Tecnologia saldatura

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Tecnologia saldatura

PROCEDIMENTI DI SALDATURA

 

1. INTRODUZIONE
La saldatura è il procedimento mediante il quale si effettua una unione permanente tra due pezzi metallici, con o senza apporto di un materiale metallico, in modo da ottenere nei tratti di collegamento la continuità tra i pezzi stessi.
Non basta comunque soddisfare al requisito della continuità fisica tra i pezzi, ma occorre anche che le proprietà meccaniche del giunto siano idonee alle condizioni di servizio.
Esistono diversi procedimenti di saldatura che si distinguono tra loro in base alle modalità con cui viene effettuata la giunzione e, in particolare, in base al tipo di energia che viene impiegata.
In tabella I si presenta uno schema dei principali procedimenti di saldatura attualmente adottati.
Di questi, alcuni hanno una grandissima diffusione a livello industriale, mentre altri sono riservati ad usi particolari. Tuttavia bisogna notare che, trattandosi di tecnologie in rapida evoluzione, si verificano spesso innovazioni in procedimenti già noti o sviluppi di nuovi procedimenti.

 

Tab. I  Procedimenti di saldatura


saldature ad arco elettrico

con elettrodi rivestiti
ad arco sommerso
con filo elettrodo in gas protettivo
con elettrodo infusibile in gas protettivo

saldature a gas

 

saldature a resistenza

a punti
a rulli
a rilievi

saldature allo stato solido

ad attrito
ad ultrasuoni
ad esplosione

saldature speciali

a fascio elettronico
a laser
a plasma
sottoscoria
ad alta frequenza

brasature

dolci
forti

 

 

2. DEFINIZIONI

Poiché lo studio dei procedimenti di saldatura richiede la conoscenza di alcuni termini e concetti particolari, si forniscono qui di seguito alcune definizioni fondamentali.
Metallo base è il metallo che costituisce i pezzi da saldare; può essere lo stesso per entrambi i pezzi, o diverso.
Metallo d'apporto è il metallo che viene introdotto sotto forma di bacchette, fili o nastri e depositato allo stato fuso tra i lembi da unire. In alcuni procedimenti non è richiesto metallo d'apporto.
Bagno di fusione è la porzione di metallo che si trova allo stato fuso durante l'operazione di saldatura.
Il bagno di fusione è in generale costituito in parte dal metallo base e in parte dal metallo d'apporto. Si definisce rapporto di diluizione il rapporto tra il volume di metallo base fuso e il volume dell'intero bagno di fusione. La diluizione si misura sperimentalmente dall'esame della sezione del giunto (fig. 1).

Fig.1  Sezioni di cordoni di saldatura

Se A è l’area della sezione del metallo d’apporto e B è l’area della sezione del metallo base fuso, il rapporto di diluizione D è:

                                                                                                                     (1)

esso esprime la diluizione che subisce il metallo d'apporto, ad opera del metallo base.
Nei procedimenti di brasatura, ove non si ha fusione del metallo base, il rapporto di diluizione è nullo. Al contrario, nelle saldature dove non si impiega metallo d'apporto (saldature a resistenza, saldature laser), il rapporto di diluizione vale 100.
I valori consueti che si possono verificare sono:
D = 20 - 30% nelle saldature ad arco con elettrodi rivestiti;
D = 25 - 85% nelle saldature ad arco sommerso;
D =  5 - 60% nelle saldature a filo continuo.

Poiché le proprietà del metallo d'apporto sono in generale migliori di quelle del metallo base, procedimenti di saldatura per fusione caratterizzati da più bassi livelli di rapporto di diluizione offrono zone fuse di migliori caratteristiche chimiche.

Giunto è la zona ove si effettua il collegamento, o è il collegamento stesso.
Si distinguono diversi tipi di giunto (fig. 2), a seconda del posizionamento reciproco dei pezzi da saldare. I tipi fondamentali sono:

  • giunto di testa (a);
  • giunto ad angolo o a T (b);
  • giunto a sovrapposizione (c).

Passata è la singola operazione di saldatura lungo un giunto; il risultato della passata è la formazione di un cordone di saldatura. Per effettuare un giunto può bastare una passata, oppure occorrono più passate.
 

 


Fig. 2  Tipi di giunti
Posizione di saldatura definisce la posizione del giunto e la sua giacitura; essa condiziona le modalità della passata e la tecnica da adottare. Si distinguono quattro posizioni fondamentali (fig. 3):

  • piana (a);
  • frontale (b);
  • verticale (c);
  • sopratesta (d).

Non è sempre possibile operare in tutte le posizioni e non tutti i procedimenti lo consentono.

 

 

Fig. 3  Posizioni di saldatura

Penetrazione del giunto è la profondità p, misurata a partire dalla superficie di un pezzo, a cui è giunta la fusione del metallo base (fig. 4). Questo parametro è particolarmente importante, in quanto stabilisce la sezione resistente del giunto.  Il valore della penetrazione dipende dal procedimento e per uno stesso procedimento può essere modificato operando sui parametri di esecuzione.
 

 


Fig. 4  Penetrazione del giunto

Si chiama giunto a completa penetrazione quello in cui tutta la sezione del giunto è stata fusa.
E' importante sottolineare che giunti di testa che non risultino a completa penetrazione vengono considerati inaccettabili da tutte le norme di accettabilità in quanto, oltre a presentare una sezione resistente minore, subiscono l'effetto di intaglio che li rende particolarmente pericolosi nei confronti della fatica.
Quando gli spessori da unire sono superiori a 5 mm, occorre preparare i lembi, sagomandoli in modo da creare un vano o cianfrino, entro il quale si possa effettuare il deposito del metallo d'apporto, garantendo la piena penetrazione. In figura 5 si riportano alcuni esempi di preparazione che vengono definiti, in base alla forma, a V, a X, a U, a doppia U, a V, a J, a K e a doppia J.
La preparazione a V si impiega fino a 20 mm di spessore; quella a U per spessori superiori. Analogamente per i giunti d'angolo la preparazione a ½ V si impiega fino a 20 mm e quella a J per spessori superiori. Le preparazioni a X e a doppia U e quelle a K e a doppia J consentono saldature su entrambi i lati.

Fig. 5  Tipi di preparazione

Apporto termico specifico (o heat input  H.I.) è definito come l’energia fornita dalla sorgente all’unità di lunghezza del giunto e dipende dal procedimento di saldatura e dalle modalità esecutive.
Esso si calcola convenzionalmente con la formula:
                                                                                                  (2)

in cui:
I = intensità della corrente di saldatura;
E = tensione di saldatura;
v = velocità di traslazione della sorgente termica .

Valori tipici di H.I. per i principali procedimenti di saldatura sono:
con elettrodo rivestito 10¸12 ;
ad arco sommerso 20¸40 .

 

3. Saldatura ad arco elettrico

Le saldature che impiegano l'arco elettrico come sorgente termica sono attualmente le più diffuse e quindi rivestono la maggiore importanza fra tutti gli altri procedimenti.
L'arco viene attivato tra il pezzo ed un elettrodo che è mosso a mano o meccanicamente lungo il giunto in modo da effettuare la passata. In alcuni casi l'elettrodo rimane fermo, mentre è il pezzo che viene fatto scorrere o ruotare. L'elettrodo può essere di tipo fusibile ed allora costituisce anche il metallo d'apporto, altrimenti, se è infusibile, assolve solo alla funzione di alimentare l'arco mentre il materiale d'apporto, quando richiesto, deve essere fornito mediante una bacchetta separata.
I vari procedimenti di saldatura ad arco sono i seguenti:

  • saldatura ad arco ad elettrodi rivestiti              ER                       (sigla inglese SMAW)
  • ad arco sommerso                                             AS                        (sigla inglese SAW)
  • con filo elettrodo in gas protettivo                   MIG/MAG          (sigla inglese GMAW)
  • con elettrodo infusibile in gas protettivo         TIG                      (sigla inglese GTAW)

 

3.1 L'arco elettrico

E' opportuno premettere alla tecnologia del procedimento alcune nozioni sull'arco elettrico, perché ciò consente di comprendere meglio i processi che si adottano e l'influenza dei parametri operativi sulla qualità del giunto.
L'arco è la manifestazione fisica del passaggio di corrente elettrica attraverso un mezzo liquido o gassoso ionizzato.
Quando ad un metallo viene conferita energia sufficiente, esso comincia ad emettere gli elettroni di valenza che orbitano liberamente nei reticoli cristallini. L'energia necessaria è detta energia potenziale di estrazione e può essere conferita in diversi modi, in particolare, se l'emissione di elettroni è dovuta al calore, si parla di effetto termoionico. Se due elettrodi sono sottoposti a differenza di potenziale, gli elettroni emessi vengono accelerati dal campo elettrico ed attraversando l'aria interposta la ionizzano, formando ioni positivi e nuovi elettroni.
Il movimento polarizzato di queste particelle cariche consente un passaggio di corrente sempre più intenso, moltiplicando, per dissociazioni successive, gli elettroni diretti verso l'anodo e gli ioni diretti verso il catodo.
L'urto tra le particelle fa innalzare la temperatura per cui si raggiunge ben presto la formazione di una colonna di plasma ad alta temperatura. Il fenomeno, se sorretto da un generatore che continui a mantenere la differenza di potenziale tra gli elettrodi ad un valore sufficiente, diventa stabile, in quanto il gas ionizzato si comporta come un conduttore che chiude il circuito tra i due elettrodi. Inoltre, il continuo bombardamento di ioni e di elettroni sugli elettrodi ne scalda le superfici affacciate, potenziando l'emissione termoionica del catodo.
Per innescare l'arco, quando gli elettrodi sono freddi, occorrerebbero elevate differenze di potenziale che dessero luogo a campi elettrici dell'ordine di migliaia di volt per millimetro. Poiché questo non è praticamente possibile, si ricorre ad un riscaldamento degli elettrodi mediante un breve corto circuito degli stessi. In alcuni sistemi automatici l'arco viene innescato mediante una scintilla pilota, alimentata ad alta frequenza, che ionizza l’aria interposta.
Come effetto secondario dell'arco elettrico attraverso un mezzo gassoso, si ha una forte emissione di radiazioni elettromagnetiche che interessano l'infrarosso, il visibile e l'ultravioletto. Ciò impone l'uso da parte dei saldatori di opportune dotazioni per proteggere gli occhi e la pelle.
Le temperature che si raggiungono con l'arco sono sempre molto elevate, avendosi:
T = 5000 ¸ 5500 °C    nella colonna di plasma;
T = 3500 ¸ 4000 °C    sull'anodo ( + );
T = 2500 ¸ 2800 °C    sul catodo ( - ).
A causa della differenza di temperatura tra anodo e catodo non è indifferente la polarità che viene attribuita al pezzo ed all'elettrodo. 
Si definisce polarità diretta quella in cui il pezzo è collegato al polo positivo (fig. 6) e polarità inversa quella in cui il pezzo è collegato al polo negativo (fig. 7).
La polarità diretta ha come effetto un maggior riscaldamento del pezzo e quindi una maggiore penetrazione. In complesso l'elettrodo rimane più freddo e l'arco meno stabile.
La polarità inversa dà luogo a maggiore velocità di fusione dell'elettrodo, cui consegue maggiore stabilità dell'arco.

