La Tv nella formazione dei minori

La Tv nella formazione dei minori

 

 

 

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La Tv nella formazione dei minori

 

La Tv nella formazione dei minori
Marina D’Amato

 

La televisione assolve un indubbio ruolo di “omogeneizzazione culturale”, anche se vi è discordanza sui suoi effetti nei confronti della formazione dei minori. Il contesto familiare, e quindi sociale, assolve sempre un ruolo determinante. Lo studio analizza il rapporto dei minori con i media, e in particolare con la Tv, in funzione delle diverse variabili che possono essere individuate.

 

Le nuove generazioni sono nate e cresciute con la televisione, e sono state testimoni e protagoniste dei grandi cambiamenti dell’audiovisivo così come dello sviluppo dell’informatica e delle sue interconnessioni con la Tv e con il telefono: per i ragazzi non esistono distinzioni tra “vecchi” (stampa, radio, Tv) e nuovi media, perché essi hanno sempre vissuto nella loro interconnessione.
I media sono onnipresenti nella vita degli adolescenti e concorrono con la famiglia, la scuola e i gruppi dei pari alla loro socializzazione. La televisio ne, in particolare, interviene in questo processo precedendo anche la scuola, e rappresenta per la sua facilità di accesso la prima interazione extra-familiare per la maggior parte dei bambini occidentali e delle aree del pianeta sviluppate industrialmente.
Per accendere il televisore non servono le capacità di apprendimento necessarie per leggere un libro o per servirsi autonomamente di un computer ed è per questo che, nonostante l’importanza degli altri media, la televisione non perde il suo ruolo egemone.
L’offerta crescente di media è direttamente proporzionale alla crescita della loro fruizione, senza che ci sia obbligatoriamente un transfert da un mezzo di comunicazione di massa all’altro. Come si è premesso, i nuovi media non hanno sostituito i vecchi, ma si aggiungono a essi, così la televisione rimane il mezzo dominante, il più fruito dall’insieme dei bambini e degli adolescenti del mondo occidentale.1
Nello specifico caso italiano, le ultime rilevazioni dell’ISTAT mettono in evidenza una crescita del consumo televisivo nell’ultimo quinquennio: se nel 2000 era il 95,3% dei ragazzi tra i 3 e i 17 anni che guardava la Tv assiduamente, nel 2005 la quota dei fruitori ha raggiunto nella stessa fascia di età il  96,3%.

 


1 Inchiesta condotta da Secodip su un campione europeo di 6.800 ragazzi tra i 2 e i 19 anni nel primo semestre del 2000.

 

Facoltà di Scienze della Formazione

 

 Marina D’Amato
Università Roma Tre


Consumatori, Diritti   Mercato

Argomenti


Nello stesso periodo appare incrementata anche la frequenza con cui i ragazzi guardano la Tv: il 91,7% di loro la guarda, infatti, tutti i giorni contro l’87,7% del 2000.
Rimane costante nel tempo il diverso consumo per fasce di età: tra i 3 e i    5 anni si registra una presenza di fronte allo schermo dell’87,3%, mentre i più assidui sembrano essere i bambini tra gli 11 e i 13 anni (96%), e ciò nonostante la diffusione dei nuovi media che ha coinvolto soprattutto gli  adolescenti.
A livello europeo si osserva che solo il 3% dei bambini appartenenti al ceto sociale più elevato cresce senza Tv a casa!
Il ruolo preponderante della televisione spiega come a essa sia dedicata la maggior parte degli studi che trattano dei media e anche questa ricerca propone una sezione empirica che occupa nell’economia complessiva del lavoro una parte preponderante: forte è il convincimento dei genitori e degli educatori che la televisione rappresenti il mezzo di comunicazione di massa meno erudito e colto, tanto più diffuso nelle classi sociali più sfavorite.
Alla Tv viene spesso rimproverato, essendo la forma di svago più economica, di diventare una sorta di baby sitter e, in molti casi, di sostituire i genitori stessi.
Dall’incitazione alla passività all’incoraggiamento alla violenza, la lista dei malefici attribuiti alla Tv è davvero lunga.
Tuttavia, la televisione costituisce globalmente per i giovani la prima forma di svago e la terza attività, in termini di economia del tempo, dopo il sonno e la scuola.1
Sono la facilità di accesso e la sua quasi totale gratuità, a differenza dei libri e dei videogiochi, o dei programmi di Internet, che continuano a renderla molto attraente agli occhi dei giovani fruitori e, sovente, dei loro genitori.

 

Quanto tempo passano davanti alla Tv

Si può relativizzare il dato sul tempo passato davanti allo schermo osservando che gli adulti guardano ancora di più la televisione dei bambini e che esiste un relazione positiva tra l’uso della Tv degli adulti e quello dei loro figli. Inoltre la fruizione della Tv varia a seconda del giorno e dell’ora.
La distribuzione nel ciclo di vita scolastico rispecchia, ovviamente, la distribuzione per fasce d’età.
Le famiglie con bambini piccoli ricorrono agli asili sempre più spesso, probabilmente per far fronte a esigenze lavorative e a impegni crescenti: un numero sempre maggiore di bambini non va a scuola il sabato e il loro “ritorno a casa” nei giorni feriali è più ritardato. Un quarto dei ragazzi studenti in Italia esce da scuola dopo le 16: se a questo si aggiunge che i bambini devono dedicare tempo ai compiti, a giocare e a fare sport, la possibilità di fruire del mezzo televisivo va via via riducendosi alle fasce del tardo pomeriggio, del preserale  e della prima serata.

