Nuovi servizi televisivi

Nuovi servizi televisivi

 

 

 

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Nuovi servizi televisivi


I nuovi servizi televisivi nello scenario convergente della connected TV

Premessa: la TV digitale nei processi di convergenza

La televisione in quanto medium e in quanto tecnologia (digitale, interattiva) sta entrando prepotentemente nei processi di convergenza e tende a recuperare alcuni spazi e pratiche sociali che sembravano definitivamente transitate - nell’ultimo decennio
- sull’artefatto “personal computer”. Lo scenario evolutivo è molto frammentato e confuso, come accade nelle fasi di rapida transizione in cui convivono retaggi del passato e improvvisate fughe in avanti destinate, in molti casi, a non lasciar traccia. È però possibile prevedere che il processo di digitalizzazione consentirà alla “televisione” di divenire sempre più compatibile, dal punto di vista delle tecnologie di trasmissione, conservazione e trattamento delle informazioni con gli ambienti di rete cui si accede attraverso gli altri schermi interattivi, seduti alla scrivania o in condizione di mobilità. In breve: la televisione sembra destinata a uscire dallo splendido e dorato isolamento (e dall’arrogante presupposizione di autosufficienza) per abbracciare un destino di complementarità tecnologica con altri ambienti di rete e ritrovare sintonia con le pratiche sociali che hanno rischiato di marginalizzarla rispetto alla parte della popolazione più giovane.

La chiave di lettura della convergenza aiuta a leggere i fenomeni di ibridazione che vedono coinvolta la televisione e che si producono sia dal lato delle culture e delle pratiche di consumo sia dal lato delle tecnologie di comunicazione. Più di un quarto di secolo fa i ricercatori del MIT intercettavano questa tendenza evolutiva – la convergenza – che stava progressivamente

[...] rendendo indistinte le linee tra i media, anche tra le comunicazioni punto-punto - come posta, telefono e telegrafo - e le comunicazioni di massa - come stampa, radio e televisione. Un

singolo mezzo fisico - sia esso un filo, un cavo o delle onde radio - è in grado di trasportare servizi che in passato erano distribuiti separatamente. Allo stesso tempo, un servizio che in passato era reso disponibile attraverso un solo medium – come il broadcasting, la stampa o il telefono - può ora essere distribuito attraverso diverse distinte modalità fisiche. Pertanto la relazione one-to-one che era solita esistere tra un medium ed il suo utilizzo si sta erodendo (De Sola Pool 1983, p. 23).

La diffusione delle tecnologie di rete sotto protocollo IP (Internet) e la conversione dei formati analogici in formati digitali consente una decisiva accelerazione del processo di convergenza e assicura una ambiente tecnologico tendenzialmente integrato che ospita progressivamente tutti i media e consente l’erogazione di tutti i servizi. Sulle reti digitali (wired e wireless) possono viaggiare insieme (indifferentemente) voce, dati e televisione (triple play) e il canale di comunicazione è intrinsecamente bidirezionale: consente cioè una relazione uno a uno (non importa se di tipo client-server o di tipo peer-to-peer) tra ciascun nodo della rete, rendendo potenzialmente interattivo ogni singolo device connesso. Nella prima fase di diffusione di massa, le tecnologie di rete hanno fatto perno sostanzialmente su un solo terminale in grado di trattare informazione e di connettersi alle risorse Internet: il personal computer, che non a caso si è trasformato in una macchina complessa e polivalente in grado di gestire sia i media (fotografia, cinema, radio, tv) sia la comunicazione interpersonale (in formato testo, audio o audiovisivo).

Il processo di convergenza ha dunque imposto una progressiva “computerizzazione della cultura” e ha dato una nuova forma all’organizzazione, ai generi e ai contenuti culturali “transcodificandoli”, cioè declinandoli secondo le specifiche modalità attraverso le quali il computer consente di rappresentarli in forma di “dati” e di manipolarli mediante la sua interfaccia.

Le categorie e i concetti culturali – scrive Manovich - vengono sostituiti, a livello di significato e/o di linguaggio, da nuove categorie e da nuovi concetti che derivano dall’ontologia, dall’epistemologia e dall’uso del computer (Manovich 2001).

La profondità del processo di “computerizzazione della cultura” è visibile non solo nelle interfacce degli altri dispositivi (Tv e Personal Video Recorder, smartphone, console, music player, etc.) che, per effetto della convergenza, sono stati progressivamente connessi alle risorse di rete, ma soprattutto nei comportamenti degli utenti e negli stili di relazione in rapporto alle risorse mediali che, quasi per trascinamento, assumono il paradigma dell’interattività. Il personal computer sta perdendo progressivamente la sua centralità anche se tutte le altre tecnologie mediali implicate nel processo di convergenza stanno assumendo caratteristiche proprie in origine della macchina che funge da archetipo nel trattamento dell’informazione.

Il processo di convergenza attraversa il confine dei distinti media originari perché favorisce

il flusso di contenuti attraverso più piattaforme mediali, la cooperazione tra più industrie dei media, e il comportamento migratorio delle audience mediali che vanno praticamente ovunque alla ricerca delle esperienze di intrattenimento che desiderano (Jenkins 2006)

L’innovazione tecnologica a cui ci stiamo riferendo non ha affatto comportato la scomparsa dei “vecchi” media, come la televisione, perché

i vecchi media non muoiono mai - e non scompaiono neppure. Ciò che muore sono semplicemente gli oggetti (tools) che utilizziamo per accedere ai contenuti mediali – l’otto pollici, i nastri Betamax». La confusione interpretativa sulla scomparsa dei vecchi media deriva dall’uso di un «modello dei media che lavora su due piani: nel primo, un medium è un set di tecnologie che abilitano la comunicazione; nel secondo, un medium è un set di "protocolli" associati - o di pratiche sociali e culturali che si sono evolute attorno la tecnologia ... I

sistemi di distribuzione non sono altro che tecnologie: i media sono anche sistemi culturali (Jenkins 2006, pp. 13-14).

La convergenza di fatto agisce su entrambe le dimensioni, rendendo obsolete, per quanto riguarda la televisione, tecnologie di diffusione tradizionali – come nel caso dell’attuale switch over del sistema analogico – e consentendo lo sviluppo di nuove pratiche di consumo culturale – come nel caso delle tecnologie di time shifting attraverso i PVR, che tendono a aggirare la rigidità del palinsesto della tv lineare. La transizione verso sistemi digitali può lasciare quasi del tutto inalterata la caratterizzazione di tipo broadcast del medium televisivo – come accade nella televisione digitale, satellitare, terrestre o mobile DVB-H – oppure intaccare radicalmente tali presupposti, passando a sistemi di tipo on demand, come avviene nelle piattaforme interattive che poggiano sulle reti sotto Internet Protocol e possono rapportarsi alle culture di tipo partecipativo che in tali ambienti si sono sviluppate.

L’ampia diffusione di dispositivi televisivi digitali, i programmi di switch-off della trasmissione analogica per la televisione terrestre, il consolidamento della televisione satellitare, ma anche l’esplosione del consumo di video online (nei soli Stati Uniti a maggio 2010 sono stati visualizzati più di 33 miliardi di video in rete1) e la crescita (a livello tecnico e di offerta) dei servizi di Video on Demand (VOD), hanno spinto sempre più il mercato e i player, a tutti i livelli, verso soluzioni ibride di arricchimento e integrazione dell’offerta televisiva usando connettività a banda larga. Questa dinamica ha subito un’accelerazione negli ultimi 12/18 mesi e nel 2010, secondo le

 

1 ComScore Releases May 2010 U.S. Online Video Rankings - http://goo.gl/nxyn

stime di IMS Research per Informitv2, saranno commercializzati sul mercato circa 90 milioni di dispositivi (televisori, lettori ottici e set top box) che consentono l’accesso a servizi o contenuti attraverso connessioni broadband, con una proiezione per il 2013 di quasi 230 milioni di pezzi distribuiti nell’anno.

 

 

 

2 William Cooper - Presentazione Connected TV Summit 2010 (18 maggio 2010, Londra) - Chairmans Introduction - Informitv

 


1. Tassonomia delle televisioni su IP e su web e scouting delle case history internazionali

1.1. C’era una volta uno schermo

Il processo di convergenza, come era prevedibile, non lascia emergere una sola forma di “televisione” ma una pluralità di forme ibride che per lungo tempo continueranno a convivere nel panorama mediale e nelle abitudini di consumo degli spettatori con le modalità televisive più tradizionali3.

Per distinguere analiticamente gli scenari in rapida evoluzione possiamo utilizzare la distinzione broadcast/interactive (on demand) che consente di osservare come un medium provi a reinterpretarsi, ibridandosi con caratteristiche (linguaggi, estetiche) che finora hanno contraddistinto i sistemi interattivi e le tecnologie di rete. L’unica componente tecnologica che influisce direttamente sulla forma mediale “televisione” è la presenza e la relativa affidabilità del “canale di ritorno”: cioè della possibilità di considerare il terminale televisivo (temporaneamente attraverso un modem o costitutivamente mediante un allaccio a banda larga) come un nodo di rete (Internet), che consenta l’accesso a servizi interattivi in remoto e l’indirizzamento di un flusso dati differenziato per ogni singolo device connesso.

Ad una estremità del continuum si collocano i sistemi di diffusione (delivery system), come la tv digitale terrestre (DVB- T), la tv satellitare (DVB-S), o la tv via cavo (CA-TV) che tendono a mantenere inalterata la forma medium broadcast (unidirezionalità del mezzo) ed impiegano il “canale di ritorno”

3 Utili per decifrare le trasformazioni dell’ambiente televisivo i testi di Scaglioni e Sfardini (2008); Colombo e Vittadini (2006); Di Chio (2006); Palmer (2006).

solo per limitate funzioni interattive, legate normalmente al potenziale coinvolgimento degli utenti (quiz, sondaggi) o alla valorizzazione di una specifica manifestazione di interesse per prodotti e servizi (interactive advertising + CRM, ed anche servizi di T-government). Più frequentemente, in questi sistemi di diffusione televisiva, l’interattività è “simulata” e avviene attraverso una forma di dialogo “in locale”, sfruttando la funzione di memoria temporanea di cui dispone il terminale (tv e/ set top box) e una alimentazione dei dati a “loop”, come avviene nel “vecchio” Televideo. Nonostante le limitazioni tecnologiche, sono molte le nuove possibilità di esperienza televisiva (enhanced broadcasting) che si presentano allo spettatore armato di un telecomando solo lievemente più complesso del tradizionale, soprattutto se il set top box dispone anche di un sistema di videoregistrazione digitale (PVR).

In primo luogo, in presenza di una offerta di canali smisurata e incontrollabile, i sistemi di Electronic Programming Guide (EPG), anche gestiti attraverso altri dispositivi on line (PC, telefono) per le funzioni di PVR, rappresentano una concreta e agevole possibilità per rintracciare e valorizzare i contenuti che si preferiscono. I meccanismi di rotazione con cui vengono costruiti i palinsesti dei canali digitali, abbinati alla funzione di time- shifting del PVR, consentono una considerevole rottura dell’esperienza di “appuntamento orario” propria della televisione tradizionale e una efficace personalizzazione nella visione dei contenuti. Il TiVo negli Stati Uniti è stato il precursore di questi sistemi: lanciato nel 1999 è arrivato a raccogliere fino a 4 milioni di utenti/abbonati (2007) per poi attestarsi intorno ai 2,5 milioni (dati del luglio 2010). Nel Regno Unito, invece, a imporsi, nel mercato e nelle abitudini di consumo, è stato il servizio PVR dell’emittente satellitare BSkyB, lanciato nel 2002, così come in

Italia dove dal 2005 è approdato il sistema MySky di Sky evolutosi nel 2008 in MySky HD, compatibile con lo standard dell’Alta Definizione (1920px1080p).

In secondo luogo, il ricorso a funzioni multiscreen nei canali all news (Sky Tg 24, Rai News 24), per gli eventi sportivi (calcio, F1) o per i reality (Grande Fratello), abitua gli spettatori a forme di autonoma gestione del flusso di informazioni o della regia televisiva. In terzo luogo, la possibilità di gestire televideo digitali molto più efficaci, graficamente accattivanti, rapidamente sfogliabili con i numeri o i tasti funzione del telecomando, consentono lo sviluppo di una molteplicità di servizi aggiuntivi che possono essere associati al contenuto audiovisivo messo in onda o costituire un applicativo stand alone, sempre in linea. Le possibilità, da questo punto di vista, sono infinite e possono essere valorizzate per i servizi di news, la comunicazione pubblicitaria, le informazioni e i servizi di pubblica utilità, l’arricchimento dell’esperienza di fruizione di contenuti game, reality o fictional (schede sui personaggi, sinossi, quiz, etc.)

L’attivazione del “canale di ritorno” in queste forma di televisione è molto ridotta, quasi residuale, perché l’autonomia dello spettatore non deve spingersi oltre i confini rigidamente assegnati dall’emittente, funzionali a piccole opzioni come l’invio di dati personali per aggiudicarsi una offerta personalizzata (gadget, concorsi, etc.) normalmente legata alla comunicazione pubblicitaria, la partecipazione a sondaggi, la scommessa su un evento sportivo.