Fig. 6  Polarità diretta                                                 Fig. 7  Polarità inversa

Quando si usano elettrodi fusibili, come nella maggioranza dei casi, le particelle liquide che si staccano dall'estremità dell'elettrodo vengono trasferite attraverso l'arco verso il metallo base, grazie alle forze elettrodinamiche che si instaurano nell'arco. Con riferimento alla figura 8, si vede che, essendo la sezione dell'elettrodo sempre minore di quella del pezzo, l'arco assume una forma quasi troncoconica, con base maggiore sul pezzo.

Fig. 8  Forze elettrodinamiche dell’arco

Di conseguenza, le forze elettrodinamiche che si instaurano fra gli infiniti conduttori percorsi da corrente nello stesso senso sono inclinate con componenti assiali rivolte verso il pezzo. Questa spinta elettrodinamica consente di effettuare anche saldature sopratesta.

 

3.2 Caratteristica d'arco

L'arco elettrico in regime stazionario può essere considerato come un conduttore ohmico, dotato di resistenza costante che dipende dalla sua lunghezza, dalle condizioni di ionizzazione e dalla sezione dell'elettrodo.
Tuttavia, al variare della intensità di corrente, la resistenza non si mantiene costante perché varia la larghezza dell'arco e la sua conducibilità. Se si riporta in diagramma la tensione applicata agli elettrodi in funzione della corrente che attraversa l'arco, si ottengono delle curve come quelle di figura 9, che hanno quale parametro la lunghezza d'arco 1.
Ogni curva ha un tratto discendente, in cui la tensione diminuisce all'aumentare della corrente: ciò si spiega con l'incremento della ionizzazione e quindi con la diminuzione della resistenza dell'arco.

Fig. 9  Caratteristiche d’arco
Quando la ionizzazione raggiunge un livello di saturazione, la resistenza rimane costante e quindi le curve assumono un andamento praticamente rettilineo, giacendo su rette passanti per l'origine. All'ulteriore aumentare della intensità di corrente, si ha un aumento di resistenza, dovuto all'effetto delle forze elettrodinamiche che riducono la sezione dell'arco, senza che possa aumentare la ionizzazione.
Lunghezze d'arco maggiori corrispondono a caratteristiche più alte in quanto, a parità di altre condizioni, la resistenza elettrica è più elevata.

 

3.3 Alimentazione dell'arco elettrico

L'alimentazione elettrica dell'arco avviene mediante un generatore di corrente continua che deve essere in grado di fornire le coppie di valori tensione-intensità di corrente che possono essere richieste dalle varie condizioni di saldatura.
Si definisce caratteristica del generatore la curva che rappresenta l'andamento della tensione in funzione dell'intensità di corrente che esso eroga (fig. 10).
I generatori per saldatura presentano caratteristiche discendenti in cui il valore massimo della tensione, E0, si ha per corrente nulla; questo valore è detto tensione a vuoto. Per facilitare l'accensione dell'arco sarebbe utile una tensione a vuoto elevata ma, per sicurezza, si tiene E0 = 50 V.
L'andamento decrescente delle caratteristiche è necessario allo scopo di contenere i valori della corrente massima Icc , quando l'elettrodo ed il pezzo sono in contatto (corrente di corto circuito) e di limitare le variazioni di corrente al variare della tensione, durante la saldatura.
Ogni generatore può operare con diverse caratteristiche, selezionabili con discontinuità o con
continuità.

Fig. 10  Caratteristiche del generatore

L'intersezione della caratteristica d'arco con la caratteristica del generatore selezionata stabilisce il punto di funzionamento. Bisognerà scegliere una caratteristica del generatore idonea a stabilire le migliori condizioni operative per il tipo di elettrodo adottato, ed il suo diametro. Al crescere del diametro d dell'elettrodo l'intensità di corrente deve aumentare, in modo da consentire un più alto apporto termico.
Come riferimento si usano le espressioni empiriche:

I = 40 × d                (per saldature in piano e sopratesta)
(3)
I »  0.85 × I piano      (per saldature in verticale)
che legano linearmente la corrente al diametro dell’elettrodo, in relazione alla posizione di saldatura.
Comunque, ogni fabbricante consiglia il valore più appropriato di corrente per i propri elettrodi.
Quando si usano diametri maggiori, anche la lunghezza d'arco viene aumentata.  Pertanto, al variare del diametro degli elettrodi, occorre stabilire la coppia di valori tensione-corrente che meglio soddisfa ai requisiti della saldatura.  Le norme stabiliscono una relazione che lega linearmente le due quantità:

E = (20+0,04×I) [V]              per I < 600 A
(4)
E = 44 V                              per I > 600 A .

La tensione così determinata si chiama tensione convenzionale di saldatura.
Operativamente, una volta che è stato scelto il valore della corrente mediante una delle (3), o seguendo le istruzioni del fabbricante, si determina la tensione convenzionale e si seleziona la caratteristica del generatore che passa per il punto individuato (fig. 11). Il saldatore dovrà, durante la passata, mantenere una lunghezza d'arco costante, di valore tale che l'intersezione tra la caratteristica d'arco e la caratteristica del generatore cada sul punto individuato. Vi è comunque un processo spontaneo di autoregolazione che facilita il mantenimento delle condizioni prescelte.
Con riferimento alla figura 12, sia P0 il punto di funzionamento prescelto, intersezione tra la caratteristica del generatore selezionata e la caratteristica d'arco per una certa lunghezza l0.
Se, per qualche motivo, l'estremità dell'elettrodo si avvicina al pezzo diminuendo così la lunghezza d'arco fino al valore l1 < l0 , si ha il nuovo punto di funzionamento P1  a cui corrisponde un'intensità di corrente I1 più alta. Questa provocherà allora una maggiore velocità di fusione dell'elettrodo, che tenderà a riportare il punto di funzionamento su P0 , in corrispondenza della lunghezza d'arco iniziale.
Analogo fenomeno avviene se le condizioni di funzionamento si spostano in P2 su una lunghezza d'arco maggiore.

Fig. 11  Punto di funzionamento                     Fig. 12  Processo di autoregolazione

 

3.4 Influenza dei parametri di saldatura

I fattori più importanti che influenzano la sezione e la qualità del cordone di saldatura sono:

  • intensità di corrente di saldatura e tipo di corrente (se continua, la sua polarità);
  • tensione di saldatura;
  • velocità di saldatura.

La corrente di saldatura determina la velocità di fusione del filo (velocità di deposito) e la penetrazione.
Normalmente in saldatura quando si vogliono privilegiare elevate velocità di fusione dell’elettrodo e bassi rapporti di diluizione viene utilizzata la polarità inversa (- al pezzo)
Se al contrario si desidera un bagno di saldatura profondo si adotta la polarità diretta (+ al pezzo). Il procedimento TIG richiede la polarità diretta per non surriscaldare l’elettrodo di tungsteno che non deve essere fuso.
La tensione di saldatura influenza la larghezza del deposito.
La velocità di deposito influisce sulle dimensioni del bagno di fusione in modo inversamente proporzionale; anche l’aspetto superficiale del cordone risente dell’effetto della velocità: saldature eseguite molto velocemente presentano superfici alquanto irregolari e con onde a spina di pesce, possono essere affette da sensibili incisioni marginali e possono contenere porosità e cricche a centro cordone.

 

3.5 Saldatura ad arco con elettrodi rivestiti (ER  o  SMAW)

Questo procedimento, tipicamente manuale, è certamente il più diffuso tra tutti quelli che impiegano l'arco elettrico come sorgente termica. La sua introduzione risale agli inizi del secolo scorso e da allora sono stati apportati al procedimento continui miglioramenti.
Attualmente l'importanza della saldatura con elettrodi rivestiti si riscontra soprattutto nelle costruzioni in acciaio.
La peculiarità del procedimento è rappresentata dall'uso di elettrodi costituiti da un'anima metallica ricoperta con un impasto solido. Quando l'arco viene innescato, la temperatura che si determina provoca la progressiva fusione dell'anima dell'elettrodo e la contemporanea fusione e volatilizzazione del rivestimento (fig. 13). Quindi l'anima svolge la funzione di metallo d'apporto, mentre il rivestimento assolve a diversi compiti.

Fig.13  Saldatura ad arco con elettrodi rivestiti

In particolare esso deve:

  • fornire elementi fortemente termoionici che, ionizzandosi facilmente, stabilizzano l'arco e facilitano il suo innesco;
  • formare un'atmosfera protettiva che sostituisca l'aria intorno all'arco ed al bagno fuso, in modo da impedire fenomeni di ossidazione e di nitrurazione del metallo;
  • fornire elementi disossidanti (Si, Mn) e depuratori del bagno fuso;
  • aggiungere al bagno elementi particolari per migliorare le caratteristiche del giunto;
  • formare una scoria che galleggi allo stato fuso sul cordone di saldatura, allo scopo di proseguire l'azione protettiva agli agenti atmosferici e di rallentare il raffreddamento del bagno. Nella scoria, che deve essere facilmente eliminabile per scalpellatura, si raccolgono tutte le impurezze presenti nel bagno e che hanno reagito allo stato fuso con esso, formando sali più leggeri.

