Tecnologia logistica industriale

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Tecnologia logistica industriale

6.  Movimentazione dei materiali

6.1 Introduzione

In tutti i sistemi produttivi si rende necessario disponibile il materiale giusto al tempo giusto nel punto giusto.
Il trasporto dei materiali (anche detto material handling ovveo handling dei materiali) ha la mission fondamentale di assolvere a tale esigenza.
Al variare della tipologie di prodotto da trasportare, ovviamente variano i sistemi di handling, dal momento che ciascun tipo di materiale richiede specifiche soluzioni impiantistiche. In generale vale la seguente tabella schematica:

Tipologia Prodotto

Tipologia Trasporto

Tipologia Industria

Fluidi

Piping (trasporto con tubazioni)

Tutte

Solidi alla rinfusi

Handling per Builk Materials

Industrie di processo

Solidi unitarizzabili

Handling per Pallets e Colli

Industrie di prodotto

  
Tab. 6.1 – Classificazione degli Handling in funzione della tipologia di materiale

Lo studio di questo capitolo della logistica assume una duplice valenza:

  1. In caso di necessità poste dall’immissione di nuove tecnologie o comunque dalla gestione dell’innovazione di processo o di prodotto, si rende necessario conoscere in maniera approfondita la materia, al fine di dimensionare le dotazioni aziendali nella maniera più opportuna sia ai fini dell’ottimizzazione della spesa di acquisto dei macchinari per l’handling, sia ai fini delle maggiore efficienza tecnica che bisogna offrire al sistema produttivo aziendale nel suo complesso (…portare il materiale giusto, al posto giusto, nel tempo giusto…).
  2. in caso di progettazione di un nuovo stabilimento, è assolutamente irrinunciabile occuparsi del’handling dei materiali, verificandone non solo i costi, ma soprattutto gli eventuali vincoli progettuali derivanti da questa branca di studio alla determinazione del layout dell’impianto.

Volendo passare ad una schematizzazione dei sistemi di movimentazione dei materiali che rappresenti le diverse soluzioni esistenti

 

    •  Sistemi di Handling Unitarizzabili

Come riportato nello schema 1,  i sistemi di Material Handling Uniterizzabili (UMH) si suddividono in due grandi gruppi: UMH Non Vincolati e UMH Vincolati.
6.2.1    I Transpallets
Il primo tipo di UMH Non Vincolati di cui si vede una rappresentazione in Dia. 6.1, sono carrelli manuali con limitata possibilità di sollevamento (circa 13 cm), detti traspallets che vengono quindi utilizzati per il trasferimento orizzontale dei pallets all’interno di ambienti chiusi (movimentazioni frequenti e distanze ridotte). Tali sistemi possono infatti essere adottati solamente per il trasporto su superfici particolarmente lisce e con pendenze ridotte. Possono essere sia manuali sia motorizzati elettricamente tramite batterie. In Dia.6.1 vengono illustrate la modalità di sollevamento delle forche per un transpallet manuale. Le velocità di traslazione sono limitate a qualche metro al secondo per le versioni motorizzate, con portate intorno a 2000-3000 kg.
                                                                                                                                               
 Dia 6.1
6.2.2     I Carrelli industriali
Altro sistema di UMH Non Vincolato è rappresentato dai carrelli industriali, che si dividono in carrelli a forche e carrelli commissionatori.
Nella Dia 6.2 è rappresentato uno schema di riferimento per un carrello a forche a contrappeso con caricamento frontale


