Tecnologia e Museo Archeologico Virtuale

Tecnologia e Museo Archeologico Virtuale

 

 

 

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Tecnologia e Museo Archeologico Virtuale

MAV, l’idea

A pochi passi dagli scavi archeologici di Ercolano, il MAV – Museo Archeologico Virtuale – prova a dare figura al sogno di chi, partendo da torsi e rovine, immaginò per primo la vita di un’antica città. In continuità con quanto l’archeologia ha prefigurato nella storia delle sue ricerche, il progetto di questo museo cerca di tracciare un’immagine del passato grazie alle possibilità aperte dalle nuove tecnologie.
Se nel buio di uno scavo nascono i sogni di ritrovare un passato perduto, nel buio di un museo quei sogni, intanto divenuti ipotesi ricostruttive, assumono una loro immagine verosimile e condivisibile.
Il MAV è un progetto ideato da Gaetano Capasso e realizzato del team creativo della Capware. Già nota, tra le cose, per le più belle e accurate ricostruzioni virtuali delle antiche città romane dell’area vesuviana, la Capware ha voluto raccogliere il suo enorme patrimonio di immagini e presentarlo in una forma altra da quella del classico documentario. L’esperienza decennale maturata nelle tecnologie virtuali e nelle nuove forme di comunicazione della cultura ha reso possibile questa combinazione inedita di passato e futuro realizzatasi del MAV.
La struttura, che occupa una superficie di ben cinquemila metri quadrati, ospita un’area permanente dedicata al più intenso viaggio virtuale mai realizzato nelle città dell’impero romano dell’area vesuviana.
Senza la presenza materiale di alcun reperto antico ¬– che ha nel museo storico-archeologico la sua collocazione ideale – il MAV prova a inventarsi un nuovo modo di comunicare l’antico attraverso le possibilità aperte dalle nuove tecnologie.
Grazie all’impiego di macchine interattive ‘invisibili’ – progettate e realizzate da Capware – anche il visitatore più refrattario avrà l’impressione di essere parte integrante di un evento che egli potrà di volta in volta determinare.
Tutto il museo, infatti, è gestito da un unico software, che – attraverso una rete – controlla le singole installazioni intercettando i movimenti e le diverse identità dei visitatori. Questi sono dotati di un badge su cui vengono registrate note distintive come l’età, il sesso e la lingua. In base alle identità riconosciute e ai movimenti dei visitatori, le singole installazioni si riconfigurano di volta in volta mutando la lingua delle didascalie, cambiando le scene o il registro dei racconti.
Con un apporto minimo di scenografie e l’assoluta assenza di oggetti in esposizione, il MAV, al di là del percorso previsto per questa occasione, è pensato perché, nello stesso spazio, sia possibile allestire più mostre in una sola giornata semplicemente aggiornando i contenuti di un software predisposto ad accogliere altre informazioni.
In prospettiva – e non c’è bisogno di sottolinearne le potenzialità didattiche – sarà persino possibile che una mostra nasca a partire dalle suggestioni e dai materiali proposti dai singoli visitatori, che da semplici spettatori si ritroveranno a giocare un ruolo attivo nell’allestimento di un proprio museo ideale.
A differenza di una collezione stabile, dove il materiale esposto è archiviato secondo regole rigide e inalterabili, qui tutto diventa oggetto di sperimentazione continua.
Come in un laboratorio – dove ad essere osservate sono procedure in opera, protocolli d’azione e non oggetti semplicemente presenti – in questo spazio aperto alla progettualità di tutti sarà possibile immaginare e realizzare nuovi modi di comunicazione della cultura, più flessibili e immateriali, ma al contempo ricchi di contenuti e di narrazioni.
E’ per questo che il MAV, oltre a inaugurare un nuovo modo di esibire, ha l’ambizione di proporsi come un Centro di studio e di pratica dei media.
Sin dall’inizio, gran parte della ricerca alla base del progetto è stata dedicata alle possibilità aperte dalle tecnologie in quanto media, nella convinzione che queste potessero restituire modalità comunicative più efficaci e intuitive al fine di coinvolgere anche il visitatore più distratto.
Chi ha ideato questo museo conosce quali sono gli effetti dei media utilizzati e in base ad essi li ha ripensati, aprendone nuove possibilità.
Se, come scriveva McLuhan (e non è un caso che a questo progetto leghi il suo nome il più grande allievo dello studioso canadese, De Kerckhove), i media riorganizzano le nostre facoltà psichiche e i nostri sensi, il MAV, sviluppandone le potenzialità comunicative, rende da oggi possibili nuovi modi di fare esperienza.
Promosso e finanziato dalla Provincia Napoli e dal Comune di Ercolano, il MAV si propone come un centro culturale e tecnologico in grado di competere con i più avanzati musei internazionali, e come segno del rilancio di una provincia – quella di Napoli – che, nonostante le enormi difficoltà, con la consapevolezza di un grande passato, accetta la sfida del futuro.