 

3.5.1 Tipi di elettrodi

A seconda degli elementi che entrano nella composizione del rivestimento, si hanno diversi tipi di elettrodi.
Elettrodi a rivestimento basico
I rivestimenti basici sono costituiti al 70% da sali di calcio e magnesio, quali carbonati e fluoruri, e da ferroleghe, quali Fe-Mn, Fe-Ti e Fe-Si con funzione disossidante.
La presenza di calcio conferisce il comportamento basico alla scoria che ha l'effetto di desolforare e defosforare il bagno. Siccome sono cotti a temperature piuttosto alte (450 °C) hanno basso contenuto di acqua, pertanto non introducono idrogeno nel bagno.  Per l’insieme di questi motivi, i rivestimenti basici sono i migliori dal punto di vista metallurgico, contrastando il pericolo di cricche a caldo ed a freddo.  Il loro uso è infatti richiesto per saldature di carpenteria e costruzioni impegnative.  Hanno però lo svantaggio di formare un ombrello protettivo piuttosto piccolo, quindi debbono operare con archi corti, sono di delicata conservazione, in quanto igroscopici (ma possono essere essiccati in forno a T < 350 °C) e richiedono più abilità da parte dell'operatore. Vanno impiegati con polarità inversa (pezzo al polo negativo), in modo da favorire il riscaldamento dell'elettrodo e quindi la sua emissività e il flusso di plasma anodico.
Elettrodi a rivestimento acido
I rivestimenti acidi sono costituiti da ossidi di ferro, silicati di alluminio e ferroleghe ed esplicano principalmente azione disossidante.  Formano ampio ombrello protettivo, quindi sono facili da usare, e producono cordoni di bell'aspetto.
Consentono la polarità diretta, che provoca maggiore penetrazione.  Hanno lo svantaggio di presentare contenuti di umidità non trascurabili, non potendo subire cotture ad alte temperature, e non hanno efficacia per depurare il bagno. 
La scoria prodotta da questi elettrodi è vetrosa e facilmente rimovibile, ma non rifusibile, quindi deve essere accuratamente eliminata prima di effettuare successive passate di saldatura.
Elettrodi a rivestimento rutilico
Questi rivestimenti sono caratterizzati dalla presenza di biossido di titanio (TiO2) o rutilo che viene aggiunto, ai componenti dei rivestimenti acidi, per migliorare la stabilità dell'arco; consentono quindi anche l’uso di corrente alternata.
Sono fortemente disossidanti ma non depurano il bagno. La loro principale caratteristica è la estrema semplicità di impiego, con produzione di scoria facilmente eliminabile e cordone di bell’aspetto. Si utilizzano quindi spesso per effettuare passate di finitura.

Elettrodi a rivestimento cellulosico
Il rivestimento a base di cellulosa ha la caratteristica di produrre poca scoria.  Infatti, essendo la cellulosa un materiale facilmente scomponibile, sviluppa grandi quantità di gas, quali CO e H2 .
La saldatura con questi tipi di elettrodi può essere considerata sotto protezione di gas.  Data la bassa ionizzabilità dell'atmosfera, richiedono tensioni d'arco più elevate e producono alte penetrazioni.
Non proteggono dal pericolo delle cricche, anzi, per la presenza di idrogeno ne accentuano il rischio di formazione.  Sono molto igroscopici ma, a differenza di quelli basici, non possono essere asciugati se hanno assorbito umidità, non potendo essere essiccati in forno.
Il loro impiego tipico è nelle saldature di testa (o nelle prime passate su tubi), ove si richiedono alte penetrazioni, e nelle saldature verticali.
Rivestimenti ad alto rendimento
Si definisce rendimento di un elettrodo il rapporto tra il peso di metallo depositato ed il corrispondente peso di anima che si è fusa.
Un metodo per aumentare il rendimento consiste nell’aggiungere polvere di ferro nel rivestimento che, fondendo, va ad integrare il metallo di apporto proveniente dall’anima.
I rivestimenti che contengono polvere di ferro sono pertanto chiamati ad alto rendimento.
Presentano archi più estesi in sezione, ma in compenso minori penetrazioni.
Operano, per la maggior conduttività, con correnti più alte e quindi consentono maggiori velocità di deposito.

 

3.6 Saldatura a filo continuo

Questi procedimenti impiegano un elettrodo continuo di tipo fusibile, che è avvolto su un aspo e fatto avanzare durante la saldatura mediante dei trascinatori a rulli R (fig. 14). Il generatore di corrente G è collegato al filo mediante un contatto strisciante C, posto a breve distanza dall'arco, per ridurre la dissipazione di energia attraverso il filo.

Fig. 14  Schema di saldatura a filo continuo
In questi procedimenti la lunghezza d'arco viene regolata agendo sulla velocità dei rulli di trascinamento, che è controllata dalla tensione d'arco.
La protezione del giunto, indicata in figura con P, è ottenuta o con flusso di polveri o con gas.

A seconda del tipo di protezione, si hanno i seguenti processi di saldatura:

  • ad arco sommerso;
  • sotto gas protettivo.

3.6.1 Saldatura ad arco sommerso (AS  o  SAW)

Durante la saldatura l'elettrodo è completamente circondato da un flusso di polvere protettiva che viene fatta scorrere, cadendo da una apposita tramoggia (fig. 15).
L'arco quindi risulta non esposto all'aria, ma "sommerso" dal flusso.
I costituenti del flusso, che possono essere di varia natura, in parte fondono formando una scoria protettiva e disossidante ed in parte rimangono allo stato di polvere, che può essere poi recuperata.
 


Fig. 15  Saldatura ad arco sommerso

L'arco sommerso, essendo un tipico procedimento automatico, consente alte produttività ed un'ottima affidabilità.
La caratteristica principale dell’arco sommerso è la possibilità di impiegare intensità di corrente assai più elevate di quelle utilizzate per elettrodi rivestiti di pari diametro. Per esempio, con un filo di 4 mm di diametro si possono impiegare facilmente 700 A, mentre con elettrodo rivestito dello stesso diametro non si superano in genere i 200 A, onde non riscaldare eccessivamente e danneggiare il rivestimento.
L’elevata intensità di corrente porta le seguenti conseguenze:
- viene fusa una notevole quantità di metallo d’apporto;
- viene fusa una notevole quantità di materiale base.
Ciò significa che la saldatura ad arco sommerso offre alta produttività e notevole capacità di penetrazione nei confronti del materiale base.
Queste caratteristiche rendono la saldatura ad arco sommerso particolarmente adatta per operare su grandi e medi spessori, in quanto si può avere la possibilità di eseguire un giunto con un minimo numero di passate effettuate a velocità sensibilmente superiori a quelle possibili con saldatura manuale.
Il procedimento si presta inoltre in modo particolare alla realizzazione di riporti saldati, ove si deposita, mediante cordoni paralleli, uno strato uniforme di metallo su quello base.
In caso di riporti o placcature (sia per ripristinare pezzi usurati, sia per ottenere superfici con particolari caratteristiche meccaniche e metallurgiche), si utilizza la polarità inversa (con pezzo collegato al polo -), per limitare la penetrazione ed aumentare (fino al 30%) la velocità di deposito.
I flussi
I flussi, oltre a proteggere l’arco, hanno anche altre funzioni, analogamente a quanto visto per il rivestimento degli elettrodi. Sono costituiti soprattutto da silicati, ossidi e ferroleghe.
I flussi sono normalmente distinti in due grandi categorie, che tengono conto del metodo usato nella loro fabbricazione, e che caratterizza la loro attività metallurgica: flussi prefusi, flussi agglomerati e flussi misti.
I flussi prefusi (di aspetto vetroso)vengono prodotti portando a fusione i minerali di partenza, tra i quali, durante la permanenza in forno, avvengono tutte le possibili reazioni chimiche. Quindi questo impasto viene colato in una vasca e, dopo solidificazione, si procede alla macinazione.
In saldatura, questi si rifondono costituendo una coltre impermeabile all’aria. A causa delle già avvenute reazioni chimiche, viene però a mancare l’azione disossidante sul bagno che deve essere esplicata da un adeguato filo che apporti una sufficiente quantità di manganese (deve contenere una quantità circa doppia di quella che si vuole avere nel cordone). Risulta dunque evidente l’importanza di accoppiare il filo col flusso.
Un flusso prefuso non assume praticamente umidità dall’atmosfera e permette più elevate velocità esecutive.
I flussi agglomerati (di aspetto opaco) vengono prodotti macinando finemente i minerali di partenza (prefuso + ferroleghe Mn, Cr, V, ecc.) e mettendoli in forno (T = 450 °C) insieme ad un agglomerante (silicati). Ciò non consente un completo esaurimento delle reazioni chimiche tra i vari componenti, le quali possono riprendere all’atto della saldatura.
Si ha pertanto la possibilità, con questi flussi, di apportare nel bagno di fusione elementi disossidanti quali Si e Mn, oltre a proteggere meccanicamente il bagno stesso dall’azione dell’aria.
In questo caso, si utilizzano fili a ridotto contenuto di Mn.
In genere i flussi agglomerati tendono ad assorbire umidità dall’atmosfera, se non ben conservati, e a cedere notevoli quantità di idrogeno nel bagno. I flussi possono però essere riessiccati, prima dell’uso, introducendoli in appositi fornetti.
Nel riscaldamento sotto l’effetto dell’arco, anche il flusso agglomerato che non viene fuso altera le sue caratteristiche: pertanto i flussi agglomerati non possono essere “recuperati” e vanno usati nella quantità strettamente necessaria.
I flussi misti sfruttano i vantaggi degli uni limitando gli svantaggi degli altri. Poiché le parti prefuse e quelle agglomerate si comportano in modo diverso durante la fase di protezione della saldatura, questi flussi non si prestano bene ad essere “recuperati”. Essi presentano anche difficoltà di riessiccazione, qualora abbiano assorbito umidità dall’ambiente.
I fili
I fili costituenti l'elettrodo sono fabbricati partendo da vergelle di elevata purezza e ridotti al diametro voluto mediante trafilatura. Generalmente sono rivestiti di un sottile strato di rame che ha lo scopo sia di proteggerli dall'ossidazione, durante i periodi di immagazzinamento, sia di ridurre la resistenza elettrica di contatto con la spazzola strisciante.
Recentemente sono stati introdotti anche fili animati, che contengono nel loro interno polveri di ferroleghe, analogamente a quanto si dirà al punto seguente per il procedimento manuale a filo animato.

