Umanesimo

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Umanesimo

UMANESIMO
La periodizzazione
La periodizzazione consiste nel collocare cronologicamente gli eventi. Nel corso del 1400 si verifica una vera e propria svolta delle civiltà con dei fondamentali mutamenti nelle varie visioni del mondo e dunque nelle varie espressioni letterarie ed artistiche e negli studi scientifici. Quindi ha inizio una vera età nuova che, nella tradizionale periodizzazione storica, viene indicata come Rinascimento: in questa svolta l'Italia gioca un ruolo di primissimo piano in quanto anticipa sul tempo gli altri paesi europei. Naturalmente occorre tener presente che le periodizzazioni sono delle forzature e pertanto non dobbiamo immaginare fratture tra Basso Medioevo ed Umanesimo. Inoltre all'interno del periodo rinascimentale si distinguono due fasi:

  • L'Umanesimo (tutto il 1400), contrassegnato da un interesse fortissimo per l'antichità (riscoperta dei classici; studio della filologia; "imitazione" del mondo antico);
  • Il Rinascimento (primi decenni del 1500), un periodo contrassegnato dal consolidamento della nuova civiltà, del triondo della classicità e della cultura della corte (le signorie) e inoltre viene raggiunta la massima maturità espressiva nella letteratura e nell'arte.

Le strutture politiche
Nell'ambito della vita politica abbiamo visto che già nel corso del 1300 si delinea la nuova struttura signorile, perché i conflitti tra le fazioni diventano talmente aspri da far saltare le istituzioni comunali, che risultano insufficienti a risolvere tali frizioni. Ciò fa sì che prevalgano gli uomini più forti economicamente, aristocratici, che sono appoggiati dal popolo. C'è un ritorno ad una gestione di potere tradizionale: quindi vi sono famiglie che impongono la loro leadership tradizionale. Tra il 1400 e il 1500 le signorie si consolidano (Sforza e poi Visconti a Milano; Estensi a Ferrara; Duchi di Urbino). Possiamo subito dire che Firenze costituisce un caso particolare perché agli inizi del 1400 il capoluogo fiorentino è ancora caratterizzato dalla presenza del comune. Nel 1435 Cosimo dei Medici sancisce l'inizio di questa signoria (I Medici erano una potentissima famiglia di banchieri e mercanti, ma non sono aristocratici).
I caratteri della signoria
La signoria costituisce un potere autoritario e gerarchizzato, che viene trasmesso per eredità ed è gestito da strette oligarchie. Nell'ambito di questo potere si sviluppa una nuova corte che deve cercare visibilità, dato che si apre una corsa sfrenata al prestigio, al lusso e alla cultura. Naturalmente rimane fuori il popolo: infatti questo prestigio è confinato nelle corti e pertanto buona parte della popolazione rimaneva escluso.

L’accademia

Un’istituzione nuova, tipica del 1400 (perché nata in stretta interdipendenza con la corte) è l’accademia. Siccome tra gli intellettuali umanisti diventa molto sentito il carattere “dialogico” della cultura, cioè che la cultura si produce essenzialmente nello scambio di idee, nel confronto e nella discussione libera, nasce l’esigenza di trovare un’istituzione, un luogo in cui poter esercitare tutto questo. E siccome siamo in un’epoca in cui prevale l’imitazione dei classici, si prenderà come riferimento l’accademia platonica, per il fatto che tutto il suo pensiero è basato proprio sul dialogo. Si tratta dunque di cenacoli dove persone dotte, spesso amiche tra loro, si riuniscono per conversare, per discutere, per scambiarsi opinioni e per condurre una vita comune. Naturalmente ci sono personaggi carismatici e soprattutto l’accademia vuole distinguersi dal concetto di scuola e di università, perché nell’accademia non si frequentano dei corsi rigidamente regolamentati (come l’università), ma era un luogo libero e paritetico (cioè nessuno prevaleva sugli altri, tutti erano allo stesso piano). Inoltre l’accademia non ha più finalità pratiche, come invece aveva l’università (e cioè per avere un titolo, una carica) e va sottolineato che nell’accademia si produce la cultura per cultura, per ricercare le verità del mondo. Naturalmente le università e le scuole permangono, continuano ad essere delle realtà importanti; tuttavia entrano in contrasto fra loro e con l’accademia per il fatto che, mentre l’accademia ha un’impostazione platonica, l’università per tradizione era legata ad un’impostazione aristotelica (più razionale e rigorosa).