All’estremo opposto del continuum, in cui la televisione tende a trasformarsi in un nodo di rete Internet, troviamo una serie di forme estremamente differenziate – e in buona parte ancora

embrionali – che sono destinate quasi indifferentemente al personal computer o a varie forme ibride (media center, net tv) che concorrono a riformulare l’esperienza televisiva. Più specificamente destinati a device televisivi sono i servizi di IPTV, che rappresentano una componente strategica dell’offerta triple play delle società di TLC e possono essere impiegati sia per la funzione di re-broadcasting di canali lineari (a palinsesto) sia per l’accesso autonomo on demand alle libreries di contenuti (film, fiction, sport, etc.). Il “canale di ritorno”, in questi casi, non solo è sempre attivo (il terminale è connesso a rete IP) ma è anche, in alcuni tipologie di device, il canale di trasmissione da cui passano i contenuti e i servizi televisivi. La distinzione fondamentale riguarda la tipologia di rete IP – chiusa o aperta – che dà accesso ai servizi di tipo televisivo e che, almeno fino ad ora, ha determinato il terminale di prevalente destinazione (TV e/o PC). La distinzione tra chiusura e apertura della rete si traduce, in termini di erogazione del servizio, nella differenziazione tra reti managed, controllate e sostenute economicamente dagli operatori Telco e dai fornitori di contenuti a pagamento, e reti basate sul principio del best effort, in base al quale il transito dei contenuti avviene sfruttando nel miglior modo possibile le disponibilità della rete.
Nel caso delle reti managed gli operatori si assumono l’onere di garantire la qualità del servizio (QoS), condizione indispensabile all’offerta di contenuti a pagamento, mentre le reti cosiddette ‘aperte’ sono strutturalmente dipendenti dal traffico contingente, motivo per cui la qualità del servizio non può essere prestabilita. Entrambi i modelli sono comunque riconducibili ai metodi e le politiche network management e costituiscono le pietre di paragone dell’emergente dibattito sulla net neutralità e la costruzione del cosiddetto next generation network, vale a dire l’assetto di rete necessario per lo scenario televisivo alle porte.

Fig. 1 Tassonomia dei modelli televisivi emergenti

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1.2. Istantanee sui modelli televisivi emergenti

I delivery system a rete chiusa prendono il nome di IPTV, sono attivati su allacci utente univocamente identificati, normalmente su una specifica area territoriale, e sono caratterizzati da una qualità del servizio garantita (risoluzione di tipo televisivo a schermo pieno o high definition) e dalla protezione dei contenuti. Si stanno diffondendo in molti Paesi in funzione della disponibilità di connessioni broadband, perché consentono una efficace valorizzazione dei contenuti sulla base di modalità di tipo pay (abbonamenti e pay per view) e vengono incontro alle abitudini di consumo di un’utenza sempre più interessata a costruire in totale autonomia il proprio palinsesto.

Fig. 2 Interfacce IPTV FastwebTV (Italia) e OrangeTV (Francia)

IPTV

L’IPTV è un sistema di diffusione, sia on demand sia in modalità live streaming, di contenuti audiovisivi (e più in generale multimediali) che sfrutta il protocollo IP (Internet Protocol) e la connessione a banda larga. L’infrastruttura di rete, gestita dagli operatori Telco, consente un accesso controllato e di norma subordinato a un abbonamento: gli operatori erogano il servizio come opzione aggiuntiva rispetto alla tariffa flat per la fornitura di connettività (adsl o fibra ottica) e dotano l’utente di un apposito set top box (spesso ibrido, cioè adatto anche alla TV DTT) per la ricezione del segnale. In virtù di questo modello, la qualità del servizio offerto risulta essere generalmente elevata, dal momento che gli operatori possono riservare ai propri abbonati una porzione di banda che garantisce un servizio soddisfacente anche nelle condizioni di congestionamento della rete.
Dopo la sospensione della propria IPTV da parte di Tiscali alla fine del 2008, in Italia sono attualmente tre gli operatori che offrono soluzioni di IPTV:
• Fastweb (TV di Fastweb)
• Telecom Italia (IPTV di Telecom Italia, ex Alice Home TV)
• Infostrada (Infostrada TV)
L’Europa Occidentale è l’area che conta più utenti di servizi IPTV (44,2% delle sottoscrizioni nel mondo); il Paese europeo che vanta i livelli di diffusione più elevati, anche su scala globale, è indubbiamente la Francia, seguito a significativa distanza da Stati Uniti e Cina; l’Italia, ottavo mercato mondiale, è allineata a Paesi come la Spagna e il Belgio (meno di 1 milione di abbonati).

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: Point Topic ltd. (Giugno 2010)

I delivery system aperti (in alcuni casi denominati web TV) hanno origine nei servizi di Internet video streaming fruiti da personal computer in ambiente web e sono caratterizzati dalla dimensione tendenzialmente globale (sopranazionale), dalla qualità del servizio non garantita (dipendente dalla tipologia di connessione e dalla qualità originaria dell’audiovisivo), dalla relativa indifferenza del gestore rispetto all’identificazione dell’utilizzatore finale (a volte non è richiesta nemmeno l’iscrizione) e alla protezione dei contenuti.

WEB TV

Con questa etichetta si indica genericamente l’offerta di contenuti televisivi nell’ambiente web (siti e portali). La web TV presuppone dunque una fruizione “PC-centrica”, assistita dall’utilizzo di mouse e tastiera. I contenuti, che possono essere sia professionali/industriali sia amatoriali, hanno un livello qualitativo variabile, così come variabile è il servizio ricevuto dall’utente (dipende principalmente dallo stato del traffico della rete). A differenza della IPTV, che viene erogata su una parte di Internet che le viene appositamente riservata (appunto tramite il protocollo IP), la Web TV è raggiungibile attraverso qualunque dispositivo in grado di accedere liberamente al Web sfruttando il protocollo http (Hypertext Transfer Protocol), indipendentemente dal fornitore di connettività (operatore telco).

Molte sono le forme che la Web TV può assumere, risultanti dalle diverse combinazioni di modalità trasmissive lineari (live streaming) e/o on demand e dall’organizzazione e gestione dei contenuti audiovisivi (produzione e trasmissione diretta e/o mediazione ad opera di aggregatori terzi rispetto alla produzione dei contenuti stessi).

Fig. 3 Homepage di Revision3 e Justin TV

Finestra di approfondimento: Web TV

Revision3 è un vero e proprio network televisivo che trasmette sul web. Revision3 crea, produce e distribuisce contenuti di web television destinati a micro-pubblici di nicchia.
Il nome, a detta dei fondatori Jay Adelson e David Prager, si riferisce alle evoluzioni dei contenuti video, partendo dalla televisione terrestre come punto zero. La prima revision è rappresentata dalla televisione via cavo per la moltiplicazione dell’offerta di canali che ha generato. La seconda revision è quella della fruizione attraverso PC collegati a internet di video e film indipendenti, senza un modello di business definito, audience minimali e poca fidelizzazione. La terza e ultima revision è quella finale della convergenza tra TV e Internet, cioè quel processo che attraverso la diffusione sempre più massiccia della banda larga e dei device internet- enabled (media center, smartphone, consoles, etc) permette alle audience di massa di accedere anche a diversi contenuti on demand e/o di nicchia.
L’azienda è stata fondata a Los Angeles nell’Aprile 2005 sulle ceneri dell’emittente via cavo TechTV, un canale dedicato all’informazione e a spettacoli su computer, tecnologia e internet. E Revision3 ha sicuramente ereditato quest’anima profondamente tecnologica, pensando e producendo programmi o propriamente dedicati a tutto ciò che è tech, o comunque riconducibili ai gusti di un pubblico geek.
Al momento Revision3 produce 26 shows e li distribuisce, oltre che sul proprio sito web (revision3.com), anche attraverso un’ampia gamma di piattaforme e partner commerciali: Youtube, BitTorrent, CNET TV, Virgin America, iTunes, Miro, TiVo e Zune.
Il modello di business di Revision3 è basato quasi esclusivamente sugli investimenti pubblicitari, potendo contare su numeri decisamente ingenti: oltre 200 mila visitatori unici medi mensili (fonte: statshaolic.com), 6 milioni di downloads ogni mese (fonte: revision3.com) e oltre 70 milioni di views nell’anno 2009 per circa 1,5 miliardi di minuti di video distribuiti (fonte: mashable.com)

Finestra di approfondimento: Web TV

Lanciato nel marzo 2007, Justin TV è un servizio Web che consente agli utenti di diffondere e vedere contenuti in live streaming.
La principale vocazione del servizio è di favorire la realizzazione di user generated content: in una prima fase ciò si è manifestato nel cosiddetto lifecasting, ossia la trasmissione via webcam, 24 ore al giorno, della vita del suo fondatore, Justin Kan. Entro breve tempo, Justin TV è però passato a una fase più evoluta, trasformandosi in una vera e propria piattaforma di streaming video, aperta anche all’utilizzo di dispositivi mobili, con migliaia di canali e numerose categorie (People & Lifecasting, Enterntainment, Sports, Music & Radio, Gaming, ecc.). Sebbene la qualità delle immagini video sia generalmente medio-bassa per via delle apparecchiature di ripresa (webcam, smartphone) e la consistenza numerica dei canali sia molto variabile (dipende dal numero di utenti connessi che trasmettono in un certo momento), ciò non ha impedito a Justin TV di espandersi e raggiungere in due anni cinque milioni di utenti registrati (dati all’aprile 2009 resi noti da Justin TV) e di porsi, secondo Quantcast, fra i primi cinque siti di online video nel mondo per global network traffic.
L’assoluta libertà degli utenti di puntare l’obiettivo potenzialmente ovunque e su qualunque cosa, ha fatto sì che emergessero, quasi immediatamente, problematiche di carattere legale riguardo ai contenuti trasmessi, come nel caso della pornografia o della violazione di diritti di esclusiva (ad esempio, è sufficiente puntare l’obiettivo su un televisore che trasmette la pay TV per rendere visibili quei contenuti potenzialmente a chiunque in maniera gratuita). Rispetto a quest’ultima criticità, Justin TV ha iniziato a impiegare filtri per rilevare e impedire la trasmissione di contenuti illegittimi.

Pur non essendo strettamente riconducibili alla definizione di Web TV, l’ambiente web è costellato anche di siti/portali che sono di fatto aggregatori, anche se non esclusivamente, di contenuti prodotti dagli utenti (User Generated Content).

 

Servizi televisivi di questo tipo generano un traffico considerevole sulla rete, possono essere condivisi attraverso le piattaforme di social network e assorbono risorse di tempo e attenzione crescenti da parte dei giovani, sottratte in larga parte alla TV tradizionale (Jones, Fox 2009).
Tra questi il più importante, dal punto di vista dei numeri di traffico e delle innovazioni che continua a produrre, è sicuramente YouTube. Lanciato nel 2005 negli Stati Uniti, nel 2006 viene acquistato da Google per oltre 1,6 miliardi di dollari e

in 5 anni è sbarcato in 23 Paesi e tradotto in 24 lingue. Nel 2010 sono stati superati i 2 miliardi di views in un giorno e si è stimato che vengono caricate, ogni minuto, 24 ore di nuovi video, ma un dato curioso, ma molto interessante, è quello che fa notare come vengano caricati più video su YouTube rispetto a quelli che i tre maggiori network televisivi americani hanno creato in 60 anni.
YouTube è un network televisivo mondiale, una stazione radiofonica internazionale, ma anche un gigantesco album di famiglia globale. Un aggregatore che ha saputo tener testa alle richieste dei titolari dei diritti di contenuti, diventando anzi uno straordinario monetizzatore di contenuti e spazi pubblicitari.
Un mega media, dunque, che ha saputo non morire di copyright ed ha compreso da tempo come sia necessario andare oltre il consumo lean forward di short form. Infatti, proprio nell’estate 2010, è stata lanciato il servizio Lean Back, un’interfaccia di accesso alternativa ai video pensata per chi guarda YouTube dal proprio divano di casa: i video vengono riprodotti a tutto schermo senza interruzione,non c’è bisogno del mouse, bensì di soli 5 tasti del telecomando della tv. Inoltre, dalle pagine del Financial Times di agosto, si è appreso dei probabili accordi di Youtube con le major di Hollywood per lanciare il portale nel mercato dei film a noleggio: un piccolo ecosistema in pay-per- view. E ancora gli esperimenti per la trasmissione in diretta, dal concerto degli U2 dell’ottobre 2009 (10 milioni di utenti connessi) al beta testing di Live on YouTube, servizio di live streaming, il 13-14 settembre 2010.
Tutte azioni convergenti, innovazioni che rispondono a innovazioni, per posizionarsi nella maniera migliore nel nuovo scenario della connected TV e conquistare un posto anche nella dieta mediatica del divano. Ma i tradizionali padroni del divano, i broadcaster, non stanno certo a guardare.

Negli USA, a partire dal 2008, gli operatori televisivi tradizionali (FOX, NBC, ABC, Turner, Nikleodeon) hanno organizzato una loro offerta, alcuni raccolti sotto l’aggregatore di contenuti Hulu, che hanno aperto autonomi servizi di video streaming attraverso i quali sono stati rilanciati contenuti messi in onda dalle diverse emittenti e sono state attivate strategie di fidelizzazione rispetto alle fan audience delle serie TV (contenuti aggiuntivi, etc.). Anche i broadcaster europei si stanno rapidamente attrezzando per rendere disponibile la loro programmazione on demand in video streaming. Queste nuove forme di riproposizione dei contenuti televisivi sul web sono identificate con l’etichetta di Catch-up TV. I servizi di catch-up TV scardinano la tradizionale rigidità del modello a palinsesto e vanno incontro alle nuove abitudini di consumo sempre più orientate al personal scheduling.