Se questo è particolarmente vero per il ciclo delle elementari, si registra comunque un aumento di tendenza anche per le scuole medie inferiori.
Le diverse attività che quotidianamente caratterizzano il tempo libero dei bambini e degli adolescenti occupano in media in Italia 4 ore e 36 minuti2 e i dati fanno emergere come guardare la Tv si confermi come attività prevalente della fascia di età 5-13 (dal 2002 è passata dal 26% al 31%), anche se lo studio è cresciuto di ben quattro punti nello stesso periodo e si attesta come seconda attività al 20%, ciò a discapito dell’“uscire” (16%), del “giocare a casa” (12%), del “giocare fuori casa” (7%), del “fare sport” (6%), dei “videogiochi” (4%), del “computer” (2%), del “leggere giornalini” (1%) e del “leggere libri (1%).
La tenuta e l’egemonia della televisione resta valida anche se si osserva il suo ruolo nelle diverse stagioni, specie autunno e primavera: dal confronto tra  i due periodi si evince, infatti, come al di là delle evidenti differenze legate alla “bella stagione”, la fruizione della televisione non risenta di questo effetto, dimostrando indipendenza e incisività statistica.3
Significative variazioni si registrano, invece, nelle performance medie della Tv satellitare che, rispetto al 2003, per esempio, raddoppia, se non addirittura triplica, le proprie medie di ascolto rispetto alla fascia dei bambini e dei ragazzi.4
Questo incremento si registra, seppure in forma più contenuta, anche nella variazione stagionale. Ciò concorre evidentemente a rafforzare l’opinione degli addetti ai lavori che la Tv satellitare, per sua natura molto targhettizzata, ben   si adatti alle esigenze di sicurezza e di protezione dei minori, soprattutto nelle fasce in cui la Tv svolge un ruolo di baby sitter. Dall’indagine richiamata si osserva come il comportamento di ascolto del mezzo televisivo nelle diverse fasce orarie dichiarato dai bambini e dai ragazzi intervistati non abbia differenze significative nelle due diverse stagioni prese in considerazione.
Il momento di massimo ascolto si registra, infatti, nella fascia 20-21, seguito dalla fascia pomeridiana 16-17  (rispettivamente autunno 61% e primavera 64% e 43% e 44%). Diversamente dai giorni feriali, nel fine settimana il consumo dichiarato di televisione subisce un significativo effetto legato alla stagionalità.
In autunno l’ascolto nelle fasce pomeridiane dalle 14 alle 19 è sensibilmente maggiore (35% a fronte del 31%). Anche nel fine settimana la fascia di massimo ascolto è quella che va dalle 20 alle 21 (49%). Nei momenti di massimo ascolto si riscontra che la fruizione del mezzo da parte dei bambini è accompagnata dalla presenza di un adulto, sia nei giorni feriali sia in quelli festivi (84% e 87% dei casi) a sfatare un luogo comune sulla solitudine e l’abbandono dei bambini davanti alla Tv. Si osserva, infatti, che i piccoli approcciano lo schermo da soli o in compagnia di coetanei prevalentemente nelle ore pomeridiane, durante i programmi loro dedicati.
Ciò è tanto più vero nei giorni feriali che in quelli festivi, per la intuitiva ragione di una minore probabilità di presenza dei genitori nei giorni  lavorativi.