Dia 6.2

La categoria di questi carrelli a forche comprende diversi tipi di carrelli a seconda dei tipo di motore (elettrico o a combustione interna), dei tipo di gomme (gomme piene che conferiscono al carrello maggiore stabilità,  o pneumatici per uso esterno), della portata, della altezza di sollevamento, del numero di ruote (tre o quattro), della posizione del conducente (in piedi o seduto), della posizione del posto di guida (centrale o posteriore), dal tipo di dispositivi aggiuntivi (es. side schifter per il caricamento semirimorchi), ecc...
I carrelli a contrappeso sono caratterizzati da una parte posteriore pesante, la quale conferisce al carrello la stabilità richiesta nel sollevamento dei carichi. Nel caso di carrelli elettrici, tale peso è fornito dalle batterie e dai motori elettrici di propulsione, nel caso di carrelli a motore endotermico invece la parte posteriore deve essere opportunamente “zavorrata”. Anteriormente sono posizionate le forche, tramite le quali avviene il sollevamento del carico. Le forche infatti sono fissate tramite una slitta ai due montanti, lungo i quali possono scorrere verticalmente, azionate da un sistema a catena o tramite pistoni oleodinamici.
In generale i carrelli a contrappeso con caricamento frontale richiedono, per la effettuazione delle operazioni di carico/scarico, corridoi di almeno 3,3 m, in modo da consentire il posizionamento del carrello perpendicolarmente alla unità di carico. La parte posteriore della carrozzeria viene spesso opportunamente smussata, in modo da facilitare le operazioni di manovra.
I carrelli a motore elettrico con gomme piene vengono utilizzati prevalentemente all’interno dei fabbricati, dove si hanno superfici particolarmente regolari. Le gomme piene conferiscono inoltre al carrello un supporto più solido durante le operazioni di material handling. Un particolare problema è rappresentato in questo caso dalla ricarica delle batterie; questa operazione, potenzialmente pericolosa, deve essere effettuata in locali dedicati e compartimentati. Le velocità di traslazione a vuoto massime sono dell’ordine di 3 m/s, mente le portate massime si aggirano attorno a 2300 kg. Carrelli elevatori con motore a combustione interna e pneumatici, sono invece più adatti al funzionamento in aree esterne; possono essere utilizzati anche all’interno dei fabbricati, a patto che le aree coperte siano caratterizzate da un adeguata areazione. Più veloci rispetti ai precedenti, raggiungono velocità fino a 3 m/s. Essi consentono di sollevare carichi sino a 4300 kg fino per un’altezza massima di 6m.
Nella Dia 6.3 si rappresentano altri tipi di carrelli: nella raffigurazione a destra razze d'appoggio anteriori, che assicurano maggiore stabilità, visto che, proprio per la disposizione delle razze anteriori il carico non può creare momenti di ribaltamento anteriore del carrello (quindi si usa per elevare il arico a maggiori altezze - portate attorno a 300 kg, altezza di sollevamento fino a 10 m. e velocità dell’ordine di 3 m/s). Nella raffigurazione a sinistra della dia 3 è rappresentato invece un carrello con forche trilaterali (in alto) e il relativo schema di funzionamento di carico e scarico merci nei magazzini (più in basso). Le forche possono essere orientate indifferentemente nelle tre direzioni muovendosi lungo la slitta frontale. Dal momento che non viene richiesto il posizionamento del carrello perpendicolarmente all’unità di carico, questi carrelli sono particolarmente adatti ad operare in corridoi di dimensioni ridotte. Per carichi e altezze, si raggiungono i 200 kg e prese di forca fino a 11 m.; ne esistono versioni sia a contrappeso, sia dotati di razze anteriori di appoggio. Quelli a contrappeso consentono di sollevare carichi fino a 9000 kg fino a 6 m, le versioni dotate di razze d'appoggio anteriori sono utilizzabili anche per lo stoccaggio di unità di carico in scaffalature a doppia profondità e consentono il sollevamento di carichi  fino a 1800 kg per 11 m di altezza.

 


Dia 6.3

Un ultima categoria di carrelli industriali è rappresentata dai carrelli commissionatori di cui si riporta alcune raffigurazioni tipologiche in Dia 6.4.
Utilizzati per le operazioni di prelievo frazionato, sono caratterizzati dalla circostanza di avere l’operatore che si muove su di un piano solidale alle forche del carrello, così da poter inforcare il pallet da cui devono essere prelevate delle linee d’ordine, svolgere le operazioni di picking, e riposizionare il pallet stesso nel vano di immagazzinamento. I carrelli commissionatori possono essere a contrappeso oppure a razze; in quest’ultimo caso possono essere raggiunte altezze di impilamento fino a 9 m.


Dia 6.4

Esposte in rapida successione le tipologie di carrelli attualmente reperibili sul mercato, diamo un cenno sul problema della loro scelta in funzione della larghezza minima del corridoio di manovra, che risulta essere il vero parametro discriminante (poiché, data un certa superfice del nostro stabilimento, più piccolo è quest’ultimo maggiori sono le capacità di immagazzinamento che abbiamo). Si forniscono di seguito in Tab. 6.2, i dati tecnici per le principali categorie, in particolare l'altezza di sollevamento delle forche e la larghezza dei corridoi necessaria per garantire l'operatività dei carrelli.

 

Tipo di carrello

Largh. min. corridoio [m]

Portata max [kg]

Altezza max di sollevamento [m]

A contrappeso con caricamento frontale (ruote piene o pneumatici)

3,3

2300÷4300

6

A montante retrattile e sedile trasver.

2,3 ¸ 3

3000

10

Trilaterale

1,6

2000

11

Tab. 6.2 - Tipologie di carrelli industriali

 La larghezza del corridoio (i dati segnati sono puramente indicativi, vista la variabilità dei carrelli esistenti) richiesta per le attività di immissione e prelievo delle unità di carico dipende dalla tipologia di carrello industriale, dalle sue caratteristiche costruttive e dalle dimensioni dell'unità di carico.
Un esempio di calcolo della larghezza minima del corridoio per un carrello a contrappeso a caricamento frontale è presentato nella Dia.6.5.

 

 
Dia 6.5
Come si vede la larghezza del corridoio deve permettere di effettuare le manovre di posizionamento del carrello e di estrazione dell’unità di carico dalla scaffalatura; viene inoltre previsto da entrambe le parti un franco di sicurezza, in questo caso pari a 10 cm.


6.2.3    Gli AGV Automatic Guided Vehicle
Sono sistemi che nascono dall’esigenza di superare i vincoli posti in termini gestionali dalla rigidità dei carrelli industriali classici (ingombro, manovrabilità, bilanciamento, costi energetici, presenza di un operatore per ogni macchina).
I sistemi AGV utilizzano carrelli a tre o a quattro ruote, i quali si muovono in modo automatico all’interno di uno stabilimento; dal punto di vista dell’alimentazione,.sono equipaggiati con un sistema di batterie (che li rende autonomi), che dà energia, ovviamente ad.un motore elettrico.
Un veicolo AGV segue nel movimento un percorso ben preciso, ottenuto sfruttando un principio fisico, che funge da guida del sistema. Tale guida è a controllo numerico e, benché sia determinata a priori (il che ad una prima riflessione superficiale potrebbe far cadere la condizione di veicolo non vincolato), può essere rapidamente riprogrammata, superando di fatto ogni vincolo spaziale
In Dia 6.6, viene riportato un esempio di AGV a guida induttiva.

