Tecnologia e innovazione

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Tecnologia e innovazione

Vettori di diffusione e strategie di adattamento
L’INNOVAZIONE COME PROCESSO SOCIALE
Dalla “curva a S” alla teoria delle aspettative tecnologiche: perché e come si diffondono le innovazioni

di Luciano d’Andrea

 


In un saggio di un paio di anni fa, H. Berglund (2004) metteva in rilievo l’ambiguità assunta nel corso degli ultimi decenni dal concetto di innovazione. Esso, in effetti, si presta a molteplici definizioni e, nell’uso corrente, viene spesso utilizzato come sinonimo di concetti quali quello di mutamento e novità o al posto di espressioni come quelle di “adozione di nuove conoscenze” o di “uso di nuove tecnologie”.

Uno dei principali fattori di ambiguità è rappresentato dal fatto che la nozione di innovazione è utilizzata, per indicare sia l’invenzione o l’applicazione di qualcosa di nuovo (conoscenze, procedure, tecnologie, ecc.) che prima non esisteva, sia la diffusione all’interno della società di qualcosa che già esiste. Quando, pertanto, si parla di imprese innovative, non si può comprendere, a meno di avere ulteriori informazioni, se si sta parlando di imprese che stanno elaborando nuovi prodotti, nuovi processi o nuove conoscenze (e quindi che fanno ricerca) o di imprese che non creano nulla di veramente nuovo, ma che sono attente ad assumere idee, tecnologie o conoscenze da altre imprese, da laboratori di ricerca o da altre fonti.

Si tratta, proabilmente, di un’ambiguità non risolvibile, soprattutto perché è molto difficile distinguere tra loro l’invenzione e la diffusione, essendo i due momenti tra loro strettamente collegati, a tal punto che, quasi sempre, ogni forma di assunzione di qualcosa che viene dall’esterno richiede una forma di adattamento creativo.

Nondimeno, accanto o, meglio, all’interno degli studi sull’innovazione, si è sviluppato un ampio filone di studi che concentra l’attenzione sui fattori che entrano in gioco nel determinare modalità, ritmi, barriere e ostacoli connessi con l’acquisizione delle nuove soluzioni tra gli imprenditori, le istituzioni o anche i semplici consumatori.

Nella presente rassegna, si cercherà di fornire una panoramica — necessariamente incompleta — su questo filone di studi, cominciando dalle prime teorie elaborate agli inizi del ‘900, dando poi particolare spazio alle tesi di Everett Rogers (che rappresenta, in questo settore, il principale autore di riferimento), per arrivare ai filoni teorici più recenti, spesso costruiti intorno al tentativo di superare alcuni limiti dell’impostazione data da Rogers all’analisi dei fenomeni di diffusione.


1. La curva a S di Tarde

I primi studi sui processi di diffusione dell’innovazione sono da attribuire al sociologo francese G. Tarde (1903), il quale aveva rilevato come la diffusione delle idee avveniva secondo una curva ad S, che consente di distinguere tre fasi (innovazione, crescita e maturità).



Nella prima fase, la nuova soluzione incontra molti ostacoli a diffondersi; nella fase di crescita, tuttavia, essa tende a diffondersi rapidamente, fino a quando non diviene la soluzione standard. A quel punto, si avvia la fase di maturità; il mercato si satura e i ritmi di diffusione si rallentano.


2. La tipologia di Ryan e Gross

Studi empirici, realizzati negli anni ’40 da B, Ryan e N. Gross (1943) sulla diffusione delle sementi ibride nell’Iowa confermarono le tesi di Tarde. Secondo gli autori, la diffusione dell’innovazione si configura come un processo sociale, in cui entrano in gioco le valutazioni soggettive degli imprenditori. Ryan e Gross identificarono cinque categorie di soggetti in base al loro atteggiamento rispetto all’innovazione, vale a dire:

  • gli innovatori (innovators);
  • gli anticipatori (early adopters);
  • la maggioranza anticipatrice (early majority);
  • la maggioranza ritardataria (late majority);
  • i ritardatari (laggards).