2 Indagine DOXA marzo 2005 Junior su 2.500 ragazzi e 560 bambini.


3 Indagine DOXA 2004-2005.
4 Dati Auditel.



I generi dell’offerta

Se si osserva l’offerta televisiva per generi di prodotto, si nota un forte interesse in ordine decrescente verso i cartoni animati, i film, i quiz, i giochi e i programmi umoristici.
Analizzando, invece, il gradimento dei generi in funzione del sesso dei fruitori, si evince che mentre i maschi sono più attratti da un’offerta legata allo sport, le femmine lo sono di più verso la fiction, l’intrattenimento e i talk show. Dalle più recenti classifiche per gradimento emergono sulla concorrenza i prodotti Rai, tra i cartoni quelli di Walt Disney, a conferma della scelta di “qualità” che i più giovani compiono quando ne hanno la  possibilità.
La preferenza accordata alla programmazione Rai può essere messa in relazione agli obiettivi e ai vincoli strategici imposti dal contratto di servizio e dal codice di autoregolamentazione “Tv e minori”, per cui è destinata ai bambini e ai ragazzi una quota del 10% della programmazione, realizzando «prodotti i cui contenuti rispondono a criteri di responsabilità e rispetto della dignità dei minori, evitando pertanto la messa in onda di programmi contenenti scene di violenza gratuita o episodi che possono creare loro angoscia, terrore o turbamento». La Tv pubblica tende pertanto a un continuo miglioramento della qualità dei programmi per i minori stessi e tenendo conto delle esigenze e delle sensibilità della prima infanzia e dell’età evolutiva, specialmente nella fascia di programmazione “protetta”, implementando conoscenze e sostenendo la famiglia e i bambini nel processo formativo-educativo dei minori.
La radio, mezzo di comunicazione che fa parlare molto meno di sé, ha anch’essa un certo peso nel mondo degli adolescenti: una recente ricerca in Francia mette bene in evidenza come il 95% dei ragazzi tra i 15 e i 19 anni accenda la radio almeno una volta al giorno, contro l’86% della Tv (Chevreux, 2000).
Il computer, invece di rivaleggiare con i media precedenti, conosce una rapida evoluzione, ma nonostante la crescita esponenziale il suo utilizzo è ancora minoritario, soprattutto quando non lo si usa per  giocare.
In definitiva, i ragazzi vivono in un mondo di audiovisivi: computer, videogiochi, televisione, cinema, radio, stampa, telefonini sembrano essere lo scenario e il territorio della loro vita. Una questione aperta e importante è quella della complementarietà dei ruoli di queste tecnologie con la famiglia e con la scuola (cfr Gui e Stanca, art. p. 91 in questa rivista), sia per l’apprendimento delle conoscenze, sia per la trasmissione dei valori.
Ciò presuppone la necessità di analizzare non solo gli effetti dei media sui giovani, ma soprattutto l’uso che fanno i giovani: come è stato ben sintetizzato   agli inizi degli anni ’60 da W. Schramm in relazione alla supposta  corrispondenza dell’esposizione al video e ai comportamenti: «È chiaro che per comprendere l’impatto e l’effetto della televisione sui bambini, dobbiamo eliminare la prospettiva poco feconda di analisi di ciò che la televisione fa ai bambini sostituendogli un altro punto di vista: quello che i bambini fanno con la televisione» (Schramm et al., 1961).



È ovunque constatato che la presenza dei bambini favorisce gli acquisti delle famiglie, soprattutto oggi quelli elettronici e di comunicazione.
La consolle per i videogiochi e il computer sono strumenti che sempre più spesso entrano nelle case degli italiani: le analisi di mercato pongono in evidenza, infatti, che le famiglie con bambini sono provviste di un maggior numero di apparati ricchi di tecnologia rispetto a quelle senza figli (Insee Premiere, 2000).

 

Cosa influenza il consumo

Esistono, tuttavia, differenze notevoli a seconda dei livelli socio-culturali di appartenenza, che incidono più di quelli strettamente economici sull’acquisto e l’uso dei media.
Un’indagine a livello europeo realizzata nell’ambito dell’inchiesta Himmelweit pone in evidenza come le famiglie più agiate posseggano un computer, mentre la consolle per i videogiochi è più diffusa negli ambienti maggiormente sfavoriti.
Il telefono e la televisione sono meno discriminanti socialmente, poiché la maggior parte delle famiglie li possiede, anche se il numero di televisori per famiglia risulta inversamente proporzionale al reddito: le famiglie più svaforite economicamente posseggono, infatti, più televisori di quelle più abbienti.
Le indagini europee mettono in evidenza che i bambini e i ragazzi più svantaggiati hanno più spesso la Tv in camera di quelli economicamente più favoriti, mentre è inversa la situazione per quanto concerne il telefono. Anche l’uso dei diversi media è in funzione di questa stessa variabile sociale. La  pratica  dei videogiochi e l’ascolto della radio risultano, infatti, equamente fruiti, indipendentemente dall’ambiente sociale delle famiglie di appartenenza, mentre il computer è più diffuso negli ambienti socio-ecomomici più elevati. Ma anche in questo ultimo caso, l’uso che si fa del computer non è eguale per tutti: la funzione ludica è più fruita in ambienti socio-economici bassi e la funzione educativa più diffusa in quelli alti. Quanto alla televisione, sebbene fruita da tutti i ragazzi, il suo uso risulta più diffuso tra i figli della classe operaia che tra quelli dei professionisti e funzionari che hanno più facilmente accesso ad altre forme di svago. Anche l’ascolto risulta differenziato: i ragazzi più sfavoriti sarebbero più attratti da programmi di evasione e quelli più avvantaggiati propendono, invece, verso trasmissioni informative ed educative.
Il consumo dei media differisce sensibilmente a seconda del genere, maschile o femminile: i ragazzi giocano molto di più con i videogiochi e anche la pratica del computer sembra essere maggiore appannaggio maschile, mentre le ragazze sembrano più attente alla musica; risulta, inoltre, che esse  ascoltano più dei loro coetanei la radio, fanno più uso di cd e la scelta dei loro programmi preferiti alla Tv è molto diversa da quella dei maschi coetanei.
Inoltre, parlano molto di più al telefono e per ragioni diverse da quelle dei loro coetanei.