          Dia 6.6

La guida induttiva, consente al carrello di seguire il campo magnetico generato dalla corrente che percorre un filo interrato nel pavimento, tramite una coppia di antenne.
Si tratta di correnti a bassissima intensità (40 mA) basso voltaggio (minore di 40 V) e frequenza variabile in un range 1-13 Hz. Ogni carrello è in grado di percorrere un ben determinato percorso in un possibile network di percorsi seguendo un ben preciso valore del campo magnetico. Tale valore di campo è ottenuto variando in maniera opportuna la frequenza della tensione che percorre il filo conduttore. Altri sistemi di guida sono sistemi a guida ottica. In questo caso il carrello segue una banda di materiale catarinfrangente posta a pavimento. Chiaramente questo sistema è meno sicuro del precedente, dal momento che le bande possono essere soggette a sporcamento o a danneggiamento, presenta però rispetto al sistema a guida induttiva una maggiore flessibilità, dal momento che è più semplice apportare modifiche al network dei percorsi. Un ultimo sistema di guida per i gli AGV è rappresentato da sistemi a guida laser. A bordo del veicolo è installato in questo caso uno scanner emettitore/ricevitore di raggi laser, che calcola la posizione del veicolo nello stabilimento rispetto a catarifrangenti di riferimento posti lungo il perimetro dello stabile. In questo modo eventuali ampliamenti e modifiche dei percorsi sono molto più agevoli rispetto al sistema filoguidato, rendendo il sistema a guida laser più flessibile.
Il sistema di controllo di un sistema AGV è solitamente di tipo gerarchico a livelli. A livello più basso si posiziona il controllo di macchina del singolo AGV, realizzato tramite microprocessore installato a bordo del carrello stesso. Tale processore riceve le informazioni dal livello gerarchico superiore e controlla funzioni del veicolo, quali la direzione, la velocità, gli arresti, ad esempio in seguito ad ostacoli. Ad un livello gerarchico superiore si trova un controllo di reparto dell’intera flotta di AGVs, al quale vengono invece assegnati compiti di gestione del parco carrelli, come ad esempio assegnazione dei jobs e dei percorsi, gestione delle manutenzioni ecc. infine, a livello gerarchico più alto, si ha il sistema di controllo generale di supervisione del sistema di handling dello stabilimento, il quale ha il compito di coordinare tra loro e con il sistema produttivo i diversi sistemi di handling, in vista del perseguimento di una funzione obbiettivo. Il problema di gestione del sistema di AGV presenta aspetti tipici della ricerca operativa, e viene quindi gestito con sistemi quali la teoria delle code, la simulazione numerica, ecc. Devono infatti essere stabilite le regole con cui utilizzare il parco AGV per servire un certo numero di stazioni operative, tenendo conto di eventuali vincoli (percorsi, piani di produzione da rispettare, precedenze tecnologiche, manutenzioni, downtime ecc.) e delle funzioni da ottimizzare (minimizzazione dei percorsi, delle attese, massima saturazione delle macchine, uniforme utilizzo dei carrelli, ecc..). Problemi di vehicle scheduling (assegnazione dei compiti ai diversi carrelli, ossia chi va da dove a dove) e di vehichle routing (sequenza con cui più stazioni vengono visitate) sono stati ampiamente trattati in letteratura, dove si trovano molteplici algoritmi per la loro risoluzione sotto varie ipotesi.
Il fattore principale che ha permesso lo sviluppo degli AGV – come già accennato in aperturtura del paragrafo –  è la loro flessibilità; poichè possono effettuare percorsi variabili e razionalizzati dal sistema di gestione e controllo centrale, il quale raccoglie ed elabora tutte le informazioni concernenti sia lo stato di tutti i veicoli e delle unità di carico da movimentare sia le richieste di intervento provenienti dal sistema produttivo. Questa caratteristica è accentuata dalla possibilità di riprogrammare l'intero sistema a fronte di cambiamenti anche radicali dei compiti da svolgere.
Le tipologie di AGV che si trovano oggi applicate nell’industria hanno caratteristiche costruttive estremamente variabili. Un primo esempio di AGV è rappresentato dal tipo load towing; questo AGV (Dia 6.7) si presenta con caratteristiche simili a quelle di un piccolo treno, in cui la motrice traina i vari rimorchi sui quali vengono posizionati i pezzi da movimentare.

Dia 6.7

Nel caso di percorsi brevi risulta più consona una soluzione di tipo fork truck (Fig. 6.2), in cui l’AGV si comporta come un vero e proprio transpallet automatizzato.

Fig. 6.2: AGV di tipo fork truk

L’estrema flessibilità strutturale degli AGV consente anche di prevedere lo scarico ed il carico automatizzato (oltre che ovviamente manuale) come ad esempio nel caso di relativo ad AGV a due posti con rulliera – Fig. 6.3 – , dove l’azionamento automatico della rulliera permette l’operatività desiderata senza la presenza di un operatore.

