Anziani in famiglia e famiglia di anziani

Anziani in famiglia e famiglia di anziani

 

 

 

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Anziani in famiglia e famiglia di anziani

4. Progetto obiettivo: "La tutela e la promozione della qualità della vita degli anziani a domicilio e nelle strutture residenziali"

4.1 Premessa: Gli obiettivi generali del progetto e i nuovi caratteri della condizione anziana

Il presente progetto si ispira al progetto obiettivo nazionale denominato “tutela della salute degli anziani”, approvato dal Parlamento nel gennaio 1992 come stralcio del Piano sanitario nazionale 1991-1995. E’ impossibile infatti affrontare la problematica dell’invecchiamento rimanendo nello stretto ambito socio-assistenziale, separato da quello propriamente sanitario. Poiché per l’anziano la salute corrisponde al grado di autonomia funzionale di cui egli gode, a questa devono tendere gli interventi finalizzati alla prevenzione, al recupero e alla cura della non autosufficienza.
Il presente progetto intende essere perciò espressione dell’integrazione tra le linee di politica socio-assistenziale definite nel piano e quelle di politica sanitaria formulate dal Piano sanitario regionale.
Le politiche finalizzate alla tutela e promozione della qualità della vita degli anziani dovranno:
1) promuovere, con opportune iniziative, un’educazione per invecchiare bene;
2) prevenire la perdita dell’autonomia e dell’autosufficienza attraverso servizi sociali e sanitari sempre più idonei;
3) curare e assistere gli anziani non più autosufficienti, riconoscendo e valorizzando le situazioni di autonomia residua, allo scopo di ostacolare e rallentare gli inevitabile processi di perdita.
La scelta di predisporre un progetto integrato rivolto alla tutela della fascia anziana della popolazione muove dalla necessità di garantire continuità agli interventi assistenziali, tenendo conto che il processo dell'invecchiamento è un "continuum" che si sviluppa nel tempo e nello spazio, e una flessibilità che si concreta nella capacità di ogni servizio e del sistema nel suo insieme di cogliere le esigenze relative alla problematica degli anziani e di progettare gli interventi sulla base delle necessità riscontrate.
La programmazione e l'organizzazione degli interventi destinati a promuovere e tutelare la salute degli anziani non possono non tenere conto di alcuni aspetti che caratterizzano la condizione degli stessi.
Si intende qui fare riferimento alla crescita demografica, determinata sia dall’aumento della vita media che dalla contrazione delle nascite e quindi la riduzione della popolazione giovanile; alla prevalenza delle donne-anziane, rispetto agli uomini-anziani; alla problematica della non autosufficienza e in particolare alla grande incidenza su tale condizione della demenza senile; alla modificazione della famiglia e all’estendersi delle famiglie costituite da una sola persona; alle problematiche derivanti dall’organizzazione del lavoro che impone il pensionamento obbligatorio; allo sviluppo delle città che facilita l’emarginazione sociale.
E' emersa, in epoca recente l'esigenza di affrontare la tematica anziana con modalità nuove delle quali si dovrà tenere conto sia nell'analisi delle condizioni di bisogno sia nell'organizzazione degli interventi.
Tali modalità presuppongono che:
1) l’anziano vada sempre considerato nel suo ambiente di appartenenza, in primo luogo nella sua famiglia, ma anche nella sua comunità, composta di amici e di vicini, di ambiente, di cultura e di tradizioni locali ecc.;
2) la famiglia vada riconosciuta, valorizzata e sostenuta come una delle principali risorse ai fini della promozione e della tutela della salute, e non vada lasciata a se stessa a gestire il proprio carico assistenziale; essa deve infatti essere inserita nel programma di assistenza con un ruolo strategico importante soprattutto per garantire quella continuità dell’assistenza stessa che rende possibile agli anziani una vita a domicilio soddisfacente.
Possono esistere situazioni particolari dove la famiglia (assente o carente) è sostituita o integrata da persone che svolgono le stesse funzioni, senza possedere lo status specifico di parente o familiare;
3) i servizi ai quali fare riferimento nell'organizzazione degli interventi sono in questi anni cresciuti e nel medesimo tempo si sono differenziati; essi costituiscono un sistema, che peraltro varia, sia per quantità che per qualità, a seconda delle peculiarità del territorio di riferimento. In particolare le diverse comunità territoriali esprimono il volontariato, anche tra gli stessi anziani (in questi anni va registrato un notevole incremento), che rappresenta un segno di vitalità della comunità stessa.
4.2 La distinzione tra azione programmatica e progetto-biettivo e le problematiche emerse nell’attuazione del 1° Piano socio-assistenziale