3. La teoria della diffusione di Rogers

Senza dubbio, l’autore che maggiormente ha contribuito allo sviluppo degli studi sulla diffusione dell’innovazione è Everett Rogers.


3.1. La curva a campana

All’inizio degli anni ’60, E. Rogers (1962) riprese la tipologia di Ryan e Gross, cercando di identificare, per ognuno dei tipi, le caratteristiche distintive. Egli mostrò empricamente, tra l’altro, come gli early adopters e coloro che appartenevano alla maggioranza anticipatrice fossero maggiormente inseriti nei meccanismi di comunicazione locale e avessero una più elevata capacità di assumere un ruolo di opinon leaders. Questo spinse Rogers a identificare il processo di diffusione come essenzialmente di natura comunicativa, in cui entrano in gioco caratteristiche e orientamenti personali.

Più che una curva a S, Rogers propose una curva normale “a campana”.



Secondo Rogers:

  • il gruppo A è quello degli innovatori, caratterizzati da alto livello di istruzione, orientamento al rischio, controllo su fonti finanziarie, abilità specifiche nella comprensione e nella applicazione delle conoscenze tecniche ed esposti a più fonti di informazione;
  • il gruppo B include gli anticipatori (early adopters), dotati di alti livelli di istruzione, elevata reputazione nella comunità, capacità di svolgere una funzione di leadership sociale e con esperienze di successo alle spalle;
  • il gruppo C include la maggioranza anticipatrice (early majority), caratterizzata da soggetti che hanno una forte interazione con i pari; spesso ricoprono posizioni di leadership e hanno una tendenza a seguire un processo deliberativo prima di adottare una nuova idea;
  • il gruppo D include la maggioranza ritardataria (late majority), comprendente soggetti normalmente scettici, tradizionalisti, con uno status economico basso, prudenti e che patiscono molto la “pressione” sociale esercitata dai pari;
  • il gruppo E, infine, include i ritardatari (laggards) ed è composto da individui normalmente isolati, sospettosi, con relazioni sociali ridotte (solo vicini o parenti), con un processo di decision making lento e dotati di risorse limitate.



3.2. Il processo di adozione

Secondo Rogers, l’adozione si configura come un processo caratterizzato da cinque momenti:

  • consapevolezza (awareness), in cui l’individuo è esposto all’innovazione, senza detenere informazioni in proposito;
  • interesse (interest), in cui l’individuo dispone di prime informazioni e mostra una attitudine a ricercarne di nuove;
  • valutazione (evaluation), in cui l’individuo applica mentalmente l’innovazione e si prefigura la situazione futura;
  • prova (trial), in cui l’individuo sperimenta l’innovazione;
  • adozione (adoption), in cui l’individuo decide di applicare completamente l’innovazione.


Ognuna di queste fasi attiva un parallelo processo decisionale, articolato nei seguenti passaggi:

  • conoscenza;
  • persuasione;
  • decisione;
  • implementazione;
  • conferma.


Ovviamente, in ogni fase del processo, l’innovazione può essere rifiutata. Il rifiuto può essere, secondo Rogers, attivo o passivo. Il rifiuto attivo (active rejection) si verifica quando il potenziale adopter prende in considerazione la possibilità di assumere l’innovazione, mentre il rifiuto passivo (passive rejection) si ha quando il rigetto avviene negli stadi iniziali del processo decisionale e quindi prima che il soggetto prenda effettivamente in considerazione la possibilità di adottare l’innovazione.

Il rifiuto non va confuso con l’atto di interrompere il ricorso all’innovazione dopo la sua adozione, denominato da Rogers “discontinuance”. La discontinuance può avvenire, secondo l’autore, o a causa dei risultati non soddisfacenti dell’innovazione (disenchantment disicontinuance) o perché si adotta un’innovazione migliore (replacement discontinuance).


