Tecnologia e musica

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Tecnologia e musica

Tecnologia e musica.
Evoluzione del linguaggio e della produzione musicale.

Il crescente rapporto fra tecnologia e musica iniziato gia all’inizio del secolo scorso ha radicalmente modificato le metodologie compositive dei musicisti. Le valvole e l’elettricità, i microchip e l’elettronica ed infine i moderni computer hanno fatto evolvere il mondo delle sette note in maniera esponenziale. Il musicista moderno ha a sua disposizione una tavolozza virtualmente infinita di suoni e rumori con cui comporre musica. Tutto ciò a contribuito alla creazione di nuovi stili che spesso hanno cortocircuitato il mercato discografico ridefinendo anche la fruizione stessa della musica da parte dell’ascoltatore.


L’analisi del rapporto fra tecnologia e musica dal secolo scorso ad oggi è pertanto un’operazione necessaria per poter meglio comprendere non solo la musica moderna, ma anche quella futura con le sue possibili evoluzioni.

 

La musica è un linguaggio e, come tutti i linguaggi, anch’esso si è evoluto nel tempo arricchendosi di nuovi elementi e simboli. Questi cambiamenti sono stati tanto profondi, quanto veloci, soprattutto nel corso dell’ultimo secolo in cui il progresso ha subito una crescita esponenziale. La tecnologia applicata alla musica si è alimentata delle sue scoperte, creando una crescita costante del settore e fornendo strumenti sempre più sofisticati per la composizione musicale. Ovviamente c’è stata anche una naturale evoluzione del linguaggio musicale dovuta allo scambio con le esperienze passate di altri musicisti, ma il merito principale dei progressi ottenuti in questo campo va sicuramente ascritto alla sempre maggiore interazione fra tecnologia e musica.

Un elemento basilare per l’inizio di questo rapporto è stato senza dubbio l’elettricità. Studiata da scienziati come Ampere e Volta e imbrigliata per applicazioni pratiche (illuminazione pubblica e domestica, alimentazione di macchinari industriali, ecc.) verso la fine dell’Ottocento da geniali inventori come Tesla ed Edison, l’elettricità è una delle forze principali del nostro tempo. Un’energia semplice e naturale, ma estremamente complessa nelle sue possibili diramazioni e potenzialità.
Grazie alle intuizioni di Nikola Tesla, genio serbo trasferitosi negli Stati Uniti dal 1884, e di Thomas Edison, inventore e imprenditore americano dotato di grande praticità e senso degli affari, la vita sociale del secolo scorso è stata modificata per sempre e resa sempre più agevole e vivibile. Le scoperte di questi geni dell’umanità e le loro relative applicazioni hanno permesso la realizzazione di quei strumenti che oggi fanno parte della nostra vita quotidiana.   

Fra le tante invenzioni degli inizi del Novecento ce ne furono alcune molto importanti nel campo della comunicazione che contribuirono a cambiare l’atteggiamento compositivo dei musicisti. Fra queste una delle più importanti fu il grammofono che venne sviluppato da Emile Berliner nel 1887 per riprodurre registrazioni sonore su dischi in vinile. I suoi studi partivano da quelli relativi al fonografo di Edison, realizzato qualche anno prima, e che invece dei dischi in vinile utilizzava dei cilindri come supporti fisici per riprodurre la musica registrata. Aldilà dell’aspetto tecnico, la differenza sostanziale fra i due strumenti era che Edison pensava di affittare il suo fonografo, mentre Berliner concepiva il grammofono come strumento da vendere al pubblico affinché potesse riprodurre canzoni dei loro beniamini musicali. Era quindi interessato non solo all’hardware (grammofono), ma anche al software (la produzione musicale).

All’inizio il grammofono non ebbe un grande successo di massa in quanto piuttosto costoso. Vennero quindi creati dei cataloghi di dischi di musica classica affinché potessero essere acquistati dalle famiglie più abbienti. Questa scelta sviluppò la diffusione del grammofono, seppure fra alti e bassi. In ogni caso questa invenzione modificò sostanzialmente l’atteggiamento dei musicisti che, per la prima volta, pensarono alla loro musica non solo in termini di esecuzione dal vivo nei teatri, nelle sale da concerto o nelle radio, ma anche come materiale sonoro registrabile da riprodurre anche in casa comodamente seduti sulla propria poltrona.