Se il tempo che passano davanti alla Tv è più o meno analogo a quello dei ragazzi, la scelta dei programmi è, però, molto diversa: come si è anticipato, le ragazze preferiscono la fiction, soprattutto serials e sit com, mentre i ragazzi preferiscono cartoni animati e programmi sportivi. In definitiva, anche nel caso italiano vale la tesi avanzata a livello europeo dalle due ricercatrici francesi Pasquier e J. Jouet, secondo le quali «esistono due grandi ambiti mediatici: uno femminile che orbita intorno al telefono e alla radio, e uno maschile che è più attratto dallo schermo dei videogiochi e del computer».
I media diventano così l’occasione di pratiche in cui si iscrivono le differenze di genere, che non si manifestano nel fatto di utilizzare o meno i mezzi di comunicazione di massa, poiché sia i ragazzi sia le ragazze ricorrono a tutti i mezzi, ma è nelle loro modalità d’uso che si organizzano con intensità e tempi diversi intorno a preferenze su contenuti differenti. Queste forme di introiezione si elaborano fin dalla prima infanzia, nel periodo in cui i bambini si identificano con il genitore dello stesso sesso.

 

Il consumo quotidiano

Tra i 6 e i 17 anni varia molto il consumo  quotidiano dei  media, a  eccezione,  però, della Tv,  che  aumenta  ben poco.
La maggior parte degli altri mezzi di comunicazione vedono il numero di fruitori crescere con l’età: il cinema, la radio, il telefono, i cd, le videocassette, i giornali; altri invece diminuiscono, per esempio la lettura. Quanto al computer e ai videogiochi, il loro utilizzo, dopo essere aumentato tra i 9 e i 14 anni, diminuisce a partire dai 15.
Al di là delle variabili sociologiche classiche, il rapporto dei ragazzi con i media varia anche in funzione delle dinamiche familiari, circa il ruolo del bambino e la relazione con i fratelli, nonché della morfologia della famiglia per quanto concerne i modelli di socializzazione e la presenza della mamma a casa.
La televisione è spesso resa responsabile del declino della lettura, sebbene non esista una possibilità logica di metterle in diretta correlazione: si osserva spesso una correlazione positiva tra i grandi lettori e i grandi fruitori di Tv, quindi sembra non esistere nei fatti un’antinomia tra le due pratiche. Tuttavia l’inverso non è altrettanto vero e ciò che si rileva dalla indagini più accorte è che è la durata di utilizzo dello schermo (Tv, videogioco, computer), e non la sua frequenza, a essere negativamente correlata alla  lettura.
Le indagini sembrano essere concordi su due punti:

  1. la complementarietà dei mezzi di comunicazione di massa, senza che l’apparizione di un nuovo medium eclissi l’utilizzo dell’altro;
  2. le tipologie di ascolto della Tv, così riassumibili: la “tele-passione”, che corrisponde alla scelta dei programmi, la “tele tappezzeria”, che corrisponde


a uno sfondo della vita domestica, e la “tele tappa-buchi”, che serve a far passare il tempo e riempie il vuoto di una giornata priva di altri  stimoli.