3.3. I fattori di successo di un’innovazione

Ma perché un’innovazione si diffonde e ha successo e un’altra no? Secondo Rogers (1985), l’innovazione, perché abbia successo, deve presentare cinque caratteristiche “critiche”.

  • Relative advantage. L’innovazione deve essere percepita come migliore rispetto alle soluzioni già disponibili. Il grado di “vantaggio relativo” può essere misurato in termini economici, ma altre componenti entrano in gioco, quali i fattori di prestigio locale, la convenienza o la soddisfazione personale.
  • Compatibility. L’innovazione deve essere percepita come coerente rispetto ai valori esistenti, all’esperienza precedente e ai bisogni di chi la deve adottare.
  • Complexity. Si tratta qui del grado in cui un’innovazione è percepita come difficile da comprendere e da utilizzare. Alcune innovazioni sono facili da capire e si diffondono più rapidamente di quelle più complesse.
  • Triability. L’innovazione deve avere caratteristiche tali da poter essere sperimentata su basi limitate. Innovazioni “non divisibili” (che devono cioè essere assunte nel loro complesso, senza poter essere testate) si diffondono con minore velocità.
  • Observability. L’innovazione che produce risultati visibili ha maggiori possibilità di diffusione.



3.4. I canali di comunicazione

Come si è detto, nella visione di Rogers la diffusione è essenzialmente un processo di comunicazione. In questo senso, i canali di comunicazione giocano un ruolo fondamentale. Essi sono essenzialmente di due tipi: la comunicazione personale e la comunicazione attraverso i media.

Riprendendo le tesi di P.F. Lazarsfeld (1963), Rogers rileva come l’influenza personale sia molto più rilevante di quella dei mass media. Questi ultimi, in effetti, hanno il potere di informare, ma il potere di persuadere è molto debole rispetto a quello che caratterizza la comunicazione personale.

I canali di comunicazione attraverso cui passa l’innovazione non possono tuttavia essere disgiunti dal sistema sociale in cui sono inseriti. Nel determinare il grado di diffusione, pertanto, entrano in gioco, in particolare:

  • le norme sociali dominanti (ad esempio, quelle vigenti all’interno di un sistema organizzativo);
  • la presenza di opinion leaders, che influenzano le decisioni;
  • l’esistenza di “agenti del mutamento” (change agents) e di “aiutanti del cambiamento” (change aides), cioè soggetti che si fanno carico di far avanzare l’innovazione all’interno del sistema sociale, svolgendo differenti funzioni, quali sostenere un bisogno di cambiamento, favorire la circolazione delle informazioni, identificare l’esistenza di problemi che possono essere affrontati attraverso l’innovazione o sostenere una stabilizzazione del processo di adozione



4. La teoria dello iato

Le tesi di Rogers hanno avuto e continuano ad avere un ruolo predominante nell’ambito degli studi sulle teorie della diffusione dell’innovazione. Tuttavia, esse appaiono soggette a critiche che hanno spinto a cercare modelli alternativi.

G. Moore (1991), riprendendo le tesi di Rogers e applicandole al mercato delle tecnologie high–tech, rintraccia un limite nell’analisi delle differenti categorie di adopters. Secondo Moore, Rogers coglie il processo di adozione della tecnologia (technology adoption life cycle) come se si trattasse di un processo continuo, senza sbalzi o interruzioni. In realtà, secondo Moore, non è così. In particolare, le prime due categorie identificate da Rogers (innovators e early adopters) hanno caratteristiche molto differenti rispetto alle altre tre categorie (early majority, late majority e laggards). Moore rileva uno iato (chasm) tra gli early adopters (ribattezzati visionaries) e la early majority (ribattezzata come pragmatists). I primi, in effetti, hanno un sistema di aspettative molto elevate, sono entusiasti, sono portatori di una visione ottimistica e positiva rispetto all’innovazione, mentre i secondi sono pragmatici, prudenti, poco inclini al rischio e hanno un sistema di aspettative molto più basso.