IL VIAGGIO

I.
Scomposizioni

“Intelligenza connettiva è un termine che uso per indicare l'impatto odierno di Internet sul pensiero umano. Attraverso di essa il singolo ha la duplice possibilità di far parte di un gruppo senza perdere la sua identità e di avere un'identità senza perdere il senso del gruppo”

D. de Kerckhove

L’idea della rete, o network, della connessione di punti infiniti in uno spazio dove le distanze fisiche sono annullate, ha mutato le coordinate della nostra esistenza in modo ben più incisivo di altri media.
Internet è divenuto il paradigma di una nuova forma di conoscenza, costruita su un libero e continuo scambio di informazioni che ha reso possibile una partecipazione più dinamica e flessibile da parte di tutti.
La prima sala del MAV è dedicata proprio all’illustrazione di questa idea che – a partire dalle teorie di P. Levy e D. de Kerckhove – ha preso il nome di intelligenza connettiva.
Se per intelligenza connettiva s’intende la possibilità di condividere il pensiero, l'intenzione e i progetti espressi da altri, il MAV, concepito come struttura aperta – grazie all’apporto di saperi che vanno dall’archeologia alle arti visive, dalla comunicazione alla filosofia – ne rappresenta un’esemplificazione perfetta.
L’istallazione visiva prova dunque a sintetizzare in un ambiente interattivo il nuovo paradigma comunicativo e conoscitivo aperto dalla rete e dall’intelligenza connettiva.
I visitatori, una volta riconosciuti, sono circondati all’ingresso da alcuni cerchi luminosi che si disegnano intorno a ognuno di loro. In un secondo momento, questi cerchi si connettono attraverso delle linee di luce.
In tal modo, l’idea alla base e grazie a cui è stato possibile il MAV viene mostrata e non soltanto raccontata. Si tratta di un prologo interattivo, la figurazione animata di un concetto.
I nostri corpi, catturati nell’immateriale, scomposti e riconfigurati in luce, nella “materia di cui sono fatti i sogni”, possono aprirsi a un’esperienza fantastica.

 

II.
Tutti i nomi

“Capita sempre più di rado d’incontrare persone che sappiano raccontare qualcosa come si deve. E’ come se fossimo privati di una facoltà che sembrava inalienabile, la più certa e sicura di tutte: la capacità di scambiare
esperienze”

W. Benjamin

La parola, il racconto orale – costitutivo del nostro rapporto col passato – è una forma primordiale di intelligenza connettiva. Il viaggio inizia recuperando così la forma sempre più dimenticata della narrazione.
Nel Foro di Ercolano, iscritti in un albo, sono stati ritrovati i nomi dei suoi antichi abitanti.
Ora, i loro volti – ricavati da statue, affreschi e incisioni e trattati con la computer grafica – ci vengono incontro raccontandoci ognuno la propria storia, in una sorta di Spoon river lontana duemila anni fa e ambientata nella terra distrutta dal Vesuvio.
Il riconoscimento del visitatore farà sì che le voci (gestite da un avvolgente effetto acustico) siano direttamente rivolte a lui, in un’atmosfera ovattata dove a predominare è il calore e la vicinanza della parola detta.

III.
La scoperta

“Non smetteremo di esplorare. E alla fine di tutto il nostro andare ritorneremo al punto di partenza per conoscerlo per la prima volta”