L'esperienza compiuta nell'attuazione del 1° Piano socio-assistenziale ha fatto emergere alcune problematiche d'ordine generale relative sia alle modalità con le quali gli interventi sono stati articolati, che agli indirizzi programmatici adottati; di tali problematiche e dell'influenza da esse avuta nel conseguimento degli obiettivi di piano, occorrerà tenere conto nell'avviare gli interventi per il prossimo triennio.
L'articolazione degli interventi a favore degli anziani è avvenuta attraverso l'adozione di due strumenti programmatici sia per rispondere a specifiche indicazioni legislative sia per la necessità di intervenire con modalità differenti:
- il PO per gli anziani non autosufficienti, finalizzato alla cura e al recupero (attraverso prestazioni di carattere sanitario e assistenziale, azioni di sostegno alla famiglia e di creazione di unità di offerte nelle strutture residenziali adeguatamente modulate e attrezzate per l'assistenza continuativa) e applicabile quindi in campi specifici;
- l'azione programmatica rivolta alla generalità degli anziani, con più evidente contenuto di prevenzione (attraverso azioni tese a ridurre e prevenire i rischi d'isolamento e l'instaurarsi di atteggiamenti di dipendenza sfocianti in perdita di autonomia).
Venivano inoltre stanziati fondi distinti ai quali poter accedere a seconda della scelta che i responsabili degli interventi intendessero compiere.
Questa modalità di intervento è stata all'origine di scollamenti e separatezze nella realizzazione degli interventi.

Infatti l’enfasi posta sull’importanza degli interventi demandati al progetto-obiettivo rispetto a quelli assegnati dall'azione programmatica ha indotto a ritenere che ci fosse una precedenza degli interventi riparativi rispetto a quelli di promozione, che si prescrivesse uno status di indispensabilità agli uni e di non obbligatorietà ai secondi con il rischio di compromettere l'interazione e il coordinamento tra i due tipi d'intervento.
L'esistenza di due indirizzi programmatici negli interventi a favore degli anziani, uno collegato all’attuazione del Piano socio-assistenziale, l’altro al Piano sanitario regionale, ha comportato la difficoltà di definire strumenti di raccordo e d’integrazione evidenziando l'assenza di un indirizzo programmatico unitario nella gestione degli interventi.
E tuttavia anche altri fattori hanno concorso al mancato decollo dei servizi rivolti agli anziani:

* il ritiro del servizio sanitario dai settori d’intervento che comportavano una forte integrazione tra il sociale e il sanitario, motivato dalla insufficienza delle disponibilità finanziarie e dal blocco delle assunzioni ma influenzato dal processo di superamento delle Unità sanitarie locali e dall’introduzione dell’aziendalizzazione dei servizi che in molte situazioni ha favorito le strutture di ricovero rispetto a quelle operanti nel territorio;
* la genericità dei criteri di coordinamento tra i Comuni e le USL, così come delineati dal precedente Piano socio-assistenziale, che si fondavano più su un dover essere che sull’individuazione di strumenti e di concreti vantaggi ed incentivi derivanti dalla collaborazione; ciò ha comportato che l'assistenza domiciliare sia rimasta di esclusiva competenza dell'area sociale, senza alcuna integrazione con il comparto sanitario;
* la mancata costituzione degli organismi di valutazione e quindi la mancata definizione dei criteri di ammissione dell’anziano al sistema dei servizi, il ché ha fatto registrare un numero di utenti di gran lunga inferiore alla popolazione anziana non autosufficiente e bisognosa di servizi integrati.
Pur nella considerazione dei problemi cui si è fatto riferimento, legati all'adozione in forma distinta dei due strumenti programmatici, nelle politiche che il piano intende promuovere per il prossimo triennio trova ancora giustificazione, sul piano normativo, la distinzione tra progetto obiettivo e azione programmatica perché essa è considerata ancora oggi un criterio-guida nella formazione del bilancio regionale e di ciò occorrerà tener conto nelle modalità di accesso ai fondi e quindi nella collocazione che verrà data almeno a quelle iniziative per le quali verrà previsto un finanziamento specifico, iniziative che dovranno indicare, almeno sul piano definitorio, se trattasi di progetto obiettivo o di azione programmatica.
La stessa distinzione trova inoltre giustificazione nel diverso grado di pervasione che gli uni hanno sulle altre. Il progetto obiettivo infatti ha una valenza innovativa che riguarda la realtà specifica che lo elabora e tende a perseguire risultati significativi per territorio di pertinenza sulla base di peculiarità tipiche di detta realtà; l’azione programmatica invece riguarda aspetti relativi all’intero sistema regionale e riferiti quindi a obiettivi di carattere generale, per il cui perseguimento e sviluppo risultano necessari l’adesione e l’impegno da parte di tutti i soggetti interessati.
Tuttavia quella che è una necessità di carattere normativo non dovrà esonerare quanti intervengono in questo campo, dalla preoccupazione di mantenere strettamente collegati tra loro i programmi che si qualificano come azioni programmatiche e quelli che nascono come progetti obiettivo per garantire unicità e continuità al piano.
Si è convinti infatti che per il prossimo triennio le azioni di piano rivolte agli anziani si debbano caratterizzare per la continuità degli interventi la quale deve essere perseguita assicurando agli interventi preventivi, da rivolgere alla generalità degli anziani, il giusto peso rispetto a quelli assistenziali e riabilitativi più specificamente destinati agli anziani che presentano il rischio di perdere l'autosufficienza o che non sono più autosufficienti. Lo stretto collegamento degli interventi preventivi e riabilitativi deve essere assicurato anche quando si presentano situazioni di compromissione della vita di relazione e delle condizioni psicofisiche degli anziani per far si che ogni fase di difficoltà sia gestita non in termini riparatori ma di recupero e che venga evitato un ulteriore peggioramento delle condizioni di autosufficienza.
Per quanto riguarda i problemi legati all'utilizzo di un approccio globale nella gestione degli interventi e all'integrazione dei servizi, non solo esigenze di ordine culturale inducono all’adozione di un modello dipartimentale tra servizi sanitari e di un modello integrato di essi con i servizi sociali, ma in pari tempo esigenze di efficacia e di produttività delle risorse utilizzate per i servizi; nel medio periodo, esse possono determinare, insieme ad una più alta soddisfazione dei bisogni degli utenti, un risparmio della spesa sanitaria. L’urgenza di procedere in tale direzione è stata recentemente accentuata dall’introduzione, dall’1.1.1995, del nuovo sistema di rimborso delle spese per ricoveri basato sui DRGs. Con la tendenza alla dimissione precoce e con la riduzione dei tempi di degenza medi determinata dal nuovo sistema, è ulteriormente aumentata la necessità di dotare il territorio, in tempi brevi, di strutture e servizi alternativi al ricovero e integrati con gli interventi di carattere sociale.
Era prevista nel primo piano socio-assistenziale una finalità generale che privilegiava il mantenimento degli anziani non autosufficienti nella famiglia originaria o affidataria attraverso i seguenti strumenti: a) attivazione di interventi domiciliari integrati tra l'area sanitaria e l'area