Nello stesso periodo altri sperimentatori cercavano di applicare le scoperte legate all’utilizzo dell’elettricità alla musica. Nel 1897 l’americano Thadeus Cahill realizzò il Telharmonium un gigantesco apparato composto da 145 dinamo ed una quantità incredibile di cavi lungo circa 20 metri e pesante 200 tonnellate circa (!) con cui degli operatori/musicisti potevano, tramite una tastiera apposita, suonare della musica e trasmetterla tramite la linea telefonica. Viste queste problematiche logistiche ed operative, questo strumento si rivelò come utile solo per grandi società che volessero promuovere musica in maniera diversa da quella suonata dal vivo o sui dischi.. In ogni caso aprì la strada ad altre sperimentazioni a venire.
Queste furono influenzate dall’invenzione del triodo avvenuta nel 1906 ad opera dell’americano Lee De Forest. La prima applicazione che De Forest fece del triodo in campo musicale fu la creazione dell’Audion Piano nel 1915, a cui seguirono il famosissimo Theremin creato nel 1917 dal russo Leon Termen e l’Ondes-Martenot creato nel 1928 dal francese Maurice Martenot. 

C’erano poi anche altre persone le cui ricerche andavano aldilà dell’invenzione in sé e quindi dell’evoluzione squisitamente tecnica in campo musicale. Essi vedevano la tecnologia soprattutto come un formidabile elemento di rivoluzione del linguaggio compositivo musicale. Fra questi è doveroso citare il futurista Luigi Russolo che già nel 1913 teorizzò la sostituzione delle note e degli accordi musicali con il rumore puro tratto dalla vita moderna e dal crescente progresso in corso. Le sue composizioni non sono certo passate alla storia, ma le sue intuizioni, fra cui citiamo la costruzione di una macchina con cui modificava suoni preesistenti detta Intonarumori (una sorta di campionatore ante-litteram), fecero da apripista per altri musicisti/sperimentatori negli anni a venire fra cui l’americano Edgar Varese e successivamente i francesi Pierre Schaeffer e Pierre Henry, alfieri della cosiddetta musica concreta.

Questa corrente musicale può essere considerata la prima che utilizzò strumenti non musicali per creare una composizione sonora. Fra tutti i nuovi strumenti messi a disposizione dal progresso tecnologico quello che venne utilizzato maggiormente per tali composizioni fu il registratore a nastro inventato nel 1935 in Germania dalla AEG, ma utilizzato diffusamente solo a partire dal 1950. Tramite questo strumento era possibile registrare con dei microfoni suoni tratti dalla vita quotidiana che venivano poi trattati con effetti esterni di vario tipo, miscelati fra loro o uniti a musica suonata da strumenti tradizionali acustici.

Parallelamente fra gli anni ’40 e ‘50 avvenne un altro passaggio importante per l’evoluzione della composizione musicale: l’elettrificazione degli strumenti musicali. Esistevano già modelli di organi elettrici realizzati dalla Hammond già dagli anni ’30, ma la loro applicazione era piuttosto limitata all’esecuzione di motivi classici o religiosi. Uno degli strumenti la cui elettrificazione invece contribuì a cambiare le regole compositive musicali fu la chitarra. Le prime sperimentazioni avvennero fra gli anni ’30 e ’40 ad opera di Les Paul, inventore e musicista americano (a cui la Gibson dedicò in seguito un leggendario modello di chitarra elettrica), mentre il primo modello commercializzato di chitarra elettrica fu la storica Fender Telecaster, realizzata nel 1948 dall’inventore americano Leo Fender. In seguito Fender diede vita ad una società, la Fender appunto, che divenne una delle più famose nella produzione di chitarre elettriche e fu l’artefice anche della realizzazione di uno dei piani elettrici più famosi del mondo, il modello Fender Rhodes.

Fra tutti i strumenti elettrificati realizzati la chitarra elettrica fu quello che contribuì maggiormente alla creazione di nuove sonorità e quindi di nuovi stili come il rock ‘n roll (negli anni Cinquanta con Chuck Berry) o il funky (negli anni Sessanta con James Brown). Fra il 1950 ed il 1960, la chitarra elettrica contribuì anche a modificare in maniera decisiva stili già esistenti come il blues, il jazz o la musica folk (vedere in questo senso il lavoro di artisti come John Lee Hooker, Miles Davis e Bob Dylan). L’ascolto di un qualsiasi brano degli artisti  citati, ci fa comprendere come quel brano senza il suono tipicamente elettrico dello strumento utilizzato non solo non sarebbe stato lo stesso, ma non sarebbe potuto neanche essere ideato e composto. E’ l’ulteriore dimostrazione di come l’inserimento di una nuova tecnologia nel mondo musicale ne abbia modificato l’approccio compositivo.