Fig. 4 Interfacce: BBC iPlayer, Rai.tv, Hulu

Finestra di approfondimento: Catch-up TV

iPlayer la creazione con cui il principale broadcaster inglese, BBC, ha probabilmente dettato le coordinate di riferimento per le altre TV pubbliche d’Europa in fatto di offerta di contenuti al di fuori dello schermo del televisore. Lanciato alla fine del 2007 e perfezionata nel 2008, iPlayer consente ai cittadini britannici di fruire dei contenuti BBC in un’ottica integrata e multipiattaforma. In ambiente Web, all’utente è consentito, oltre a visualizzare in diretta i programmi BBC in onda sul DTT (simulcast), accedere ai contentuti secondo due diverse modalità catch-up: in streaming “click to pay” oppure in download.
Tuttavia, iPlayer non si limita a questo: il suo modello operativo è multi-piattaforma e si concretizza in almeno venti diverse versioni dell’applicazione iPlayer realizzate per consentirne l’utilizzo su un ampio ventaglio di piattaforme e dispositivi (IPTV, TV via cavo, console, dispositivi mobili, ecc.).
A fronte di questa disponibilità estesa e traversale, il “modello” della catch up TV della BBC ha avuto un riscontro decisamente convincente dal punto di vista delle audience e del consumo. A gennaio 2010 risultano 120 milioni di richieste di contenuti TV e radio attraverso le differenti declinazioni di iPlayer.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: BBC.

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Finestra di approfondimento: Catch-up TV

Nel 2007 il broadcaster pubblico RAI ha rinnovato la propria Web TV, fino ad allora denominata Rai Click, attivando Rai.tv. L’azione portata avanti da RAI segue il tracciato intrapreso anche dai principali broadcaster pubblici nel mondo, vale a dire offrire anche sul Web la propria offerta di contenuti, a cui si può accedere sia in live streming sia in modalità catch-up.
L’utente ha a disposizione diverse opzioni di fruizione:
a) il live streaming nella sezione “diretta TV”, che permette la visione dei canali in onda sulla DTT (per un totale di 16 canali);
b) lo streaming on demand, in virtù del quale l’utente ha la possibilità di selezionare un contenuto audiovisivo (la puntata di un programma, di una fiction, l’edizione di un TG, ecc.) e visualizzarlo attraverso un apposito player integrato nel sito;
c) canali Web tematici, creati specificamente per il Web e composti da clip tratte dalla programmazione RAI e organizzate in palinsesto. I 18 canali tematici attualmente disponibili si possono fruire i modalità flusso oppure attraverso la selezione di un determinato contenuto dal quale far partire il palinsesto;
d) download (podcast) gratuito di alcuni contenuti, direttamente dal sito, oppure tramite feed RSS. In una apposita sezione, infine, vengono raccolti i contenuti disponibili in alta definizione.
Il bacino di utenti di Rai.tv è in progressivo aumento. Al 2009, si registravano:
• 40.000 utenti medi giornalieri per le dirette;
• 9.000 utenti medi giornalieri per i canali Web tematici (fonte: Sipra).

Finestra di approfondimento: Catch-up TV

L'iniziativa Hulu viene annunciata nel marzo del 2007, ma viene lanciata definitivamente il 12 marzo del 2008. Il servizio nasce da una joint venture capital tra i due grandi gruppi media NBC Universal e News Corp, ricevendo fondi anche da Providence Equity Partners per un importo pari a 100 milioni di dollari e il 10% di azionariato.
Il nome Hulu viene da un proverbio cinese che significa "detentore di cose preziose". Il servizio, infatti, offre interi film e spettacoli televisivi, soprattutto di NBC e Fox e di altre reti via cavo (Comedy Central, PBS, USA Network, Bravo, Fuel TV, FX, SPEED Channel, Sci Fi, Style, Sundance, E!, G4, Versus e Oxygen), con una risoluzione nettamente superiore di quella offerta da altri portali di online video (Youtube).
I video pubblicati su Hulu sono visibili anche su altri network come AOL, MSN, MySpace, Yahoo e Fancast.com. Hulu offre episodi interi o parti di essi da oltre 400 trasmissioni televisive ospita oltre 100 produzioni cinematografiche con un'offerta che include sia i grandi classici sia i film più recenti. Secondo i dati Comscore, dal 2009 Hulu è ormai stabilmente al secondo posto dopo Youtube, negli Stati Uniti, per quanto riguarda i video visti in un mese (oltre 1 miliardo contro gli oltre 6 di Google), ma soprattutto è al primo posto per quanto riguarda il dato sugli spot visti nel portale (quasi 800 milioni). Non a caso il modello di business iniziale era quello del free+advertising, ma da giugno 2010 Hulu ha anche lanciato un servizio a sottoscrizione mensile (9,99 $ al mese), chiamato Hulu Plus, che in sostanza permetterà alle platee statunitensi di avere un accesso più completo ai propri telefilm preferiti: intere stagioni a pagamento, quando prima era possibile vedere gratis soltanto gli ultimi cinque episodi. Hulu manterrà questa limitata soluzione free, ma con il servizio Plus presenterà non soltanto un'offerta più sostanziosa, ma anche una compatibilità con i più svariati dispositivi: dalla gamma Apple, alle connected TV Samsung, alle consoles.

La spinta a integrare contenuti provenienti dal mondo del cosiddetto online video nell’ambiente televisivo sta producendo, da un lato, la messa in commercio di device flat screen dotati di scheda di rete e browser e abilitati a forme più o meno ampie di accesso a contenuti di origine web; dall’altro, la progressiva conversione di contenuti a bassa qualità, destinati allo schermo PC, in contenuti di qualità video elevata facilmente fruibili con una interfaccia semplificata idonea per lo schermo televisivo. In questa sperimentazione sono potenzialmente coinvolti tutti i produttori di hardware che perseguono l’obiettivo di trasformare il televisore in una delle componenti delle piattaforme di gioco online, per la fruizione di contenuti mediante supporti a alta definizione (Blu Ray Disc) o come schermo principale per la fruizione di contenuti scaricati sulle altre macchine digitali dell’ambiente domestico o acquistati da servizi online.



Fig. 5 Schema dei dispositivi abilitanti della Over The Top TV

 

 

Fig. 6 La Over the Top TV in una prospettiva cross device


Fig. 7 Interfacce: Vudu, Yahoo! Connected TV, Boxee, Sky Player su XBox

Fig. 8 Revue Box (immagine promozionale piattaforma Google TV)

Finestra di approfondimento: over the top TV

Vudu è un servizio di video on demand disponibile su televisori e Blu-ray/DVD player di Samsung, LG, Vizio, Mitsubishi, Sanyo, Sharp e Toshiba (ovviamente dotati di sistemi di connessione broadband), ma è equipaggiato anche su due set top box proprietari (Vudu Box e Vudu Box XL) che permettono sia lo streaming che il download dei film che si decide di acquistare.
Lanciato negli Stati Uniti nel 2007 dalla Vudu Inc, fondata tra gli altri da Alain Rossmann (creatore del protocollo WAP), il servizio è partito con una library di circa 5.000 titoli disponibili, per arrivare ad offrirne oggi circa 20.000 (tra film, show e serie tv), di cui oltre 3000 disponibili in Alta Definizione. L’Alta Definizione è il vero punto di forza del servizio, che può vantare un formato proprietario (HDX) che consente di ottenere un file con una qualità video prossima a quella della tecnologia Blu-Ray, ma con una dimensione che consente download o streaming rapidi anche con connessioni a banda larga modeste.
Vudu ha sottoscritto specifici contratti di sfruttamento dei video sia con le majors, sia anche con 50 piccole case di produzioni indipendenti: un film affittato può rimanere nei Vudu Box fino a 30 giorni prima di essere visto. Il modello di pricing di Vudu è quello del Pay per View puro, si noleggia (o si acquista) il singolo film da un minimo di 0.99 $ ad un massimo di 5.99 $.
Vudu, nell’ultimo anno, ha esteso le sue capacità diventando una vera e propria piattaforma di applicazioni che permettono di fruire contenuti web sulla TV del salotto (Youtube, Flickr, Picasa, Revision3 tra gli altri), ma anche svariati programmi di emittenti televisive (MTV, NBC, CNN, Discovery Channel).
A febbraio 2010 Vudu è stata acquistata da Walmart, gigante della grande distribuzione americana interessato sia alla vendita di elettronica di consumo, sia al noleggio e vendita di film.

Finestra di approfondimento: over the top TV

Per certi versi, Connected TV di Yahoo! è il primo tentativo di integrazione tra mondo TV e mondo di Internet che punta a una sorta di “esperienza televisiva aumentata”.
La logica sottesa a questo modo di intendere la fruizione televisiva è ispirata – se non mutuata – dal mondo mobile, e più precisamente all’utilizzo di widget, ossia delle applicazioni compatte che si presentano all’utente come elemento grafico dell’interfaccia dashboard (letteralmente “cruscotto”) del televisore.
Yahoo! definisce infatti questo modello ‘widget TV’ e, grazie ad esso, sta conquistando importanti spazi di mercato attraverso gli accordi con alcuni importanti produttori dei televisori Internet-enabled (Sony, Samsung, LG, Vizio).
Il ricorso ai widget sta portando un numero sempre maggiore di contenuti e di servizi della Rete (da Twitter a Facebook, da eBay a Flickr, da Amazon Video On Demand ai risultati sportivi di USA Today) direttamente sullo schermo televisivo delle famiglie.
La ratio alla base dell’impiego dei widget è la semplicità e la non invasività, poiché spesso sono incorporati in un layer semitrasparente dell’interfaccia del televisore: attraverso i tasti di navigazione del telecomando si può selezionare il widget desiderato e arricchire la fruizione.

Finestra di approfondimento: over the top TV

Boxee viene lanciato nell’estate del 2008 come un avanzato media center, ma arriva ad evolversi fino a diventare un vero e proprio servizio di Over the Top TV nell’estate 2010. Boxee nasce come una soluzione software open-source multi- piattaforma HTPC (Home Theater PC) da installare sui personal computer, ma già è pensato per chi nel 2008 cominciava a collegare il PC allo schermo televisivo per arricchire le proprie possibilità di visione. Boxee, infatti, è capace sia di gestire i file multimediali presenti nel computer, sia di rendere disponibili contenuti presenti sul web come veri e propri widget/canali. Dai video di Youtube a quelli della CNN, dagli spettacoli di BBC e ABC ai contenuti di Revision3 e CNET, attraverso un’interfaccia molto semplice e intuitiva (vedi figura), Boxee organizza i contenuti o attraverso speciali connessioni ai servizi (come nel caso di Youtube), oppure attraverso una lista preselezionata di canali podcast usando generici feed RSS (ad esempio quelli di BBC news).
Sin dal suo lancio Boxee è stato definito e promosso come il primo vero Social Media Center, vista la sua vocazione all’integrazione dei più diffusi social network per commentare e consigliare i contenuti ai propri amici. E proprio l’attenzione cresciuta tra social network e forum di utenti è stata una delle leve che ha spinto i produttori di elettronica di consumo a interessarsi a Boxee. A cavallo dell’estate 2010 è stato lanciato il Boxee Box della D-Link, un media center, da collegare direttamente alla TV attraverso l’uscita scart o HDMI, basato su sistema operativo Linux e che equipaggia la piattaforma Boxee. Attraverso un controller evoluto, dotato anche di una mini tastiera, per 199,00 $ il Boxee Box promette di portare il meglio di Internet sul televisore. Dal luglio 2010, inoltre, Boxee ha affiancato all’offerta totalmente gratuita anche contenuti pay, acquistabili attraverso micro- pagamenti online. Dal punto di vista societario, Boxee è di proprietà di una joint venture che comprende tra gli altri General Catalyst Partners, Union Square Ventures, Spark Capital e Globis Capital Partners.

Finestra di approfondimento: over the top TV

Si legge nei numeri che le games consoles costituiscono oggi una delle soluzioni abilitanti per la TV connessa più immediate, vista la familiarità degli utenti con questi dispositivi e la loro vocazione “naturale” alla connessione alla Rete. Infatti, secondo Screen Digest alla fine del 2010 più di
20 milioni di Microsoft XBox 360, più di 20 milioni di Sony Playstation 3 e quasi 26 milioni di Nintendo Wii (per un totale di quasi 66 milioni di consoles) saranno attivamente connesse ad Internet. Dunque, le consoles si prestano perfettamente a veicolare servizi di Over The Top TV e tanti sono i servizi già attivi su questi device.
L’iPlayer di BBC, quindi la catch-up tv, è disponibile su tutte e tre queste console, attraverso widget e canali digitali, ma anche Hulu (nella sua versione Hulu Plus) è già presente sulle Playstation3 americane e nel 2011 sarà disponibile per la Xbox360 e su Wii. Altro servizio di VOD a pagamento presente su tutte e tre le consoles è Netflix, leader del noleggio postale di film negli Stati Uniti, che ha prontamente evoluto il suo business sullo streaming/download online puntando molto su queste piattaforme di gaming. Nel Regno Unito, l’emittente satellitare bSkyb ha lanciato lo Sky Player che oltre alla fruizione attraverso il sito web, dà la possibilità di accedere ad una serie di canali Sky anche attraverso il client installato nella Xbox 360. Soprattutto Sony, però, sta spingendo la PS3 in quest’ottica di porta d’accesso ai servizi Over The Top: i 38 milioni di account registrati al Playstation Network sono un mercato potenziale considerevole per distribuzione di contenuti video premium. Ad oggi negli Stati Uniti sono disponibili attraverso il Playstation Network 2.700 film e più di 16.000 episodi televisivi e punta ad espandere il servizio in Europa: non a caso durante l’ultimo Festival del Cinema di Cannes (maggio 2010) Sony Computer Entertainment Europe ha annunciato l'arrivo di MUBI, un nuovo servizio per PlayStation 3 che spalancherà per milioni di possessori di PS3 le porte del cinema internazionale, classico, indipendente e cult.