sociale; b) erogazione di prestazioni di assistenza economica in risposta alle esigenze dell'anziano e della sua famiglia.
Inoltre, all’interno della finalità generale, si individuano i seguenti obiettivi specifici:
1. miglioramento dell’assistenza domiciliare attraverso l’integrazione/collaborazione con i servizi sanitari e la qualificazione e la riqualificazione del personale;
2. miglioramento delle condizioni strutturali, gestionali e organizzative degli istituti e case di riposo attraverso un adeguamento e/o riconversione in case protette;
3. incremento dell'offerta di servizi residenziali tramite la realizzazione di case protette in zone carenti e in relazione alle condizioni di non autosufficienza della popolazione anziana residente;
4. attivazione di flussi informativi tra regione, comuni e strutture residenziali in ordine agli interventi domiciliari, agli affidamenti eterofamiliari, ai movimenti dei ricoveri (ricognizione delle strutture, caratteristiche gestionali e organizzative, tipologie degli ospiti);
5. realizzazione di interventi conoscitivi sui mutamenti demografici, sulla condizione degli anziani e la domanda di servizi.
Come abbiamo avuto modo di rilevare nell’analisi precedente, negli anni di vigenza del 1° Piano socio-assistenziale, non si sono create le condizioni (culturali, istituzionali, organizzative) perché i Comuni ottenessero la collaborazione delle Unità Sanitarie nel prestare a domicilio un servizio più adeguato alle esigenze della popolazione anziana. Cosicché le maggiori responsabilità in ordine alle politiche per gli anziani sono ricadute sui singoli Comuni i quali in questi ultimi anni si sono fatti carico di garantire la prosecuzione dei servizi con trasferimenti finanziari immutati rispetto a quelli determinati nel 1992 (L.R. 25/93). Solo un limitato gruppo di Comuni ha ottenuto dei finanziamenti aggiuntivi a quelli ordinari a seguito della presentazione e dell’approvazione dei progetti-obiettivo ma con un arco temporale delimitato.
Le attività di assistenza domiciliare, rivolte ad anziani autosufficienti e non autosufficienti, sono svolte attualmente da 320 Comuni su 376 attraverso Cooperative ed Associazioni del privato sociale, con standard di servizio che, pur all’interno di requisiti minimi necessari per l’iscrizione al registro regionale, registrano una forte variabilità rispetto a professionalità impegnate, orari dedicati al servizio, protocolli d’intervento, costi.
L’azione della Regione verso l’omogeneizzazione dei parametri su esposti ha avuto dei limiti nell’accentuato autonomismo comunale e nella mancata adozione di meccanismi e strumenti per la puntuale valutazione dei risultati.
Gli interventi di riqualificazione del personale impegnato nei servizi di assistenza domiciliare hanno riguardato una quota limitata degli operatori attualmente utilizzati, che hanno partecipato, con adesioni individuali, a normali attività di formazione promosse dall’Assessorato al Lavoro. La gran parte di essi non ha avuto invece l’opportunità di inserirsi in attività di qualificazione e riqualificazione. Il problema si ripropone pertanto come questione vitale in sede di attuazione del nuovo piano.
Per quanto riguarda il funzionamento delle strutture socio-assistenziali (comunità alloggio e case protette), si rileva che il mancato adeguamento delle condizioni strutturali, gestionali e organizzative agli standard stabiliti dalla L.R. 4/88 e dai regolamenti di attuazione ha indotto il legislatore ad approvare una norma di proroga di ulteriori 3 anni per quanto riguarda i requisiti strutturali e di 2 anni per la parte relativa al personale in servizio nelle residenze (art.57 L.R.7/4/1995, n. 6).
L’incremento dell’offerta dei posti di accoglienza in case protette, derivante dall’adeguamento e/o riconversione delle case di riposo, ha soddisfatto solo in parte il fabbisogno territoriale e regionale in quanto è avvenuto su input di singoli Comuni o di soggetti del privato sociale e non come conseguenza di una previsione di servizi residenziali protetti per un ambito territoriale più vasto. Il processo di riconversione delle case di riposo è stato inoltre rallentato dalla mancata attivazione delle Unità Valutative Geriatriche che avrebbero potuto procedere, attraverso una valutazione uniforme sul piano regionale e con criteri più rigorosi, all’esame dei casi che non necessitavano di una struttura di ricovero e nello stesso tempo all’esame dei casi bisognevoli di struttura protetta.
Occorre inoltre sottolineare il rapporto esistente tra strutture residenziali socio-assistenziali (in particolare case protette) e Residenze Sanitarie Assistenziali. Anche il Progetto obiettivo anziani approvato dal Parlamento aveva posto l’esigenza di non separare la dotazione di posti nelle case protette dalla determinazione del fabbisogno di posti nelle Residenze Sanitarie Assistenziali, la cui realizzazione era prevista attraverso i fondi stanziati dall’art.20 della L.67/88. Nel settore delle residenze la Regione opportunamente deve compiere una verifica

sull’effettiva necessità di dar luogo a nuove costruzioni, dal momento che si registrano, sul territorio regionale, eccedenze di disponibilità di posti letto ospedalieri, rispetto allo standard fissato del 4,3 per mille abitanti ed eccedenze di strutture socio-assistenziali attualmente in fase di completamento oppure ultimate ma non ancora utilizzate.
Quanto rappresentato propone alcuni spunti di riflessione sulla realizzazione degli obiettivi indicati dal 1° Piano ma si è consapevoli che ciò è ben lungi dal costituire una puntuale valutazione dei risultati conseguiti negli anni di vigenza dello stesso. Dobbiamo riconoscere che una tale valutazione, pur costituendo un passaggio indispensabile per meglio delineare gli obiettivi, le procedure di attuazione e gli strumenti del nuovo piano, non può essere soddisfatta in modo adeguato perché il piano precedente non ha previsto meccanismi e strumenti per la valutazione dei risultati e per il monitoraggio delle azioni da compiere, né tale carenza è stata colmata in sede di relazione annuale sullo stato di attuazione del piano secondo quanto previsto dall’art.23 della L.R. 4/88.
Pertanto le difficoltà rilevate nell’attuazione del 1° Piano socio-assistenziale forniscono una chiara indicazione per le modalità di elaborazione del nuovo piano e perché nello stesso siano predisposte le condizioni strumentali ed organizzative per poter procedere alla valutazione dei risultati che si vogliono conseguire. Inoltre suggeriscono di assegnare al 1° anno di vigenza del nuovo piano il compito di attivare gli strumenti di valutazione e di realizzare gli opportuni interventi conoscitivi della domanda e dell’offerta con l’attivazione di un sistema informativo integrato tra regione, comuni, aziende sanitarie, strutture del privato sociale e volontariato.