Fig. 6.3: AGV a due unità di carico con scarico e carico automatizzati

Sono poi diffusi nell’industria AGV per le operazioni di assemblaggio; dove l’AGV trasporta la base su cui si effettuano le operazioni di montaggio (industria automobilistica). Infine si segnalano carrelli automatici commissionatori (con uomo a bordo per le operazioni di picking) e AGV a forche per il sollevamento di carichi fino a 4 m di altezza.

6.2.4     Sistemi di Trasporto vincolato

Per sistemi di trasporto vincolato si intendono tutti quei sistemi di material handling, in cui il trasporto dei materiali avviene seguendo percorsi prefissati; in altri termini l’espressione vincolato si riferisce in questo primo utilizzo, all’effettiva esistenza di un vincolo cinematicamente posto alla traiettoria del sistema di trasporto.
Orbene come si rileva dalla fig.6.1 riportata ad inizio capitolo, i SISTEMI DI HANDLING UNITARIZZABILI motorizzati  VINCOLATI, si suddividono in tre tipologie:

  1. Sistemi di Handling Unitarizzabili Motorizzati  Vincolati Fissi
  2. Sistemi di Handling Unitarizzabili Motorizzati  Vincolati Mobili, non Vincolati
  3. Sistemi di Handling Unitarizzabili Motorizzati  Vincolati Mobili, Vincolati

Ai fine di sgomberare il campo da possibili incomprensioni, chiariamo subito, che il primo utilizzo del termini ‘vincolato’ (presente sia al punto 1, che al 2 e al 3) si intende nel senso detto in apertura di questo paragrafo.
Invece l’uso del secondo ‘vincolato’ (presente solo al punto 2 e 3 sopra riportati) si riferisce al tipo di aggancio che caratterizza l’elemento di contatto del sistema di movimentazione con il carico da trasportare: se tale elemento (a seconda dei casi un vassoio, un nastro, una conchiglia, un gancio, etc) non si può sganciare dalla ‘trasmissione’ del sistema, allora il sistema stesso si dice vincolato; se, invece, l’elemento di contatto si può sganciare dalla ‘trasmissione’, il sistema si dice non vincolato.
In altri termini, se la letteratura tecnica sull’argomento ce lo consentisse (ma purtroppo non è così), potremmo tradurre il secondo ‘vincolato’ (presente solo al punto 2 e 3 sopra riportati) con un ‘agganciato’ di più immediata ed efficace comprensione.
La nostra attenzione si soffermerà solo sui sistemi motorizzati, anche se ne esistono anche di non motorizzati; in tal caso la forza motrice per la movimentazione è assicurata dalla forza di gravità o da spinta manuale.
Orbene nel nostro studio tra i sistemi motorizzati, ci occuperemo in particolare di sistemi vincolati motorizzati a linea, intendendo in questo modo tutti quelli, in cui l’unità di carico è in qualche modo vincolata ad una linea di trasporto, eventualmente suddivisibile in sezioni ciascuna singolarmente motorizzabile.
Per semplicità di consultazione si ripropone in Fig. 6.4 la classificazione dei sistemi di movimentazione vincolati:

                             Fig.6.4: Classificazione dei sistemi di movimentazione vincolati motorizzati a linea

 

 6.2.4.1   I trasportatori fissi
Rientrano in questa categoria tutti i sistemi di trasporto vincolato motorizzati i quali non accompagnano il carico nel suo movimento; essi rimangono quindi fissi mentre l’unità di carico si muove rispetto a questi. Rientrano tipicamente in questa categoria i convogliatori a rulli e i convogliatori a rotelle.
Per quanto riguarda i convogliatori a rulli, un esempio viene riportato in Dia 6.8.


Dia 6.8

La movimentazione dell’unità di carico, appoggiata sulla rulliera, avviene tramite rulli motorizzati che spingono l’unità di carico in avanti per attrito. Non tutti i rulli sono motorizzati, solitamente si ha un alternanza di rulli motorizzati e folli, in dipendenza dalle dimensioni dell’unità di carico da trasportare. Chiaramente, per avere continuità nel moto, ogni unità di carico deve sempre essere contemporaneamente appoggiata almeno su due rulli motorizzati. L’altezza della rulliera può essere variata in modo da raccordare opportunamente i vari tratti. Le pendenze superabili, dal momento che l’avanzamento avviene per attrito, sono comunque solitamente abbastanza limitate. Le deviazioni di percorso nei convogliatori a rulli (Fig. 6.5) vengono realizzate principalmente o tramite cinghie in gomma (le cinghie, normalmente abbassate, vengono alzate e poste in rotazione per deviare il pezzo), oppure tramite tavole rotanti a rulli.

Fig. 6.5: Sistemi di deviazione ortogonale per convogliatori a rulli

In Fig. 6.6 si riporta un esempio di convogliatore a rotelle, sistema concettualmente simile al precedente, con una struttura alleggerita rispetto al caso precedente, utilizzando delle rotelle al posto dei rulli, per movimentare unità di carico ingombranti, ma di peso ridotto.