Finestra di approfondimento: over the top TV

Probabilmente Google TV, ora sul punto di essere lanciata, è destinata a segnare una tappa cruciale nell’ascesa delle Internet companies sul mercato televisivo. La mossa dell’azienda di Mountain View appare come la naturale e inevitabile evoluzione della storica acquisizione di YouTube nel 2006, grazie alla quale il gruppo ha potuto costruire un solida presenza nel campo dell’online video.
“Why can’t they work together?” è la domanda retorica posta da un video dimostrativo di Google TV. Perché Web e TV non possono essere messi insieme? La risposta di Google è che la comodità, la flessibilità, l’interattività che contraddistingue il primo possa, ed anzi debba, entrare nella televisione, viste le strutturali difficoltà della TV tradizionale di competere con la fruizione di contenuti audiovisivi sul web.
Sul piano operativo, il modello di Google TV si inscrive nell’ambito delle over the top TV: l’azienda ha già stretto accordi con importanti player del mondo dell’hardware (Sony e Logitech) per l’integrazione e la compatibilità dei loro apparecchi con la Google TV. Allo stesso tempo, quest’ultima rappresenta un ulteriore anello dell’integrazione verticale che la compagnia sta fortificando intorno al sistema operativo Android, già all’avanguardia nel segmento mobile ed ora al debutto anche nell’universo televisivo.

 

Infine, anche la televisione in mobilità si inserisce nel contesto evolutivo che abbiamo descritto, declinando secondo le specificità proprie del contesto d’uso le forme televisivo di tipo broadcast e interactive. Il processo di convergenza sta inondando il mercato con una pluralità di handhelded device che possono originare da una matrice di tipo telefonico - in cui lo schermo destinato all’audiovisivo diviene così ipertrofico da “cancellare” l’originario tastierino alfanumerico - o dalla progressiva miniaturizzazione del personal computer sia nella versione notebook sia nella versione tablet. In questi piccoli

schermi, nella maggior parte dei casi ormai sfogliabili con il semplice tocco delle dita (touch screen), si consuma una differente forma di sintesi tra l’esperienza tv di tipo broadcast e l’accesso ai contenuti on demand. La tecnologia di delivery si limita a accompagnare il processo predisponendo sia la modalità “tradizionale” mediante le trasmissioni in DVB-H, che garantiscono una riproposizione a qualità garantita del flusso televisivo, sia consentendo un accesso on demand e la massima personalizzazione dell’esperienza televisiva attraverso l’accesso unicast (IP anche su reti wi-fi e wi-max) ai repertori (anche) di origine web.
La condizione di mobilità incide ovviamente sui tempi di fruizione così come le dimensioni dello schermo retroagiscono sugli stili produttivi e di narrazione, favorendo la nascita di contenuti ad hoc (come i mobisodes) che possono o meno essere integrati con la produzione televisiva originaria. Lo schermo trasportabile assume sempre più una funzione complementare e contribuisce a comporre l’esperienza televisiva nella sua totalità piuttosto che rappresentare un nuovo canale distributivo. È sempre più l’hub personale per tutte le esperienze di tipo audiovisivo, indipendentemente dalla loro origine Internet o televisiva; prende vantaggio da una logica di pc-side loading che consente il trasferimento rapido di contenuti e, eventualmente, anche il loro successivo re-indirizzamento su uno schermo esterno di maggiori dimensioni. L’esperienza di live tv, tipica della forma broadcast - originariamente imposta con i terminali DVB-H dalle società di telecomunicazione - appare solo una delle tante diverse modalità possibili; certamente non l’unica e non la principale.
Anche la televisione in mobilità, dunque, sembra confermare le caratteristiche del nuovo ambiente di sintesi che sta rimodellando l’esperienza televisiva lungo il continuum broadcast/interactive. In questo ambiente i diversi schermi

sembrano coesistere e trovare forme di complementarietà che sono dettate dalle intenzionalità comunicative, dai comportamenti di consumo degli utenti, dalle pulsioni di tipo partecipativo, dalla capacità dei sistemi di trasmissione e delle interfacce utente di assecondare le nuove forme di esperienza.

Oltre che per le caratteristiche già approfondite, tutti i modelli descritti nelle pagine precedenti possono essere disposti su una mappa data dall’intersezione di due assi che misurano il grado di personalizzazione possibile e la modalità prevalente di offerta al pubblico. La gamma di alternative possibili è rappresentata dal grafico che segue.

Fig. 9 Mappa di posizionamento delle piattaforme TV rispetto a:
livello personalizzazione dell’offerta e modello di business (free/pay)

Tutti questi modelli televisivi sono le tessere di un mosaico che prefigura una nuova frontiera di consumo di contenuti audiovisivi che va consolidandosi attorno agli schermi sempre più comunicanti.


Fig. 10 I fattori complementari del nuovo consumo televisivo

DTT SAT Cavo IPTV Web TV (catch up) Over the Top TV Mobile TV
Rete managed managed managed Managed Unmanaged Unmanaged Managed
Hardware TV e TV+Set Top Boxes TV+Set Top Boxes TV+Set Top Boxes TV+Set Top Boxes PC, smartphone e altri devices web-connected TV + Set Top Boxes o Consoles o Media Center Dispositivi portatili abilitati (diversi standard a livello internazionale)
Tipologia di Flusso Lineare Lineare e non linearità simulata (Near Video on Demand) Lineare e/o non lineare Lineare e/o non lineare Prevalentemente non lineare, ma cresce anche il livestreaming dei broadcaster (multicast) Lineare e non lineare Lineare
Contenuti Canali professiona li Canali professionali Canali professionali Bouquet di canali lineari e cataloghi on demand Da UGC a contenuti dei broadcaster (professional) Da UGC a contenuti dei broadcaster (professional) Ritrasmissione di canali broadcast
Interattiv ità/Canal e di ritorno Interattivit à limitata, canale di ritorno minimo Interattività modesta (lineare), canale di ritorno minimo Interattività modesta, ma possibilità di on- demand, canale di ritorno poco sfruttato Forte Interattività legata ai contenuti on demand, canale di ritorno broadband Interattività media (catch-up TV) o alta (web tv), canale di ritorno broadband, sfruttato in maniera limitata per la catch-up TV Alta Interattività (dal commento, alla condivisione, alle transazioni), canale di ritorno broadband Interattività limitata, canale di ritorno presente (rete dati 2G, 3G, HSDPA), ma
non sfruttato
Business Model Free e PAY (Subscripti on e PPV) PAY PAY Subscriptions + PPV; Walled Garden Prevalentemente Free con pubblicità; da Walled Garden a Open Sea Free, Freemium, Subscription, PPV; da Walled Garden a Open Sea PAY
Criticità Scarsa competitivi tà rispetto alle altre piattaforme (assenza On Demand), nessuna apertura a UGC,
limitate prospettive sviluppo interattività nessuna apertura a UGC,
limitate prospettive sviluppo interattività Diffusione disomogenea a livello internazionale, limitate prospettive di sviluppo interattività, nessuna apertura a UGC, condizione di svantaggio competitivo rispetto a piattaforme emergenti Disponibilità geografica limitata, concorrenza di altre piattaforme su contenuti premium, forte integrazione verticale (possibile limitatezza di contenuti e servizi) Qualità del servizio e dei contenuti non garantita; problema crescente della neutralità della rete; necessità di competenze di navigazione di base Offerta estremamente frammentata di servizi; nessuno standard prevalente; problema crescente della neutralità della rete Copertura del segnale, limiti materiali del device (dimensioni schermo e autonomia batteria), costi elevati, insuccessi commerciali in fase di lancio

Tabella 1 Tavola sinottica dei modelli televisivi tra piattaforme vecchie e nuove

2. Modelli di contenuti e modelli di Business

2.1. Due idee per la TV locale: come sopravvivere agli
eventi e alle grandi produzioni

Prima di approfondire la questione dei modelli di business che mutano sulle tracce delle ibridazioni broadcast/broadband, è utile esplorare, seppur brevemente, esperienze internazionali che possano indicare percorsi di innovazione per quanto riguarda più strettamente la produzione dei contenuti, soprattutto per le emittenti locali.

Come nell’assetto della TV tradizionale convivono le finali olimpiche e le televendite prodotte nelle anguste redazioni delle televisioni locali, anche nel nuovo scenario possono convivere il concerto in diretta degli U2 su YouTube e un lifecasting su Ustream4 con qualche decina di distratti spettatori. La differenza è che le emittenti regionali hanno un modello economico noto, che si può riassumere in una sorta di filiera a “chilometro 0”: inserzionisti pubblicitari iper-territoriali per audience stracittadine. Il contenuto è povero, ma regge in un equilibrio consolidato seppur fragile. Ma per sfruttare le nuove opportunità della connected TV, anche come via di fuga dal rischio di “invisibilità” nel nuovo assetto del digitale terrestre, questo non basta.

I giovani talenti del digitale sovente e volentieri inventano concept geniali e spesso competenze specifiche imbattibili. Da soli però non ce la possono fare ad emergere nell’ancora pleistocenico assetto della televisione del nostro Paese. E’ in questo spazio che deve trovare nuova linfa vitale l’emittenza locale.

4 Ustream è un sito in lingua inglese nato a marzo 2007 che consiste in una rete di diversi canali che forniscono una piattaforma per la trasmissione di video in diretta via web.

L’intelligenza dell’industria dei media americani è di averlo compreso senza ricavarne conclusioni derisorie. Così le emittenti locali, se non vogliono continuare a galleggiare in acque sempre più agitate, devono partire proprio da questi nuovi creativi e dai format che propongono sul web, fornire loro mezzi e risorse per andare oltre gli early adopters e traghettare un’intera filiera verso una nuova era di prodotto e di proventi. Attraverso un mix di product placement e sponsorizzazioni di varia natura, le emittenti locali dovrebbero tornare a produrre contenuti pensati per i nuovi scenari ibridi della televisione e ispirati da webepisodes di micro successo: le antiche, forse più lineari, ma sempre geniali equazioni del branded entertainment su cui nacquero radio e TV negli Stati Uniti, ovvero crescita sostenuta da un drappello di aziende che finanziano in via diretta le riprese. All’epoca erano Procter & Gamble, Colgate e altri produttori di detersivi e saponi a cacciare fuori i soldi per incollare le casalinghe e drogarle di soap, oggi sono tecnologici, brand modaioli e bibite cool a inseguire a suon di webisodes l’inafferrabile pubblico delle generazioni di tele-ribelli.

Altro spunto, anche se più fantasioso, è quello di immaginare le televisioni locali evolvere i loro servizi di telepromozioni, sfruttando le loro expertise con le potenzialità della Rete e della georeferenziazione. The Talk Market, negli Stati Uniti, start-up parzialmente acquisita nel 2008 da Amazon, offre ai navigatori un servizio personalizzato per creare video presentazioni di oggetti, usati o nuovi, in vendita. Le emittenti locali potrebbero diventare dei Talk Market per piccoli clienti business: sostanzialmente evolvere le produzioni di spot tradizionali in servizi di e-commerce sfruttando tutti i canali possibili di distribuzione online. lifecasting + home shopping = tele(stream)vendite. Le dinamiche dei social media, poi,

consentono straordinarie innovazioni per esportare il messaggio e propagarlo viralmente.

2.2. Il mercato televisivo italiano all’alba
dell’all digital

Da alcuni anni lo scenario televisivo italiano, quello caratterizzato dal duopolio Rai-Mediaset e fondato sulla Free Television, è irreversibilmente più articolato.
L’entrata in campo del satellitare di Sky, ramo italiano di uno dei più grandi gruppi media del mondo (News Corp.), ha introdotto due significative novità:
• la moltiplicazione dei canali;
• la Pay TV.

Un mercato, come quello italiano, che sembrava all’inizio saturo per la già importante offerta che la televisione pubblica e quella commerciale privata mettevano in campo, oltre alla qualità della stessa, certamente superiore all’immagine che usualmente ne davano e ne danno i media cartacei, ha dimostrato di essere interessato e quindi permeabile di fronte a una vasta scelta di palinsesti tematici a pagamento.

La successiva entrata in scena della televisione digitale terrestre ha confermato questi nuovi sentieri di sviluppo avviati dalla televisione satellitare.
La digitalizzazione della televisione terrestre non è ancora completata, ma dall’esame sia delle regioni già all digital, sia di quelle in corso di digitalizzazione, si evidenzia una risposta positiva del pubblico televisivo rispetto a quest’allargamento dell’offerta. Difatti, i primi dati italiani, che confermano un andamento già registratosi negli Stati Uniti, hanno rilevato un aumento delle audience.

Ma la conferma che sembrava più difficile, quella del modello Pay, si è verificata anche con il digitale terrestre.

Ciò è avvenuto nonostante la concorrenza di internet, che ha certamente allontanato dallo schermo televisivo tutta una fascia di pubblico ri-alfabetizzatasi ad un nuovo modo di consumare contenuti video su piattaforme online, in maniera simile a quanto avvenuto presso le fasce di età più giovani con la diffusione delle game console.
Questo successo sta comportando però delle vittime. A fronte del temuto, e in qualche misura atteso, guadagno di quote di audience da parte dei broadcaster maggiori, si stanno verificando due sommovimenti:
1. da un lato la perdita di peso sul mercato delle televisioni locali e la conseguente redistribuzione delle audience tra televisioni terrestri e televisioni satellitari,
2. dall’altro, una redistribuzione delle audience delle televisioni terrestri tra i loro canali generalisti e i nuovi canali tematici che esse stesse rendono disponibili sul digitale terrestre.