T. S. Eliot

Un museo archeologico, nella sua concezione classica, si organizza come una raccolta di reperti che documentano nella loro unicità una storia altrimenti inenarrabile. Ciò che però il museo per la sua vocazione contemplativa non può restituire è l’esperienza della scoperta. Uno dei compiti che il MAV si è posto si formula proprio in questa domanda: è possibile provare almeno un’eco della meraviglia e dello stupore di chi per primo vide emergere dal profondo della terra le tracce di un remoto passato?
La terza stanza del nostro viaggio è un’immersione totale negli scavi borbonici di Ercolano e insieme un’esperienza sul campo di storia dell’archeologia.
Così, ci imbatteremo come per la prima volta in quel pozzo, che, scoperto casualmente da un contadino in cerca d’acqua, rivelò la straordinaria presenza di alcuni marmi antichi, determinando, sotto l’egida di re Carlo III, l’inizio degli scavi.
Sporgendosi all’interno dell’apertura, il visitatore noterà l’acqua animarsi al suo sguardo come a manifestare il ritorno di un passato a lungo rimosso. A quel punto egli potrà ripercorrere la storia delle successive scoperte, attraversando i cunicoli scavati da un gruppo di "cavatori di Resina, di ergastolani del carcere di Portici e di schiavi tunisini e algerini" che, come raccontano le cronache d’epoca, si aprirono la strada nel profondo della terra a colpi di pala e piccone.
Attraverso un dedalo di passaggi sotterranei s’imbatterà, come quegli uomini, nei pressi di un'iscrizione che recita: Theatrum Herculanense.
Sarà così possibile scorgere all’improvviso resti di quel teatro, che, come per magia, riprenderanno lo splendore e i colori di un tempo. Da quel luogo vennero portate alla luce statue di incredibile bellezza che andarono ad arricchire la reggia di re Carlo.
Coinvolti in questa atmosfera misteriosa, da alcuni orci, che nell’antico teatro fungevano da amplificatori, si libereranno come echi, le voci di attori impegnati in una nota commedia di Plauto.
Da un’apertura nella roccia si riconosceranno invece le rovine di quello che doveva essere lo splendido belvedere della Villa dei Papiri. Improvvisamente, i resti di quell’antico colonnato recupereranno la bellezza originaria scoprendo una grande terrazza sul mare. Una calda brezza ci avvolgerà insieme al profumo e alle onde del mare. Ma sarà come una fantasmagoria. Un attimo dopo, tutto ritornerà come prima.

IV.
Controcorrente

“Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato”
J. Fitzgerarld

La lettera che racconta della morte di Plinio il Vecchio, partito per mare nel tentativo di documentare la tragedia da vicino e di recare aiuto a quanti ne avessero bisogno, costituisce uno dei documenti più commoventi e significativi della storia dell’eruzione del 79 d.C. La descrizione della nube sollevatasi dal Vesuvio (“si stava alzando una nube verso il cielo e, come sorretta da un immenso tronco, si allargava poi in qualcosa di simile a dei rami…”) rappresenta un momento simbolico della storia dell’umanità oltre che della scienza naturale.
Il visitatore avrà la possibilità di riattraversare a ritroso gli effetti prodotti dal collasso della nube che – segno premonitore della tragedia incombente – provocò la morte immediata di migliaia di Ercolanesi.
Come una soglia simbolica e temporale, una volta varcata, ci introdurrà alla meraviglia di una città fotografata nella quiete che precede la tempesta.
Se, da una parte, al nostro passaggio si scopriranno i mosaici e gli interni di una delle più belle case antiche, la casa del Fauno, dall’altra – come a ricordare il disperato viaggio di Plinio verso la costa – panorami che danno sul mare si disegneranno davanti ai nostri occhi.
Preludio a una scoperta delle case e dei monumenti delle città, queste vedute mostrano il paesaggio come doveva apparire allo straniero che lo raggiungeva da lontano o al cittadino che vi ritornava dopo un lungo viaggio.
Da queste vedute il percorso proseguirà nell’ignota profondità del mare dove altre sorprese attendono di essere incontrate.
La ricostruzione animata del Ninfeo di Baia è, tra le altre cose, esemplare per mostrare le possibilità del virtuale applicate all'archeologia grazie all’esibizione dei diversi stadi temporali di un ritrovamento.
Sarà possibile vedere non solo il ninfeo come si presentava un tempo o come si presenterebbe oggi, ma si assisterà al racconto della sua decadenza, del mare che lentamente lo sommerge, rivelando immagini di incredibile bellezza.
Questi livelli che agiscono e reagiscono l'uno sull'altro permettendo di mostrare non semplicemente il "com'era", o il “com’è”, ma la scoperta nel suo svelarsi. Restano pertanto non solo documenti di archeologia ma anche di storia dell'archeologia.
Questi piani non sono tenuti assieme solo dal racconto ma sono connessi in un’unica animazione, in un unico movimento che restituisce l’integrità del sogno senza smarrirsi nella distaccata analisi dei reperti.