Le botteghe di artisti e di stampatori

Centri di cultura tipici di quest’età furono senz’altro le botteghe, cioè quelle dei scultori e dei pittori, con un mutamento della condizione sociale degli artisti. Vale la pena sottolineare il fatto che verso la fine del 1400 abbiamo la diffusione della stampa e quindi la nascita di un altro centro culturale: la bottega dello stampatore, frequentata da letterati e filosofi. Venezia è il faro illuminante della stampa con Aldo Ma nunzio, che istituì l’accademia aldina: le sue stampe sono famose tutt’oggi (alcune sono rimaste in biblioteche, altri sono in mano a privati). Un altro stampatore da ricordare è senz’altro Giovanni Gutemberg, che creò i caratteri mobili.

Le biblioteche

Tra questi vari centri di cultura, assumono un ruolo importante le biblioteche (che finora esistevano all’interno di monasteri). Petrarca crea una prima biblioteca pubblica: egli immaginò di donare tutte le sue opere alla repubblica di Venezia e sperava che questa biblioteca fosse consultata e frequentata: si diffuse la sua idea presso altri signori, mentre la sua biblioteca non ebbe futuro.

Gli "studia humanitatis" e l'insegnamento pedagogico

L'interesse per i classici e il perfezionamento della filologia fanno sì che anche il curriculum degli studi subisca alcune modifiche improntandosi al modello degli studi classici. Esse vengono definite ed esaltate come vere e proprie forme di "studia humanitatis", cioè discipline che promuovono la dignità dell'uomo, cioè, studi che formano l'uomo nella sua interezza, secondo un ideale classico di armonia tra le facoltà umane (discipline che esaltano le virtù umane; uomo completo, eclettico, colto, impegnato civilmente e politicamente). Questo fa sì che non ci sia più l'esigenza di seguire in modo rigido la scansione delle discipline in trivio e quadrivio, tipiche del mondo medievale. Più in generale infatti si privilegiano discipline come l'eloquenza, la filosofia e la filologia, ma anche la storia e naturalmente la letteratura: c'è una laicizzazione della cultura. Nel campo filosofico non viene più privilegiato il pensiero aristotelico in quanto assume importanza il pensiero platonico. Accanto agli "studia humanitatis" diventa importante l'insegnamento in quanto c'è sensibilità per l'attività del maestro: viene data grande importanza alla missione educativa di un insegnante, che non deve essere più il tramite di una serie di nozioni, secondo un modello di cultura enciclopedica (dove non prevale il ragionamento, la discussione o la critica, ma l'accumulo di più informazioni possibili). Da tutto ciò scaturisce una nuova visione dell'uomo.

 

 

L'uomo nell'età dell'Umanesimo

L'uomo dell'età umanista è armonico in tutte le sue componenti spirituali e fisiche, senza che nessuna di queste prevalga sull'altro: la bellezza e la forza del carattere si devono rispecchiare nella bellezza e nella forza del corpo (il kalos agatos, cioè il bello e il buono secondo il modello greco): "dove c'è virtù c'è bellezza". Uno dei modelli più importanti di riferimento è sicuramente Cicerone e la corrente filosofica di riferimento è quella stoica. L'uomo doveva avere:

  • senso del decoro;
  • senso della natura;
  • rispetto della giustizia;
  • forza d'animo;
  • la patientia (capacità di sopportazione);
  • dominio razionale degli istinti;
  • rispetto per gli altri (dovuto al principio che gli altri non devono prevalicare e né essere prevalicati)

 

Non a caso il concetto di humanitas nasce nel I sec. a.C. grazie appunto a figure come Cicerone e filosofi stoici. Un altro aspetto importante dell'uomo dell'Umanesimo è il fatto che egli deve formarsi come cittadino: egli deve sentire di avere una funzione civile e laddove è possibile deve esercitare la politica. Naturalmente l'impegno civile si può realizzare in certi contesti: in questo periodo infatti, essendoci le corti signorile (ed essendo decadute le istituzioni comunali), questo concetto può concretizzarsi a Venezia e a Firenze. Infatti, si può parlare di Umanesimo in primis per la realtà fiorentina, dove ancora sono salve le istituzioni comunali. I primi umanisti fiorentini esercitano professioni o svolgono funzioni pubbliche. Ricordiamo tre nomi: Coluccio Salutati, Leonardo Bruni e Poggio Bracciolini (che incarnano il connubio tra otium e negotium).