 

3.6.2 Saldatura a filo elettrodo in gas protettivo (MIG/MAG  o  GMAW)

In questo procedimento, di introduzione più recente, la protezione è effettuata mediante un'atmosfera gassosa fatta defluire intorno al filo sulla zona di saldatura.
Si impiegano diversi tipi di gas e loro miscele. Se l'atmosfera è formata da gas inerti, il procedimento si chiama MIG (Metal Inert Gas), se è formata da gas con una certa reattività chimica, il procedimento si chiama MAG (Metal Active Gas).
Secondo la normativa anglosassone, non viene fatta distinzione nella classificazione del procedimento in base al tipo di gas protettivo, ma viene indicato semplicemente come Gas Metal Arc Welding (GMAW).
Con la protezione di gas l'arco è completamente visibile e l'operatore salda usando una torcia collegata mediante un grosso cavo alla macchina. Questa provvede a fornire il filo-elettrodo con il dovuto avanzamento, la circolazione dell'acqua in andata e ritorno per il raffreddamento della torcia, il flusso di gas protettivo e la corrente al filo. In fig. 16 è schematizzata una torcia per saldatura semiautomatica.

 

Fig. 16  Saldatura a filo elettrodo in gas protettivo

Il generatore è a caratteristica piatta (tensione costante) per avere forti variazioni di corrente e sfruttare meglio l'autoregolazione. Si impiega la polarità inversa per favorire la fusione dell'elettrodo e la stabilità dell'arco, altrimenti insufficiente data l’assenza di sostanze ionizzanti.
Il gas inerte più usato è l’argon. Questo gas è assolutamente inerte ed essendo 1,3 volte più pesante dell'aria, protegge bene l'arco. In alternativa (specialmente in U.S.A.), per saldare pezzi di grosso spessore, si usa l'elio in quanto consente elevati apporti termici.
Però l’elio, essendo più leggero dell'aria, tende più dell’argon a disperdersi e quindi richiede flussi più intensi.
A volte si usano anche miscele di argon e di elio o miscele di uno di questi gas con ossigeno.
Quando si usa un gas attivo (MAG), si adopera generalmente CO2, dato il basso costo.
Questo subisce la reazione:
Q + CO2  « CO + O

che, alle alte temperature dell'arco, avviene nel senso della dissociazione con assorbimento di calore Q.
A ridosso del metallo base, più freddo, si ha la reazione inversa con restituzione del calore, che quindi risulta trasferito al bagno di fusione.
Grazie al maggior apporto termico, il procedimento MAG dà luogo a cordoni più larghi e più profondi.  E' un procedimento molto economico e diffuso per gli acciai comuni.
Spesso si usano miscele di CO2 + Ar oppure CO2 + Ar + O2  .
Occorrono comunque fili disossidanti (con Mn, Si) per ridurre i pericoli di ossidazione.
Variante di questo tipo di procedimento è quello cosiddetto a filo animato (FCAW dalla classificazione anglosassone Flux Cored Arc Welding). In questo procedimento, il filo non è costituito da metallo massiccio ma è internamente cavo e riempito di flusso; questo può avere tutte le funzioni dei rivestimenti degli elettrodi rivestiti, cioè operativa, protettiva, elettrica e metallurgica (disossidazione, desolforazione, apporto di elementi di lega).
Esiste lo svantaggio di un maggior costo del filo e il problema della scoria che deve essere asportata.
I fili animati hanno, rispetto ai fili pieni, il grande vantaggio di consentire generalmente maggiori velocità di deposito, arco più stabile e penetrazioni più accentuate e, per gli acciai al carbonio, possono dare la possibilità, utile per alcune applicazioni di minor importanza, di saldare direttamente su materiali arrugginiti con protezione di CO2.  Su acciai legati si usa generalmente protezione di miscele Ar - CO2 o di argon puro.

 

3.6.3 Saldatura con elettrodo infusibile in gas protettivo (TIG  o  GTAW)

Questo procedimento particolare (Tungsten Inert Gas o Gas Tungsten Arc Welding) si differenzia da quelli a protezione di gas visti in quanto l'elettrodo è infusibile. Esso è costituito infatti da una bacchetta di tungsteno che spunta dalla torcia. Per il resto il procedimento è simile al MIG. L'arco scocca tra pezzo ed elettrodo ed è protetto dal gas inerte. Quando occorre metallo d'apporto l'operatore introduce una bacchetta di tale metallo nel bagno fuso.
Il procedimento TIG è stato introdotto durante la seconda guerra mondiale per saldare le leghe leggere delle costruzioni aeronautiche. Il suo uso è oggi esteso alla saldatura di acciai per eseguire passate sottili, o di fondo cianfrino, senza pericolo di sfondamenti.  Richiede polarità diretta, per non consumare l'elettrodo.

4. Metallurgia delle saldature ad arco ELETTRICO

I procedimenti di saldatura ad arco elettrico comportano la fusione di una parte dei metalli da unire, con il riscaldamento delle zone circostanti fino a temperature prossime a quelle di fusione. Siccome ciò provoca diversi effetti metallurgici e meccanici sul giunto ele sue zone vicine, occorre considerare la struttura finale del metallo, la presenza di cricche, le deformazioni e le tensioni residue in quanto influenzano notevolmente la qualità del giunto.

4.1 I cicli termici

Attorno alla sorgente termica che trasla sulla superficie del pezzo per eseguire il cordone di saldatura si stabilisce un flusso termico con gradienti di temperatura il cui campo si muove con la sorgente termica.

 

 


Fig. 17  Andamento delle isoterme associate ad una sorgente puntiforme in movimento

In figura 17 si rappresentano le isoterme corrispondenti ad una sorgente termica puntiforme che si muove con velocità v su una lastra di dimensioni infinite.
La posizione delle isoterme è influenzata, oltre che dalla velocità della sorgente, dalla capacità termica e dalla conducibilità del materiale.
L’isoterma corrispondente alla temperatura di fusione del metallo base delimita in ogni istante la zona che viene fusa. Il metallo liquido può essere immaginato come contenuto in un crogiolo le cui pareti sono costituite dal metallo base che si trova esternamente alla isoterma di fusione. Con la traslazione della sorgente termica il crogiolo si sposta lasciando dietro di sé il cordone solidificato. Tutti i punti del pezzo che non vengono toccati dalla isoterma di fusione, ma subiscono ancora un riscaldamento sufficientemente elevato, costituiscono quella che si chiama la zona termicamente alterata (Z.T.A.). Più esattamente, per gli acciai la Z.T.A. è costituita dal materiale la cui temperatura è compresa tra quella di fusione e quella corrispondente alla temperatura A1 (temperatura eutettoide, 723°C) del diagramma ferro-carbonio.
La zona termicamente alterata è sottoposta a cicli termici il cui andamento determina il tipo di struttura finale. Si consideri un punto P della superficie del pezzo, posto a distanza d dall'asse del giunto. La sua temperatura aumenterà, a mano a mano che verrà attraversato da isoterme di valore crescente, fino alla temperatura massima corrispondente alla isoterma il cui semiasse minore è uguale a d. Da questo momento in poi il punto comincia a raffreddarsi, venendo attraversato dalle stesse isoterme precedenti, ma in ordine inverso.
Se la velocità di traslazione v della sorgente termica è costante, il tempo che il punto impiega a passare da una temperatura ad una altra è proporzionale alla lunghezza del segmento compreso tra le isoterme corrispondenti, misurato sulla retta r passante per il punto P, parallela alla direzione di saldatura.
Riportando in funzione del tempo le temperature assunte successivamente dal punto P si traccia il ciclo termico subito dal punto (fig. 18).
La pendenza media del tratto discendente della curva, e cioè la velocità di raffreddamento, rappresenta la severità termica del ciclo. Quanto più veloce è il raffreddamento, tanto maggiore è il rischio di provocare un trattamento di tempra.
La severità del ciclo è influenzata dall'apporto termico, dallo spessore dei pezzi da saldare, dal tipo di giunto (bi-termico un giunto testa-testa, tri-termico un giunto a T) e dalla geometria dei pezzi.

Fig. 18  Esempio di ciclo termico
Apporti termici più elevati o preriscaldi danno origine a cicli più blandi, analogo risultato si ottiene quando gli spessori sono piccoli, ovvero quando i tipi di giunti e le geometrie sono tali da non favorire un veloce smaltimento del calore.
Gli acciai con percentuali di carbonio piuttosto elevate (o contenenti elementi quali il cromo, il molibdeno, il manganese) sono facilmente soggetti a tempra presentando curve ad S più spostate a destra rispetto a quelle presentate dagli acciai dolci non legati.
Così, se il raffreddamento non è tanto blando da consentire la trasformazione dell'austenite in ferrite e cementite, si ha formazione di strutture intermedie o addirittura di martensite dura e fragile. Ciò può avvenire sia nella zona fusa, sia in quella termicamente alterata, ma soprattutto in quest'ultima.
Per ovviare al pericolo di formare strutture di tempra, si usa un preriscaldo del metallo base (a temperatura Tp= 75¸300 °C), allo scopo di aumentare l'apporto termico e diminuire la velocità di raffreddamento (fig. 19).

Fig. 19  Effetto del preriscaldo

Se non si riesce ad evitare la formazione di martensite, si può ricorrere ad un trattamento successivo di ricottura.

 

4.2 Le cricche

Un pericolo sempre presente nelle saldature per fusione è la formazione di cricche. Sono difetti bidimensionali, poiché sono più o meno lunghi e profondi, con andamento frastagliato, mentre hanno i lembi piuttosto ravvicinati.
Se le cricche hanno dimensioni molto ridotte (inferiori a circa 1 mm) vengono spesso dette microcricche, sebbene questa denominazione non sia a rigore corretta.
Le cricche sono il difetto più grave e temibile di un giunto saldato. Infatti una cricca costituisce un innesco alla frattura ed è suscettibile di ingrandirsi nel tempo e propagarsi a tutta la struttura, a causa della monoliticità della stessa (caratteristica precipua delle saldature per fusione).
Volendo attuare una prima distinzione, si possono avere cricche:

in zona fusa:
cricche a caldo;
cricche a freddo o da idrogeno;

in zona termicamente alterata:
cricche a caldo;
cricche a freddo;
strappi lamellari.