Un altro passaggio fondamentale per l’evoluzione del linguaggio musicale è stata l’applicazione del microchip e dei circuiti elettronici agli strumenti musicali. Questo passaggio è stato decisivo soprattutto nel settore degli strumenti a tastiera dove si è creato addirittura un nuovo strumento: il sintetizzatore (definito in breve anche “synth”). I primi fondamentali esperimenti di sintetizzatore vennero realizzati dal pioniere tedesco Harald Bode che fra il 1937 e il 1949 realizzò un’incredibile quantità di esperimenti sui strumenti elettronici. Il risultato di questi esperimenti furono importanti prototipi di synth come il Warbo Fomant Orgel, il Melodium e il Melochord. I primi sintetizzatori che utilizzando circuiti integrati vennero chiamati tali furono quelli realizzati da Robert Moog dal 1964 negli Stati Uniti. Il progetto per tali synth venne supervisionato dallo stesso Bode e dal musicista Walter Carlos che realizzò l’album di successo “Switched on Bach” in cui i principali temi di Bach venivano risuonati esclusivamente con i sintetizzatori di Robert Moog. Molti musicisti utilizzarono i synth di Moog, e quelli di altri inventori venuti subito dopo di lui, per ricreare i suoni tradizionali, soprattutto suoni orchestrali (archi e fiati), successivamente però le cose cambiarono.

A cavallo fra gli anni Sessanta e gli anni Settanta le sonorità più elettroniche dei sintetizzatori vennero largamente utilizzate in quasi tutta la musica, popolare e d’avanguardia. Nella musica d’avanguardia, i sintetizzatori arricchirono il range sonoro già precedentemente ampliato dalla musica concreta fornendo nuovo materiale sonoro da trattare ai compositori più esigenti (su tutti citiamo Karl Heinz Stockhausen). 
Nel campo della musica popolare, le sonorità elettroniche, grazie alle loro illimitate possibilità timbriche e alla tendenza alla dilatazione sonora, si fusero alle esigenze di ricerca introspettiva (musicale e personale) tipiche di quell’epoca. Alfieri di questo approccio compositivo furono sicuramente i Pink Floyd, seguiti anche dai Genesis e dagli Yes, nelle cui composizioni si sente chiaramente come suoni elettronici, rumori e suoni di strumenti tradizionali possano convivere insieme e come la struttura stessa della canzone come era conosciuta fino ad allora fosse stata modificata da questo nuovo elemento sonoro.

Comunque, nonostante questa grande evoluzione stilistica, i gruppi citati prima utilizzavano il synth all’interno delle loro band come un qualsiasi altro strumento al pari di chitarra, basso o batteria. Nello stesso periodo però altri gruppi stavano cercando di fare un passo in avanti rispetto a questo schema di utilizzo degli strumenti musicali. Infatti essi cercavano di eliminare totalmente il suono acustico o elettrico per creare una band in cui tutti i suoni fossero esclusivamente elettronici. Come esempio non possiamo non citare i Kraftwerk, gruppo tedesco fondamentale per la creazione della moderna musica elettronica le cui sperimentazioni in tal senso iniziano fin dal 1975.

L’utilizzo di soli strumenti elettronici in una composizione musicale aveva però due forti complicanze di origine diversa: il costo degli strumenti e la loro difficoltà d’uso. La questione venne semplificata agli inizi degli anni Ottanta con la grande diffusione di strumenti elettronici a basso costo e, soprattutto, dallo sviluppo della tecnica di sincronizzazione. Si intuì che le onde emesse da un synth o da una batteria elettronica generavano impulsi elettrici di varia ampiezza, ma che comunque scandivano un tempo di riferimento. Questi impulsi, debitamente convogliati verso un uscita dello strumento (CV Gate, Trigger, ecc.) potevano quindi far sincronizzare fra loro due o più strumenti elettronici diversi. Per meglio gestire questo dialogo Donald Buchla, un ingegnere americano, anch’egli grande sperimentatore al pari di Robert Moog,  realizzò il sequencer, uno strumento non musicale, ma che era in grado di gestire le sequenze dei suoni emesse dalle macchine sincronizzate fra loro. Questo fondamentale periodo pionieristico della musica elettronica ebbe il merito di cambiare l’approccio compositivo del musicista: per la prima volta si poteva pensare di fare musica da soli senza rinunciare a batteria, basso o ad un accompagnamento melodico aggiuntivo a quello suonato dal musicista stesso.