Fig. 6.6: convogliatori a rotelle

6.2.4.2   I trasportatori mobili vincolati
Come detto in precedenza, in questa categoria il sistema di trasporto accompagna nel movimento l’unità di carico trasportata, e l’elemento del sistema di movimentazione a contatto con il carico da trasportare, non si può sganciare dalla ‘trasmissione’ del sistema stesso. Rientrano nella categoria dei trasportatori mobili vincolati i convogliatori a vassoi, i convogliatori a nastro, i convogliatori a tapparelle ed i trasportatori aerei a catena.
In Fig. 6.7 viene riportato un esempio di convogliatore a vassoi. Questo tipo di convogliatori viene particolarmente utilizzato come magazzino di parti di piccole dimensioni nelle stazioni di montaggio manuale. L’operatore preleva di volta in volta la parte richiesta facendo muovere il convogliatore.

Fig. 6.7: convogliatori a vassoi
I convogliatori a nastro (v.Fig.6.8) sono invece convogliatori in cui un nastro, movimentato tramite un rullo motore, trascina per attrito le unità di carico.

Fig. 6.8: Convogliatore a nastro
La trasmissione del moto tra il rullo motore ed il nastro avviene per attrito, per cui è necessario che l’angolo di avvolgimento del nastro sul tamburo sia sufficiente ad evitare lo scivolamento relativo tra nastro e rullo. I trasportatori a nastro sono tipicamente utilizzati per la movimentazione di oggetti leggeri, dal momento che oggetti pesanti potrebbero provocare attrito del nastro sul piano di scorrimento sottostante. Un ulteriore prerogativa dei convogliatori a nastro è quella di poter funzionare da magazzini di accumulo, bloccando le unità di carico a fine linea e facendole strisciare sopra il nastro in movimento.
In Dia 6.9 viene riportato un esempio di convogliatore a tapparelle.

In effetti il convogliatore a tapparelle è, per funzionamento, analogo a quello a nastro con la differenza dell’utilizzo dell’elemento “cingolato”, che può essere realizzato in materiali diversi, in luogo del nastro; questo permette al convogliatore di movimentare anche colli più pesanti, dal momento che l’elemento traslante è più resistente (tipicamente i cingoli vengono realizzati in legno, metallo o materiale plastico). I convogliatori a tapparelle sono i convogliatori tipici utilizzati nei moderni impianti di imbottigliamento. Anche in questo caso, come per i convogliatori a nastro, i maggiori problemi consistono nel posizionare correttamente il rullo motore sull’elemento maggiormente caricato, in modo da assicurare la trazione tra il rullo motore e l’elemento cingolato. Un ultimo tipo di trasportatore vincolato analizzato è il trasportatore aereo riportato in Dia 6.10.

Dia 6.10

L’elemento che trasporta l’unità di carico viene mosso tramite una catena lungo un binario posizionato a soffitto. Anche in questo caso il gancio, che è la parte a contatto con il carico, è vincolato alla trasmissione, da cui l’appartenenza di questo sistema a quelli di movimentazione motorizzati vincolati, mobili vincolati.

        • I trasportatori mobili non vincolati

Rientrano in questa categoria quei sistemi di material handling, nei quali i componenti del sistema di handling a contatto con i carichi, pur accompagnandoli, possono essere temporaneamente rimossi dalla linea in modo da consentire un accumulo dei componenti.
Tipici sistemi di trasportatori mobili non vincolati sono i sistemi automotori aerei ed i trasportatori aerei birotaia..
I primi, di cui si raffigura un esempio funzionale in Dia 6.11, sono molto simili ad un sistema automotore aereo, nel quale la trasmissione del moto, invece di essere affidata ad una catena traslante, viene ottenuta equipaggiando ogni elemento con un motore elettrico autonomo. In questo modo si svincola il moto di ogni singolo componente da quello degli altri elementi costituenti il sistema. Si ottiene un sistema modulare, altamente flessibile e gestibile per singolo automotore. Le funzionalità del sistema sono di fatto paragonabili a quelle di un sistema di AGV. Esso, inoltre, non genera ingombri a pavimento e permette velocità di traslazione maggiori.


Dia 6.11

Il principio operativo dei trasportatori aerei birotaia (power and free) può essere illustrato facendo riferimento alla Dia 6.12. Ogni elemento costitutivo del sistema di trasporto è impegnato lungo una rotaia denominata via di corsa inferiore, lungo la quale esso può scorrere liberamente tramite un sistema di guide. L’elemento di guida, denominato trolley free viene trascinato in movimento tramite un elemento denominato trolley power, il quale è collegato rigidamente alla catena motrice. Impegnando o disimpegnando il sistema trolley power dal sistema trolley free si può vincolare l’elemento del sistema di handling a muoversi rigidamente con la catena ovvero svincolarlo, permettendo ad esempio l’accumula di pezzi in corrispondenza di una stazione di montaggio.


Dia 6.12

Lo sganciamento tra l’elemento motore trolley power e l’elemento libero trolley free può essere realizzato automaticamente congegnando opportunamente il sistema. In Fig..6.9 vengono riportati due esempi di possibile sganciamento dei carrelli: nel primo il disimpegno è ottenuto allontanando le vie di corsa; nel secondo, invece, tramite un sistema di leve e quindi a comando.