V.
Vedute (Cave)

“Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”

M. Proust

Si sa che vedute delle antiche città spinsero molti viaggiatori stranieri a venire in Italia, inaugurando la tradizione del Grand Tour. L’idea che studiare l’antichità non fosse separabile dalla visione diretta dei luoghi trovava via via la sua realizzazione. La contemplazione di paesaggi e rovine poteva riattivare le energie sedimentate nel passato, rievocando potenze a lungo rimosse.
Anche allora immagini mediarono la conoscenza dell’antichità, senza però che quelle riproduzioni oscurassero l’aura e l’unicità dei luoghi.
Le ricostruzioni virtuali presentate in questo spazio espositivo, una sorta di caverna virtuale (C.A.V.E.), – centro e cifra dell'intero museo – rappresentano l'ultimo stadio di una ricezione dell’antico inaugurata dai viaggi di quegli uomini che per primi abbozzarono nei loro taccuini i profili di mondi lontani, formando e alimentando il nostro immaginario collettivo.
Si comprende allora il senso in cui qui si concepisce il virtuale, che non è certo quello di una realtà depotenziata, fantasmagorica. Virtuale è la possibilità che, sedimentata nelle cose, può essere riattivata se l’immaginazione la ridesta.
La potenza della simulazione virtuale tocca qui il suo apice, restituendoci come in una rêverie fatta di immagini e suoni (e con la possibilità di profumi e odori) l’atmosfera e la bellezza delle antiche città vesuviane.
Tutt’altro che arbitrarietà, l’idea di ricostruzione virtuale mostra così una sua logica precisa, una sua filologia che non va confusa con un’oggettiva e impossibile fedeltà a un ‘dato’.


VI.
Il tesoro ritrovato

Che ogni oggetto personale racconti una storia, è qualcosa che può essere compreso senza difficoltà. Ma che ci siano storie raccontate attraverso oggetti, che si usi un oggetto per raccontare una storia, tutto questo può aprire una diversa possibilità di narrazione. Si può raccontare una storia attraverso una collana di pietre preziose?
Si è inteso mostrare questo reperto, attraverso un ologramma, come simbolo di un modo di comunicare l’antico suggerito dall’oggetto stesso.
All’interno di un vecchio baule, insieme ad altri gioielli antichi appare agli occhi del visitatore una collana composta da pietre bellissime, ognuna delle quali è simbolo di qualcosa (di una virtù, di una qualità) che una voce misteriosa prova a svelare.

 

 

 

VII.
Prospettive dell’abitare

Nell’abitare il mondo, l’uomo mostra la sua dimensione più propria. La configurazione di luoghi pubblici e privati racconta la realtà quotidiana di un popolo come se fosse tuttora vivente.
Le innumerevoli ricostruzioni delle più belle case di Pompei, Ercolano e Stabia sono mostrate contemporaneamente in modo che chiunque, in un colpo d’occhio, possa comprenderne i tratti comuni e le differenze specifiche, come non sarebbe possibile al piatto e consueto sguardo dall’alto, “a volo d’uccello”.
La visione prospettica offrirà inoltre la possibilità di visitare gli ambienti esterni ed interni delle case come sarebbe stato possibile un tempo solo ad un antico visitatore.

VIII.
Il giardino di Villa dei Papiri

“Nella scuola di Epicuro la pratica della direzione spirituale era persino oggetto di insegnamento, come conferma il trattato di Filodemo Sulla libertà di parola, tratto dalle lezioni impartite sull’argomento dall’epicureo Zenone. Il parlare schietto del maestro si dimostra essere un’arte che viene definita come aleatoria nella misura in cui deve tener conto dei momenti e delle circostanze. Il maestro dovrà dunque prepararsi a subire degli scacchi, tentare e ritentare di correggere il comportamento del discepolo compatendo le sue difficoltà. Si vede dunque come la tradizione epicurea riconosca il valore terapeutico della parola”

P. Hadot

Nella Villa dei Pisoni rinacque il Giardino ateniese di Epicuro. Un gruppo di discepoli – tra cui Vigilio e Orazio – si radunò intorno al filosofo epicureo Filodemo di Gadara.
In quel luogo fu ritrovata la più grande raccolta di papiri dell’antichità e nulla in futuro vieta di immaginare la possibilità di rinvenimenti ancora più importanti.
La scuola epicurea presenta delle caratteristiche peculiari che la distinguono dalla scuole che la precedevano. Se gli Aristotelici disponevano di un Peripato, gli Epicurei si ritrovavano in un Kepos (Giardino), che, come simbolo della natura coltivata e della fecondità della terra, rappresentava un’allegoria perfetta della formazione e della maturazione del discepolo.
Come dimostra un papiro ercolanese, il rapporto tra maestro e allievo si radicava sul piano ineludibile della parola. Sulle parole del maestro, sul loro potere terapeutico, il giovane regolava la sua condotta virtuosa.
Ma anche il rapporto di amicizia tra gli allievi doveva essere costruito sulla più aperta franchezza. Il monito, persino il rimprovero in pubblico, era una pratica necessaria affinché un giovane, rafforzando al contempo il contegno sociale, potesse imparare dai suoi errori e dalle sue mancanze.
Un’istallazione vuole provare a illustrare questa concezione pratica della filosofia così diversa dalla nostra.
Da una sorgente precipitano delle lettere da cui si formano parole, dalle parole nascono regole: e, come da una fonte il cavo della mano attinge acqua purificatrice, così dalla saggezza l’esistenza acquista una chiarezza sconosciuta.
Il riflesso di quella Grecia che conquistò il conquistatore arrivò a tanto. Ma in ogni caso si trattava di un ritorno. La filosofia era nata non distante da dove ora tornava.