 

4.2.1 Zona fusa (Z.F.)

Cricche a caldo in zona fusa

Durante la solidificazione della zona fusa, le impurezze presenti nell'acciaio, caratterizzate da temperature di solidificazione relativamente basse, si raccolgono verso il centro della zona fusa. Intorno ai 1400 °C l'acciaio è solidificato con formazione di dendriti, mentre le impurezze, in particolare i composti di zolfo e di fosforo, rimangono liquide intorno ai bordi dei grani, fino alla temperatura di circa 900 °C, a cui avviene la loro solidificazione.
Durante quest'intervallo di temperatura, il ritiro che si verifica nella zona fusa, impedito dai vincoli costituiti dalle parti circostanti del pezzo, stabilisce uno stato di tensione a componenti positive che tendono a distaccare i grani tra loro (fig. 20).

 

Fig. 20  Formazione di cricche a caldo

Questa azione è contrastata dalla coesione ma, ove è presente il velo di impurezze allo stato liquido, la coesione viene a mancare e si formano distacchi di cristalli che si estendono col proseguire del raffreddamento.
Questi difetti prendono il nome di cricche a caldo in quanto si manifestano quando il cordone è ancora ad alta temperatura.
Per quanto detto, le cricche a caldo sono sempre interdendritiche; il loro andamento può essere sia longitudinale sia trasversale (fig. 21).

 

Fig. 21  Esempi di cricche a caldo in Z.F.

Durante il raffreddamento, il numero e l’estensione dei collegamenti intergranulari aumenta, con conseguente diminuzione della sollecitazione media e minor rischio di criccabilità. Pertanto la permanenza per tempi brevi nell’intervallo critico di temperatura limita i rischi di criccabilità a caldo. Risulta dunque importante che la composizione chimica della zona fusa sia tale da presentare un DT di solidificazione limitato e che esso venga attraversato rapidamente.
Visto che la formazione delle cricche a caldo è provocata dalle impurezze, in particolare dallo zolfo e dal fosforo, occorre adottare procedimenti di saldatura che ne limitino la presenza nel bagno di fusione. Nella saldatura manuale ad arco è raccomandato l'uso di elettrodi a rivestimento basico che, contenendo carbonati di calcio e magnesio, hanno  la proprietà di eliminare lo zolfo e il fosforo del bagno di fusione, raccogliendoli nella scoria.
Se il metallo base ha elevati contenuti di impurezze, oppure elementi appositamente aggiunti, quali il rame, che formano composti a basso punto di fusione, si deve operare con limitati rapporti di diluizione.
Inoltre, è importante notare che, tanto più grossi sono i grani, a parità di altre condizioni, tanto minore sarà il numero e l’estensione dei collegamenti intergranulari, e quindi tanto maggiore sarà la suscettibilità alle cricche a caldo.
Tra le cricche a caldo in zona fusa, si distinguono le cricche di cratere. Sono situate nel cratere terminale di una passata di saldatura e sono dovute alla concentrazione progressiva delle impurezze, nella parte del bagno che solidifica per ultima, ed alle condizioni di autovincolo, in tal caso sempre molto severe.
In conclusione si può affermare che le cricche a caldo in zona fusa sono dovute alla presenza contemporanea di vari fattori:

  • elevate tensioni di ritiro;
  • ampi DT di solidificazione;
  • fragilità a caldo del materiale;
  • elevate dimensioni del grano in zona fusa;
  • impurezze.

I fattori operativi che favoriscono la formazione di cricche a caldo sono:

  • elevato apporto termico specifico (H.I.), in quanto determina ingrossamento del grano. Per limitare l’apporto termico bisogna agire solo sui parametri elettrici (tensione, corrente) e non sulla velocità di saldatura perché si verrebbe a creare un cordone irregolare;
  • forma del cordone, definita attraverso il fattore di forma <1 (cordone profondo e stretto) si ha maggiore rischio di cricche a caldo;
  • eccessiva distanza dei lembi che può causare un aumento delle tensioni di ritiro trasversali nelle prime passate;
  • elevata condizione di vincolo del giunto;
  • composizione chimica del giunto che influenza il DT di solidificazione.
Cricche a freddo in zona fusa

Quando, nella saldatura degli acciai, la composizione della Z.F. e il ciclo termico di saldatura sono tali da dare luogo a strutture di tempra, l’idrogeno presente in zona fusa induce la formazione di cricche a freddo.
L'idrogeno che entra in soluzione nell’acciaio fuso può provenire da diverse fonti: umidità dei rivestimenti o dei flussi, reazione della fiamma ossiacetilenica, rivestimento cellulosico, ruggine sui lembi da saldare, umidità atmosferica.
Quando l’acciaio solidifica, la solubilità dell’idrogeno, che forma soluzioni solide interstiziali, diminuisce drasticamente e diminuisce ulteriormente nel passaggio dalla fase c.f.c. (Fe-g) a quella c.c.c. (Fe-a, Fe-b ) aumentando nel contempo la sua diffusività. Pertanto, durante il raffreddamento, l'idrogeno presente inizialmente nel bagno di fusione tende a diffondere nelle zone circostanti. Negli acciai a basso contenuto di carbonio, l’idrogeno viene eliminato, senza che causi danni, in un tempo di circa due mesi a temperatura ambiente e di circa un'ora a 600°C.
Quando l’acciaio ha elevato contenuto di carbonio, si verifica una differenza di struttura tra zona fusa e zona circostante a causa dello spostamento a destra delle curve ad S del materiale dovuto alla presenza di carbonio; la zona fusa subisce più presto la trasformazione ferritica, rispetto alla Z.T.A., per cui l'idrogeno tende a migrare e si concentra in quest'ultima che è ancora in fase austenitica.
Se le condizioni di raffreddamento portano alla formazione di martensite, si ha la probabile comparsa di cricche a freddo.
La formazione di strutture di tempra è favorita da più alti contenuti di carbonio e dalla presenza di alcuni elementi di lega quali il cromo e il molibdeno.
Si tiene conto dell’influenza di questi elementi di lega attraverso la formula del carbonio equivalente (non valida per acciai micro e bassolegati):

   (con valori espressi in peso percentuale).

Per valori di Ceq > 0,42% si ha alta suscettibilità alla tempra.
Acciai con oltre lo 0,30% di carbonio equivalente assumono tempra con i cicli termici che conseguono a normali processi di saldatura, perciò sono detti tempranti.
In presenza di idrogeno la trasformazione martensitica è ancora più pericolosa, in quanto la struttura soprasatura per il carbonio non può contenere anche l'idrogeno.
Il forte stato di tensione che si origina per la distorsione dei reticoli dà luogo allora a cedimenti fragili che si manifestano come cricche.

 

 


Fig. 22  Cricche a freddo trasversali

Nella Z.F. le tensioni predominanti sono quelle longitudinali di autovincolo, e pertanto le cricche che si formano sono trasversali e possono raggiungere il bordo della Z.T.A. (fig. 22).
Le cricche a freddo in Z.F., essendo trasversali, non sono mai molto estese, ma possono essere numerose. Se, alla temperatura di esercizio, le condizioni di tenacità del materiale sono critiche (in genere, un materiale temprabile o temprato è in queste condizioni), sotto l’effetto delle tensioni di ritiro queste cricche trasversali possono innescare rotture fragili anche con basse tensioni di servizio.
Possiamo riassumere le cause principali che possono determinarne la formazione di cricche a freddo:

  • struttura di tempra;
  • idrogeno in saldatura;
  • tensioni di ritiro (predominanti quelle longitudinali di autovincolo).

 

4.2.2 Zona termicamente alterata
Cricche a caldo in Z.T.A.
Sono dovute alla fusione (liquazione) di composti basso-fondenti (a base di zolfo e fosforo),  che si trovano al contorno dei grani cristallini, nella Z.T.A. del giunto, ed all’azione delle tensioni di ritiro che tendono a distaccare i grani.
Unica precauzione possibile è quella di saldare con basso H.I.
Cricche a freddo in Z.T.A.

Anche questo tipo di difetti, come le cricche a freddo in Z.F., è dovuto alla presenza concomitante in Z.T.A. di fasi martensitiche e di idrogeno e a tensioni di ritiro di entità non trascurabile.

 

 

Fig. 23  Cricche a freddo in zona termicamente alterata (Z.T.A.)
Le cricche a freddo in Z.T.A. si formano in vicinanza del cordone (fig. 23) e perciò si chiamano anche cricche sotto il cordone, o al margine dei cordoni d’angolo estendendosi sotto il cordone stesso, e queste sono dette cricche marginali.
Se il tenore di idrogeno presente all’atto della trasformazione è elevato, la formazione delle cricche è immediata, appena raggiunta al raffreddamento una temperatura sufficientemente bassa (T < 150 °C).
Se invece il tenore di idrogeno presente all’atto della trasformazione non è elevato, la formazione di cricche non è immediata, in quanto è richiesto l’addensamento degli ioni H+ in corrispondenza delle zone a maggiore concentrazione di tensioni. Poiché la migrazione degli ioni richiede un certo tempo, può accadere che la formazione delle cricche avvenga con un certo ritardo (fino a 48 ore) rispetto al  termine della saldatura: per questo motivo queste cricche a freddo sono dette cricche ritardate (delayed cracking).
Per evitare o ridurre il pericolo della formazione di criche a freddo, è necessario eliminare o ridurre almeno uno di questi tre fattori:

  • tensioni di ritiro;
  • presenza dell’idrogeno;
  • formazione di strutture di tempra.

Le tensioni di ritiro non possono essere eliminate, ma possono essere ridotte con l’adozione di opportune sequenze di saldatura o montaggio.
La presenza di H2 può essere limitata utilizzando procedimenti a basso idrogeno ed adottando opportuni accorgimenti per l’immagazzinamento, la conservazione e l’utilizzo dei materiali di consumo (elettrodi, flussi). La diffusione dell’idrogeno verso l’esterno può essere favorita mediante adozione di una temperatura minima di interpass (100 – 150 °C) che non permetta il raffreddamento di una passata al di sotto di tale temperatura, prima della passata successiva; oppure si può prevedere un certo periodo di post-riscaldo ad una determinata temperatura (100 - 150 °C per 1 ora) al termine della sequenza di saldatura, al fine di favorire l’evoluzione dell’idrogeno verso l’atmosfera.
La formazione di strutture di tempra può essere evitata scegliendo il procedimento (considerando l’ H.I. e il ciclo termico conseguente) e il tipo di acciaio più opportuno.
Qualora, come spesso avviene, ciò non è possibile, e le condizioni di regolazione intrinseche al procedimento di saldatura non permettono di evitare la formazione di strutture di tempra, si può ricorrere ad un adeguato preriscaldo, che rende meno severo il ciclo termico.