 

 

 


Fig. 6.9 Sgancio automatico per convogliatori power and free

6.3     Handling dei materiali sfusi (bulk materials)

Con il termine bulk materials. si identificano tutti i materiali incoerenti che vengono movimentati senza il ricorso ad unità di carico discrete e definite. La movimentazione e lo stoccaggio dei materiali incoerenti presenta infatti delle prerogative del tutto peculiari e completamente differenti rispetto alle problematiche relative alla movimentazione dei colli, che sostanzialmente sono collegate alla necessità di determinare ed ottimizzare (poiché ignoti a priori) portata e potenza del sistema (banalmente noti, invece, nel caso dei materiali unitarizzabili). Come anticipato in fig. 6.1 esistono quattro sistemi di movimentazione fondamentali per i materiali incoerenti: elevatori a tazze, trasportatori a nastro, i trasportatori a catena e le coclee.

 Elevatori a tazze

Estremamente diffusi per il trasporto in verticale dei materiali sfusi (si realizzano infatti innalzamenti del materiale anche di decine di metri) gli elevatori a tazze rappresentano i sistemi maggiormente diffusi per il riempimento di sili di stoccaggio o per l’innalzamento delle materie prime in quegli impianti di processo in cui la movimentazione dei materiali avviene successivamente per gravità, come ad esempio i mulini.
Come si vede nello schema riportato in Dia 6.13, un elevatore a tazze è una macchina relativamente semplice, costituita da due ruote collegate tra loro con un sistema a cinghie a cui sono vincolate le tazze per il trasporto del materiale.
Delle due ruote, quella superiore è la ruota motrice. In questo modo la forza di trazione viene esercitata direttamente sul tratto di catena maggiormente caricato, riducendo il tiro di circa la metà. Sulla ruota inferiore viene invece posizionato il sistema tendicatena, che permette di mantenere in tiro la catena stessa, recuperando eventuali giochi che si generano con l’usura. Il sistema tendicatena (v. Fig. 6.10) può essere a vite oppure a molla. Nel caso di sistemi a vite il gioco viene recuperato tramite l’azione su di una vite di regolazione, mentre nel caso di sistema a molla, l’azione della molla permette di mantenere il sistema costantemente con il grado di trazione richiesto.


Dia 6.13

 

Fig.6.10:  Sistema tendicatena a vite per un elevatore a tazze

 

L’alimentazione del materiale avviene in continuo nella zona inferiore dell’elevatore. Le tazze possono essere riempite direttamente dal materiale in alimentazione in caduta, come nel caso di Dia 6.14.(a), oppure il riempimento delle tazze può avvenire riempiendo l’intera zona di alimentazione e scavandola sfruttando l’avanzamento delle tazze - Dia 6.14.(b) -, Il primo sistema di alimentazione è particolarmente adatto a trasportatori con un elevato numero di tazze, mentre il secondo si confà maggiormente ad elevatori di passo più lungo. Inoltre il sistema di Dia 6.14.(b) è adatto solo a materiali ad alto scorrimento, ossia materiali che franano con facilità; se adottato con materiali a basso scorrimento, ossia materiali che difficilmente franano come ad es. il cemento, si possono avere notevoli problemi di alimentazione delle tazze.
In Dia 6.14.(a)-(b) viene infine riportato anche un complessivo della zona di alimentazione, comprensivo del sistema tendicatena per il recupero dei giochi.

Dia 6.14 (a) – (b)

Come si vede in Dia 6.15, lo scarico del materiale può avvenire secondo due modalità principali. Per centrifugazione o per caduta. Nel caso di centrifugazione del materiale, la velocità di rotazione della ruota motrice è tale da far sì che il materiale, per effetto della forza centrifuga a cui è sottoposto, subisca un vero e proprio lancio allo scarico. Nel caso di velocità di rotazione inferiori invece, la forza di gravità prevale sulla forza centrifuga, ed il materiale viene scaricato per gravità, eventualmente cadendo sul dorso della pala immediatamente precedente.

Dia 6.15

Tramite opportuni sistemi di ancoraggio della tazza, come riportato nell’ esempio riportato in alto a destra - Dia 6.25 -, è possibile evitare questo fenomeno. Infine in alcuni casi lo scarico del materiale viene agevolato inclinando il sistema di elevazione.
Alcuni esempi costruttivi di elevatori a tazze vengono riportati anche in Fig. 6.11.

Fig. 6.11: Alcuni esempi di elevatori a tazze

Come regola generale, si può osservare che il passo dell’elevatore influenza il coefficiente di riempimento delle tazze, dal momento che tanto maggiore è il passo tanto maggiore sarà il riempimento. Lo scarico avviene in un caso per centrifugazione, mentre negli altri casi avviene per gravità; gli elevatori con maggior numero di tazze sono caratterizzati da scarico del materiale sulla tazza immediatamente precedente.
Come detto, una delle problematiche presentate dei sistemi di movimentazione dei bulk materials e quindi anche degli elevatori a tazze, è costituita dal calcolo della portata e della potenza. Per il calcolo della portata G di un elevatore a tazze può essere utilizzata la seguente espressione
       [kg/s]
dove
V: volume della tazza [m3]
g: peso specifico del materiale trasportato [kg/m3]
j: coefficiente di riempimento della tazza <1. (dipendendo da tipo di materiale e di tazze)
n: numero di tazze per unità di lunghezza di nastro
v: velocità del nastro [m/s]
Per quanto riguarda il peso specifico, è da osservare come i materiali incoerenti siano caratterizzati da un peso specifico in mucchio, ossia del materiale accatastato alla rinfusa, e da un peso specifico del materiale vero e proprio. Il peso specifico in mucchio può essere anche molto inferiore rispetto al peso specifico vero e proprio. Inoltre i materiali incoerenti, man mano che vengono movimentati diventano sempre più scorrevoli. Questo effetto fa sì che il peso specifico in mucchio tenda ad aumentare all’aumentare del numero di manipolazioni subite dal materiale stesso.
La potenza all’albero motore della ruota trainante può essere espressa dalla relazione