Ciò apre un discorso serissimo riguardo a:
• le modalità di investimento dei grandi inserzionisti pubblicitari;
• le modalità di redistribuzione, da parte dei centri media, degli investimenti pubblicitari tra la nuova folta schiera di canali dell’offerta televisiva digitale;
• le modalità di acquisizione di pubblicità da parte delle concessionarie del broadcaster pubblico e di quello commerciale-privato.
Ciò detto, mentre gli esperti stavano già teorizzando, per l’invasività e la pervasività del monitor dei computer e della

navigazione su Internet, la fine non della televisione ma, più specificatamente, il declino ineluttabile del ruolo primario dello schermo televisivo, un nuovo protagonismo dei grandi gruppi hardware ha consentito loro di tirar fuori, per così dire, il coniglio dal cappello. Si tratta della Connected TV, cioè di quello schermo che garantisce, insieme, l’approdo naturale per i broadcaster, abitanti usuali della televisione come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi, e una connessione ad Internet, diventando un nuovo attracco per i Web/Internet aggregator.
Dunque già oggi, ma ancor più in prospettiva, lo schermo televisivo diventa il campo competitivo tra broadcaster e Web/Internet aggregator.

Innanzitutto è necessario provare a comprendere come i broadcaster hanno reagito alla multicanalità e alla Pay TV. Si vedrà come la televisione ha affrontato la sua predetta crisi declinando in termini corretti l’etimologia greca della parola stessa. Crisi, dal greco krisis, significa letteralmente “dividere, separare”, e filologicamente non ha una accezione negativa. La crisi è un momento che separa una sopravveniente maniera di essere da quella precedente: separa il dopo dal prima, indicando un tracciato di cambiamento per i modelli di business, le filiere di distribuzione e tutta la catena del valore.
Queste pagine provano a confrontare quali sono state le prime risposte in Italia, Europa e Stati Uniti e, per quanto riguarda il nostro Paese, in rapporto alle prospettive dei broadcaster maggiori, quali strade si aprono per le televisioni locali.
Si cercherà di capire come sia evoluto il concetto stesso di televisione e come il prodotto e le catene di distribuzione classiche della più grande fabbrica di leisure e entertainment abbiano affrontato la nuova sfida tecnologica. Sfida che è resa ancora più impegnativa dalla profonda crisi economica che ha

comportato nel 2008-09 la flessione dei ricavi pubblicitari, al pari degli altri media, e che sta conoscendo nel 2010 una moderata crescita, ancora lontana dai livelli pre-crisi.
Per questo è più utile parlare più di televisione tout-court di prodotto televisivo, indicando con televisione la grande fabbrica di prodotti televisivi che hanno il loro primo canale di sfruttamento nella modalità broadcast. Ma la TV ha davanti a sé il campo aperto della distribuzione online di questi stessi prodotti, prima di tutto sul web, ma anche, con la Connected TV, la possibilità di un ritorno sul vecchio e caro schermo televisivo di fronte al divano di McLuhaniana memoria, in una sorta di concorrenza con sé stessa.
Il vincitore assoluto rimane il contenuto: nel nostro caso il contenuto tipico dei broadcaster nelle sue multiformi espressioni (fiction, programmi per ragazzi, documentari, etc.) che già oggi si sfrutta fino all’home-video. Il contenuto televisivo, con la prepotente entrata in scena dell’online, comincerà sempre più ad essere pensato in termini di distribuzione multipiattaforma, che non escluderà anche la fruizione in mobilità, visto la comparsa nel mercato di device con schermi sempre più grandi e performanti (es. i tablet), sebbene le opinioni a riguardo non siano unanimi.
È l'altra faccia della crescita di un nuovo modello di intrattenimento, grazie anche alla convergenza digitale dei media su Internet. Anche se i nuovi modelli economici sono ancora in fase di avviamento e consolidamento.

2.3. La TV tra Old e New Media

In Italia, come è ben noto, la televisione è nata negli anni '50 con la trasmissione di poche ore di programmi semplici e ripetitivi. Dopo un incremento seriale di offerta a cui ha risposto più che proporzionalmente la domanda, la televisione italiana ha dato vita ad un mercato “paretiano”:

• da un lato un oligopolio costituito da Rai, Mediaset e Sky;
• dall’altro un mare magnum di circa 600 televisioni locali che, al loro interno, si dividono il mercato residuo in termini altrettanto “paretiani”: a fronte di circa 20-30 emittenti con un significativo presidio territoriale e di ascolti, ci sono poi tutte le altre che vivono in condizioni diverse; la struttura economico-finanziaria di ciascuna riflette la loro collocazione.

I broadcaster, a qualsiasi livello poi si riferiscano, operano sul mercato mondiale per quanto riguarda i loro prodotti e i format.

Con l’entrata in campo di Internet, e in particolare per il ritmo impetuoso con cui si è svolta e si sta svolgendo la sua crescita, è cambiato il rapporto tra media e messaggio.

Finora, quando si parlava di contenuto video, si faceva riferimento in maniera quasi univoca alla televisione tradizionale, considerata baluardo inespugnabile e pietra miliare nel panorama dei media. Il forziere in grado di racchiudere in sé tutti i contenuti: informazione, spettacolo, musica e arte. Nonchè

comprendere in sé anche gli altri media (radio, giornali, teatro e cinema): una sorta di cannibalizzazione che ha ridimensionato ambiti di mercato e quindi audience e consumo.

Nel corso degli ultimi anni, i concetti di contenuti video e di televisione hanno rapidamente subito un processo di scissione, un capovolgimento di prospettiva fondamentale che ha cambiato il modo di percepire appunto media e messaggio. Si è lontani infatti dal momento in cui McLuhan sosteneva la sua famosa provocazione intellettuale il medium è il messaggio, secondo cui la televisione trascinava con sé modelli di consumo, progetti di vita, l'uso del tempo libero, dell’informazione, dell’istruzione e dello spettacolo. Il concetto di contenuti video - e la supremazia del "consumer as king" - sta prendendo forza, mentre la televisione, al contrario, sta imparando ad orientarsi nella nebbia di declinazioni che già si intravedono, ma dagli esiti ancora tutti da verificare.

Di fronte alle innovazioni tecnologiche, l'avvento del digitale e di Internet, la televisione ha subito numerose trasformazioni che hanno portato alla frammentazione dei contenuti in una molteplicità di canali e la conseguente ascesa di modelli di distribuzione più complessi.

Il torpore narcisistico delle menti, inerti e passivi di fronte al medium, di cui parlava McLuhan, non ha più senso perché, da un lato, l’offerta si è fatta talmente ricca da produrre una prima proattività legata esclusivamente alla scelta di un canal broadcast tra i tanti; dall’altro, l’utente può scegliere la piattaforma Web su cui consumare lo stesso contenuto, originato dallo schermo televisivo.

Il mezzo diventa quindi subalterno al contenuto, completamente ininfluente rispetto al messaggio. A seconda del contenuto che si ricerca, il pubblico sceglie in maniera attiva la piattaforma, se broadcast o Internet, su cui consumarlo.

Per le cose fin qui dette, la televisione tende sempre più ad esprimersi attraverso più media. Ciò significa che tende ad operare non più solo attraverso lo schermo del televisore, ma anche attraverso quelli che più impropriamente vengono definiti new media. Ci si riferisce in questo caso in maniera non esclusiva, ma principale, a Internet. Ma per le sue qualità intrinseche internet. più che new medium, potrebbe essere opportunamente chiamato more medium, giacché tende ad aggregare e in parte sostituire come canale distributivo i media tradizionali (a cominciare dalla stampa, la musica, il cinema). Si sta vivendo una fase in cui il broadcaster manda in streaming o ripropone in differita i propri contenuti su Internet. Sempre più in futuro i contenuti televisivi, oggi sul Web, potranno rifluire grazie alla Connected TV sullo schermo televisivo.

Quindi oggi il mezzo televisivo è sospeso tra un non-più (solo schermo televisivo) e un non-ancora (televisione broadcast e broadband), capace di contenere sia la piattaforma tradizionale broadcast sia i contenuti che gli ritornano broadband, siano essi streaming e/o reiterati.

La TV tradizionale è nata come uno strumento autoreferenziale. Uno strumento con una sua programmazione di flusso continuo con un modello di consumo passivo e unidirezionale. Col passare dei decenni, la televisione si arricchisce di canali e di contenuti, e negli anni ‘70 nascono i primi dispositivi di videoregistrazione

seguiti, dopo diversi anni, dai lettori DVD. Tali dispositivi non sono altro che appendici della televisione, senza la quale non hanno nessuna funzionalità. La vera trasformazione della televisione avviene con il nuovo secolo, quando la televisione inizia a moltiplicare i canali ed andare online. Già nel primo caso si ha una forma di proattività dello spettatore non più limitato ai tempi di una offerta comunque ristretta. Con il riflesso televisivo su Internet lo spettatore comincia ad avere una offerta più ampia e completa che prescinde dai tempi rigidi della programmazione televisiva di flusso e su palinsesto. Il Video On Demand nasce su questa opportunità di declinazione personale nell’uso del tempo, per il consumatore, e di declinazione su uno spazio temporale più ampio dei singoli programmi per le televisioni. I Forum aperti sui siti dei broadcaster o sui tanti siti messi in piedi dai fan di determinate trasmissioni, serie televisive o altro, hanno evidenziato il fenomeno del fandom che tenderà a divenire uno strumento sensibilissimo per analizzare al loro interno le audiences.

Internet enfatizza la multicanalità oltre le dimensioni del live streaming e dell’on-demand, in maniera gratuita o attraverso servizi premium, cioè a pagamento.

Di fronte a queste differenziazioni si può fare una prima distinzione in due macro famiglie della televisione intesa come piattaforma per la diffusione di contenuti: l’old medium (o televisione tradizionale) e new medium (televisione attraverso Internet).
Nella categoria old medium (televisione tradizionale), in gran parte ancora legata al vecchio modello economico e culturale, possiamo includere la Free Television (televisione gratuita), la Cable Television (via cavo), Pay TV, le Syndication.

Per new medium si intende la televisione che si esprime anche attraverso piattaforme Internet. Questa definizione comprende due termini che indicano questa nuova espressione televisiva. Ci si riferisce alla Catch-up TV, che comprende la cosidetta “televisione del giorno dopo” e più generalmente della visione differita di programmi; e alla Over-the-top TV, che offre indifferentemente canali in chiaro, canali premium, ma anche servizi e contenuti dal web attraverso set-box.

Il VOD (Video On Demand) è comunque una chiave di volta decisiva per le forme di sfruttamento del contenuto attraverso Web e IP. Le piattaforme digitali online diventeranno probabilmente una fonte primaria di ricavi nei prossimi anni, dal momento che la maggior parte delle persone al di sotto dei 30 anni è abituata ad usare il proprio computer, piuttosto che il proprio smartphone o il proprio media center quale fonte primaria per accedere a contenuti video. Il broadcasting, cioè la televisione lineare e/o di flusso, rimarrà la grande fabbrica di contenuti televisivi che si declineranno secondo le diverse piattaforme tecnologiche e i diversi schermi.
Ciò vuol dire che, nonostante l’aumento dei cosiddetti user generated content, che affollano con i loro short form piattaforme come YouTube e popolano sempre più i social network come Facebook, i contenuti professionali long form, che provengono dalle industrie dell’intrattenimento televisive o cinematografiche, continueranno ad essere la parte maggioritaria della torta del fatturato complessivo.

Ovviamente ogni contenuto televisivo dovrà essere declinato secondo le diverse piattaforme che si distinguono per tempi e modalità d’uso. E che questo contenuto subirà un processo di rimodulazione (ad esempio durata, qualità, dimensioni) secondo

le specificità di ogni medium. Pertanto, il valore del contenuto sarà diverso a seconda della modalità, qualità e prezzo che si è disposti a impegnare per fruirlo. La risposta economica sarà sensibile soprattutto alla capacità di negoziare contratti di sfruttamento sempre più flessibili sul fronte delle licenze esclusive e dei diritti, cercando sempre di mantenere il valore del prodotto per ogni tipo di pubblico.

2.4. La creazione del valore e la nuova galassia
televisiva

Anche se tradizionalmente la TV è concepita per ospitare serie TV ed altre produzioni specifiche (ad esempio format esclusivi come talk show, telegiornali e altro), la programmazione televisiva si basa fortemente anche su altri prodotti non tailor-made (ad esempio cinema, sport, etc.). Perciò, per capire ed analizzare esaurientemente l’intero quadro economico è importante capire quali siano i processi di valorizzazione attraverso i quali passano i diversi prodotti audiovisivi e in quale posizione si collochi la televisione, o, meglio, le ormai tante televisioni.

 

Fig. 12 Catena di valorizzazione dei prodotti audiovisivi e collocazione delle televisioni

Il lungo percorso della distribuzione dei contenuti audiovisivi è parte decisiva di quella catena del valore che inizia dalla creazione e ideazione del contenuto, passa attraverso la sua realizzazione per giungere infine alla distribuzione. Catena del valore che comprende l’apporto decisivo del fund raising, ancora più importante nel caso dell’audiovisivo, dove i costi sono tutti concentrati sulla prima copia. Ma comprende anche mercati ancillari come quelli del merchandising, del footage, delle sponsorship, per tacere dei diritti che rifluiscono attraverso il copyright a cui, in Italia, si aggiunge il cosiddetto diritto degli autori e degli editori.
Il crescente sviluppo di Internet e le potenzialità dei new media fanno emergere nuovi sistemi di distribuzione digital-based, come si vede chiaramente nella fig. 12 dove i new media apportano valore non solo nella fase iniziale della catena ma prolungando, ad libitum, in virtù della cosiddetta long tail (Anderson, 2006), la valorizzazione dei diritti di sfruttamento del prodotto audiovisivo, anche per quello di segmento o altrimenti chiamato di nicchia.
L'apporto del digitale online sta cambiando l'equazione dei costi e dei ricavi, grazie al nuovo accesso worldwide che determina l’abbattimento dei costi distributivi e l’immediatezza che permette tra la nascita della domanda e la sua soddisfazione. Questi elementi non eliminano l’incertezza dei ricavi, che è una caratteristica dei prodotti audiovisivi per la indeterminatezza ed aleatorietà della domanda. Certamente però abbassa la soglia di rischio e quella del ROI (Return On Investiment).
La principale questione che infatti si pone per i broadcaster, così come per gli altri proprietari di contenuti, con riferimento non casuale al cinema, è infatti quello di monetizzare i contenuti

in modo efficiente con le nuove piattaforme.