Tutti gli studi sulla fruizione televisiva dei bambini e dei ragazzi fin dai primordi (non a caso il riferimento principale va alle indagini dell’inchiesta Himmelweit del 1958 per la situazione europea e prima ancora ai numerosi studi statunitensi) dimostrano nella eterogeneità di indicatori, di ipotesi e  di metodi,  che quando i ragazzi hanno qualche  “altra”  attività essi  la  prediligono  sempre alla Tv.  Il consumo  di televisione è,  quindi, sempre  una seconda   scelta.
Le trasmissioni per ragazzi diffuse dai canali generalisti in Italia non occupano uno spazio privilegiato, nonostante i dati continuino ad affermare che la più grande costanza di ascolti televisivi è quella dei bambini e dei ragazzi, che guardano la Tv più di tutti e per più tempo di tutti. Eppure le ore dedicate espressamente a loro nell’ambito dei palinsesti sono relativamente poche, anche perché sono per lo più coincidenti secondo la prassi dell’antagonismo televisvo, e non secondo la regola del maggior vantaggio dei giovanissimi. Uno sguardo ai palinsesti è sufficiente per dimostrare la sovrapposizione oraria dei programmi per bambini nelle prime ore del mattino (RaiDue e Italia1 dalle 7 alle 9) e l’analoga situazione pomeridina (RaiTre e Italia1): anche per questo si assiste sempre più frequentemente all’uso indiscriminato di Tv per adulti fruito anche dai bambini nelle ore pomeridiane e soprattutto in quelle della prima  serata.
L’influenza che la Tv e gli altri media possono esercitare sui bambini e sui ragazzi costituisce uno degli aspetti più dibattutti del rapporto che lega i giovanissimi ai mezzi di comunicazione di massa.
La questione circa l’influenza esercitata dalla rappresentazione simbolica della realtà sui giovani è antica quanto la nostra capacità di pensare: già Platone e Aristotele l’avevano affrontata e risolta in modi opposti, e tutto il dibattito scientifico che si è focalizzato sull’ipotetica influenza della radio, del cinema, della televisione, del computer, dei videogiochi sui pensieri e sugli atteggiamenti dell’infanzia è una prova della perenne attualità della  questione.
Quando Platone esortava nel V libro della Repubblica i poeti e i commediografi a proporre eroi e immagini moralmente utili alla crescita dei ragazzi, sosteneva implicitamente con la teoria della mimesi la tesi dell’imitazione, per cui l’esposizione a scene di violenza, continue e gratuite, possono indurre nei bambini una reazione analoga per imitazione e per assuefazione. All’opposto Aristotele, con la teoria della catarsi sosteneva la capacità della rappresentazione simbolica della realtà di esorcizzare ansie e paure, come accade nelle favole.
Il modello platonico, che tende a sottolineare i processi imitativi della rappresentazione simbolica rispetto allo stimolo televisivo, è alla base della maggior parte degli studi, soprattutto negli Stati Uniti: è, di fatto, un modello behaviorista a uno stimolo corrisponderebbe una risposta che nella versione più sofisticata prende in considerazione le altre variabili soggettive, quali sesso,  età, carattere, estrazione sociale, contesto  relazionale. D’altro  canto  i    sostenitori della teoria della catarsi, variante evoluta e tecnologizzata dell’ipotesi aristotelica, sostengono che nell’esposizione alla violenza, per esempio, vedono un’occasione di purificazione, una sublimazione dell’energia aggressiva. Ma questa teoria, che ha avuto un notevole seguito a partire dagli anni Settanta, non considera il fatto che i processi percettivi infantili non rispettano sempre   la dicotomia reale/irreale.
La teoria della mimesi e quella della catarsi non tengono conto a sufficienza dell’insieme sociale in cui si muove il bambino: sono, infatti, le ricerche interdisciplinari che offrono le risposte più compiute. Da Katz Lazasfeld, a Gerner, a Comstock, e per l’Italia Rivolsi, Bertolini, Maragliano, Morcellini, si coglie un’attenzione costante alla connessione tra i ruoli sociali attribuiti al sesso e all’età e la diversa fruizione dei media, nonché all’ambiente socio-culturale quale fattore essenziale per determinare l’assiduità e il gradimento. Da queste analisi emerge con evidenza quanto  il comportamento  infantile, anche  in relazione  ai media, sia influenzato dalla famiglia, dalla scuola, dalle amicizie. Quando questi riferimenti vengono meno, l’azione del video può diventare centrale. In definitiva, un bambino solo è scoperto e, dunque, più facilmente influenzabile: il problema evidentemente non è la Tv, ma la solitudine in cui vivono molti minori.
Così, non potendo limitare nel tempo, né isolare nello spazio, la “variabile televisione”, o più in generale oggi i media nel loro insieme rispetto a tutte le variabili che influenzano il processo di socializzazione di un individuo precostituendone la “personalità di base”, è impossibile affermare il ruolo dell’influenza dei mezzi di comunicazione di massa sui loro fruitori.
Le ricerche più accorte, infatti, sostengono l’impossibilità di misurare l’influenza e sembra scientificamente impossibile correlare l’esposizione agli schermi con mutamenti di atteggiamenti, ma nonostante ciò la televisione e più recentemente i videogiochi sono al centro di polemiche soprattutto giornalistiche, che periodicamente affrontano la questione affermando uno stretto rapporto tra la violenza, l’obesità, i risultati scolastici, il senso civico, l’insonnia,   i disturbi alimentari, la disintegrazione della famiglia, la salute psico-fisica e l’uso della Tv.


 

 

Gli effetti diretti

Gli effetti diretti dei media, o più particolarmente i misfatti attribuiti a essi, riguardano prevalentemente il tema della violenza senza troppa distinzione tra la violenza alla televisione e la violenza della televisione. La violenza televisiva permane nell’opinione pubblica un argomento importante e ricorrente. Essa è sempre all’origine delle riflessioni sull’educazione ai media e dei dibattiti sulla loro regolamentazione, dibattiti che sfociano sui temi della censura, della tutela, della prevenzione, dell’educazione ai media. Va sottolineato a questo propo