IX.
Le voci della strada

“Molto ho appreso ascoltando attentamente. La maggior parte della gente non è mai in ascolto”

E. Hemingway

Nel silenzio delle visite agli scavi è difficile rivivere il brulichio, le voci che animavamo l’antico Foro e le strade affollate delle città romane. Il cinema in genere soccorre la nostra immaginazione, sebbene ci releghi nella posizione di uno spettatore distaccato, esterno ai fatti.
In questo caso, percorrendo idealmente la strada che conduce al Foro tra la gente accalcata, sarà difficile non essere coinvolti dall’arringa di un oratore, dai commenti della folla, dalle chiacchiere delle donne e dai giochi di fanciulli.
Come se fosse realmente uno straniero in viaggio in un’antica città, il visitatore, incuriosito dai discorsi della gente, potrà soffermarsi in alcuni punti del cammino.
Riconosciuto dal ‘sistema’ in base a identità e tempi di sosta, potrà ascoltare gli umori della gente, le richieste dei bambini e le minacce dei congiurati, che, sentendosi osservati, gli si rivolgeranno in modi e toni completamente diversi.

X.
La vita di un popolo

Un archivio immateriale della vita nelle città dell’impero romano intorno al Vesuvio occupa il centro della stanza.
Attraverso un tavolo interattivo sarà possibile selezionare numeri animati e parole oscillanti, in modo da attivare di volta in volta una sequenza diversa (sia video che audio). Dalle bevande alle ricette gastronomiche, dai giochi ai mestieri, in base alle preferenze del visitatore, si apriranno schede animate raffiguranti oggetti, affreschi, cibi che comunicano, in modo interattivo e dinamico, notizie sugli eventi e sulla vita degli antichi abitanti.
Questa istallazione rappresenta infine insieme uno specchio in cui si riflettono tutte le stanze del Mav, che riattraversate in questo medium, permetteranno di approfondirne i contenuti a un livello ulteriore.

XI.
Il libro delle arti

“Il buon Dio si nasconde nei dettagli”

A. Warburg

L’invenzione della fotografia, tra le altre cose, ha avuto una sua ricaduta rivoluzionaria nello studio dell’arte. La possibilità di ingrandire dettagli, comparare icone, decifrare simboli, ha determinato l’aprirsi o l’approfondirsi di campi di ricerca come l’iconologia e l’iconografia.
In questa sala, sarà evidente al visitatore l’offerta propria dal virtuale, che, integrando le potenzialità della fotografia, si presenta come un nuovo e intuitivo strumento di ricerca.
Su un leggio sarà possibile sfogliare un libro immateriale contenente le più grandi serie di affreschi rinvenute nelle antiche città vesuviane (si pensi ad esempio ai grandi cicli pittorici pompeiani della Villa dei Misteri). A quel punto il visitatore, grazie all’altissima definizione delle fotografie, potrà attivare tutta una serie di operazioni come l’ingrandimento dei particolari di un’immagine, la rotazione completa di una scultura antica ecc.


XII.
I luoghi del giorno e della notte

Tra il tempo pubblico e diurno e quello notturno e privato, la giornata di un antico romano era scandita da una serie di attività.
Il giorno si prestava ai traffici e al successivo riposo nelle terme, dove era possibile una conversazione più informale e rilassata.
Quando il sole declinava il cittadino poteva liberare il suo contegno mondano e darsi ai piaceri della notte.
Delle istallazioni permettono al visitatore di rivivere queste diverse atmosfere. Attraverso dei vetri appannati, che con la mano sarà possibile spannare, egli potrà intravedere delle donne che si bagnano mentre saranno percepibili nell’aria odori di unguenti e balsami usati in quei tempi. A terra degli specchi d’acqua si animeranno sotto i suoi piedi.
Il cammino nella notte prosegue con il “Lupanare”, tipico luogo del piacere con le caratteristiche pitture e graffiti erotici.
Entrambe le istallazioni mostrano il meccanismo di censura che la macchina museale mette in moto al passaggio di bambini.