Nonostante i grandi passi in avanti, il metodo di sincronizzazione non decollò come sperato. Un primo ostacolo venne creato dalle case produttrici di strumenti musicali elettronici che combatterono fra di loro per imporre il proprio standard di sincronia su quello del diretto concorrente. Un altro problema era la lentezza e la complessità che tali sistemi di sincronia imponevano al musicista durante il processo compositivo.
In ogni caso questo nuovo modo di rapportarsi con gli strumenti musicali aiutò musicisti e non, ad ampliare le proprie vedute creando nuovi stili strettamente connessi a determinate tecnologie. In particolare con l’abbattimento dei costi produttivi dei microprocessori agli inizi degli anni Ottanta e quindi con il conseguente avvento di batterie elettroniche e sintetizzatori a prezzi popolari, moltissimi artisti inglesi (fra cui ricordiamo John Foxx, Human League, Duran Duran, Depeche Mode, Yazoo solo per citare i più famosi) ebbero nuovi input per creare le loro canzoni dando vita a quell’enorme fenomeno che venne chiamato Techno Pop o più generalmente New Wave.

Nello stesso periodo, dall’altra parte dell’oceano, gli strumenti elettronici a basso costo ebbero un impatto dirompente soprattutto sulla comunità nera. Negli Stati Uniti il Rap subì una trasformazione radicale con l’avvento dei campionatori e delle batterie elettroniche che presero il posto delle classiche sezioni ritmiche (basso e batteria) tipiche del funk e del rhythm ‘n blues e fondamento essenziale di qualsiasi gruppo Rap sin ad allora. Inoltre Afrika Baambaataa, guru della scena Hip Hop di New York, creò un nuovo stile, l’Electro che univa il Rap con l’elettronica europea (su tutti come ispirazione fondamentale Kraftwerk, Yellow Magic Orchestra e Gary Numan).

Uno degli elementi fondamentali della diffusione popolare di tecnologia musicale fu la democratizzazione del processo creativo della musica. Grazie all’abbattimento dei costi produttivi si poteva effettivamente realizzare un disco in casa o in piccoli economici studi di registrazione, dando la possibilità a tantissimi ragazzi di fare musica. Molti di questi gruppi utilizzavano quasi esclusivamente strumenti elettronici ed era quindi normale che le case produttrici cercassero di risolvere il problema della sincronia fra i vari strumenti al fine di rendere ancora più semplice il processo compositivo musicale.

La soluzione venne trovata nel 1982 con la creazione del linguaggio MIDI (Musical Intrument Digital Interface) e l’utilizzo del computer come sequencer. Con il MIDI tutti gli strumenti elettronici potevano dialogare fra loro in maniera molto semplice grazie a dei particolari cavi e sfruttando il computer come terminale di connessione finale. I software di sequencing creati per i computer permettevano piuttosto semplicemente di creare un piccolo network di strumenti perfettamente sincronizzati e soprattutto editabili in qualsiasi momento. Infatti con il MIDI sul computer non vengono registrati i suoni emessi dagli strumenti, ma soltanto le sequenze delle note premute sulla nostra tastiera usata come interfaccia con il computer (detta “master keyboard”). Per cui una volta registrata la sequenza desiderata sul computer, questa poteva essere risuonata e modificata all’infinito. Una volta finite le nostre operazioni di editing, avremmo potuto finalmente mixare tutti i suoni assieme tramite un mixer, registrandoli su nastro, DAT, CD o in generale sul formato che noi desideravamo. In questo senso l’invenzione del MIDI fu epocale e aprì un mondo nuovo a chiunque avesse voluto iniziare a creare musica (o suoni...), soprattutto perché, tramite i programmi di sequencing su computer, il musicista per la prima volta poteva “vedere” la sua musica davanti agli occhi in tempo reale.