Il neoplatonismo e Marsilio Ficino

Questo ideale di uomo viene anche alimentato da un ritorno molto sentito alla filosofia platonica e al neoplatonismo (già presente) di Plotino. A Firenze in particolare nasce una vera e propria accademia neoplatonica intorno al 1462 grazie alla volontà di Lorenzo de' Medici, che dona materialmente a Marsilio Ficino un manoscritto con tutte le opere complete di Platone, affinché fossero tradotte e studiate da Marsilio: l'approfondimento filosofico va di pari passo con la filologia (si cerca infatti di risalire alla versione autentica del testo). Mentre l'aristotelismo privilegiava un approccio razionale e sistematico alla realtà, secondo una visione gerarchizzata della realtà, con il platonismo si parte dal presupposto che tutti gli elementi della realtà siano in un rapporto paritario e questa realtà molteplice è tutta protesa al suo stesso perfezionamento, cioè è protesa al raggiungimento del logos (bene supremo). Si accede a tale perfezione mediante non più un procedimento allegorico, ma tramite un processo di ascesi dell'anima, ossia mediante uno slancio di carattere intuitivo, analogico, simbolico, soggettivo, e quindi, irrazionale (vedi il misticismo): non a caso vengono riscoperte e non più condannate discipline come la magia e l'alchimia, che comprendono aspetti irrazionali.

 

 

Poliziano

Angelo Ambrogini, detto Poliziano (nome che deriva da un monte, Monte Pulciano, in provincia di Siena), nasce a Montepulciano nel 1454. Dopo la morte del padre si trasferisce a Firenze dove ha la possibilità di avere maestri importanti, tra cui Landino, Argiropulo e Marsilio Ficino.
All’età di sedici anni conosce già latino e greco e sa tradurre: infatti come passatempo traduce l’Iliade. Poliziano entra nell’ambiente dei Medici, diventando membro della cancelleria e precettore di Piero, il figlio di Lorenzo. In breve tempo egli diventa il più grande umanista di Firenze. Comincia a scrivere in volgare le sue prime liriche. Tra il 1475 e il 1478 compone un’opera molto importante: si tratta de “Le stanze per la giostra”, un testo epico-mitologico (quando si parla di un testo epico-mitologico ci si riferisce al genere), cioè una sorta di poema epico.
Inoltre questo testo ha un chiaro intento di carattere encomiastico (cioè per lodare qualcuno), in particolare, le stanza nascono per esaltare la vittoria ad una giostra (cioè un torneo di armi) di Giuliano de’ Medici, fratello di Lorenzo. L’opera rimane però incompiuta a causa della morte di Giuliano durante la congiura dei Pazzi nel 1478. Nel frattempo intraprende la carriera ecclesiastica, diventando priore, per trovare un sostentamento economico. Si pensa che si allontanò per un certo periodo da Firenze stabilendosi a Mantova alla corte dei Gonzaga, dove si occupa anche di teatro; compose e mise in scena il primo dramma del teatro italiano: la “Fabula di Orfeo”. Però nel 1480 viene richiamato da Lorenzo che gli dà la cattedra di professore di greco e latino fino alla sua morte (1494), scrivendo opere e soprattutto dedicandosi alla filologia. Poliziano, essendo un filologo, è un letterato per il quale la parola ha un’importanza enorme. Egli è un autore versatile (che sa utilizzare vari registri linguistici, con un lessico molto variegato) e criticava chi si fissava solo su un autore di riferimento. Questa sua capacità linguistica emerge nelle sue liriche in volgare. I temi sono di stampo classico, con un forte sentimento per la natura: si parla infatti di “paganesimo” (gusto per la natura di stampo pagano), cioè con una visione della natura e dell’uomo più di carattere fisiologico, naturalistico: infatti, in certe scene, c’è una certa sensualità. Un altro tema molto ricorrente legato al paesaggio è la caducità della bellezza che è fugace. Viene ripreso anche il tema del tempus edax (tempo divoratore).