4.3 La previsione dell’andamento della domanda di servizi socio-assistenziali sulla base dei dati statistici relativi alla condizione anziana
4.3.1 Distribuzione regionale e territoriale della popolazione anziana sulla base dei dati del censimento
L’invecchiamento della popolazione è un fenomeno che interessa tutti i paesi occidentali. Esso è il risultato dell’aumento della speranza di vita e del progressivo calo della fecondità.
In Italia la popolazione anziana di 65 anni e più è cresciuta passando dal 9,5% del 1961 al 15,3% del 1991 (tab.1).
Tabella 1. Popolazione anziana di 65 anni e più nei censimenti dal 1961 al 1991

1961 1971 1981 1991

v.a % v.a % v.a % v.a. %
Sardegna 124.380 8,8 150.501 10,2 177.093 11,1 206.417 12,5
Italia 4.827.415 9,5 6.101.820 11,3 7.485.125 13,2 8.700.185 15,3

In Sardegna nello stesso periodo è passata dall’8,8% al 12,5%.
Sul piano territoriale, la maggior percentuale di popolazione anziana di 65 anni e più è presente nel distretto di Ghilarza (20,35%), di Ales (18,38%), di Sorgono (17,93%), di Ozieri (16,54%), di Alghero (15,43%), di Macomer (15,16%); la minor percentuale è invece presente nei Distretti sanitari di Cagliari 21 (7,85%), di Quartu S. E. (8,28%) di Olbia (10,86%), di Cagliari 20 (11,14%), di Sassari (11,29%) come si rileva dalla tabella 2.
Analogo andamento territoriale si registra per la popolazione di 75 anni e più.
Questi dati, uniti alla diminuzione della natalità, determinano alti indici di vecchiaia nei comuni del distretto sanitario di Ghilarza (124,73%), di Ales (112,43%), di Sorgono (106,10%). Nel distretto sanitario di Cagliari 21 (35,78%), di Quartu S.E.(38,52%), di Olbia (57,29%) si riscontrano invece gli indici più bassi (tab.4). Inoltre ad alti indici di vecchiaia si accompagnano alti indici di dipendenza ad indicare il peso delle componenti estreme della popolazione (anziani e bambini) sulle componenti produttive e giovani.

Tabella 2. Censimento della popolazione 1991. Classi d’età anziani per Distretti sanitari (ex USL) - Dati ISTAT Regionale
Distretti sanitari
(ex USL) 75 anni
e più 65 anni
e più Totale
generale % 75 anni
e più % 65 anni
e più

USL n.1 Sassari
USL n.2 Alghero
USL n.3 Tempio P.
USL n.4 Olbia
USL n.5 Ozieri
USL n.6 Macomer
USL n.7 Nuoro
USL.n.8 Siniscola
USL n.9 Lanusei
USL n.10 Sorgono
USL n.11 Isili
USL n.12 Ghilarza
USL n.13 Oristano
USL n.14 Ales
USL n.15 Guspini
USL n.16 Iglesias
USL n.17 Carbonia
USL n.18 Senorbì
USL n.19 Sanluri
USL n.20 Cagliari
USL n.21 Cagliari
USL n.22 QuartuSE
Totale 9.502
5.544
3.340
4.033
3.475
2.654
5.069
1.966
3.668
1.720
1.993
3.564
5.619
1.832
3.295
2.738
5.243
3.067
3.579
13.078
1.909
3.443
90.331 22.343
12.318
7.074
9.272
7.528
5.927
11.254
4.407
8.007
3.741
4.259
7.318
12.822
3.871
7.582
6.695
12.259
6.668
8.161
32.040
4.609
8.262
206.417 197.978
79.847
47.012
85.350
45.511
39.090
91.048
36.650
59.149
20.866
25.395
35.952
99.955
21.063
63.100
56.698
92.101
44.424
60.903
287.71
58.691
99.724
1.648.248 4,80
6,94
7,10
4,73
7,64
6,79
5,57
5,36
6,20
8,24
7,85
9,91
5,62
8,70
5,22
4,83
5,69
6,90
5,88
4,55
3,25
3,45
5,48 11,29
15,43
15,05
10,86
16,54
15,16
12,36
12,02
13,54
17,93
16,77
20,35
12,83
18,38
12,02
11,81
13,31
15,01
13,40
11,14
7,85
8,28
12,52