Secondo Moore, molte innovazioni nel campo delle tecnologie si “arenano” proprio nel passaggio in cui la diffusione deve cominciare a coinvolgere i pragmatists. Sulla base di queste considerazioni, Moore elabora una serie di strategie da adottare per superare questo iato.


5. Modelli matematici di diffusione dell’innovazione

Un altro limite delle tesi di Rogers è che esse, basandosi sull’analisi dei fattori che influenzano l’adozione di una singola innovazione da parte di un singolo individuo, hanno scarso valore predittivo. Peraltro lo stesso Rogers metteva in rilievo come i ritmi di diffusione siano estremamente variabili e difficilmente prevedibili.

Per superare questo limite, F. Bass (1969) ha elaborato un modello (oggi ampliamente adottato nelle previsioni di mercato), denominato, appunto, Bass Diffusion Model, che riprende parte delle tesi di Rogers, identificando tre fattori:

  • le potenzialità del mercato, vale a dire il numero totale di persone che possono adottare l’innovazione;
  • il coefficiente di influenza esterna (o di innovazione), vale a dire la probabilità che qualcuno che ancora non sta adottando l’innovazione inizi a farlo sotto l’influenza dei mass media o di altri fattori esterni;
  • il coefficiente di influenza interna (o di imitazione), vale a dire la probabilità che qualcuno che ancora non sta adottando l’innovazione inizi a farlo sulla base del passa–parola o di altre forme di influenza diretta da parte di chi sta già utilizzando il prodotto.


Il modello presuppone che, in un primo momento, la diffusione avvenga lentamente, per l’azione degli agenti di cambiamento. A un certo punto, si avvia un take–off, una accelerazione nella diffusione, che si attiva dopo il raggiungimento di una massa critica di adozioni (tra il 5 e il 15% del mercato potenziale). Secondo D. Allen (1988), l’importanza del costituirsi di una massa critica deriva dal fatto che i potenziali adopters percepiscono un’utilità nell’adozione dell’innovazione in misura maggiore se vedono anche crescere il numero di coloro che l’hanno già adottata.

Facendo muovere queste tre variabili, il modello consente di “prevedere” la forma della curva di diffusione. Ad esempio, nel caso in cui il grado di imitazione sia maggiore del grado di innovazione, la curva di diffusione assume la forma a S mentre nel caso inverso quello di una J rovesciata.

Il modello è stato adottato per la previsione dei tassi e dei tempi di diffusione di molti prodotti, tra cui i telefoni cellulari o le innovazioni non commerciali.

A partire dagli studi di Bass (o parallelamente ad essi) sono stati sviluppati, a partire dagli anni ’80, numerosi modelli matematici.

Secondo V. Mahajan e R. Peterson (1985), tali modelli, in linea generale, si possono dividere in tre famiglie:

  • quelli che identificano nell’influenza interna (l’interazione personale) il fattore prioritario;
  • quelli che identificano nell’influenza esterna (i media) il fattore prioritario;
  • i modelli misti.


I modelli prevalenti sono quelli che del primo tipo, quelli cioè che rilevano come le informazioni più efficaci e rilevanti siano quelle fornite da chi ha già adottato l’innovazione nell’ambito di relazioni interpersonali. Si parla, in proposito, di “modelli epidemici”, vale a dire quelli che presuppongono una diffusione “per contagio”.

Il principale assunto di questi modelli è che le innovazioni sono sempre migliori delle soluzioni già praticate, per cui la lentezza della loro diffusione o la presenza di modalità sbilanciate o incoerenti di diffusione dipende essenzialmente dalla mancanza o dalla ineguale distribuzione di informazioni all’interno del sistema sociale.


6. La teoria della “bandwagon pressure”

L. Rosenkopf e E. Abrahmson (1999), muovendosi in avanti lungo la tesi del contagio, hanno elaborato un modello fondato sul concetto di “bandwagon” (letteralmente “carro della banda”, ma anche “trend popolare”, da cui l’espressione “to jump on the bandwagon”, cioè salire sul carro del vincitore, adottando le sue tesi).