Il MIDI divenne un linguaggio standard e mise d’accordo tutti. Vennero anche creati dei particolari sincronizzatori Sync/MIDI per non escludere dal nuovo processo compositivo che si andava affermando vecchi synth e batterie elettroniche dai suoni comunque affascinanti.
Anche i sintetizzatori e le batterie elettroniche finora esistenti cambiarono la loro struttura base. Oltre all’aggiunta dell’ormai necessaria porta MIDI per la sincronizzazione con il computer/sequencer, una delle caratteristiche dei primi anni ‘80 fu l’introduzione di sonorità “campionate” all’interno dei strumenti elettronici. In sostanza il suono che veniva prodotto dallo strumento non era prodotto internamente da oscillatori e circuiti come accadeva per i primi strumenti elettronici, ma era il risultato di una registrazione eseguita dalla casa produttrice di suoni già esistenti tipo archi, pianoforti, bassi, ecc. All’inizio questa innovazione soppiantò la vecchia struttura ideale del synth e lo strumento elettronico divenne uno strumento multiuso per realizzare una vera e propria song a casa da soli. In seguito ci rese conto che solo mescolando vari tipi di sintesi sonora si poteva avere un prodotto di qualità e, soprattutto non legato a preset creati dalle case, istantaneamente riconoscibili e standardizzati.  

In ogni caso da questa grande innovazione emerse uno strumento che divenne fondamentale per lo sviluppo sonoro a venire: il campionatore. Basato su studi effettuati già dagli anni ’30, il concetto di campionamento musicale venne realizzato nel 1977 con la creazione del Synclavier, enorme workstation capace non solo di registrare eventi sonori, ma anche di editarli e mescolarli assieme. Nel 1979 venne creata un’altro strumento storico nell’ambito del campionamento, il Fairlight che espandeva le già enormi possibilità del Synclavier. L’applicazione principale di questi due strumenti fu principalmente nella post-produzione televisiva e cinematografica anche se qualche sporadico, ma significativo utilizzo in campo musicale avvenne da parti di alcuni musicisti. Pat Metheny in alcuni brani filtrò il suo suono di chitarra tramite il Synclavier, mentre Herbie Hancock utilizzò ampiamente il Fairlight nella sua svolta elettronica legata ai suoi due capolavori “Future Shock” (che conteneva la hit “Rock it”) e nel successivo “Sound System”. Nel 1981 venne creato il primo campionatore commerciale (si fa per dire...): l’Emulator realizzato dall’americana E-MU, seguito dopo poco dall’americana Ensoniq con il Mirage, sicuramente più abbordabile economicamente. Seguirono a breve anche i campionatori della serie S della giapponese Akai (fra i più usati) e via via di tutte le più importanti marche del mercato (Roland, Yamaha, Korg, ecc.).  

Un altro elemento che contribuì alla rivoluzione elettronica in campo musicale dagli anni ’80 in poi fu l’utilizzo sempre maggiore del computer. Verso la fine degli anni ’70 alcuni computer iniziarono a supportare rozzi programmi di sequencing digitale che sfruttavano suoni emessi direttamente dalla scheda sonora del computer stesso. Era questo il caso del Commodore Vic 20 e del successivo e allora potentissimo Commodore 64. La creazione di questi programmi si era resa necessaria con la grande diffusione di videogiochi per computer che in quel periodo giravano quasi tutti su Commodore. Le musiche di alcuni giochi erano geniali e incredibilmente ben realizzate, nonostante i poveri mezzi a disposizione degli autori (fra tutti ricordiamo il mitico Rob Hubbard) e erano il segnale evidente che i produttori della Commodore avevano visto lungo sulle potenzialità del mezzo (non è un caso che alcuni transfughi della Commodore fondarono in seguito la Ensonig, casa produttrice del campionatore Mirage).

La richiesta di videogiochi sempre migliori portò alla creazione di altre consolle più potenti. Una delle più famose fu l’Amiga che al suo interno aveva dei veri e propri programmi musicali, i cosiddetti “tracker” con cui era possibile usare file sonori interni per ricomporli a proprio piacimento. Nelle versioni successive fu possibile anche campionare suoni esterni. Un’altra consolle importante fu l’Atari 1040, nata come home computer e trasformatasi in breve tempo nel primo vero computer musicale commerciale della storia in quanto hardware ufficiale di uno dei software di sequencing più famosi del mondo, tuttora utilizzato nelle sue versioni aggiornate: il Cubase.  

Da un punto di vista più professionale nel 1984 la Apple crea il modello Macintosh, destinato a diventare uno standard negli Stati Uniti per la musica e una delle macchine più utilizzate in campo professionale nel resto del mondo. La creazione di software musicali dedicati molto potenti quali il Sound Tools e il Pro Tools fecero del Macintosh una delle workstation più utilizzate al mondo.