dove:
F: forza di trazione esercitata sul tratto di salita del nastro (peso del materiale trasportato opportunamente maggiorato per tenere conto della forza necessaria per scavare il materiale in alimentazione)
v: velocità di salita del nastro
h: rendimenti vari
Un altro modo per esprimere la potenza motrice è tramite la seguente relazione energetica
     [kW]
dove:
G: portata in massa dell’elevatore [kg/s]
H: dislivello tra le estremità dell’elevatore (interasse ruote + diametro ruote); non si tiene conto di recuperi energetici derivanti da alimentazione a quote non nulle
: carico cinetico del materiale allo scarico
102: coefficiente per la conversione della potenza dal S.T al S.I

 

 


6.3.2    Trasportatori a Nastro
I trasportatori a nastro, di cui uno schema è riportato Fig. 6.13, sono sistemi che ricalcano concettualmente i convogliatori a nastro descritti nel paragrafo 6.2.4.2, per il trasporto di materiali unitarizzati.
Fig.6.13: trasportatore a nastro

Una cinghia di materiale telato o di gomma, avvolta su due ruote, riceve per attrito il tramite la ruota motrice. Il materiale, depositato sulla cinghia nella zona di alimentazione, viene trasferito verso lo scarico. Chiaramente, per contenere la forza di trazione da trasmettere per il movimento della cinghia, la ruota motrice deve essere la ruota allo scarico, ossia la ruota direttamente trainante la parte di cinghia gravata dal materiale da trasportare (nel caso di Fig. 6.13 la ruota di destra). Analogamente a quanto visto per gli elevatori a tazze, sulla ruota non motrice vengono invece montati,  i sistemi tenditori, a vite o a molla (v. Fig. 6.14).

Fig. 6.14: Sistemi tenditori a viete per trasportatori a nastro

Con riferimento allo schema riportato in  si ha infatti che la condizione di attrito tra cinghia e ruota motrice è rappresentata dalla disuguaglianza  .
Fig. 6.15: Analisi delle forze che agiscono sulla ruota motrice

e quindi, per aumentare la forza di trazione T1 che può essere esercitata per il trasporto del materiale, è necessario aumentare il valore dell’angolo di avvolgimento a oppure il valore del coefficiente di attrito f.. 
Il calcolo della portata per un trasportatore a nastro può essere effettuato in riferimento alla sezione media A di materiale trasportato, riportata in Fig. 6.16

 

Fig. 6.16 : Calcolo della portata per un trasportatore a nastro

Detta hmedia l’altezza media del materiale trasportato, tale che

si ha che la portata G trasportata è esprimibile dalla relazione
      [kg/s]
dove:
g: peso specifico del materiale trasportato [kg/m3]
v: velocità di traslazione del nastro [m/s]
Il problema principale nell’applicazione della relazione precedente sta nel come valutare hmedio, ossia stabilire come si deposita il materiale sul nastro. Per cercare di riempire in modo uniforme il nastro si possono adottare sistemi come quello riportato in Fig. 6.17

Fig. 6.17: Sistemi di regolarizzazione della portata di alimento

Tramite un sistema a paratie è infatti possibile far defluire in modo uniforme il materiale sul nastro, regolarizzando la portata di alimento ed eliminando eventuali urti del materiale sul nastro. La portata stessa può essere inoltre variata modificando l’inclinazione delle paratie
Per calcolare la potenza assorbita da un trasportatore a nastro si può ricorrere alla relazione
                                    [W]                     
dove:
F: forza esercitata sul nastro [kg]
v: velocità di traslazione del nastro [m/s]
la forza F può essere scomposta in tre contributi distinti F1, F2 ed F3
6.3.3     Trasportatori ad Attrito
Uno schema funzionale di un trasportatore ad attrito (detti anche a catena o reddler) viene riportato in Fig. 6.18