Il successo della distribuzione online dei media audiovisivi, e in maniera particolare dei prodotti televisivi, è legato unicamente a come verranno sfruttate le opportunità di valorizzazione che permette il Web. Come funzionerà il nuovo modello di business per i broadcaster televisivi? Entrano qui in campo i tempi del consumo e le sue modalità.

“[…] il valore dei contenuti è ottimizzato se si sfrutta il fattore tempo, la reiterazione del consumo, l’esclusività, la differenziazione dei prezzi praticati tenendo conto delle condizioni del mercato esterno e l'interazione di questi fattori” (Ulin, 2009).

I quattro fattori di valorizzazione del prodotto televisivo rappresentati nella Fig. 13, indicano le variabili strategiche che incidono sull’arricchimento del valore dei singoli prodotti audiovisivi:
• Il tempo, dato che il digitale, dal VOD alla long tail, allunga il periodo di sfruttamento del video;
• La differenziazione dei prezzi, dal momento che, nei vari passaggi, si deve tener conto non solo della competitività con altri media, con altri prodotti similari, ma anche della distanza tra i vari blocchi di sfruttamento;
• La reiterazione dei contenuti permessa senza soluzione di continuità proprio dall’online;
• L'esclusività nel doppio senso: di valorizzazione specifica del prodotto in ognuno dei blocchi della catena, e di importanza del possesso del diritto e quindi della centralità ormai riconosciuta dell’industria dei contenuti.

Fig. 13 I quattro fattori di valorizzazione del prodotto televisivo

Le opportunità dell’online arricchiscono le chance di una televisione che già con l’adozione della tecnologia digitale aveva moltiplicato i suoi canali e quindi le diramazioni della sua offerta. Nello stesso tempo, il prodotto televisivo ha conquistato nuovi device e i nuovi schermi televisivi, con connessione ad Internet, hanno creato un nuovo ambiente competitivo.
Nel primo caso si tratta non solo dell’IPTV e dei portali streaming o catch-up dei broadcaster, ma riguarda quella che è stata definita la mobile TV e cioè la televisione ricevibile attraverso smartphone e tablet.
Nel secondo caso si tratta della “forse prepotente” entrata in gioco dei grandi web/Internet aggregator. Si tratta di YouTube, del sopravveniente Google Video, delle chance che potranno avere gli aggregatori che oggi sono presenti soltanto negli Stati Uniti come Hulu, così come potrà accadere con Vudu, Sezmi ed altri, che sono aggregatori per la Over-the-Top Television.

Si sta così costituendo una nuova galassia televisiva, uno scenario che comprende un quadro di opportunità e di competitività completamente nuovo, con player che operano sul

piano globale: ciò potrebbe far sorgere la necessità, per gli operatori italiani, di costruire un’offerta di maggior peso sui mercati internazionali. Quadro che chiama anche in causa un protagonista finora sottaciuto ma che è alla base di questo cambiamento: le Telco, fornitrici di quella connettività su cui è impiantata tutta la nuova galassia televisiva.

Fig. 14 La nuova galassia televisiva

Fig. 15 La nuova catena distributiva

2.5. Il modello di business della free television

La free television è la forma di televisione più tradizionale (comunemente indica trasmissioni televisive libere over-the- air). Il mercato si divide tra le terrestri, nazionali e locali e la satellitare. Le terrestri si poggiano su reti che, da analogiche, si stanno progressivamente trasformando in digitali, secondo il piano di switch-off del segnale analogico che divide il territorio nazionale in aree regionali o sub-regionali.

Il mercato delle televisioni è pesantemente condizionato, in Italia come negli altri Paesi europei e no, non solo dalle normative Antitrust, ma anche da specifiche regole che fanno capo ad Autorità nazionali per le telecomunicazioni. In Europa tali regole debbono anche rispondere alle indicazioni che provengono dalla Commissione e dal Parlamento Europei.

La complessità crescente del settore audiovisivo e la necessità di intervenire con una regolamentazione in grado di controllare questi i nuovi fenomeni evolutivi in essere, come la globalizzazione del mercato dei contenuti video e la multicanalità che valica i confini nazionali, ha portato anche il Parlamento Europeo ad adottare ufficialmente una posizione comune sui servizi media audiovisivi senza frontiere. La direttiva 2007/65/CE, infatti, offre un quadro legale internazionale, compresi i servizi on-demand, regolando in particolare la pubblicità, il collocamento di prodotti, nuovi diritti per i cittadini e tutela dei valori chiave europei. La direttiva, viene applicata sia per la televisione analogica che per quella digitale, compreso anche l’online.

In Italia la regolamentazione televisiva ha un trascorso più complesso: dal monopolio fino al ’76, allo sviluppo delle reti commerciali fino agli anni ’90 con la legge Mammì (n. 223/1990) e la legge Meccanico del 1997 (n. 249/1997), che limitavano l’uso delle risorse tecniche. L’anomalia italiana, e il relativo conflitto di interessi per la presenza di commistioni politiche, è stata poi ulteriormente regolamentata dalla legge Gasparri nel 2004 (n. 112/2004), dando nuovi limiti definiti dall’Antitrust. Oggi, anche grazie allo switch-over dalla televisione analogica a quella digitale partito nel 2008 e che si concluderà totalmente nel 2012, le televisioni italiane si sono moltiplicate con più di 500 canali a livello nazionale e più di 600 a livello locale.

Negli Stati Uniti, mercato televisivo di riferimento degli analisti, perché spesso anticipatore di problematiche che interverranno successivamente in Europa, un garante vigila sulla titolarità delle stazioni che sono soggette a regolamentazioni diverse. Le più importanti sono: la regola della proprietà delle TV nazionali (vieta l'entità di raggiungere oltre il 39% delle famiglie televisive degli Stati Uniti); la norma sulle TV locali (consente a un'entità di possedere due stazioni televisive nello stesso mercato designato); la regola della dual TV (vieta una fusione tra le più grandi reti televisive come ABC, CBS, Fox e NBC). Inoltre negli Stati Uniti operano oltre 200 stazioni televisive via cavo di rilievo, che si distinguono da quelle via cavo premium, per le quali il consumatore paga un abbonamento incrementale per l'accesso a specifici canali premium come HBO. Con l'aumento della penetrazione del cavo e del satellite, molte aziende di grandi mezzi di comunicazione offrono una programmazione diversificata con canali di nicchia o specializzati, ampiamente consolidati (esempi di emittenti via cavo con portata nazionale sono Comedy Central, MTV, CNN , Disney Channel).

La free television, secondo un’indagine di e-Media Institute, entro il 2012 in Italia raggiungerà la sua totale digitalizzazione, vedendo in questo periodo finale l'accelerazione maggiore della migrazione alla televisione digitale multicanale. In effetti, l'intera popolazione nazionale si troverà in un ambiente televisivo nuovo, caratterizzato dalle nuove tecnologie e da un nuovo concept di prodotto.

Fig. 16 Diffusione della TV digitale nelle famiglie italiane

Il passaggio al digitale terrestre ha indotto la free television italiana commerciale fondata e cresciuta sui ricavi da pubblicità ad entrare anche nel campo della Pay TV. Le motivazioni possono essere individuate ne:

• il successo della campagna abbonamenti della televisione satellitare, che ha portato alla luce un mercato mai davvero esplorato nel nostro Paese;
• la crisi economica degli ultimi due anni che ha lasciato intravedere una fase di maturità nella crescita finora pressoché ininterrotta degli introiti pubblicitari;

• la forte concorrenza sui contenuti premium, tra terrestri e satellitari, che ha imposto alla free television di recuperare ricavi attraverso il modello pay, non lasciando alla satellitare campo libero in contenuti come il calcio e il cinema che sono driver per ogni singola emittente nel suo complesso.

Inoltre, le tendenze in atto lasciano prevedere che alla fine del 2012 si completerà il sorpasso tra ricavi da pubblicità e ricavi da pagamento diretto degli utenti. Tenderà a completarsi in questo modo la mercificazione del tempo libero di cui, in termini preveggenti, aveva parlato Jeremy Rifkin (1995) e che sposterà presumibilmente a svantaggio del tempo libero il tempo di lavoro. Ciò comporta valutazioni sul ruolo del servizio pubblico che però esulano da questo documento

 

Fig. 17 Lo swich-off verso il digitale

2.6. Il modello di Business della Pay TV

La pay TV si riferisce a servizi televisivi su abbonamento trasmessi dalle singole emittenti su piattaforma digitale terrestre o satellitare o su protocollo Internet, che offrono contenuti anche provenienti da content provider principalmente americani: Fox, National Geographic, Discovery Channel, Disney Channel, etc.

Oltre all’abbonamento, il pagamento si declina anche nella pay- per-view (PPV), attraverso la quale si paga per la visione di singoli programmi: sia esso un episodio di una serie televisiva, un film oppure una partita di calcio.

Secondo e-Media Institute, nel 1992 le famiglie italiane spendevano “per guardare” poco meno di € 2 miliardi. Nel 2008, tale spesa ha superato i 6,2 miliardi di € e potrebbe crescere fino a quasi € 8 miliardi nel 2012. Nel 1992, la spesa “per guardare” era sostanzialmente ripartita a metà tra canone radio-TV da una parte e Cinema/Home Video dall’altra. Vent’anni dopo, nel 2012, la Pay TV potrebbe generare quasi il 60% del totale della spesa.

Fig. 18 ll sorpasso della Pay-TV nei ricavi degli editori in Italia

Come mostrato dalla Fig. 18 le previsioni al 2012 danno i ricavi della Pay TV superiori a quelli da pubblicità e da canone. La Fig.
19 rappresenta il cambiamento nel basket dei consumi della famiglia italiana:

• cresce considerevolmente la Pay TV in valore assoluto e percentuale, a cui Internet e la Mobile TV danno un contributo ancora assolutamente marginale;
• la crescita della Pay TV erode quote sempre maggiori del mercato home video, riducendo il suo fatturato in termini assoluti e contraendo drasticamente la sua percentuale sul totale della spesa;
• incide in termini percentuali sulla sala cinematografica che, al contrario dell’home video, vede crescere sensibilmente il valore assoluto del box office;
• si ridimensiona percentualmente il peso del canone Rai TV che rimane costante nei suoi valori assoluti.

 

Fig. 19 Valori e percentuali della spesa delle famiglie italiane per contenuti video

Uno sguardo sul futuro possono darlo le dinamiche di HBO (Home Box Office) che è uno dei più importanti servizi di Pay TV, con oltre 40 milioni di abbonati negli Stati Uniti e in altri 150

Paesi. I servizi premium sono quasi sempre costituiti dalla sottoscrizione di un’offerta di base, il che significa che ci si può abbonare a HBO, senza essere obbligati a sottoscrivere tutti i pacchetti commerciali. Tuttavia, la sottoscrizione di un servizio individuale include automaticamente l'accesso a tutti i contenuti di quel canale, l’utilizzo di particolari servizi e, in alcuni casi, l'accesso ai contenuti tramite VOD (video-on-demand).

 

Fig. 20 Modelli di business prevalenti

Fig. 21 Numero di famiglie con soluzione di TV a pagamento

2.7. Il Video On Demand tra free e advertising

Come già descritto, la televisione, abbandonando il suo assetto tradizionale, tende progressivamente a trasformarsi in una galassia composta da diverse piattaforme. Ma c’è di più: il Video On Demand ha creato anche nuovi mercati, ancora non sviluppati in Italia, ma osservabili negli Stati Uniti che possono essere il riferimento per gli operatori nostrani.

Una delle più importanti reti televisive americane come NBC (National Bradcasting Corporation) cede i diritti di sfruttamento dei suoi programmi ad Hulu. ABC, il network televisivo di punta del gruppo Disney, rende disponibili i suoi programmi esclusivi di prima serata anche sul suo sito abc.com in maniera gratuita (nonché interviste inedite, fuori scena e interviste ai protagonisti). CBS Corporation offre on demand le sue famose serie televisive trasmesse in prime time. Si rendono gratuitamente accessibili alcune tra le serie di maggior successo (come CSI o Desperate Housewives), con il solo vincolo di vedere uno spot pre-roll.

Questa fruizione video supportata dalla pubblicità è chiamata advertising video on demand ed è una sottocategoria del più generico free video on demand.

In futuro, free television vorrà dire programmare il broadcast in TV in concomitanza con altri distributori. Il limite della televisione emerge con il limite della piattaforma: contro le 22 ore settimanali dedicate al prime time, internet permette una possibilità di scelta “infinita” tra le tante offerte, a fronte di una domanda che prescinde così dalla rigidità dei palinsesti.

Lo sviluppo del VOD sta crescendo anche in Europa e in Italia sull’onda dell’affermazione di servizi di IPTV, Web Video e Over The Top TV, grazie al protagonismo degli operatori Telco e dei portali dei broadcaster.