XIII.
Il Foro

Nelle ipotesi di restauro, nella disposizione dei materiali, affiorano di volta in volta configurazioni inedite, documenti di un tempo che inatteso riemerge. In questi passaggi si intravedono costellazioni del passato, che difficilmente possono essere riprese e raccontate nella forma statica del catalogo.
La bellezza del Foro illuminato di notte accoglierà il visitatore nella più grande sala dell’intero museo, mentre senatori, soldati, uomini e donne ne attraversano lo spazio.
Sulle pareti le loro ombre, come provenienti dal fondo nero di antichi vasi, sembrano accompagnare il suo cammino. Un dialogo tra un uomo di potere e un suo stretto collaboratore getterà una luce inquietante su ogni ricostruzione del passato stabilita sul racconto dei vincitori.
L’intreccio tra la bellezza del luogo e le mistificazioni del potere evocate nel dialogo, accenna a una storia altra, generando una tensione sotterranea tra il passato che ci è noto e il passato che tendiamo costantemente a rimuovere.

 

 

XIV.
La fine del viaggio

“Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione. Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto “Non c’è altro da vedere”, sapeva che non era vero.
La fine di un viaggio è solo l’inizio di un altro. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si era visto in estate, veder di giorno quel che si era visto di notte, con il sole dove prima pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era.
Bisogna ritornare sui posti già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini.
Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre.” J. Saramago

 

Capware

La Capware è nata nel 1984 come software house specializzata in computer grafica. Da oltre dieci anni, Capware realizza ricostruzioni virtuali e produzioni multimediali per l’arte, utilizzate dalle più importanti reti televisive fino a diventare il maggior produttore europeo di filmati in computer grafica per l’archeologia
Oggi la Capware è specializzata nell’utilizzo delle più moderne tecniche di comunicazione per la promozione della cultura: dall’informatica, alla computer grafica, all’elettronica, alla scenotecnica e illuminazione, disponendo per ciascuna di esse di staff tecnici di grande e qualificata competenza.
Questo enorme bagaglio di esperienza e di professionalità, unitamente al prestigio dei clienti e dei progetti realizzati, pone Capware ai primi posti nella progettazione e produzione di tecnologie al servizio della cultura e la rende unica nella realizzazione di allestimenti basati su tecniche virtuali.

Intervista

Gaetano Capasso, laureatosi in Ingegneria elettronica, dopo un periodo di grande formazione alla Texas Instruments, dove lavora allo sviluppo di microprocessori, fonda e dirige la Capware Informatica, che tutt'oggi resta legata al suo nome.
Nella sintesi tra sviluppo del software e comunicazione, tra programmazione e ricerca di un'interfaccia quanto più umana e spontanea possibile elegge il suo punto di applicazione.
Quanto mai sensibile al fascino delle arti, della storia e della filosofia, Capasso ha da sempre saputo che la tecnologia, per quanto sofisticata, nulla può se non ha presente la sua destinazione ultima: lo sviluppo dell'esistenza umana.
Nell'epoca dell'arte come riproducibilità tecnica, sulla scia di Walter Benjamin, cerca di cogliere la chance rappresentata dalla tecnica come una possibilità di emancipazione dai vincoli in cui la tecnica stessa, se non opportunamente condotta, può imbrigliare l'uomo abbandonandolo in una vita alienata.
Capasso sa che in realtà l'hardware è nulla senza la leggerezza del software, e che nel software, nel suo sviluppo continuo è data la possibilità di una comunicazione a venire. Quest'idea di fondo guida la sua originale concezione di realtà virtuale, che non solo non evade dalla storia, ma se ne dichiara orgogliosamente erede legittima, rispettosa com'è della tradizione culturale, del lavoro di archeologi e antichisti, dei sogni di artisti e scrittori, dei diari dei primi viaggiatori.
Una realtà virtuale così concepita non poteva che aprire la strada a un nuovo modo di allestire mostre e spazi dedicati alla comunicazione dei beni culturali, delle arti e dei saperi in generale.
Il MAV, nella cui cifra l'intero lavoro di Capasso si raccoglie, trovando la sua piena realizzazione, si presenta come il risultato di una ricerca continua del medium in cui, a dispetto di una demonizzazione unilaterale della tecnica, possono comunicare tecnologia e uomo, competenze tecnico-scientifiche e cultural studies.