La teoria del bandwagon — che assume la forma di modello matematico a carattere predittivo — tende a opporsi alle tesi della teoria della scelta efficiente. Secondo quest’ultima, una organizzazione adotta una innovazione sulla base di una valutazione in merito alla sua validità, utilizzando le informazioni di cui dispone (complete o incomplete che siano).

Secondo gli autori, tuttavia, ogni atto decisionale avviene in un contesto di ambiguità in merito all’informazione sull’innovazione. Per “ambiguità”, si può fare riferimento a tre condizioni possibili: ambiguità di stato (state ambiguity), cioè incertezza in merito al futuro stato dell’ambiente in cui l’organizzazione opera; ambiguità degli effetti (effects ambiguity), vale a dire incertezza in merito agli effetti che il futuro stato dell’ambiente produrrà sull’organizzazione; ambiguità di risposta (response ambiguity), ovvero incertezza in merito alla validità delle risposte date dall’organizzazione rispetto allo stato futuro dell’ambiente.

Nelle condizioni di ambiguità, si attivano allora altri criteri di valutazione, denominati fad–theories, teorie di moda, che non fanno leva sui contenuti dell’innovazione, bensì sulla lettura dei segnali sociali relativi al comportamento degli altri attori.

Ad esempio, se attori di alta reputazione adottano l’innovazione, il numero degli adopters aumenta e si crea una pressione sociale perché l’innovazione si diffonda. La bandwagon pressure, in tal modo, assume il carattere di pressione istituzionale, in conseguenza della quale l’adozione dell’innovazione diviene una norma sociale. Tutto questo si connette anche con una pressione competitiva, per cui si adotta un’innovazione per paura di perdere in competitività.

Il modello prende in considerazione differenti variabili per poter misurare la soglia di attivazione di una bandwagon pressure, i fattori che la facilitano e i meccanismi di reazione che essa attiva.


7. L’interazione tra le innovazioni

Altri autori hanno cercato di affrontare un ulteriore limite delle teorie di Rogers, vale a dire il fatto che esse considerano le innovazioni come realtà “atomiche”, separate l’una dall’altra.

L. Marchegiani e C. Muzzi (s.d.) sottolineano, al contrario, come ogni innovazione si inserisca in un complesso insieme di relazioni con altri prodotti e altre innovazioni, fatto che modifica notevolmente i modelli di diffusione.

Ad esempio, si possono rilevare:

  • rapporti di interdipendenza tra innovazioni, per cui, pur essendo indipendenti da un punto di vista funzionale, l’adozione di una può favorire l’adozione di un’altra;
  • rapporti di complementarietà, per cui l’adozione di un’innovazione favorisce l’adozione dell’altra;
  • rapporti di contingenza, per cui l’adozione di un’innovazione causa necessariamente l’adozione di una seconda.


V. Mahajan, E. Muller e Y. Wind (2000) hanno anche elaborato un modello di interazione tra innovazioni e tecnologie esistenti a seconda degli effetti che esse producono l’una sull’altra.




8. I modelli spaziali

Anche riprendendo le tesi di Rogers in merito al maggiore peso delle relazioni personali nel processo di adozione di un’innovazione, alcuni autori hanno lavorato soprattutto sul versante dei rapporti di prossimità come fattore causale della diffusione.

L’iniziatore di questo approccio è stato il geografo T. Hagerstrand (1952; 1967), il quale, studiando le modalità di diffusione del grano ibrido in Svezia, ha rilevato quanto la prossimità giochi un ruolo decisivo nella diffusione. Attraverso fotografie aeree, egli mostrò che la diffusione del grano ibrido avveniva attraverso agglomerati e modelli di prossimità e non casualmente, a dimostrazione del peso dell’interazione diretta tra vicini nel processo di diffusione. Hagerstrand introduce la nozione di fronte dell’innovazione, come appunto il fronte di propagazione spaziale di un’innovazione.