Strappi lamellari

Gli strappi lamellari sono cricche, con caratteristico andamento a gradini (fig. 24), che si verificano nel materiale base quando quest’ultimo è sollecitato perpendicolarmente al piano di laminazione, direzione secondo la quale la resistenza del materiale risulta inferiore rispetto a quella nella direzione di laminazione.
Cause di questo fenomeno sono:

  • tensioni di ritiro;
  • geometria del giunto tale da sollecitare in direzione sfavorevole il materiale;

materiale base laminato di medio-alto spessore, e alto tenore inclusionale.
 


Fig. 24  Strappi lamellari
I rimedi per evitare questo tipo di difetti possono essere:

  • utilizzare lamiere che presentano elevate caratteristiche meccaniche anche se sollecitate secondo il loro spessore;
  • riprogettare il giunto in modo da limitare le tensioni residue nella direzione dello spessore del pezzo.

 

4.3 Difetti operativi in saldatura

Questi sono difetti imputabili ad errori di preparazione o di esecuzione del giunto saldato.
I difetti che si possono generare durante il processo di saldatura sono, oltre alle già citate cricche:

  • mancanze di penetrazione o di fusione;
  • incollature;
  • inclusioni solide e gassose;
  • eccesso di sovrammetallo;
  • spruzzi e sputi;
  • colpi d’arco.

Le mancanze di penetrazione o di fusione sono discontinuità tra i due lembi del cianfrino (mancanza di penetrazione) o tra un lembo e la zona fusa (mancanza di fusione) provocate dalla mancata fusione di entrambi o di uno solo dei lembi.
La causa deve essere ricercata nella non corretta preparazione dei lembi (angolo di apertura del cianfrino troppo piccolo, spalla eccessiva, distanza tra i lembi insufficiente, slivellamento) o nella scarsa abilità del saldatore.
Nel caso che i giunti si possano riprendere al rovescio, la mancanza di penetrazione può essere eliminata mediante una accurata solcatura al rovescio prima dell’esecuzione della ripresa.
Le incollature sono simili alle mancanze di fusione, ma sono dovute alla presenza di ossido tra lembo e zona fusa.
Le inclusioni sono difetti situati in zona fusa, dovuti alla presenza di sostanze diverse dal metallo del cordone di saldatura, inglobate nel cordone stesso.
Le inclusioni possono essere solide o gassose.
Le inclusioni solide possono essere rappresentate da scoria o da pezzi di elettrodo non fuso (tipicamente pezzi dell’elettrodo infusibile di tungsteno usato nel processo TIG).
Le inclusioni di scoria sono dovute all’asportazione poco accurata della scoria che riveste il cordone dopo ogni passata.
Le inclusioni di tungsteno sono un difetto tipico del procedimento TIG, e sono imputabili ad un maneggio della torcia non corretto, ad insufficiente protezione gassosa dell’elettrodo stesso, a qualità non adeguata dell’elettrodo, a densità di corrente troppo alta.
Le inclusioni gassose sono causate da sporcizia presente sui lembi da unire, da umidità nel rivestimento degli elettrodi o nei flussi o nei gas di protezione, dall’utilizzo di procedimenti ad alta velocità di deposito e, infine, da un non corretto maneggio della pinza o della torcia (lunghezza d’arco eccessiva o protezione gassosa scarsa).
Le inclusioni gassose di forma tondeggiante sono dette porosità o soffiature, a seconda che la loro dimensione sia rispettivamente inferiore o superiore a 1 mm.
Le inclusioni gassose di forma allungata vengono dette tarli e sono da considerarsi più pericolose delle porosità o delle soffiature.
L’eccesso di sovrammetallo è dovuto ad eccessivo deposito di materiale di apporto.
Si creano, ai margini del sovrammetallo, concentrazioni di tensioni (per effetto di intaglio) che, sotto certe condizioni di servizio come fatica, urti, bassa temperatura, possono ridurre la capacità di resistenza del giunto.
Difetto analogo, riscontrabile nei cordoni d’angolo, è l’eccesso di convessità del cordone, dovuto ad errata movimentazione dell’elettrodo.
Gli spruzzi e sputi sono depositi di materiale d’apporto più o meno grandi e dispersi, frequentemente incollati sulla superficie del metallo base vicino al cordone. Sono particolarmente pericolosi nel caso di giunti che lavorano in ambiente corrosivo, in quanto risultano un facile innesco per l’attacco; inoltre, per acciai ad alta resistenza, si possono avere, in corrispondenza di essi, pericolosi fenomeni di tempra locale accompagnati da cricche.
I colpi d’arco consistono nella fusione localizzata del materiale base, generalmente senza deposito di materiale d’apporto.
Essi sono tipici dei procedimenti manuali e sono provocati dalla scarsa cura del saldatore, che innesca l’arco sul materiale base e non, come di regola, su un lembo del cianfrino o su di un pezzotto ausiliario. Tali fusioni localizzate possono essere particolarmente pericolose su materiali base tempranti, specialmente se sono accompagnate da piccole cricche.

 

4.4 Deformazioni e tensioni residue

La formazione di zone fuse e il riscaldamento localizzato che si verifica nelle saldature per fusione ha come conseguenza che, durante il raffreddamento, si verificano fenomeni di ritiro, con deformazioni del pezzo e tensioni residue. In particolare, il cordone di saldatura tende ad accorciarsi e a restringersi di sezione, trascinando con sé le parti circostanti.
In figura 25 si mostra la deformazione angolare che subiscono due piastre saldate di testa.
La rotazione si ha verso l'alto, in quanto il cordone ha spessore crescente dal basso verso l'alto e quindi anche l'azione del ritiro è maggiore sul lembo superiore.  Analogo fenomeno si verifica nei giunti di angolo (fig. 26) con saldatura effettuata da un solo lato.
Per ovviare agli effetti delle deformazioni, si può assegnare ai pezzi una preangolatura in senso opposto a quella provocata dal ritiro, oppure si impongono opportuni vincoli ai pezzi.

 


Fig. 25  Deformazione in giunto di testa                  Fig. 26  Deformazione in giunto angolare

Le saldature effettuate su giunti simmetrici, come si ottiene nel caso di preparazioni di cianfrini a X, a doppia U, a K o a doppia J riducono per compensazione gli effetti del ritiro.
Oltre alle deformazioni angolari, il ritiro provoca deformazioni trasversali e longitudinali rispetto all'asse del giunto. In generale si può dire che l'entità del ritiro è tanto maggiore quanto più grande è il cordone di saldatura e le deformazioni che si producono sono tanto maggiori quanto minori sono gli spessori dei pezzi. Infatti il ritiro viene contrastato dall'azione del materiale circostante al giunto che esercita effetto di vincolo. Si instaurano di conseguenza nel pezzo stati di tensione, detti tensioni residue, che possono raggiungere anche valori elevati.
Si consideri ad esempio una striscia elementare di materiale, appartenente al metallo base, posta perpendicolarmente all’asse del giunto (fìg. 27).

Fig. 27  Riscaldamento di una striscia di metallo base

Al passaggio della sorgente termica essa subisce un riscaldamento e successivamente un raffreddamento secondo le modalità viste a proposito dei cicli termici. Durante il riscaldamento, la dilatazione termica è impedita parzialmente dalle zone circostanti più fredde.
Si generano quindi in ogni punto del materiale stati di deformazione e di tensione normali all’asse del giunto tali da compensare le dilatazioni termiche:

e + a DT  = 0                                                                                                                     (5)

ove e è la dilatazione lineare, a è il coefficiente di dilatazione termica e DT è l’aumento di temperatura subìto.
Nel successivo raffreddamento, il comportamento varierà a seconda che si sia raggiunto o meno il limite di snervamento.
Se la deformazione è stata contenuta nel solo campo elastico (punto P di figura 28), non si
avranno tensioni residue, in quanto la tensione si annulla con la deformazione.

Fig. 28  Deformazione solo elastica                       Fig. 29  Deformazione elasto-plastica

Se invece la deformazione è stata anche plastica (e ciò succede facilmente in quanto la tensione limite di snervamento si abbassa notevolmente alle temperature raggiunte) col raffreddamento si ingenera uno stato di tensione positivo che permane nel pezzo.
Con riferimento alla figura 29, sia P il punto rappresentativo della deformazione elasto-plastica subita dall’elemento della barretta.  Dovrà essere:

es + ep + a DT  = 0.                                                                                                            (6)

ove es rappresenta la deformazione limite di snervamento a compressione, relativa alla temperatura del materiale in quel punto ed ep la componente plastica, che quindi vale:

ep = -(es + a DT).                                                                                                                  (7)

Quando DT si annulla, la componente es viene recuperata, mentre rimane quella plastica. Nell'ipotesi che i vincoli siano rigidi, la deformazione finale deve però essere nulla, per cui insorge una tensione positiva, tale da imporre una dilatazione contraria a ep:

                                                                                                                            (8)

come indicato dal punto Q.
Dal momento che il materiale è ormai freddo, la tensione di snervamento è tornata ai valori normali e la nuova dilatazione avviene in campo elastico.
Il valore della tensione residua vale quindi:

                                                                                                                   (9)

All'aumentare della temperatura subìta il valore della tensione residua diventa più alto, in quanto si verificano valori maggiori in modulo di ep.
La tensione residua descritta è quella trasversale al giunto.
Il ritiro longitudinale che subisce il cordone tende a tirare i pezzi saldati, come schematizzato nella figura 30 che si riferisce ad un giunto di testa.
Fig. 30  Deformazione dovuta alle tensioni residue longitudinali

Le tensioni residue longitudinali che si generano nel pezzo sono di trazione nel cordone e nelle zone adiacenti, fortemente scaldate, mentre sono di compressione nelle fasce più distanti dal giunto. Il loro andamento, illustrato in figura 31, risulta uguale per ogni sezione trasversale. A causa del diverso orientamento rispetto alla distribuzione delle temperature, le tensioni longitudinali sono di norma più elevate di quelle trasversali.
L'eliminazione delle tensioni residue, o almeno la loro attenuazione, si può conseguire sottoponendo i pezzi saldati a trattamenti termici di distensione.  Si prescrivono in generale temperature comprese nell'intervallo di 600 – 650 °C avendo cura che i gradienti termici siano i più bassi possibili. Il principio su cui è basato il trattamento termico di distensione è l'abbassamento della tensione limite di snervamento che, alle temperature indicate, risulta intorno al 10% del valore a freddo. Ne consegue che le tensioni si rilassano per deformazione plastica fino al valore corrispondente alla tensione limite di snervamento a caldo.