sito, che la percezione che gli adulti hanno della televisione è determinata dalla loro esperienza infantile o, al massimo, definita dalla riflessioni indotte dai loro figli (Caron et al., 1996) davanti allo schermo. Dipende, infatti, spesso dalla loro personale esperienza e dall’educazione che essi stessi hanno ricevuto.
È indubbio constatare l’incremento  della  violenza  nei  media,  e  soprattutto nei videogiochi, che da una parte riflettono una violenza presente nel mondo, compresa quella esercitata sui bambini, e dall’altra offrono programmi e  itinerari definiti per ragazzi, con scene spesso più violente di quelle che popolano l’immaginario  dell’adulto.
Il rapporto dei giovanissimi con la violenza, sia che si tratti di scene di fiction sia che si tratti di situazioni reali, varia in funzione delle diverse percezioni e a seconda della sensibilità di ciascuno. Del resto, questa violenza rappresentata sugli schermi e di cui ci si preoccupa tanto non è solo un fenomeno che concerne i media, ma può essere iscritta anche in una logica della società e rispondere, almeno in parte, a una domanda sociale.
Molti studi soprattutto statunitensi, che analizzano l’incremento delle statistiche di criminalità e di aggressività, fondano la loro tesi esplicativa sull’impatto della violenza teletrasmessa sugli atteggiamenti dei giovani utenti e ciò nonostante non possa essere scientificamente provata una correlazione positiva tra i due fenomeni che, invece, vengono interpretati nella logica di causa-effetto.
Le indagini di Gerbner, ma prima ancora quelle di M. Winn, sostengono che
«la presenza della televisione nelle case degli americani ha prodotto la peggiore delle epidemie di violenza giovanile che il paese abbia mai conosciuto» (Winn, 1977). Sulla scia di queste riflessioni, anche rilevanti indagini europee mettono in evidenza questo presupposto: L. Lurcat, dopo aver dimostrato che la Tv esercita un reale effetto di fascinazione sui ragazzi, sostiene che possa indurre comportamenti aggressivi e violenti, ma è un dato di fatto che non vi è la possibilità scientificamente convalidata di affermare una stretta correlazione tra i due fenomeni.
È, tuttavia, probabile che la violenza televisiva non crei la violenza, ma contribuisca a evidenziarla quando questa è gia presente: ciò che si può, quindi, affermare senza tema di sbagliare è che la televisione offra modalità d’uso a coloro che, in ogni modo, avevano già deciso di passare all’azione.
È altresì accertata anche la non efficacia della tesi della catarsi, secondo la quale le scene violente della Tv permetterebbero al giovane utente di dissolvere la propria carica di aggressività personale reale al cospetto di immagini violente rappresentate sullo schermo.
Altre riflessioni mettono in evidenza gli effetti nefasti della violenza televisiva; tra tutti vale la pena di ricordare l’apporto di G. Gerbner, che dimostra con una serie di studi come la violenza sullo schermo contribuisca in modo insignificante alla violenza reale; tuttavia desume che la violenza teletrasmessa contribuisca alla predisposizione di sentimenti di insicurezza e vulnerabilità, che sarebbero all’origine di comportamenti di dipendenza e di sottomissione.

 


Per J. Lazar, la violenza televisiva non risiederebbe nelle scene di violenza stesse, ma nello scarto tra il mondo reale e il mondo simbolico, rappresentato sugli schermi dominato dai valori del successo, del consumo, della ricchezza: «La televisione più di ogni altro medium, rinvia l’immagine di un mondo diviso tra coloro che consumano e coloro che guardano gli altri consumare» (Lazar, 1997). Si potrebbe aggiungere a queste considerazioni sulla violenza anche quella che concerne la solitudine del bambino di fronte alla Tv, ciò che L. Lurcat traduceva per un «abbandono fisico, morale, affettivo e intellettuale» (Lurcat, 1998).
Ulteriore critica rivolta alla televisione concerne l’assenza o la scarsità di contenuti e obiettivi educativi, per meglio dire, l’accusa di una Tv diseducativa non significa che dallo schermo non si impari nulla, ma che le conoscenze che   i ragazzi traggono dalla televisione anche se non si tratta di materie strettamente scolastiche, non sono valorizzate dagli adulti educatori. Inoltre, come sostiene Chailley (1993) nei suoi lavori sul trasferimento dei saperi, i ragazzi, indipendentemente dal loro ambiente sociale, apprendono molto dalla televisione, ma poiché queste conoscenze sono considerate poco affidabili, non vengono riutilizzate a scuola e più ancora R. Maragliano sostiene che i ragazzi nati per immersione nella cultura mediatica fanno un uso dei mezzi di comunicazione di cui gli adulti non si rendono appieno conto, per questo finiscono per stigmatizzarli a causa dell’ignoranza delle loro potenzialità (Maragliano, 1998).
Molte inchieste mettono, tuttavia, in evidenza come i ragazzi degli ambienti più sfavoriti traggano profitto dalla televisione perché non hanno molte altre possibilità di costruire conoscenze secondo diversi percorsi.

 

La Tv può avere un ruolo educativo?