Successivamente, altri autori hanno messo a punto modelli anche predittivi delle modalità di diffusione spaziale di una innovazione.


9. Il "Technology Acceptance Model"

Il Technology Acceptance Model (TAM), elaborato inizialmente da F. Davis (1989) e ampliato e utilizzato da numerosi altri autori, è stato concepito inizialmente per lo studio della diffusione delle innovazioni informatiche.

Il modello — di tipo socio–psicologico — si focalizza sui comportamenti e suppone che l’effettiva adozione sia frutto dell’interazione di due elementi:

  • l’utilità percepita (perceived usefulness) dell’innovazione;
  • la facilità d’uso percepita (perceived ease of use) dell’innovazione.


Questi due elementi si costruiscono a partire da variabili esterne all’individuo, di tipo sociale e comunicativo, e determinano, nel loro insieme, un orientamento all’azione che, a sua volta, produce una intenzione comportamentale, vale a dire un’intenzione ad assumere un determinato comportamento.

Il modello è sintetizzato nello schema che segue.



Il modello si fonda sulla teoria dell’azione ragionata (Theory of reasoned action) la quale postula che l’intenzione di assumere un comportamento deriva da un sistema di norme introiettato (proveniente dalla società) e da un orientamento personale (basato su credenze e valutazioni individuali).

Il modello ha un’intenzionalità predittiva di tipo probabilistico, nel senso che l’utilità e la facilità di uso percepite, una volta misurate, danno elementi di previsione in merito alla probabilità che un soggetto assuma poi effettivamente una determinata innovazione.


10. I modelli reticolari

Un altro settore di studi relativi alle modalità di diffusione dell’innovazione sono quelli incentrati sulla network analysis e sul concetto di rete.

A differenza dei modelli matematici, di tipo macro–economico, quelli reticolari presuppongono che la forma, l’estensione e le modalità di funzionamento delle reti di relazione tra attori incidono sulle condizioni (tempi, ritmi, forme, ecc.) di diffusione di una tecnologia.

Secondo T.W. Valente (1996), un soggetto tenderà ad adottare una innovazione in rapporto al numero dei membri del suo network personale che lo hanno già fatto. Questo significa che i meccanismi di adozione potranno essere diversi per ogni potenziale adopter, in quanto i network personali variano per dimensione e per caratteristiche ogni volta. Per ciascun potenziale adopter, pertanto, vi sarà una differente “adopter treshold”. Ad esempio, Valente sostiene che i soggetti con un’attitudine a svolgere la funzione di opinion leader hanno soglie più basse di adozione: il numero di persone presenti nelle loro reti di relazioni che hanno già adottato l’innovazione, necessario per spingerli a compiere la stessa scelta, è più basso rispetto a coloro che hanno un’attitudine gregaria (followers).

Valente sostiene che sia possibile applicare le categorie degli adopters elaborate da Ryan e Gross (vedi sopra), sia al livello del sistema sociale, sia al livello di rete. Anche nella rete personale, dunque, è possibile identificare gli anticipatori, una maggioranza anticipatrice, una maggioranza ritardataria e i ritardatari assoluti. Studiare come, al livello di rete, si superi la soglia di attivazione dell’adozione consente, secondo Valente, di comprendere meglio i meccanismi generali di diffusione e le interazioni tra le influenze esterne e quelle interne di rete.

Molti studiosi hanno invece assunto un approccio topologico, cercando di identificare le caratteristiche dei network che maggiormente incidono sulla rapidità di innovazione.

Ad esempio, W. Mason, A. Jones e R. Goldstone (2005) sottolineano come la lunghezza media dei percorsi (average geodesic path leght) presenti nel network (vale a dire il numero medio di passaggi necessari per raggiungere due nodi) rappresenti una misura più esplicativa della velocità di diffusione di un’innovazione rispetto al grado medio di connessione (node average degree) di ogni nodo (vale a dire il numero medio di connessioni che legano un nodo a un altro).

