiesa, che limitò l’azione della democrazia cristiana e probì il modernismo.

Il nuovo nazionalismo

Fra il 1815 e il 1870 il nazionalismo era collegato all’idea di sovranità popolare ed era alleato con il liberalismo e la democrazia.
Dopo l’unificazione tedesca e l’imperialismo coloniale, che legava la grandezza nazionale alle guerre, il nazionalismo si spostò a destra e si legò alle matrici romantiche e tradizionaliste e alle teorie razziste, che dividevano tra “razze superiori” e “razze inferiori”.

Nazionalismo francese:
era appoggiato da nostalgici del militarismo bonapartista e da gruppi reazionari che volevano il ritorno alla monarchia e ad una società cattolica e rurale. Il nazionalismo era rivolto verso i nemici interni, soprattutto gli ebrei.

Nazionalismo tedesco:
aveva una forte componente antiebraica ed una vena anticapitalistica e borghese; cercava anch’esso le sue basi nel mito del popolo, che alimentò i movimenti pangermanisti, che auspicavano la riunificazione in un unico Stato di tutte le popolazioni tedesche.

Un movimento simile fu il panslavismo, nato in Russia e diffuso poi nei Paesi slavi dell’Europa orientale.

Contro questo antisemitismo diffuso nacque il sionismo, un movimento che voleva dare un’identità nazionale alle popolazioni israelite sparse per il mondo e costituire uno Stato ebraico in Palestina.

La prima Guerra Mondiale

 

1914: ci sono tutte le premesse per lo scoppio della guerra:
rapporti tesi fra le grandi potenze → Austria contro Russia, Francia contro Germania, Germania contro Inghilterra (per la supremazia navale);
corsa agli armamenti;
spinte pro-guerra nei singoli paesi;
inasprimento della concorrenza economica.

La Germania mirava a ridisegnare la mappa della supremazia politica, dal momento che il suo peso politico era inferiore al peso industriale, commerciale e finanziario che aveva acquistato negli ultimi decenni. Il governo di Berlino non credeva nella solidità dell’Intesa (Inghilterra, Francia e Russia) e dava per scontata la neutralità dell’Inghilterra, troppo impegnata nel difficile problema irlandese. Riteneva pertanto che l’occasione fosse propizia per battere la Duplice franco–russa e porre su salde basi la propria potenza mondiale. Il piano, che il generale von Moltke aveva ereditato dal suo predecessore von Schlieffen, affidava alle deboli forze di von Prittwitz nella Prussia Orientale e agli Austro-Ungarici l'incarico di contenere i Russi, mentre lo sforzo principale sarebbe stato operato immediatamente verso la Francia.

La reazione austro-ungarica all’assassinio dell’arciduca fu sproporzionata al fatto in sé. E' più verosimile pensare che l'Austria-Ungheria mirasse a servirsi dell’incidente per risolvere una buona volta a suo favore la questione balcanica e liberarsi per sempre dell’ingombrante Serbia, ritenuta responsabile dell'instabilità della regione in quanto forza emergente nei Balcani. Il piano austro-ungarico, elaborato dal Conrad, prevedeva l'eliminazione rapida della Serbia e un attacco alla Russia dalla Galizia.

La Francia sognava la rivincita contro la Prussia che la aveva umiliata nel 1870 e ancora di più rivoleva i territori dell'Alsazia e Lorena persi nel 1871. Il piano francese prevedeva un'offensiva generale in Lorena, partendo dai due lati delle fortificazioni di Metz

Woodrow Wilson giustificò l’intervento degli USA con il motivo che la democrazia era ormai in pericolo ovunque e che la Germania aveva annunciato un attacco sottomarino indiscriminato contro tutte le navi dirette ai porti nemici, violando i diritti dei paesi neutrali.

 

L’Austria cercava di estendere il proprio dominio sull'intera penisola balcanica (ai danni della Serbia).
La Serbia difendeva la propria indipendenza e rivendicava la fine del dominio austro-ungarico sulle regioni abitate da serbi e da altri popoli slavi nella penisola

28 giugno 1914: uno studente bosniaco uccide l’erede al trono d’Austria, Francesco Ferdinando, a Sarajevo.

23 luglio 1914: l’Austria invia un ultimatum alla Serbia.
La Russia da il suo appoggio alla Serbia, la quale accetta solo in parte l’ultimatum.

28 luglio 1914: l’Austria dichiara guerra alla Serbia.
La Russia quindi ordina la mobilitazione delle forze armate, anche per previnere un eventuale attacco tedesco. La Germania interpreta ciò come un atto di ostilità.

31 luglio 1914: la Germania dichiara guerra alla Russia, in seguito al rifiuto dell’ultimatum.

1 agosto: la Francia, legata alla Russia da un trattato di alleanza militare, mobilita le forze armate.

3 agosto: la Germania dichiara guerra alla Francia.
La Germania sperava che l’attacco alla Francia fosse rapido, e per questo voleva passare attraverso il Belgio, anche se questo era neutrale, per attaccare la Francia da nord-est.

5 agosto: la Gran Bretagna dichiara guerra alla Germania, perchè era scossa dalla violazione della neutralità belga.

Allo scoppio della guerra l’Italia si dichiarò neutrale; in seguito però le forze politiche e l’opinione pubblica si divisero in tre fazioni sul problema dell’intervento in guerra:
Interventisti→ sinistra democratica, nazionalisti, liberal-conservatori, borghesi
Neutralisti→ gran parte dei liberali, con a capo Giolitti, cattolici, socialisti.
Contrari → masse operaie e contadine

La guerra segnò la fine dell’Internazionale socialista, che si era sempre battuta contro la guerra; l’esaltazione del nazionalismo travolse l’ideale della solidarietà internazionale.
I due schieramenti erano: Imperi centrali (Germania, Austria-Ungheria e Impero Ottomano) VS. Intesa (Inghilterra, Francia e Russia).