La successiva e imponente crescita del mercato dei computer, con conseguente abbattimento dei prezzi di vendita, permise alle società produttrici di software di ampliare i confini dei propri sequencer di note creati per il mercato MIDI, facendoli diventare dei programmi multimediali per la gestione contemporanea di sequenze di note e di eventi registrati, come voci, effetti, chitarre e qualsiasi tipo di suono campionabile. Divenne possibile in pratica avere insieme un sequencer ed un registratore multi traccia digitale, entrambi con una quantità di tracce limitate solo dalla memoria del proprio computer, ad un prezzo estremamente abbordabile. E’ inoltre importante notare come, grazie a queste evoluzioni, sempre più persone iniziarono ad utilizzare il computer come campionatore o ad affiancarlo a campionatori per editare eventi esterni con programmi dedicati di elevata potenza e facile manovrabilità.

Questi programmi di sequencing e di editing hanno avuto un successo enorme permettendo per esempio di registrare voci o chitarre nella propria camera da letto o di trasformare beat di batteria (loop o singoli suoni) in set up mai sentiti ed estremamente personali. La musica Hip Hop in particolare, che fa del campionamento e della sua frammentazione un elemento basilare, ha trovato nuova linfa creativa e grande supporto tecnico in questi nuovi strumenti informatici. Comunque anche le produzioni più tradizionali, quelle che nonostante tutto non rinunciano ai megastudi, utilizzano sempre più nel loro processo produttivo computer e programmi di editing e sequencing, costringendo sempre più gruppi o cantanti ad affidarsi nei loro live act a sequencer e tecnologie di vario tipo per non perdere le sonorità realizzate in studio.

Le applicazioni di queste nuove scoperte tecnologiche applicate alla musica hanno avuto un forte impatto sulla scena musicale mondiale. Sempre più persone, musicisti e non, si affacciavano nel mondo delle sette note creando nuove metodologie, più istintive ed immediate. Verso la metà degli anni Ottanta, una serie di musicisti di colore, a Chicago e Detroit, hanno iniziato a contaminare la musica di matrice nera (soul, funk, disco) con l’elettronica. Ne sono venuti fuori due generi assolutamente originali ed innovativi, destinati a rivoluzionare la musica del secolo scorso e di quello in cui viviamo ora: l’House e la Techno.
Il concetto di base era quella dell’Electro di New York: unire tradizione musicale nera e bianca in un’unica musica universale senza barriere razziali e stilistiche. Però rispetto al classico ritmo sincopato dell’Electro, l’House e la Techno scelsero naturalmente il ritmo ipnotico della cassa in quattro, in parte mutuato dalla ormai defunta scena disco ed in parte dalla tradizione elettronica europea (E.B.M. e italodisco).

In seguito l’House tese ad inglobare parte della tradizione soul della musica nera divenendo nel corso degli anni la nuova disco music e perdendo quel selvaggio mood da nuovo blues elettronico urbano degli esordi. La Techno invece fece della stratificazione fra suoni elettronici e beat funk la sua essenza, divenendo sempre più inclassificabile. Rispetto all’House, la Techno oggi rappresenta forse la più grande innovazione della musica popolare moderna, capace di assumere in sé le caratteristiche dei primi sperimentatori degli inizi del Novecento e l’immediatezza della musica funk e dub. Un mix micidiale ed innovativo che ha indotto migliaia di ragazzi nel mondo ad avvicinarsi con passione e con qualche ingenuità verso la musica elettronica e digitale, dando vita ad innumerevoli sottogeneri quali la Jungle, l’IDM, la minimale, ecc.

In definitiva possiamo affermare che lo scambio fra tecnologia e musica ha sempre generato cambiamenti ed evoluzioni positive per il mondo delle sette notte e che soprattutto questi cambiamenti sono sempre più diffusi a livello popolare. Ormai alcune tecniche ed intuizioni dei primi sperimentatori di inizio Novecento sono prassi quotidiana negli studi di registrazione professionale e fra i musicisti di tutte le estrazioni.
Tutto è nato dall’imbrigliamento di quella scarica elettrica poco più di cento anni fa e moltissime tappe sono state bruciate in breve tempo. Non possiamo fermarci ora e non credo che non lo potremo fare più. La musica come linguaggio universale non può che aprirsi alla tecnologia e alle sue innumerevoli sfaccettature perché è da questa sinergia che si delineeranno le nuove possibili direzioni da intraprendere.

 

Fonte: http://web.mclink.it/MJ7565/Tecnologia_e_musica.doc

Sito web da visitare: http://web.mclink.it/

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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