Molti studi sui networks (si veda Mann Bruch, 2003) oltre a considerare la struttura delle reti, analizzano anche le caratteristiche che contraddistinguono i nodi, e, in particolare, lo status socio–economico (livelli di istruzione, tipo di lavoro, livelli di carriera, ecc.) e le competenze interpersonali (abilità personali, motivazioni, cultura, orientamenti, personalità, ecc.), nonché i tipi di relazione che collegano i singoli nodi (di potere, familiari, professionali, ecc.). Altro elemento messo in campo, ripreso dalla teoria del capitale sociale, è rappresentato dal grado di fiducia nelle relazioni di rete.


11. La capacità di assorbimento delle imprese

Un altro filone di studi relativo alla diffusione delle innovazioni, sviluppatosi nell’ambito del business management, ruota intorno al concetto di “absorptive capacity” di una impresa, vale a dire la sua capacità di riconoscere il valore, assimilare e utilizzare nuova conoscenza.

Il concetto, elaborato da W. Cohen e D. Levinthal (1990), si basa su un modello teorico il quale presuppone che:

  • ogni innovazione sia identificabile come nuova conoscenza;
  • la conoscenza è un bene pubblico o semi–pubblico, nel senso che può essere trasmessa senza compensazione e senza danneggiare chi, consapevolmente o inconsapevolmente, la trasmette (la conoscenza ha il carattere della replicabilità);
  • le imprese assumono conoscenze da altre istituzioni (imprese, enti di ricerca, ecc.) (knowledge spillovers);
  • il grado di appropriazione di una nuova conoscenza da parte di un’impresa dipende dal livello della sua “absorptive capacity”.


I fattori che entrano in gioco nella determinazione del grado di assorbimento di un’impresa sono differenti (Vinding, 2001).

Il principale elemento che determina la capacità di assorbimento di un’impresa è rappresentato dalla conoscenza di cui dispone. Tale capacità pertanto è primariamente dipendente da fattori quali la quantità e la qualità delle attività di ricerca e sviluppo realizzate dall’impresa, gli investimenti in ricerca o il capitale umano a disposizione.

Importante è anche il bagaglio di esperienze capitalizzate dalla istituzione o dal personale, rilevante soprattutto per l’acquisizione di conoscenze tacite.

Un’altra variabile che incide sul grado di absorptive capacity di un’istituzione è quella della struttura organizzativa. Ad esempio, un’efficace gestione dei punti di contatto tra le differenti funzioni dell’impresa (marketing, produzione, gestione del personale, management strategico, ecc.) incrementa la capacità di assorbimento dell’impresa.

Un ulteriore elemento messo in rilievo che favorisce un aumento della capacità di assorbimento di una istituzione è costituito dalle sue reti di relazione. Più queste saranno ampie e strette, più aumenta la capacità dell’istituzione.

Perché una conoscenza possa passare da un’impresa a un'altra (ad esempio, nel caso di un’impresa e di una sua collegata) o da un’istituzione a un’altra (ad esempio, da un’università a un’impresa), è necessario che la capacità di assorbimento delle due entità sia compatibile, vale a dire che la capacità di gestire conoscenza sia simile.


12. Le aspettative tecnologiche

A partire dagli studi di N. Rosemberg (1976), si è sviluppato un ampio filone di studi sulla diffusione dell’innovazione che si basa sul concetto di “aspettativa tecnologica” (technological expectation).

Secondo questa impostazione teorica, i tempi di assunzione di un’innovazione e la scelta della stessa innovazione da adottare derivano dal tipo di aspettative che l’impresa ha rispetto alle tecnologie.