Fig. 6.18: Trasportatori ad attrito

Si tratta di un sistema costituito da una canaletta di lamiera, sul fondo della quale scorre una catena a cui sono collegati degli elementi mobili. Gli elementi mobili, sfruttando l’attrito, impartiscono il moto al materiale incoerente, il quale riempie la canaletta, fin quasi all’estremità superiore (deve essere lasciato lo spazio per consentire il ritorno della catena senza avere azione sul materiale). È importante sottolineare come la trasmissione del moto non avvenga tramite un’azione di forma (spinta) tra gli elementi mobili ed il materiale incoerente, quanto sfruttando l’attrito che si genera tra gli stessi ed il materiale incoerente trasportato Per avere un buon effetto di trascinamento è allora necessario assicurare un sufficiente attrito tra il materiale e gli elementi mobili, limitando contemporaneamente le perdite di energia lungo le pareti delle canalette, che devono essere, invece, il più possibile lisce. Anche la velocità della catena non dovrà essere eccessiva, in modo da permettere al materiale di fluire con una certa regolarità all’interno delle canale. Velocità usuali della catena sono attorno a 0,3 m/s.
I materiali trasportabili con i trasportatori ad attrito sono i più svariati; questi trasportatori sono particolarmente adatti per il trasporto di materiali difficilmente movimentabili con altri sistemi, come ad esempio materiali fibrosi o fortemente abrasivi. Non sono invece adatti per la movimentazione di materiali fluidizzati (cioè con proprietà fluidodinamiche molto simili a quelle di un liquido), come ad esempio il cemento.
Tornando ai trasportatori a catena, la forma dell’elemento mobile (cioè dell’elemento che agita il materiale sfuso) risulta fortemente influenzata dal tipo di materiale da trasportare e dal tipo di movimentazione. In Dia 6.16 vengono riportati alcuni esempi di catene utilizzate per materiali ad elevato scorrimento (a) oppure per materiali con tendenza ad impaccarsi (b). In quest’ultimo caso gli elementi verticali tendono ad aumentare l’attrito e quindi l’azione di trascinamento. Gli elementi (c) e (d) sono invece utilizzati per il trasporto verticale tramite trasportatori a catena. In questo caso la movimentazione avviene per riprese successive del materiale (come ad es. nel trasporto pneumatico) e c’è quindi bisogno di un elevato attrito tra il materiale stesso e gli elementi della catena, attrito assicurato dalla geometria dell’elemento.


Dia 6.16

In Dia 6.17 vengono infine riportati alcuni esempi di alimentatori ad attrito a larga diffusione industriale. Nel caso (a) si ha un sistema ad alimentazione controllata che può essere alimentato con materiali provenienti da condotti diversi, così come lo scarico può avvenire in posizioni differenti modificando opportunamente la configurazione di alcune serrande; nel caso di Dia 6.17 (b) invece, si ha una alimentazione di tipo “flooded”, con miscelazione tra materiali differenti all’interno del trasportatore; variando la portata di materiali tra le due zone di alimentazione può essere variato opportunamente il rapporto di miscela allo scarico del trasportatore.


Dia 6.17

      • Trasportatori a Coclea

Quest’ultima tipologia di sistema per la movimentazione dei materiali sfusi, largamente diffuso nell’industria moderna, vede sostanzialmente campo di applicazione analogo a quello appena visto per i trasportatori ad attrito. In molti casi, però, i trasportatori a coclea si lasciano preferire a questi ultimi poiché hanno costi di investimento e di manutenzione, ridotti a parità di capacità di trasporto, nonché maggiore semplicità di funzionamento, protezione del materiale (da umidità e/o polvere).
D’altro canto essi non si preferiscono mai ai trasportatori a catena, nel caso vadano movimentati materiali fibrosi o con tendenza all’impaccamento, che possono provocare il blocco del trasportatore.
I trasportatori a coclea, di cui un esempio viene riportato in Dia 6.18 constano di un particolare elemento detto, appunto, coclea, la cui conformazione ricalca quella di una vite senza fine. La coclea può avere una particolare conformazione a razze (v. Dia 6.18.b), qualora sia richiesto nell’avanzamento del materiale una forte azione di rimescolamento.

 

Dia 6.18

La coclea viene posta in rotazione tramite un motore elettrico su appositi supporti all’interno e coassialmente ad una canala in lamiera opportunamente sagomata. Il movimento di avanzamento del materiale avviene sfruttando l’attrito tra il materiale stesso e la superficie dell’elica. Anche il trasportatore a coclea è quindi in trasportatore che al pari del trasportatore a catena funziona per attrito; se non vi fosse attrito infatti, la singola particella rimarrebbe a muoversi lungo una circonferenza ortogonale all’asse dell’elica, senza alcun avanzamento.
Nel caso di coclee per il trasporto verticale invece, si utilizzano trasportatori ad elica, rotanti ad elevata velocità, in cui l’azione di l’azione di avanzamento è derivante dall’effetto di centrifugazione e di attrito del materiale contro le pareti della canala. In Dia 6.18.c  viene riportato un esempio di coclea verticale in cui si hanno in realtà due coclee contro rotanti: la coclea esterna spinge il materiale verso il basso, assicurando l’alimentazione alla coclea interna che invece è deputata al sollevamento del materiale.

 

Bibliografia
[1] Christopher, M., (1998), Logistics and Supply Chain management, prentice and Hall, London.
[2] Caron, F., Marchet, G., Wegner, R., (1997), Impianti di movimentazione e stoccaggio dei materiali, Hoepli, Milano.
[3] Chopra, S., Meindl, P., (2001), Supply chain management, Prentice Hall, New Jersey.
[4] A. Rizzi, (2002), Materiale didattico per il corso di Logistica Industriale, Parma.

 

Fonte: http://143.225.72.121/unina/didattica/Handling.doc

Sito web da visitare: http://143.225.72.121/unina/

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