D’altra parte la rivendicazione di una televisione educativa corrisponderebbe più a una strategia scolastica elaborata dai genitori per i propri figli che a un reale desiderio di riduzione di ineguaglianze culturali: si osserva a questo proposito che lo status sociale degli adulti è correlato alla loro conoscenza e al loro apprezzamento dei programmi per bambini e per ragazzi.
Più i genitori sono in alto nella scala sociale, più aumenta la loro ignoranza dei programmi e più diminuisce la valutazione positiva degli stessi. In altre parole, i genitori più critici nei confronti delle trasmissioni per ragazzi sono anche quelli che meno le conoscono.
Allo stesso tempo molti critici accusano la scuola di fare concorrenza alla televisione perché molto prima di essere scolarizzato il bambino vive con la Tv. In effetti la televisione e la scuola non possono che essere complementari.
Sesame Street, il primo programma con dichiarati intenti didattico-educativi, fu realizzato negli Stati Uniti sia per ovviare alla mancanza di scuole materne sia per attutire le ineguaglianze socio-culturali. Il progetto fu esportato in molti paesi del mondo con successo: in Francia si chiamò Jardin Magique,



in Italia ebbe successo con il nome di Giocagiò e tutte le ricerche compiute    per validarne l’impatto hanno messo in evidenza gli apporti positivi di questa trasmissione emblematica per l’acquisizione di conoscenze da parte dei piccolissimi. In più contesti, si è rilevato che i bambini che la seguivano regolarmente avevano migliori risultati scolastici. Tuttavia, se gli apporti positivi non sono messi in discussione, è anche vero che furono i piccoli appartenenti ai ceti sociali più elevati a trarne il maggior vantaggio.
Di fronte all’abbondante letteratura sull’influenza nefasta della Tv, sono rari gli studi che ne mettono in evidenza i benefici: eppure è verificato che la Tv viene usata dagli adolescenti soprattutto come un supporto di definizione sociale che può permettere di conoscere valori e modelli diversi da quelli del proprio ambiente. Gli studi compiuti su serie famose come “Zorro”, o “Helene et les garçons” sono un esempio in questo senso (Pasquier, 1999).
Quando Mc Luhan affermava che «il medium è il messaggio» (Mc Luhan, 1967), indicava anche che il modo con cui il messaggio è trasmesso è più importante dello stesso contenuto, poiché il messaggio può avere effetti diversi a seconda dello strumento con il quale è veicolato. Ma la ricezione del messaggio è importante almeno quanto la sua stessa trasmissione. È evidente che la percezione dei messaggi in generale, e delle immagini in particolare, dipende fortemente dal contesto ricettivo; in altre parole, è indubbio che l’influenza degli schermi sui ragazzi è sottomessa a diverse variabili psicologiche e sociologiche.
In qualche modo, nonostante la sovrabbondanza di studi e ricerche sul tema, si può riassumere la complessità degli effetti dei media sui giovanissimi citando una frase del pioniere di queste ricerche, W. Schramm: «Certi tipi di comunicazione, consacrati a certi tipi di soggetti, sottoposti all’attenzione di certi tipi di persone, in certe condizioni, hanno certi effetti...» (Shramm et al., 1961).
In sintesi, la televisione rimane nel contesto dei media quello dominante per i bambini e per i ragazzi indipendentemente dal loro ambiente socio-economico e dalla loro età.
Per questo, la Tv più di tutti gli altri mezzi di comunicazione assume un ruolo di “omogeneizzazione culturale” e contribuisce molto alla socializzazione dei ragazzi: da questo punto di vista si tratta di un processo di democratizzazione delle conoscenze. Ma la situazione è ben più articolata e complessa se si prendono in considerazione le diverse modalità sia a livello delle pratiche sia     a quello della ricezione dei messaggi: le diseguaglianze sembrano fortemente correlate a variabili sociologiche. Per esempio, è chiaro che a seconda degli ambienti sociali, i ragazzi non guardano gli stessi programmi televisivi, ma è anche altrettanto verificato che uno stesso programma produce effetti diversi in funzione dell’appartenenza sociale e familiare.
I nuovi media, nonostante un rapido sviluppo non sono ancora diffusi capillarmente, ma contribuiranno al processo di democratizzazione? La risposta discriminante è  nell’accesso  e  nell’acquisizione  di attrezzature informatiche. I  bambini e  i  ragazzi di ceto  sociale svantaggiato hanno meno  possibilità  di accedere al computer e un’ulteriore differenza si rileva, come già sottolineato, nell’uso da parte dei ragazzi e delle ragazze.