Fig. 22 Il valore del mercato VOD in Italia su piattaforme PC, 2005- 2009 – valori in milioni di euro e variazioni %

Tipicamente (circa l’80% dei casi) il servizio VOD è di tipo “rent” cioè permette la visione dei programmi, con varie formule, entro un dato intervallo di tempo (24/48). Neli altri casi l’offerta è di downloading illimitato, il cliente cioè entra in possesso di una copia originale dell’opera.

Fig. 23 Posizionamento dei vari servizi a valore aggiunto

2.8. Il valore del prodotto televisivo tra run e
exhibition day

Il valore dei prodotti nelle serie televisive, così come nel cinema, sta seguendo sull’online, con un certo ritardo, gli stessi percorsi distributivi già sperimentati dall’industria della musica.
Quanto alle serie TV, la televisione ha un percorso segnato da windows diverse da Paese a Paese, non codificato, ma molto simile a quello del cinema.
Il mercato dei contenuti in TV è sempre stato molto forte e per anni un punto di riferimento chiave per la vendita delle licenze per le maggiori reti nazionali. Nella migliore delle ipotesi, il mercato offre diverse fasi in cui il contenuto video passa di piattaforma in piattaforma, permettendo un’accumulazione rispetto al valore originario
La misurazione del valore di un prodotto televisivo avviene sulla base del run (numero di esecuzioni in un determinato periodo di tempo): la messa in onda iniziale è quella che ha il più grande valore, in quanto gli indici di ascolto di solito raggiungono il picco. A partire dalla messa in onda successiva, a fronte di un fisiologico calo degli ascolti, il valore unitario tende a ridursi. Di conseguenza le licenze delle reti televisive sono abitualmente valide per periodi brevi e hanno un numero limitato di run.
La tecnologia digitale, con la moltiplicazione dei canali tematici, ha complicato questo costrutto relativamente semplice come la definizione di un run. Che cosa succederebbe se la trasmissione di quel programma avvenisse in differita a poca distanza di tempo dal primo run (programma X sul canale Y, e di nuovo dopo un'ora sul canale Y +1)? Si deve considerare una esecuzione unica o più di una? Ed inoltre, cosa dire dello

streaming gratuito e della visione ripetuta di VOD su Internet? In questo caso uno show può essere disponibile per un tempo più o meno definito (come per la catch-up TV), consentendo però agli spettatori di vedere lo spettacolo anche se l’avevano perso. Le visualizzazioni tramite catch-up sono da considerare in maniera separata?
La moltiplicazione dei canali a cui si accompagna la frammentazione del mercato televisivo e il tendenziale venir meno dei tempi di vita scadenzati in maniera tradizionale rendono la programmazione di uno stesso prodotto su più canali ed in tempi ravvicinati un’esigenza assolutamente necessaria per il broadcaster. Quindi, come dare un valore alla licenza oggi?
Gli elementi più critici sono certamente la valutazione del numero di run e le regole per il trattamento dei contenuti video. Il percorso di un video è il core business di tutta l'industria di intrattenimento.

Per il licensor, il contenuto utilizzato troppo spesso e la sovraesposizione provocano una diminuzione sensibile del suo valore rispetto. L’obiettivo condiviso di licensor e broadcaster è quello di gestire l’esecuzione del contenuto in modo da massimizzare valore e ritorni economici. Per le emittenti con numerosi canali tematici che hanno uno spazio di programmazione più ampio ma pubblici più frammentati il calcolo secondo il sistema dei run risulta inadatto. Senza considerare che i tanti canali operano con una programmazione a blocchi di orario riprodotti o coni singoli prodotti alternati di canale in canale.

Cambia quindi il livello di complessità nei requisiti delle licenze. Rimane ovviamente il principio del run, ma con una sfumatura diversa: risulta più opportuno riferirsi alle exhibition day

(giornate di esposizione). Una giornata è un periodo di 24 ore in cui l'emittente televisiva nei suoi canali tematici può avere il diritto di trasmettere un titolo due o più volte. Dato che, presumibilmente, nessuno spettatore guarderebbe lo stesso programma due volte nello stesso giorno, il valore del prodotto si mantiene inalterato, raggiungendo un numero maggiore di esposizioni uniche, misurate in numeri di unique eyeball (visioni uniche).

2.9. La catena del valore della televisione
analogica

L’accrescimento del valore del prodotto televisivo avviene poi lungo una catena in cui si evidenziano i blocchi principali del processo televisivo. A seconda dei casi i blocchi si uniscono o rimangono divisi. In Italia, così come in Europa e negli Stati Uniti, i broadcaster maggiori accumulano sia le funzioni di produzione sia quelle di distribuzione, essendo nei casi conosciuti anche i proprietari della rete. Più articolata è la catena nel caso delle televisioni locali, dove la il rapporto tra produzioni interne ed esterne, cioè acquisti da produttori televisivi terzi, è sbilanciato a favore di queste ultime.

Figura 24 La catena del valore dell’industria televisiva

2.10. La catena del valore della televisione digitale
e su internet

Dal momento che nella catena del valore irrompe il digitale e l’online, due blocchi diventano decisivi:

• il primo è quello è relativo all’aggregazione e distribuzione di contenuti; difatti il broadcaster, abituato a proporre una programmazione di flusso a palinsesto, si attrezza per offrire online sia in streaming che tramite VOD di porzioni di palinsesto;
• Il secondo è relativo alla presenza sul mercato di schermi televisivi dotati di connettività broadband, i quali danno la possibilità ad aggregatori esordienti o già esistenti sul mercato di entrare in competizione con la programmazione degli incumbent broadcast.

 

Fig. 23 La catena del valore dei contenuti digitali su internet

Più specificamente:
• Approvvigionamento o creazione di contenuti, che può avvenire sia attraverso la produzione diretta sia attraverso l’acquisto di contenuti da produttori terzi. Questa è la fase presidiata dai detentori dei diritti di proprietà intellettuale;
• Post-produzione, che consiste nelle attività necessarie a
rendere i contenuti in formato digitale fruibili e sicuri, con

notevoli differenze a secondo del device su cui il contenuto dovrà essere reso disponibile;
• Aggregazione e distribuzione, è la fase in cui operano i soggetti che svolgono attività di mediazione tra produttori e consumatore finale. Si tratta di packager che organizzano i contenuti in funzione della piattaforma e del tipo di utenza, trattenendo una quota dei ricavi, secondo un modello di revenue sharing.
• Infrastruttura di rete, che coincide con la fase di trasmissione di contenuti attraverso piattaforme tecnologiche di diversi tipi. Di questo comparto sono protagonisti gli operatori di telecomunicazione (sia fissa che mobile), gli operatori di TV digitale terrestre e della TV satellitare, gli Internet Service Provider (ISP).
• Accesso, ossia la effettiva fruizione da parte dell’utente.

Il valore generato lungo tutta la fase di distribuzione fino a valle resta caratterizzato da una forte concentrazione, essendo suddiviso tra operatori TLC (telecomunicazioni) e broadcaster. Il valore dei contenuti prodotti si moltiplica lungo la filiera nel passaggio da una fase all’altra, dal produttore all’utente finale.

Fig. 26 La catena del valore secondo Rai.it


2.11. La catena del valore e i nuovi player

Il mercato dei contenuti video ha visto negli ultimi anni un’ulteriore evoluzione con l’ingresso di nuove tipologie di operatori con modelli di business alternativi e la nascita di nuove modalità di fruizione. Le fasce maggiormente interessate dal fenomeno di migrazione verso il Web sono gli adolescenti e i giovani adulti, che fanno registrare cali di ascolti per le emittenti a target giovanile delle televisioni tradizionali. Al declino degli indici di ascolto segue il calo della raccolta pubblicitaria. Per rispondere a questo, i broadcaster tradizionali cercano di ritagliarsi nuovi spazi di mercato attraverso lo spostamento verso forme distributive innovative e l’apertura alla multicanalità.

Fig. 27 Gli attori della evoluzione dei Media nello scenario internazionale

Mentre broadcaster di livello internazionale come NBC, BBC e CBS hanno reagito con prontezza a questi fenomeni, valorizzando le proprie libraries ed espandendo la loro presenza sul mercato, gli operatori europei (ad eccezione di BBC) sono intervenuti su questo terreno con un certo ritardo, forse preoccupati delle ricadute negative sulla raccolta pubblicitaria.

Gli operatori di TLC si sono orientati sull’offerta di IPTV e si sono proposti come alternativa alle offerte proposte da altri soggetti quali le TV satellitari e i broadcaster tradizionali per creare nuovi palinsesti. Contestualmente i portali di video online hanno optato per un modello più aperto, in cui coesistono sia contenuti TV che user generated content.
Questo potrebbe portare ad un netto abbassamento delle barriere all’accesso e conferire alle emittenti minori la possibilità, almeno teorica, di accedere a mercati prima irraggiungibili con il solo uso delle frequenze terrestri. Questo renderà possibile la nascita di platee globali per contenuti locali.

Tali tendenze potrebbero comportare effetti su tutte le fasi della catena del valore ed evolvere in forme di business con incidenza differente a seconda della tipologia di operatore:
• I broadcaster incumbent hanno scelto la multicanalità (gestita direttamente) come linea di condotta comune, puntando al presidio delle fasi iniziali della filiera, ovvero di gestione del content;
• sulle pay TV pesa il costo dell’attività di CRM (Customer Relationship Management), la cui spesa si attesta, secondo alcune stime, tra il 20-25% del valore del fatturato. Il ruolo delle entrate legate alla pubblicità diventerà sempre più importante, specialmente quella targettizzata su canali tematici;
• gli operatori di Web Video, saranno una forma ibrida tra TV generalista e pay TV, da cui si differenziano soprattutto per il maggior peso delle infrastrutture di rete, fattore di principale costo per i data center (encoding video e storage). Campagne di viral e buzz marketing determineranno in maniera crescente la sorte di queste

nuove TV che puntano sui ricavi pubblicitari come fonte primaria, e PPV e subscription come fonti secondarie. L’acquisizione dei diritti di ritrasmissione preferirà soluzioni bundle piuttosto che revenue sharing (ossia ripartizione delle entrate e delle uscite tra partner) .

 

Fig. 28 I modelli di business dei maggiori distributori di contenuti video su Web


3. Proposte di policy per le TV locali

3.1. Connected TV e televisioni locali nel Lazio

L’ibridazione tra broadband e broadcast nella Connected TV è ormai un dato di fatto di cui debbono tener conto anche le televisioni locali.

I grandi produttori asiatici e nord americani di elettronica e semiconduttori hanno trovato un sentiero di crescita che raccoglie due esigenze. La prima è quella dei Web/Internet e Over the Top Aggregator che trovano nel grande schermo TV connesso un nuovo e promettente approdo. La seconda è quella della platea dei navigatori, della loro ampiezza, del loro crescere nelle classi di età più alte che porta con sè l’ineluttabilità dello spostamento dei loro interessi dallo schermo “marginale” del PC a quello “dominante” del salotto.

I broadcaster maggiori si stanno muovendo. Ancora non con la convinzione che molti vorrebbero ma la strada è tracciata. Alla RAI va riconosciuto il merito di percorrere i nuovi sentieri digitali con una certa forza e innovatività. Tanto è stata sprovveduta all’avvio del digitale terrestre, presentandosi alle audience con canali importanti ma fuori contesto della televisione lineare, tanto sta recuperando adesso il gap patito all’inizio. La sua offerta ha audience superiori a quelle dei concorrenti. Ma l’aspetto più rilevante è quanto sta guadagnando in termini di esposizione sul Web. Rai.tv è certamente una forte innovazione. Peccato non sia stata costruita come l’iPlayer della BBC, pensato e realizzato anche in un’ottica client e multipiattaforma. Questo approccio tecnologico impedisce a RAI, per adesso, di mettersi al timone di un progetto come Canvas (altra creatura, stavolta non esclusiva, di BBC), che in Gran Bretagna mette assieme brodcaster, telco, produttori di tecnologie e di contenuti, per lo

sviluppo di uno standard comune per la distribuzione attraverso banda larga di contenuti video, trasmessi direttamente sullo schermo televisivo.

L’iniziativa di Mediaset, allo stato attuale, tiene conto dei rischi della possibile sovrapposizione degli investitori pubblicitari in un mercato, come quello italiano, che non è così avanzato, sia in termini economici che di comprensione dei new media. Questo significa che, non appena risolta perlomeno la seconda criticità, l’operatore commerciale avrà a disposizione un’offerta di spazi paralleli da cui sicuramente trarrà grande vantaggio.

La7 sembra la rete partita con maggiore convinzione visto il suo accordo con YouTube per la trasmissione in diretta, in contemporanea alla televisione, dell'edizione serale del TG delle
20.00. Ma questa prima iniziativa sembra essere una sorta di passaggio a Nord-Ovest.
Infatti, è prevista la graduale disponibilità sul rinnovato canale YouTube di La7 (youtube.com/la7) dei programmi in formato integrale di proprietà dell'emittente televisiva, oltre all'adozione, da parte della televisione di Telecom Italia Media, dell'innovata tecnologia di identificazione dei contenuti (content ID) messa a disposizione, gratuitamente, dai titolari di diritti intellettuali, partner di Youtube, per identificare e gestire direttamente i propri contenuti sulla piattaforma di video sharing. La7 utilizzerà content ID per valorizzare i propri contenuti video, compresi quelli caricati dagli utenti tramite nuovi format pubblicitari, studiati appositamente per la community di YouTube. La7 ha così dimostrato di non pagare in termini di scelte manageriali la sovrapposizione con la IPTV di Telecom Italia. Modello IPTV che, è bene ricordarlo, in tutta Europa sta soffrendo (tranne che in

Francia) l’attacco del satellite. E Telecom Italia, azionista di La7, ha dimostrato una flessibilità che si presta a varie valutazioni.