Fig. 31  Distribuzione delle tensioni residue longitudinali.

 

5. SALDATURE A RESISTENZA

  • I procedimenti di saldature a resistenza sono stati introdotti all'inizio del secolo e si sono successivamente affermati per la loro semplicità e rapidità esecutiva. Oggi sono destinati quasi esclusivamente all'unione di lamiere o di piccoli pezzi, effettuando giunti rispettivamente a sovrapposizione o di testa.
  • La sorgente termica che li caratterizza è costituita dal calore che si sviluppa per il passaggio, attraverso i pezzi da unire, di una corrente elettrica di elevata intensità, applicata mediante due elettrodi. La saldature si produce tra le superfici affacciate, in corrispondenza degli elettrodi, sotto gli effetti concomitanti del calore e della pressione esercitata dagli elettrodi stess
  • 5.1 Procedimento
  • La figura 32 mostra lo schema di principio del procedimento: due elettrodi contrapposti, di rame o sue leghe, comprimono le lamiere su aree ristrette, in modo da stabilire pressioni e densità di corrente elevate.
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  • Fig. 32  Schema della saldatura a resistenza
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  • Per la concentrazione del calore che si verifica al passaggio della corrente, si forma una goccia di metallo fuso, circondata dal metallo solido circostante, che una volta solidificata forma il punto di saldatura La pressione che viene applicata prima, durante e dopo il passaggio della corrente deve:
  • stabilire decisi contatti localizzati tra le superfici in modo da evitare archi o scintille;
  • stabilire i corretti valori delle resistenze durante il passaggio della corrente;
  • effettuare un'azione di forgiatura nel giunto già formato.

La saldatura avviene senza metallo d'apporto e senza necessità di flussi protettivi, può essere applicata a lamiere di piccolo spessore (inferiore al millimetro) ed è di facile esecuzione.  I principali procedimenti di saldatura a resistenza sono quelli a punti, a rulli e a rilievi.

5.2 La sorgente termica
La quantità di calore che viene sviluppata in un conduttore di resistenza R percorso da una corrente I per un tempo t è data dalla legge di Joule

Nei procedimenti di saldatura in studio, la resistenza del circuito é molto bassa a causa della brevitá del percorso e della buona conducibilità dei metalli, di conseguenza per sviluppare in tempi adeguati la quantità di calore necessaria alla fusione della goccia, le intensità dì corrente debbono essere piuttosto elevate (da 1 a 100 kA).
A parità di calore, l'intensità di corrente può essere scelta, entro certi limiti, in funzione del tempo. Va tuttavia tenuto presente che correnti troppo elevate e tempi troppo brevi provocano riscaldamenti anomali dei pezzi con formazione distribuzioni non uniformi delle temperature, fusioni eccessive e rapido deterioramento degli elettrodi.
D'altra parte, se le correnti sono deboli e i tempi eccessivamente lunghi, il processo non è sufficientemente adiabatico e diventa difficile raggiungere le temperature richieste.  Infatti non tutto il calore prodotto per l'effetto Joule è utilizzato per la formazione del giunto, ma una frazione notevole viene dissipata per conduzione nel metallo base e negli elettrodi che sono generalmente raffreddati per circolazione di acqua.
La dissipazione è tanto più elevata quanto maggiore è il tempo di applicazione della corrente per cui a parità di Q, la legge di proporzionalità inversa tra il valore quadratico medio della corrente e t, come risulta dalla (10) per una resistenza costante deve essere opportunamente corretta.
In una macchina per saldare a resistenza il generatore è costituito essenzialmente da un trasformatore il cui avvolgimento secondario forma con gli elettrodi e i pezzi da saldare un unico circuito, con resistenze che variano da punto a punto.
L'intensità di corrente, determinata dalla resistenza totale, è costante lungo il circuito, quindi il calore sviluppato in ogni punto è proporzionale alla resistenza elettrica locale.
Trattandosi comunque di un procedimento veloce, anche la distribuzione delle temperature segue quella delle resistenze.
In figura 33 si riporta l'andamento tipico delle temperature negli elettrodi e nei pezzi durante la saldatura.  Si individuano tre picchi in corrispondenza delle zone di contatto, di cui quello più elevato si verifica nell'interfaccia tra i pezzi, ove la resistenza elettrica di contatto raggiunge il valore più alto.

 

 

 

 


Fig. 33  Distribuzione delle temperature

Gli altri due picchi si hanno nelle interfacce con gli elettrodi, ove la resistenza è ancora alta, ma inferiore a quella tra i pezzi, per la più alta conducibilità degli elettrodi e la migliore condizione di contatto che si verifica grazie alla minore durezza degli stessi. Inoltre in questi punti la temperatura può essere più bassa se viene effettuato il raffreddamento degli elettrodi, le resistenze di contatto sono influenzate dalla forza di compressione, risultando all'incirca inversamente proporzionale ad essa. Anche la rugosità e lo stato delle superfici giocano un ruolo importante. Infine hanno influenza il materiale di cui sono costituiti gli elettrodi e la dimensione della loro sezione di estremità.
Ai fini della generazione e dissipazione del calore, i materiali degli elettrodi debbono essere ottimi conduttori elettrici e termici.  Tuttavia questa esigenza contrasta con l'opportunità di avere buona resistenza meccanica e durezza superficiale per limitare fenomeni di ricalcamento e usura. Allo scopo si usa rame elettrolitico o leghe di rame al cromo o al cadmio o al berillio, che contemperano le diverse esigenze.  Il raffreddamento per circolazione interna di acqua migliora la durata degli elettrodi e ne abbassa la resistenza elettrica.
In quanto alla sezione di contatto, questa determina la grandezza della goccia di saldatura.  Di norma spessori dei pezzi più grandi richiedono sezioni di elettrodi maggiori.
A parità di forza applicata la resistenza di contatto è praticamente indipendente dalla sezione di contatto.

 

5.3 Ciclo di saldatura
La riuscita di una saldatura a resistenza richiede che l’applicazione della forza e quella della corrente seguano un opportuno ciclo, schematizzato nella sua concezione di base in figura 34. Durante una prima fase si ha l'accostamento degli elettrodi e la applicazione della forza di compressione.
 


Fig. 34  Ciclo di saldatura a resistanza
Poi si ha la fase di saldatura vera e propria con l'applicazione della corrente. La densità della corrente j e la sua durata t, valutata in numero di periodi della tensione, debbono essere determinate in funzione degli spessori da saldare. Formule di tipo empirico, proposte per gli acciai dolci sono:

            j = (180 + 500 e-s ) A/mm2
(11)
t = 10×s   periodi

ove s è lo spessore della lamiera in millimetri.
I valori delle densità di corrente debbono aumentare al crescere della conducibilità elettrica e termica dei metalli da saldare.
E' così impossibile effettuare saldature a resistenza tra pezzi di rame poiché la loro resistenza di contatto tende ad essere confrontabile con la resistenza totale del circuito.
Terminato il passaggio della corrente, la forza viene mantenuta ancora per un tempo sufficiente a consentire il consolidamento e raffreddamento del giunto.
Spesso il ciclo viene modificato per migliorare le caratteristiche, meccaniche della saldatura aggiungendo fasi di precompressione e di preriscaldo e fasi di tempra e rinvenimento.
L'entità della pressione, oltre ad influenzare i valori delle resistenze di contatto, determina la forma della goccia e quindi del punto di saldatura.
Se la pressione è troppo alta, inoltre, può verificarsi la penetrazione parziale degli elettrodi nei pezzi, se è troppo bassa non riesce a contrastare la pressione che si genera nella goccia fusa che cosi può spandersi tra le superfici affacciate.

 

5.4 Saldatura a punti
Questo tipo di saldatura, che è il più diffuso tra i procedimenti a resistenza, è largamente usato per l'unione di lamiere di acciaio aventi spessori fino a tre millimetri circa.
Il suo impiego consente di sostituire collegamenti meccanici puntuali, quali rivetti o viti, quando non sia richiesta la smontabilità dell'assemblaggio. Ciò rende il procedimento valido per realizzare scocche di autoveicoli, armadi metallici, e altri prodotti simili.
I maggiori vantaggi della saldatura a punti consistono in:
1)      una grande economicità del procedimento;
2)      una buona adattabilità a processi automatici o semiautomatici, poiché la sua velocità di esecuzione è maggiore di quella della saldatura ad arco o della brasatura e richiede minore cura nell'esecuzione.
Per contro esistono le seguenti limitazioni:
1)      grande difficoltà di disassemblaggio dei pezzi saldati, in confronto alle unioni a freddo;
2)      maggiore costo delle apparecchiatura, rispetto a quelle per la saldatura ad arco;
3)      bassa resistenza a trazione ed a fatica a causa dell'effetto d'intaglio presente ai bordi della saldatura, tra le due lamiere;
4)      limitato sfruttamento della resistenza meccanica delle lamiere, poiché i punti non interessano tutta la lunghezza del giunto, ma solo un numero discreto di piccole porzioni; inoltre le forze applicate risultano eccentriche a causa della sovrapposizione delle lamiere.
5)      assenza di ermeticità del giunto.

 

5.5 Saldatura a rulli
Questo tipo di saldatura deriva da quella a punti, ma consente di avere una unione continua e si rende principalmente utile per lamiere di serbatoi.  Generalmente gli elettrodi sono costituiti da due rulli contrapposti che ruotano (fig. 35), mentre le lamiere vengono fatte avanzare.
 

 

 

 

 

 


Fig. 35  Schema di saldatura a rulli

Per saldature longitudinali di tubi, gli elettrodi possono essere costituiti da un mandrino fisso e da un rullo rotante. I rulli possono essere sagomati circonferenzialmente in vari modi secondo le esigenze del giunto.  I diametri e gli spessori sono largamente variabili.
Il procedimento a rulli presenta pressappoco gli stessi vantaggi ed inconvenienti della saldatura a punti.  Un vantaggio aggiuntivo è quello di poter produrre un cordone continuo e pertanto distribuire meglio le tensioni. Ciò migliora la resistenza a trazione del giunto.