La coniugazione di diversi fattori non favorisce oggi la riduzione delle ineguaglianze sociali, né per quanto riguarda le strutture, né per quanto concerne il loro utilizzo.
Rispetto ai nuovi media, c’è chi prevede che contribuiranno ad attenuare, fino ad annullare le differenze sociali, poiché su Internet si “esiste” in funzione del proprio ruolo e non del proprio status, si chatta, si conosce e si naviga in funzione di ciò che si sa fare e non in relazione alla propria condizione umana. Ma d’altro canto, c’è chi ritiene che, invece, aumenterà il digital divide non solo tra i popoli del Nord e Sud del mondo, ma anche e soprattutto tra i bambini alfabetizzati, fin dalle prime fasi della vita, ai nuovi media e quelli estranei a essi. L’evoluzione dei nuovi media potrebbe, infatti, provocare nuovi gruppi di esclusi. ll rischio non può essere accantonato e l’accesso ai nuovi media sembra possibile in prospettiva solo con un comune intento della scuola e della famiglia.
Sull’impatto a lungo termine che le Tecnologie dell’Informazione (IT) avranno sulla vita e sul lavoro,  è  in corso  un acceso  dibattito: forse  siamo  nel  pieno di una rivoluzione paragonabile a quella agricola o industriale, o forse,  attribuendo alla tecnologia le potenzialità per modificare la vita umana, possiamo incorrere  in  una  grave esagerazione.
Negli ultimi decenni, grazie al processo di miniaturizzazione che ha reso i processori sempre più piccoli e veloci, la potenza dei computer ha fatto passi da gigante; i palmari di oggi, grandi come una calcolatrice tascabile hanno le stesse capacità dei computer da tavolo del decennio scorso e alcuni gadget elettronici sono così piccoli da poter esser cuciti all’interno dei cosiddetti “vestiti intelligenti”.
Secondo la Legge di Moore fondata sulle osservazioni compiute negli anni '60 dal pioniere dell’informatica Gordon Moore il numero di transistor presenti in un circuito integrato raddoppia all’incirca ogni diciotto mesi; in questi ultimi due o tre decenni, la validità della legge è stata confermata, ma molti scienziati ritengono che il processo di miniaturizzazione potrebbe bloccarsi non appena i microcircuiti avranno raggiunto le dimensioni minime che un chip di silicone può raggiungere senza diventare instabile.
L’economia mondiale è evidentemente sempre più connessa alle innovazioni informatiche: una battuta d’arresto nel processo di crescita delle velocità dei microprocessori potrebbe addirittura destabilizzare i mercati e provocare una crisi di livello globale.
Nuovi approcci nella costruzione di processori potrebbero permettere ulteriori miniaturizzazioni, mentre le maggiori speranze di conferma alla Legge di Moore vengono dalle nanotecnologie: “nanotubi” costruiti con atomi di carbonio potrebbero sostituire le connessioni in rame dei microprocessori, singole molecole organiche potrebbero essere utilizzate per la costruzione di transistor e microscopici computer e “crescere” come cellule viventi: sono idee che per il momento restano nel campo della fantasia, almeno a giudicare dalle storie a cartoni animati che le rappresentano attraverso la capacità infinita di personaggi che si evolvono trasformandosi perennemente, quali per esempio i Digimon.
Continueremo a utilizzare l’informatica e a dipendere da essa nella vita quotidiana? L’interazione fra persone tenderà a farsi meno “personale”? I timori a proposito di un possibile declino dei viaggi e del contatto diretto fra persone sono infondati?

 

Conclusioni

La conoscenza scientifica del rapporto tra i ragazzi e i media, nonostante le migliaia di ricerche e analisi è a tutt’oggi molto modesta.
Questa conoscenza è dominata da una sorta di socio-economia della diffusione, certamente più facile dello studio e dell’analisi sulla ricezione e, soprattutto, indispensabile alla gestione delle imprese mediatiche.
Si possono indicare almeno tre tipologie primordiali, quasi endemiche di deficit scientifico.
Una prima mancanza è sociologica ed etnologica: non si sa abbastanza, per esempio, dell’uso del tempo dei bambini e dei ragazzi, nel caso soprattutto di attività simultanee principali e secondarie, quali pranzare guardando la Tv. La prima attività (pranzare) è principale, la seconda (guardando la Tv) secondaria. Ma sgranocchiare guardando la Tv, la prima attività (sgranocchiare) è secondaria, la seconda (guardando la Tv) principale. Inoltre, non se ne conoscono a sufficienza le variazioni secondo le classi sociali, i tipi di ambiente, gli stili di vita, il ceto e i livelli culturali familiari. Non si conosce quasi nulla a proposito della formazione dei gusti e delle mode degli universi infantili e adolescenziali. Una seconda mancanza concerne l’ambito psicologico, soprattutto quello delle scienze cognitive: si sa poco, in definitiva, delle modalità di ricezione del consumo di televisione da parte dei giovanissimi e ancora meno si conosce delle dinamiche legate ai videogiochi e a Internet. Si conoscono altrettanto approssimativamente le modalità di memorizzazione e di attaccamento a   personaggi
mediatici.
Una terza mancanza può essere individuata nell’aspetto economico: non si conoscono a sufficienza le modalità economiche di scelta degli svaghi all’interno di un ambiente familiare, la loro gerarchizzazione, la loro sostituzione, il loro cambiamento. Il budget di tempo e il budget economico sono strettamente interdipendenti.
Il dibattito scientifico a proposito del rapporto che lega i ragazzi ai media, e soprattutto quello sulla televisione, è spesso oscurato e, talvolta, corrotto da approcci semplicistici a uso politico: violenza, risultati scolastici, effetti sanitari sono le questioni non a caso più dibattute e, per forza di cose, irrisolte. Di fatto le ricerche in questi settori sono il più delle volte veri ostacoli epistemologici, capaci di impedire l’avanzamento della riflessione scientifica.


Riferimenti  bibliografici

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Fonte: http://www.consumatoridirittimercato.it/wp-content/uploads/2012/12/2009-01-la-tv-nella-formazione-dei-minori-consumatori-diritti-e-mercato-10-n524270.pdf

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