La linea poetica anticlassica

Parallelamente alla produzione lirica di questo primo periodo umanistico, si sviluppa anche un tipo di lirica e letteratura che potremmo definire anticlassico; per quanto riguarda la poesia, si può parlare di poesia comica, popolareggiante, giocosa e anche parodistica (come nella poesia comica rispetto ai motivi stilnovistici), cioè volta a capovolgere certi topoi letterari classici e certi stilemi classici cioè i modi espressivi. Un autore molto significativo è il poeta Burchiello. Fiorentino, vive nella prima metà del 1400 e scrive molte liriche. Inserisce una novità rispetto all’epoca precedente: introduce il tema del “non senso” cioè si diverte a spingere il suo gioco fino al puro divertimento di associare tra loro immagini, parole, rime alla rinfusa senza logica, raggiungendo appunto degli effetti di non senso, cioè, dando ai componimenti un effetto surrealistico. Famosa è una lirica di Burchiello, “Nominativi fritti e mappamondi”. Questo poema fa una specie di sonetto ma gioca naturalmente su questo. Alcuni studiosi dicono che comunque dietro questa associazione di idee vi è un filo logico, ma non è tanto questo ciò che è importante: Burchiello si distingue per aver avuto il coraggio di affermare che tale componimento era un vero e proprio sonetto. La vitalità del periodo è testimoniata proprio dal coraggio di produrre queste liriche, concesso dalla libertà raggiunta dall’artista in questo periodo. La poesia rientra nell’Umanesimo proprio perché il periodo testimonia la sbocciatura di tutte le possibilità dell’uomo. L’associazione è guidata dalla musicalità. Il gioco di “non senso” è incanagliato però in una precisa forma lirica. Il messaggio di Burchiello è ben chiaro: si gioca sulle parole mantenendo però una rigorosa struttura sintattica, il cui razionale ordine logico si equilibra con l’irrazionalità delle parole. Si denota la volontà dell’artista di creare particolari effetti.
La nascita del poema cavalleresco e la sua relazione con i cantari (17/05/2006)

All’origine del poema cavalleresco, che ebbe un’enorme fioritura nel Quattrocento, ci sono dietro due filoni di narrativa di origine medievale. Il primo ramo è quello, per noi più familiare, epico-carolingio (comprendente la Chanson de Roland dell’XI sec.). La materia del poema è detta “materia di Francia” e ottiene un successo enorme e da essa nasce tutta la tradizione dei poemi cavallereschi, le “canzoni di gesta”. In Italia per esempio c’è un autore a cavallo tra il Medioevo e l’Umanesimo, Andrea da Barberino, che scrive un romanzo in prosa sulla base delle canzoni di gesta. Il successo della tradizione epico-carolingia prosegue nel corso del 1400 e da questo ramo si sviluppa un’ampia produzione di cantari, cioè di canzoni, poemi e poemetti, scritti in ottave e destinati alla recitazione nelle piazze. Dai cantari nasce poi il poema cavalleresco che naturalmente risponde all’esigenza di un pubblico più colto (quello delle signorie), per cui questi poemi sono scritti da autori di notevole pregio. Il secondo ramo fa capo a delle forme romanzesche che privilegiavano la saga arturiana (ciclo bretone: si ricordi Tristan e Isotta del XII sec., di Chretien de Troyes). Mentre nel filone epico-carolingio il centro ideologico del poema è di tipo collettivo (la guerra santa), nel ramo romanzesco arturiano il centro ideologico diventa l’impresa del singolo cavaliere, impegnato nella sua quette, cioè nella ricerca di qualcosa di prezioso come il Sacro Graal, affrontando una serie di prove caratterizzate da eventi magici e fantastici. In Italia e in altri paesi, nel Quattrocento vengono ripresi questi due filoni e di essi viene fatta una sorta di fusione originale che si rispecchia sia nei cantari, sia nei poemi cavallereschi. Rispetto al romanzo cavalleresco prevale in generale il gusto per il poema in ottave.

Luigi Pulci e “Il Morgante”