Applicando la corrente con intermittenza si possono avere saldature a punti agli intervalli desidera ti.
Nella saldatura continua la velocità di traslazione degli elettrodi determina il tempo di compressione e di riscaldamento.

 

5.6 Saldatura a rilievi
Questo procedimento è usato oltre che per saldare lamiere, anche per unire un elemento stampato, forgiato, o lavorato alle macchine utensili, con un altro pezzo.
Sulla superficie di uno dei pezzi vengono ricavati uno o più risalti che in fase di saldatura determinano la posizione e la dimensione dei punti.
Al passaggio della corrente, la zona in rilievo ove il contatto è molto concentrato, si scalda e si plasticizza rapidamente, per cui sotto l'azione della forza si spiana, mentre si forma la goccia di saldatura.
Questo sistema consente di realizzare l'unione simultanea in più punti delle parti da unire. Esso viene impiegato generalmente per spessori variabili tra 0,5 e 3 mm circa e per unire piccoli pezzi tra loro o ad elementi di maggior dimensione. La convenienza economica di questo procedimento deve essere valutata caso per caso, tenendo presente che i suoi principali vantaggi sono i seguenti:
1)    la possibilità di realizzare contemporaneamente vari punti di saldatura con un'unica operazione; il numero di questi punti dipende dalla possibilità di applicare su ognuno di essi la giusta forza e di disporre della sufficiente potenza elettrica;
2)    il rapporto tra gli spessori delle parti da unire può variare tra 1/6 ed 1, grazie alla flessibilità delle dimensioni e del posizionamento dei rilievi;
3)    la saldatura può essere posizionata con maggiore accuratezza e i punti possono essere più piccoli, grazie all'uniformità della distribuzione ed alla costanza della loro forma e dimensione;
4)    i segni sulle superfici che restano in vista possono essere minimizzati ricavando i rilievi sull'altra parte da unire;
5)    gli elettrodi sono di dimensioni maggiori rispetto a quelli della saldatura a punti e pertanto essi sono soggetti ad una minore usura;

  • hanno meno influenza le inclusioni di materiali grassi e sporcizia sulle parti da unire, poiché il rilievo, per sua forma, tende a restarne esente.

Le più importanti limitazioni della saldatura per rilievi sono invece le seguenti:
1)    la formazione dei rilievi richiede una operazione aggiuntiva sui pezzi da unire;
2)    con molti punti di saldatura simultanei è necessario un attento controllo della altezza dei rilievi, del posizionamento e della forza degli elettrodi, al fine di avere un'intensità di corrente costante nei vari punti;
3)    lo spessore delle lamiere metalliche da unire è limitato a valori che consentano la formazione dei rilievi e per i quali possano essere impiegate apparecchiatura convenienti.

 

6. BRASATURE
I procedimenti di brasatura si differenziano da quelli di saldatura propriamente detta, in quanto l'unione si realizza mediante infiltrazione capillare di un metallo d’apporto fuso nel metallo base, senza che quest'ultimo raggiunga la temperatura di fusione.
Le brasature richiedono quindi sempre la presenza di un metallo d’apporto (lega brasante) che deve essere di natura diversa da quella del metallo base: si tratta pertanto di saldature eterogenee, in cui il giunto presenta una netta variazione nella composizione chimica.
Per la riuscita della saldatura è necessario che la lega brasante abbia allo stato fuso una bassa tensione superficiale, in modo da bagnare le superfici del metallo base e distribuirsi nel giunto per attrazione capillare.
Il legame che si ottiene nella brasatura tra il metallo base e quello d'apporto va oltre la semplice adesione, perché si realizza un vero e proprio legame metallico, dovuto alla formazione di soluzioni solide. Infatti il metallo d'apporto allo stato fuso esercita un'azione di solvente sul metallo base che migra nel primo formando uno strato di composto intermetallico.
Le brasature si effettuano portando a fusione il metallo d'apporto o direttamente o mediante riscaldamento del pezzi da unire. E' sempre indispensabile un’accurata pulizia dei lembi e l'impiego di sostanze disossidanti.
Convenzionalmente si distinguono due tipi di brasatura: quelle dolci eseguite con metalli d'apporto aventi temperature di fusione inferiori a 450 °C e quelle forti che si avvolgono di metalli d'apporto con temperature di fusione superiori a 450 °C, ma comunque inferiori alla temperatura di fusione del metallo base.
Esiste poi un procedimento, detto saldo-brasatura, che differisce dal precedente in quanto il metallo d'apporto viene depositato in un cianfrino, simile a quello che si prepara per le saldature per fusione, con formazione di un cordone.  Anche in questo caso il metallo d'apporto deve bagnare le superfici del metallo base, ma non si sfruttano le proprietà di diffusione capillare.
La saldobrasatura è stata sviluppata inizialmente per la riparazione di pezzi di ghisa, in quanto questo metallo non è facilmente saldabile per fusione a causa del pericolo di cricche e per la formazione di cementite fragile.

 

6.1 Brasature dolci
La resistenza meccanica che si consegue nei giunti ottenuti con brasature dolci è piuttosto limitata e quindi il loro impiego è riservato a unioni che non debbano vincere sollecitazioni meccaniche notevoli.
Un particolare e importante uso delle brasature dolci si ha in campo elettrico, per i collegamenti di fili e di componenti.
Le più comuni leghe impiegate come metallo d'apporto nelle brasature dolci sono quelle binarie di stagno e piombo, con temperature di fusione variabili a seconda della composizione. L'eutettico (Sn = 63% e Pb = 37%) fonde a 183 °C, mentre le altre composizioni hanno intervalli di fusione che sono compresi tra le linee del solidus e del liquidus del diagramma di stato. Le composizioni di uso più comuni sono quelle con stagno dal 30 al 40%.  Mentre si usa la lega eutettica per le applicazioni in cui la temperatura non deve essere troppo alta, come in alcuni componenti elettronici.
Oltre alle leghe binarie di stagno-piombo, si usano leghe ternarie Sn-Pb-Sb e Sn-Pb-Ag che presentano migliori caratteristiche meccaniche. Esistono poi altri tipi di leghe che vengono scelte per soddisfare a particolari requisiti.
Come disossidanti si impiegano acidi o sali inorganici, acidi organici e resine.
Gli acidi di sali inorganici sono fortemente decappanti, ma hanno il difetto di lasciare residui corrosivi sul pezzo. Gli acidi organici sono meno attivi, ma hanno il vantaggio di diventare neutri dopo riscaldamento.
Le resine naturali hanno buone proprietà detergenti e contengono acido abietinico che diventa attivo alle temperature di brasatura.
Le brasature deboli si effettuano generalmente usando come utensile il saldatore elettrico per portare a fusione il metallo d'apporto.
Esistono però anche sistemi automatici, particolarmente utili nella saldatura dei componenti sui circuiti stampati.
Tra questi metodi citiamo la saldatura ad onda (fig. 36) e quella a cascata.

 

 

 

 


Fig. 36  Schema di saldatura ad onda

 

6.2 Brasature forti
I metalli d'apporto che si impiegano nelle brasature forti conferiscono al giunto resistenza meccanica piuttosto elevata.  Richiedono sorgenti termiche più intense ed energiche azioni disossidanti.
Quasi tutti i metalli possono essere brasati, purché si adottino gli opportuni accorgimenti (forma del giunto, modalità di riscaldamento, metallo d’apporto, tipo di protezione).
I metalli d'apporto oltre alla compatibilità con il metallo base e alle caratteristiche di fluidità e di bagnabilità alla temperatura di brasatura , debbono possedere caratteristiche idonee alle condizioni di funzionamento del pezzo.
E' anche importante l'intervallo di fusione della lega brasante, cioè l'intervallo tra la temperatura del solidus e la temperatura del liquidus: quanto più alto è questo intervallo, tanto maggiore è il rischio di segregazione tra i componenti della lega.
Per cui se l'intervallo è piccolo, in pratica inferiore ai 30 °C, le modalità di riscaldamento non sono critiche e la lega può anche essere preinserita nel giunto sotto forma di fili, rondelle, pasta o polvere. Se l'intervallo è superiore ai 30 °C, occorre inserire la lega dopo che il metallo base ha raggiunto la temperatura di brasatura.
Le leghe brasanti più comuni sono quelle a base di:

alluminio-silicio
magnesio
rame-zinco e rame-fosforo
argento.

In particolare, le leghe Cu-Zn sono usate per brasare acciai e ghise; quelle Cu-P per unire rame e sue leghe, senza bisogno di usare disossidanti, in quanto questa azione è espletata dal fosforo.
Le leghe di argento (Ag-Cu-Zn-Cd) sono adatte per tutti i metalli ad esclusione dell'alluminio e del magnesio; presentano resistenza meccanica molto elevata e piccoli intervalli di fusione.
la protezione della brasatura forte mediante i disossidanti, deve essere molto efficace. Per ogni tipo di metallo base e lega brasante deve essere usato il disossidante più adatto, che avrà Particolari requisiti di fluidità alle temperature di brasatura.
I componenti dei disossidanti sono in generale cloruri, fluoruri, acido borico e agenti tensioattivi, miscelati in dosi appropriate.
A volte le brasature vengono effettuate in atmosfere controllate o sottovuoto. Il metodo di riscaldamento tipico delle brasature forti è il cannello ossiacetilenico, in alternativa si usano forni a riscaldamento ad induzione mediante applicazione di correnti ad alta frequenza. Ai fini della resistenza meccanica della brasatura, particolare cura deve essere dedicata alla progettazione del giunti ove il metallo d'apporto deve penetrare per capillarità, occorre prevedere giunti che siano molto piccoli ed uniformi; in molti casi è utile avere accoppiamenti con leggera interferenza.
In conclusione, si vuole fare un cenno al problema della terminologia che nella lingua italiana può presentare qualche confusione, per cui, ad esempio, le brasature dolci allo stagno vengono comunemente chiamate saldature e l'utensile relativo, saldatore, mentre le saldature ad arco a volte si chiamano brasature. Non così avviene nella lingua inglese, ove si usano tre termini distinti per indicare rispettivamente la saldatura (welding), la brasatura forte (brazing) e la brasatura dolce (soldering).

 

Fonte: http://www.dip.unige.it/Saldatura.doc

Sito web da visitare: http://www.dip.unige.it/

Autore del testo: P. Lonardo

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