 

CAPWARE ESPORTA L’ARCHEOLOGIA ITALIANA NEL MONDO

Il 2008 sarà per noi un anno indimenticabile: numerose mostre ospitano le nostre ricostruzioni virtuali. Le nostre installazioni a Roma e a San Pietroburgo sono state elogiate sulle prime pagine dei più importanti giornali internazionali.
Il loro successo è il risultato di anni di impegno e di prestigiose collaborazioni con la RAI e le più importanti televisioni straniere, con Piero e Alberto Angela, con i Pink Floyd e con i più importanti Musei.
Ci auguriamo che lo stesso successo giunga anche al MAV che da oggi diventa il primo museo virtuale del mondo.

2008/
Gennaio-Giugno/Allestimenti e ricostruzioni virtuali per la mostre

Birmingham-Alabama/Museum of Art
“Tale from an eruption”

Jacksonville-Florida/ Cummer Museum
“Art from the ashes”

St.Paul-Minnesota/Science Museum
“Pompeii”

San Diego-California/National History Museum
“Pompeii”

Roma/Palazzo della Provincia
Percorso multimediale attraverso Le domus romane di Palazzo Valentini.
Definita dal New York Times la migliore realizzazione multimediale per l’archeologia.

Milano/Mondadori
Collaborazione con Alberto Angela al libro “Una giornata a Roma”.
Best seller. Primo in classifica. Tradotto in tutto il mondo.

San Pietroburgo/ Hermitage
Allestimenti e ricostruzioni virtuali per la mostra “Otium Ludens”
Definita dal Times come una delle cinque mostre assolutamente da non perdere.

Cerimonia dei Telegatti
Telegatto speciale per la promozione della cultura a Piero Angela per l’allestimento multimediale Palazzo Valentini realizzato con Gaetano Capasso e Paco Lanciano.

Luglio:Roma/Auditorium della musica
Il film “Tiberio: una notte a villa Jovis” è proiettato fuori concorso nella giornata inaugurale del Festival del cinema archeologico.
Grandissimo successo di pubblico.

9 Luglio: Ercolano/Fondazione Cives
Inaugurazione del MAV, il primo museo virtuale dedicato all’archeologia, interamente progettato e realizzato dalla Capware.

11 Luglio:Charlotte-North Carolina/Discovery Place
“Pompeii”

17 Luglio: Hong Kong/Museum of Art
Allestimenti e ricostruzioni virtuali per la mostra “Otium Ludens”
La più grande mostra sull’antica Stabia

23 Agosto:Nijmegen-Olanda/Museum Ket Valskohof
“Luxus und Dekade

Di un ritorno.
Da Goethe alla realtà virtuale.