Nonostante questi passi in avanti si può convenire con chi afferma che, mentre esplode la magnificenza tecnologica (dal DTT a Internet), la televisione italiana, e forse quella europea, non stia sfruttando appieno questa formidabile ricchezza di canali di distribuzione del prodotto.

In questo spazio deve riuscire a collocarsi la televisione locale di Roma e della sua regione. Ciò deve avvenire nonostante le difficoltà in cui si dibatte.

La crisi economica, coi suoi riflessi negli investimenti pubblicitari, pesa più sulle emittenti locali che sulle nazionali, per la limitatezza dei budget su cui va ad incidere. La moltiplicazione dei canali delle nazionali non può che cannibalizzare audience alle locali. La cultura individualistica, salvo meritorie eccezioni, ne limita la visione strategica che, con Internet ancor più che con il digitale terrestre, non può che essere di sistema.

La sfida che ha di fronte la televisione locale è, da un lato, ben diversa da quella in cui si trovò l’emittenza locale alla sua nascita, quando affrontò potentissimi ostacoli giuridici e legislativi, ma, dall’altro, molto simile per quel che riguarda l’universo di contenuti innovativi da individuare ed esplorare. Mai come in questo momento la sperimentazione di nuovi format diventa decisiva.

E’ vero che la potenza di fuoco dei canali nazionali è enorme ma essa va vista come una linea Maginot, bloccata in format, autori,

protagonisti quasi immobili oltre che immutati, per la dura guerra di fidelizzazione di un pubblico che, però, sta cambiando e che affrontano dalla loro trincea senza la forza di fare passi in avanti.

Le televisioni locali del Lazio affrontano questa situazione in una condizione di minore presidio di mercato rispetto alle TV di altre regioni e soffrono, su alcuni generi, come quello dei programmi per ragazzi, una concorrenza massiccia da parte delle nazionali terrestri e satellitari. Così come soffre la presenza sulle nazionali della cronaca “locale” che assume, specie quella della capitale, una rilevanza nazionale e, in quanto tale trattata, dalle emittenti maggiori, non solo nei TG.

A queste difficoltà si contrappongono anche grandi potenzialità. Roma e la sua regione è forse il più grande bacino di creatività nel campo dello spettacolo, dell’informazione e del Web del nostro paese. E’ un bacino, ovviamente, come non può che essere in questo campo, con molti valori: alcuni veri e altri meno. La sua numerosità è però un valore in sè. Creatività che si blocca nello stretto collo di bottiglia dei broadcaster maggiori.

E’ necessario mettere in atto policy che facilitino la connessione tra i due mondi, quello delle tv locali e quello delle professionalità creative. Con l’avvertenza che, ovviamente, si deve partire dallo straordinario localismo romano e laziale, senza riferimento agli stereotipi, partendo piuttosto dalle sue eccellenze e universalità, coi linguaggi più avanzati del mondo della comunicazione. Ne esistono tutte le condizioni.

L’informazione di prossimità è un driver decisivo per l’emittenza locale in tutti i suoi ambiti: dalla cronaca allo sport, dall’economia al sociale e politico. Si può affermare che per la televisione locale può valere quello che sta accadendo per i quotidiani: i grandi quotidiani tendono a perdere copie in misura maggiore rispetto ai quotidiani locali. La loro reazione è quella di tagliare le cronache locali più distanti dal proprio bacino di riferimento per concentrarsi proprio su quelle aree a maggior densità di lettori.

La televisione locale non ha concorrenti sull’informazione di prossimità, se non le edizioni locali del TG di RaiTre. Questa proiezione della televisione pubblica sul territorio può rappresentare, sotto certi punti di vista, una concorrenza indebita verso l’emittenza locale. E’ vero che corrisponde a quanto prescritto dal Contratto di Servizio. Questo è tanto più vero, per le cose sopra scritte, per le TV di Roma e del Lazio.

Ma nessuna televisione nazionale, per limiti di spazio e tempo, può dare anche agli eventi più importanti quella continuità e profondità di cronaca che può offrire una locale.

Da questo punto di vista, gli sviluppi tecnologici, la nascita di nuove forme di creazione e distribuzione del contenuto audiovisivo, la moltiplicazione e l’ibridazione delle piattaforme trasmissive, (percepiti come una pericolosa spada di Damocle dai player minori), potrebbero, in alcuni casi, rivelarsi una vera e propria chance per creare, produrre e trasmettere contenuti qualitativamente migliori a costi notevolmente più bassi rispetto a quelli del passato ormai remoto dell’analogico.

Questo è un elemento rilevante per le televisioni locali, le quali tradizionalmente dispongono di risorse molto limitate, ma lo è altrettanto per le numerose realtà di produzione audiovisiva presenti nei territori. In altri termini, sia che le TV locali scelgano la strada dell’autoproduzione, sia che scelgano quella della produzione esterna, dovranno saper investire in contenuti low cost oppure a rischio condiviso. Ciò deve tradursi nella capacità di esprimere in profondità la cronaca di prossimità, avendo l’obiettivo di intervenire “sul campo” e “in tempo reale”, grazie anche alle nuove forme di giornalismo collaborativo (citizen journalism) pochissimo sfruttate.

 

Fatte queste premesse, il ruolo che le emittenti locali devono riuscire a interpretare più di quanto già non facciano, non può prescindere dai tre elementi della prossimità, profondità e ampiezza, sia per ciò che concerne l’informazione, sia per ciò che concerne l’entertainment. Sempre più le televisioni locali devono riuscire a plasmarsi rispetto alla realtà del territorio nel quale operano e ancor più devono saper esprimere tale realtà territoriale in termini di profondità di analisi e di rappresentazione.

L’intrattenimento si presenta apparentemente come l’aspetto più complesso da affrontare per le televisioni locali di fronte all’offerta bulimica dei broadcaster maggiori. Ma è anche una offerta molto ferma su format consolidati. Ecco il terreno certamente rischioso, ma di grande interesse per una sperimentazione coraggiosa di nuovi linguaggi, grammatiche, generi e forme di coinvolgimento del pubblico che trovano nella TV locale un banco di prova ideale.

Da questo punto di vista ci potrebbe essere una traccia da seguire. L’analisi del box office cinematografico e delle audience televisive ci indica come alcuni generi, alcuni attori, alcuni soggetti, ricevono un consenso maggiore in determinate parti del Paese piuttosto che in altre. E’ un’analisi, questa, che va compiuta in maniera più approfondita di quanto già non si faccia, in modo da individuare concept su cui declinare l’offerta di intrattenimento delle locali.

Da questo punto di vista le locali potrebbero anche rappresentare, in partnership con alcune produzioni, il luogo dove i cosiddetti “format di carta” possono trasformarsi in format veri e propri, spendibili sul mercato dell’audiovisivo.

Nulla di quanto detto, in termini oltretutto di assoluta genericità, è ovviamente di facile realizzazione e/o a portata di mano. Ma è altrettanto certo che non intervenire significherebbe destinare l’emittenza locale a un non-futuro.

L’altro terreno è aprire le syndication di produzione con locali di altre regioni, quasi a configurare un network nazionale virtuale e territorialmente complementare alle serie televisive, alle docufiction, ai documentari. Anche in questo caso, la prossimità con Roma e con luoghi del Lazio che sono stati teatro di eventi, storie, personaggi di impatto mondiale aiuta i costi di produzione e l’appeal sul mercato.

Roma e la sua regione sono poi la location di spettacoli dal vivo (dal teatro alla musica, ecc.), di eventi politico-sociali, di occasioni culturali, che costituiscono una live library di straordinario valore, le cui potenzialità televisive sono ancora inesplorate.

Last, but not least, vanno esplorate le opportunità della Connected TV, e cioè tutte le nuove forme di ibride broadcast/broadband, le quali, configurandosi come una rimediazione dello schermo televisivo, stanno aprendo la strada a innovative modalità di offerta da parte delle emittenti, nonché di consumo da parte degli utenti. Un’emittente locale che rischia l’invisibilità nella lista dei canali del DTT, potrebbe ritrovare posto sugli schermi dei telespettatori attraverso un widget di una Connected TV.

Il bacino di pubblicità da cui le TV locali possono attingere risorse è ben differente da quello delle televisioni nazionali. Credito, telecomunicazioni, automobili, elettronica e prodotti mass market si collocano su un quadrante delle scelte pubblicitarie ben diverso da quello offerto dalle televisioni locali. Sono semmai le catene distributive degli stessi prodotti il target delle concessionarie locali.

Se però la strada intrapresa è quella della sperimentazione di prodotti e di posizionamento sul Web, è possibile ipotizzare un intervento dell’investitore pubblicitario non sull’acquisto di spazi nel palinsesto ma nel supporto di prodotti.

Che fare con Internet?

Ebbene, la lezione che si trae da Internet si può riassumere in due principi. Il primo è quello della coda lunga di Anderson (2006), secondo la quale le caratteristiche proprie di Internet e dei suoi consumatori fanno sì che l’area dei ricavi dei contenuti di nicchia pareggi, o addirittura superi, quella degli hit. La seconda è quella della piramide rovesciata che sta per essere codificata e

si può anticipare in questo modo: per raggiungere le nicchie di mercato bisogna presentarsi con un’offerta vasta; è illusorio pensare di costruire una offerta di nicchia, salvo casi eccezionali in cui il mercato di nicchia sia già conosciuto a livello globale ed abbia un valore significativo (è il caso, ad esempio, dei Manga giapponesi).

I tracciati, da cui anche il sistema televisivo locale può trarre qualche insegnamento, sono diversi, ma possono essere sintetizzati nei seguenti tre casi.

1) Il primo è quello dei grandi aggregatori Web che hanno conquistato un mercato mondiale e che progressivamente aumentano ed aggiornano la loro offerta: iTunes Store con la musica ha fatto da apripista, salvo rimanere ingessato nella rigidità della sua integrazione verticale; YouTube sta passando dagli UGC ad una offerta long form e premium. Sia iTunes che YouTube tendono ad accordi con produttori e distributori di contenuti più plurali possibile.

2) Il secondo è quello dei produttori televisivi che si sono associati nella joint venture Hulu. Tre grandi network e produttori operanti sul mercato audiovideo più grande del mondo, con una smisurata massa critica di prodotto, si sono aggregati per presentare la loro offerta web, piuttosto che operare ciascuno per conto proprio.

Questi due tracciati costituisco gli elementi di quella piramide rovesciata, di cui si diceva in precedenza, che indica la necessità di lavorare sui grandi numeri – e non su soluzioni differenziate e divise – per affrontare un mercato che la tecnologia ha reso

globale e abituato ad un’offerta nello stesso tempo amplissima e diversificata.

In conclusione: il rapporto con il bacino di creatività di Roma e della sua regione, l’innovazione, la navigazione nelle opportunità del Web, paiono gli strumenti su cui l’anima più imprenditoriale della televisione locale può ricollocare il settore al livello utile e necessario del sistema audiovisivo italiano.

Riferimenti Bigliografici

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• Barca F. (a cura di), Le TV invisibili. Storia ed economia del settore televisivo locale in Italia, Rai-Eri, Roma 2007.

• Burgess J., Green J., YouTube. Online Video and Participatory Culture, Polity Press 2009, trad. it. YouTube, Egea, Milano 2009.

• Colombo F., Vittadini N. (eds.), Digitizing Television: Theoretical Issues and Comparative Studies Across Europe, Vita & Pensiero, Milano 2006.

• De Sola Pool I., Technologies without boundaries: on telecommunications in a global age, trad. it. Tecnologie senza frontiere: le telecomunicazioni nell'era globale, Telecom Italia/Utet, Torino 1998.

• Di Chio F. (a cura di), Mediamorfosi. Le trasformazioni della tv digitale raccontate dai protagonisti, Milano 2006.

• Dotto G., Piccinini S., Il mucchio selvaggio. La strabiliante, epica, inverosimile ma vera storia della televisione locale in Italia, Mondadori, Milano 2006.

• Grasso A., La TV del sommerso. Viaggio nell’Italia delle TV locali, Mondadori, Milano 2006.

• Jenkins H., Convergence Culture: Where Old and New Media Collide, New York University Press, 2006, trad. it. Cultura Convergente, Apogeo, Milano 2007.

• Kunert T., User-centered interaction design patterns for interactive digital television applications, Springer, London 2009.

• Lonardi A., Guarnieri A., La nuova televisione. Il passaggio al digitale terrestre, Odoya/Rai-Eri, Roma 2009.

• Manovich L., The language of new media, MIT Press, Cambridge Mass. 2001, trad. it. Il linguaggio dei nuovi media, Olivares, Milano 2002.

• Materia A., Gli anni della New TV, 2010, Ebook.it.

• McLuhan M., Understanding media. The extensions of man, McGraw Hill, New York 1964, trad. it. Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano 1967.

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• Nicita A., Ramello G.B., Silva F., La nuova televisione. Economia, mercato, regole, Il Mulino, Bologna 2008.

• Palmer S., Television disrupted. The transition from network to networked TV, Focal Press, Oxford 2006.

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• Sfardini A., Scaglioni M., MultiTV. L’esperienza televisiva nell’età della convergenza, Carocci, Roma 2008.

• Ulin J., The business of media distribution, Focal Press, Oxford 2009.

• Williams R., Television: technology and cultural form, Fontana/Collins, London 1974, trad. it. Televisione. Tecnologia e forma culturale, De Donato, Bari 1981.

Fonte: tratto da https://www.corecomlazio.it/binary/prtl_corecom/corecom_wordpress/Ricerca_New_Tv.pdf

Sito web da visitare: https://www.corecomlazio.it/

Autore del testo: CORCOMLAZIO

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