I tedeschi ottennero clamorosi successi iniziali e si attestarono ai primi di settembre lungo la Marna, vicino Parigi.  Il piano da loro utilizzato era il piano Schlieffen, che prevedeva prima un attacco massiccio alla Francia e poi contro i russi.
La Francia però contrattacca e allontana i tedeschi.
Sul fronte orientale i tedeschi sconfissero i russi a Tannenberg e sui Laghi Masuri; i russi però riuscirono ad invadere l’Ungheria
La guerra si configurò come una guerra di logoramento.

Gli austriaci riusciro a sconfiggere i serbi e ad entrare a Belgrado, venendo però subito respinti.

1915:

Maggio 1915: l’Italia entra in guerra.

L’esercito austro-tedesco vinse sui russi, anche se il governo russo non è ancora costretto alla pace.
Gli austriaci devono far fronte all’esercito italiano sull’Isonzo, che si è schierato a fianco dell’Intesa.

La guerra sottomarina dei tedeschi spinge gli inglesi a decretare il blocco commercialedella Germania; inoltre, a causa dell’affondamento del piroscafo americano Lusitania, i rapporti con gli Usa si deteriorano.

L’Impero ottomano approfitta della guerra contro Russia e Francia per organizzare il genocidio degli Armeni, popolo cristiano che rivendicava l’autonomia dal dominio turco.

1916:

La Germania attacca la roccaforte di Verdun.

L’Austria avvia una spedizione punitiva contro l’esercito italiano guidato dal generale Cadorna (Strafexpedition). L’Italia però riesce a conquistare Gorizia→ VIII battaglia dell’Isonzo

Gli inglesi attaccano sulla Somme.

I russi constringono gli austriaci alla ritirata.
La Romania attacca l’Austria, ma subito Austria e Germania reagiscono e portano alla caduta di Bucarest.

I tedeschi fanno affondare un altro piroscafo americano, il Sussex, e gli Usa minacciano di rompere con essi le relazioni diplomatiche.

La flotta tedesca cerca di spezzare il blocco britannico nella battaglia dello Jutland, ma viene sconfitta.

Si fanno però sempre più numerose le richieste di pace nelle conferenze dell’Internazionale socialista, facendo appello ai popoli perchè rifiutino l’appoggio ai governi e impongano la pace.
Le trattative di pace però falliscono e la guerra continua.

1917:

3 fatti mutano il corso della guerra e della storia:

Marzo: rivoluzione in Russia→ uno sciopero generale degli operai di Pietrogrado si trasforma in una manifestazione politica contro il regime zarista.
Lo zar abdica e viene poi arrestato. La Russia si preparava al collasso militare.

Aprile: l’intervento americano→ gli Stati Uniti decidono di entrare in guerra contro la Germania, a causa della sua guerra sottomarina.

Il malessere delle truppe→ si intensificano le manifestazioni di insofferenza popolare contro la guerra e gli ammutinamenti.

24 ottobre 1917: disastro di Caporetto→ l’esercito austro-tedesco approfitta della disponibilità di truppe provenienti dal fronte russo per attaccare l’esercito italiano e avanzare nel Friuli.
Il rimanente dell’esercito italiano riesce poi ad attestarsi sulla nuova linea difensiva del Piave.
Al generale Cadorna succede Armando Diaz.
Dopo la disfatta però il senso di coesione patriottica aumentò e le forze politiche del nuovo governo di Vittorio Emanuele Orlando erano concordi tra loro.

6-7 novembre 1917: rivoluzione d’ottobre→  in Russia i bolscevichi prendono il potere; il nuovo governo rivoluzionario, presieduto da Lenin, decise di terminare la guerra e firmò l’armistizio con gli Imperi centrali.
3 marzo 1918: pace di Brest-Litovsk→ la Russia dovette accettare tutte le dure condizioni imposte dai tedeschi, come la perdita di grandi parti del territorio.

Gli stati dell’Intesa accentuarono il carattere ideologico della guerra, presentandola come una crociata della democrazia contro l’autoritarismo, contro i disegni egemonici dell’imperialismo tedesco.
QUESta concezione della guerra ebbe come sostenitore anche il presidente americano Wilson, che delineò le linee della sua politica in un programma di pace in 14 punti; in uno di essi si auspicava un nuovo organismo internazionale, la Società delle nazioni.

Giugno 1918: l’esercito tedesco è sulla Marna e attacca Parigi.
Attacca anche l’esercito italiano sul Piave, ma viene respinto.
Anche l’offensiva tedesca si affievoliva.
Gli anglo-francesi si giovano dell’apporto degli Usa.

Agosto 1918: battaglia di Amiens→ l’Intesa sconfigge i tedeschi.
Anche gli alleati tedeschi stavano crollando; ad ottobre l’Austria-Ungheria subirono la crisi finale

Gli Austriaci sono sconfitti dall’Italia nella battaglia di Vittorio Veneto.
3 novembre 1918: armistizio di Villa Giusti con l’Italia.

In Germania una parte della flotta tedesca si ammutinò e diede vita, assieme agli operai della città, ad un moto rivoluzionario. Capo del governo venne nominato Ebert, mentre il Kaiser e l’Imperatore d’Austria furono costretti a fuggire.
La Germania aveva perso la guerra.

 

Fonte: https://sociologiaunipi.files.wordpress.com/2013/03/riassunti-storia-contemporanea-sabbatucci-vidotto.doc

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