Con il passaggio alla signoria dei Medici, il cantare si trasforma in poema cavalleresco. Tale passaggio avviene grazie a Pulci, che ha però una caratteristica fondamentale: quella di avere predilezioni per il genere comico e giocoso. Pertanto Pulci si ricollega non al filone classico, ma a quello anticlassico. Pulci è quindi un autore molto vicino alla tradizione popolare. Naturalmente questo in primo tempo alla corte dei Medici viene apprezzato (Lucrezia Tornabuoni apprezzava e promuoveva Pulci a scrivere), ma alla lunga entra in contrasto con l’altro filone classico: l’opera di Pulci è il “contraltare” de “Le stanze per la giostra” di Poliziano, ma anche con Marsilio Ficino.
Pulci scrive questa opera, Il Morgante, la cui stesura inizia nel 1461, inizialmente costituito da 23 canti. Ad un certo punto si rompe il legame con i Medici e infatti va via; poi torna e scrive 5 canti che costituiscono la seconda parte dell’opera (in tutto i versi scritti sono più di 30.000). Nel 1483 esce il poema completo e l’anno dopo Pulci muore a Padova.
Per quanto concerne Il Morgante, questa opera prende il nome da un gigante e riguarda la storia di Orlando che, calunniato da Gano, lascia Parigi per andare nella Pagania (terra dei pagani) e durante il viaggio trova un’abbazia minacciata da tre giganti: Orlando ne uccide due, mentre il terzo rimasto, Morgante, si converte al cristianesimo e diventa scudiero dell’eroe paladino: è una sorta di nuovo Ercole, solo che al posto della clava egli ha una campana. Orlando è a sua volta accompagnato da un mezzo gigante, Margutte. Molto ridicola è la morte dei due: Margutte muore di riso a crepapelle, mentre Morgante muore perché viene punto da un granchio mentre controlla che i paladini salgano su una nave. Nei cinque canti successivi c’è Orlando che difende la Francia, mentre Gano si accorda con Marsilio per intrappolare Orlando a Roncisvalle. Poi c’è l’assalto dei paladini ad Orlando, a cui però viene in aiuto Rinaldo, il cugino, dall’Egitto, su dei cavalli alati che erano stati oggetti di un incantesimo da parte dei diavoli Astarotte e Farfarello, ma non viene impedita la morte di Orlando. Astarotte è un diavolo gentile, malinconico, “sui generis”, ed è un dotto conoscitore della teologia. Alla fine si rende conto del tradimento di Gana che viene fatto uccidere come Marsilio. Il poema si conclude con Morgante che aspetta in cielo l’arrivo di Orlando, mentre Margotte va all’Inferno, diventando l’aiutante di Belzebù.

Il Boiardo

Matteo Maria Boiardo è un conte, nobile signore feudale vicino agli Estensi. Nasce nel 1441 e ben presto governa lui un feudo a Reggio Emilia ed entra in contatto con Ferrara per questioni diplomatiche. Il resto del suo tempo è dedicato agli studi sulla caccia. Nel 1476 si trasferisce a Ferrara come compagno di Ercole d’Este e negli anni immediatamente successivi diventò governatore a Modena e a Reggio, dove muore nel 1494, pochi mesi dopo la calata di Carlo VIII in Italia (che cerca di conquistare il regno di Napoli). Ferrara è uno dei centri prestigiosi dell’Umanesimo per l’impulso degli Estensi che rendono la città un gioiello. Boiardo ha una formazione umanistica e tradusse non a caso testi latini e greci. Inoltre scrisse in latino opere di carattere pastorale ed encomiastico in onore degli Estensi. Scrisse anche un’opera teatrale in volgare, destinata alla corte: si tratta di un dialogo ripreso da un autore greco del II sec. d.C. (Luciano). Le opere più importanti sono il Canzoniere (Amorum libri) e L’Orlando innamorato.
Il Canzoniere fu scritto tra il 1469 e il 1471 e comprende una raccolta di liriche amorose per Antonia Caparra: in tutto sono 180 testi tra sonetti e canzoni, divise in:

  1. gioie dell’amore;
  2. sofferenza del tradimento;
  3. nostalgia e pentimento per questo amore.

 

L’Orlando innamorato è un poema la cui stesura fu iniziata nel 1476. I primi due libri, pubblicati nel 1483, comprendono 60 canti; poi Boiardo si dedicò ad un terzo libro che fu concluso pochissimo tempo prima della sua morte. Il poema riprende la materia cavalleresca, destinata al diletto dell’elite cortigiana (nel 1° verso c’è una dichiarazione programmata del testo).
Il fatto di aver intuito l’importanza di procrastinare (rimandare) la narrazione di un evento rispetto a quando il lettore si aspetterebbe, permette a Boiardo di suscitare curiosità nel lettore, e di intrigarlo nella vicenda. Boiardo è abile ad adoperare questo espediente che sarà adottato anche da altri autori come Ariosto. Per quanto concerne il linguaggio possiamo affermare che Boiardo, specie nella descrizione dei luoghi e nella caratterizzazione dei personaggi, tende a nobilitare e non a caso il registro adoperato è di carattere aulico-solenne, elevato, accostandosi così all’età cortese.

 

Fonte: http://inretelab.altervista.org/letteratura/contenuti/originiletteratura/umanesimo.doc

Sito web da visitare: http://inretelab.altervista.org

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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