Nella forma del disegno si espressero i primi viaggiatori che visitarono le antiche rovine romane. Riproduzioni delle città ritrovate iniziarono così a fare il giro del mondo, a incantare sguardi, ad alimentare la sete di studiosi. Prima ancora che Goethe lasciasse la Germania, immagini di vedute pompeiane nutrirono il suo sogno di un Viaggio in Italia. Le immagini costituivano allora come oggi il medium attraverso cui il passato si annunciava. Nella riproduzione, nella dislocazione ad essa costitutiva, l’aura si mostrava tutt’altro che distrutta, rivelando la sua luce sprigionata dall’origine. Le immagini, come dimostra il caso di Goethe, più che assopire ridestavano il desiderio di rintracciare la visione che una volta le aveva ispirate.
Dal Mazois al Niccolini, tutta una letteratura documenta questa ricezione figurativa dell’antico. Le riproduzioni virtuali che qui presentiamo restano, benchè dal loro orizzonte particolare, eredi quanto debitrici di questa tradizione.
A chi si avvicini per la prima volta a queste ricostruzioni andrebbe fatta una premessa: la realtà virtuale ha già una sua storia. E in qualche modo questa storia è già iscritta nel suo sintagma, nella parabola da esso tracciata. Vogliamo qui ripercorrerla, questa figura, schematizzandone la sua articolazione in due tempi. Il primo momento è l’astrazione: si insegue un modello (Gestalt), un’idea di casa, di tempio, di foro. Si tende a cancellare la dimensione temporale: si mira, ad esempio, alla ricostruzione tecnica di colonne senza ombre, senza scalfiture, collocate in spazi a loro volta asettici, formali. Ritratti ideali, per così dire, di ingegneria. Perfetti nelle misure, ma non vivi. Realtà virtuale, dove l’aggettivo fagocita il sostantivo. Le ricostruzioni virtuali che per lo più siamo abituati a vedere hanno in comune proprio questa concezione, abitano ancora questo stadio. Per quanto possano talora raggiungere il vertice della parabola, l’astrazione perfetta, mancano di un secondo movimento, il movimento discendente, che le proietta verso uno stadio successivo.
Come prende vita un’immagine? E’ la domanda che inaugura il secondo tempo del virtuale e rappresenta la fase discendente della parabola. La virtualità arrivata a un punto di saturazione, non veicola altro che se stessa. A ragione suscita diffidenza, critiche. Bisogna allora che il movimento di astrazione si capovolga, non più semplicemente alleggerendosi, ma guadagnando gravità, assumendo il tempo dentro di sé, con le sue tracce. La realtà, del resto, non è mai solo luce, equilibrio, forme, ma è sempre insieme ombra, squilibrio, materia. L’immagine deve prendere corpo, diciamo comunemente. Deve incarnarsi. E’ una riflessione costitutiva della contemporaneità e nel cinema non si è mancato di pensarvi. L’immagine deve realizzarsi. E’ qui il compito e la misura di una critica al virtuale. Il virtuale si oggettiva fino a diventare istituzione, museo: meglio, rovesciamento di una certa idea di museo come contenitore indifferente e ‘lontano’ dallo spettatore (Di ciò sarà testimonianza la nostra idea di un Museo Archeologico Virtuale, già noto come Mav, dove l’interattività, l’interfaccia amichevole, il coinvolgimento di tutti i sensi del visitatore, o in breve, l’idea di essere coinvolti in un evento, saranno i caratteri predominanti di quella che si annuncia una novità assoluta nel settore). Ma come è possibile questa realizzazione del virtuale?
Basti osservare più da vicino queste immagini: intanto esse sono immagini-movimento, cioè cinema. Sono legate da un racconto e il racconto ha un tempo. Per restare alla realizzazione che presentiamo, e in particolare a Villa dei papiri, la sua riscoperta virtuale invece di essere consegnata al solido freddo modello tridimensionale, è presentata intrecciando tre piani temporali distinti: lo scavo inaugurato da Carlo III, la sua ripresa che continua tutt’oggi e la Villa come si sarebbe presentata un tempo. Questi livelli che agiscono e reagiscono l’uno sull’altro permettono di mostrare non semplicemente il “com’era”, ma anche la scoperta nel suo svelarsi. Restano pertanto documenti non solo di archeologia ma anche di storia dell’archeologia. Lo scavo borbonico è ripercorso dalla mappa tracciata dal Weber, rintracciando la sua prima intuizione e il suo percorrimento. In una pausa di lavoro, possiamo introdurci nei pozzi e cunicoli scavati e ritrovare nella loro collocazione originaria affreschi e utensili, statue e mosaici. E all’improvviso vedere le rovine ancora sommerse letteralmente emergere dal fango che le avvolge come un tesoro, rivelando la loro inestimabile bellezza. Questi tre piani non sono tenuti assieme solo dal racconto ma sono connessi in un’unica animazione, in un unico movimento che restituisce l’integrità del sogno senza smarrirsi sull’analisi e nella fredda ed erudita catalogazione dei reperti.
Ma se anche si volessero considerare queste riproduzioni al di là del racconto, dell’intreccio narrativo in cui vengono presentate, nel mero “com’era”, non sarebbe difficile cogliere l’operazione che le rende così suggestive. Si notino le fasi della giornate restituite ai modelli: il giorno, la notte; gli agenti atmosferici come il vento. La ridefinizione dei contesti attraverso cui è possibile gettare sguardi a partire dal tutto sulla parte e viceversa. Basterebbe solo considerare l’attenzione meticolosa dedicata alle luci, alle illuminazioni dell’epoca a farci capire il senso decisivo che è alla base di questi lavori, la cifra che conferisce a queste immagini il loro particolare e inedito incanto. Detto altrimenti qualcosa che va ben al di là del solito e abusato concetto di fotorealismo.
Tutto questo è reso possibile dalla tecnologia e soprattutto dalla sensibilità di chi ha fatto sì che essa, pur nel suo ruolo decisivo, non fosse altro che mezzo e mai fine. Il prodotto finale è il risultato, la mediazione continua tra le possibilità offerte dall’hardware e i documenti, le conoscenze di archeologi, storici, disegnatori. E sicuramente rappresenta una parte importante della ricezione dell’antico, della sua Wirkungsgeschichte.
Ora, con la leggerezza che secondo Calvino segnava il software, queste immagini ritornano nella terra amata da Goethe e dagli affascinati viaggiatori che tra i primi le immaginarono. A loro come a chi quei passi vorrà un giorno ripercorrere, questo lavoro resta da sempre dedicato.

Mico Capasso-CAPWARE/comunicazione

 

 

Fonte: http://www.capware.it/capware_mav.doc

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