In effetti, la teoria economica classica dà per scontato che i soggetti puntino sempre ad applicare la tecnologia migliore. Al contrario, le aspettative tecnologiche di un imprenditore o di un’impresa possono essere differenti. Ad esempio, essi possono puntare su tecnologie intermedie (intermediate technologies) che consentano di ridurre il gap tecnologico rispetto alla frontiera tecnologica (technological frontier) raggiunta, senza tuttavia dover modificare l’intera impostazione organizzativa dell’impresa.

I modelli basati sulle aspettative tecnologiche, pertanto, presuppongono differenti tipi di comportamento, rispetto a quella della “adozione immediata della tecnologia migliore” o rispetto a quella del “rifiuto immediato della tecnologia migliore”. Tra le varie opzioni, ad esempio, vi è quella di aspettare senza operare, quella di scegliere una tecnologia intermedia come opzione tecnologica definitiva o quella di preferire una tecnologia intermedia, aspettando di prendere una decisione definitiva.



Riferimenti bibliografici

Allen D., “New telecommunications services: Network externalities and critical mass”, in Telecommunications Policy, 12, 1988

Bass F., “A New Product Growth Model for Consumer Durables”, in Management Science, 15, 1969

Berklund H., Interesting Theories of Innovation: the Practical use of the Particular, Chalmers University of Technology WP No. 1, Goteborg, 2004

Cohen W.M., Levinthal D., “Absorptive capacity: A new perspective on learning and innovation”, in Administrative Science Quarterly, Vol. 24, 1990

Davis F.D., “Perceived Usefulness, Perceived Ease of Use, and User Acceptance of Information Technology”, in MIS Quarterly, 13, 1989

Hagerstrand T., The propagation of innovation waves, Lund Studies in Geography, Lund, 1952

Hagestrand T., Innovation diffusion as a spatial process, University of Chicago Press, Chicago, 1967

Lazarsfeld P.F., Menzel H., “Mass media and personal influence”, in Schramm W., The Science of Human Communications, Basic Bookd, New York, 1963

Mahajan V., Peterson R. A., Models for innovation diffusion, Sage, Beverly Hills, 1985

Mahajan V., Muller E., Wind Y., New product diffusion models, Kluiver Academic Publisher, Boston, 2000

Mann Bruch K.D., A development of a propositional diffusion model, Paper submitted at 2003 Central States Communication Association Convention, 2003

Marchegiani L., Muzzi C., The diffusion of mobile telephony: which scenarios for UMTS? , IRSI27 Working group (http://www2.hh.se)

Mason W. A., Jones A., Goldstone R., Propagation of innovations in networked groups, Proceedings of the Twenty–seventh Annual Conference of the Cognitive Science Society (July 21–23 2005, Stresa), Hillsdale, New Jersey, Lawrence Erlbaum Associates (in stampa)

Moore G.A., Crossing the Chasm. Marketing and selling High–Tech products to mainstream customers, HarperBusiness Book, New York, 1991

Rogers E.M., Diffusion of Innovations, Free Press, New York, 1962; 3rd edition, Free Press, New York, 1985

Rosemberg N., “On technological expectations”, in Economic Journal, 86, 1976

Rosenkopf L., Abrahamson E., “Modeling Reputational and Informational Influences in Threshold Models of Bandwagon Innovation Diffusion”, in Computational and Mathematical Organization Theory, 5, 1999

Ryan B., Gross N., “The diffusion of hybrid seed corn in two Iowa communities”, in Rural Sociology, 8(1), 194
Tarde G., Parsons E.W.C., The laws of imitation, Holt, New York, 1903

Valente T.W., “Social network thresholds in the diffusion of innovations”, in Social Networks, 18, 1996

Vinding A.K., Absorptive capacity and innovative performance: a human capital approach, Paper presented at the 2002 DRUID (Danish Research Unit for Industrial Dynamics) Winter Conference

 

Fonte: http://www.didatticademm.it/old2/didattica/appunti_dispense/A_A_06_07/Vespasiano/Gruppo%20B/innovazione%20come%20processo%20sociale.doc

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