Tabella 3. Censimento della popolazione 1991. Classi d’età anziani per Aziende USL - Dati ISTAT Regionale
Azienda USL 75 anni
e più 65 anni
e più Totale
generale % 75 anni
e più % 65 anni
e più

USL n.1 Sassari
USL n.2 Olbia
USL n.3 Nuoro
USL n.4 Lanusei
USL n.5 Oristano
USL n.6 Sanluri
USL n.7 Carbonia
USL n.8 Cagliari
Totale 18.521
7.373
13.402
3.668
11.015
8.497
7.981
19.874
90.331 42.189
16.346
29.588
8.007
24.011
19.275
18.954
48.047
206.417 323.336
132.362
213.049
59.149
156.970
147.173
148.799
467.410
1.648.248 5,73
5,57
6,29
6,20
7,02
5,77
5,36
4,25
5,48 13,05
12,35
13,89
13,54
15,30
13,10
12,74
10,28
12,52








Tabella 4. Censimento della popolazione 1991. Indici per distretto sanitario (ex USL) - Dati ISTAT Regionale
USL Indice*
di vecchiaia Indice**
di ricambio Indice***
di dipendenza
USL n.1 Sassari
USL n.2 Alghero
USL n.3 Tempio P.
USL n.4 Olbia
USL n.5 Ozieri
USL n.6 Macomer
USL n.7 Nuoro
USL.n.8 Siniscola
USL n.9 Lanusei
USL n.10 Sorgono
USL n.11 Isili
USLn.12 Ghilarza
USLn.13 Oristano
USL n.14 Ales
USL n.15 Guspini
USL n.16 Iglesias
USLn.17 Carbonia
USL n.18 Senorbì
USL n.19 Sanluri
USL.n.20 Cagliari
USL n.21 Cagliari
USLn.22 Quartu SE

Totale 62,35
92,87
85,97
57,29
90,70
84,39
64,40
62,81
70,68
106,10
96,12
124,73
67,34
112,43
60,47
61,01
72,21
82,34
71,52
65,83
35,78
38,52

67,91 50,00
64,41
69,39
48,90
71,92
64,47
54,26
54,34
57,10
83,19
66,28
86,40
58,10
77,31
54,94
57,87
52,00
64,38
62,67
51,98
35,11
37,38

54,94 41,62
47,14
48,26
42,50
53,32
49,54
46,10
45,28
48,57
53,44
52,02
57,91
46,79
53,20
46,82
45,27
46,51
49,79
47,35
38,98
42,45
42,43

44,85

* Rapporto percentuale tra la popolazione di 65 anni e più e quella di meno di 14 anni.
** Rapporto percentuale tra la popolazione della classe 60-64 anni e della classe 15-19 anni.
*** Rapporto percentuale avente a numeratore la somma tra la popolazione con meno di 14 anni e quella di 65 anni e più e a denominatore la popolazione in età da 14 a 64 anni.



Tabella 5. Censimento della popolazione 1991. Indici per Azienda USL - Dati ISTAT Regionale
Azienda USL Indice
di vecchiaia Indice
di ricambio Indice
di dipendenza

USL n.1 Sassari
USL n.2 Olbia
USL n.3 Nuoro
USL n.4 Lanusei
USL n.5 Oristano
USL n.6 Sanluri
USL n.7 Carbonia
USL n.8 Cagliari
Totale complessivo 73,50
66,96
74,96
70,68
84,69
68,18
67,81
55,37
67,91 56,05
55,88
60,04
57,10
66,45
59,41
54,16
47,06
54,94 44,51
44,49
47,96
48,57
50,06
47,72
46,03
40,54
44,85
Questi dati già delineano una più forte incidenza della popolazione anziana nei territori dell’interno e una minor incidenza nei comuni della provincia di Cagliari, nei comuni capoluoghi e nei comuni costieri. Ma con la collaborazione dell’ISTAT regionale si sono volute più puntualmente individuare delle aree omogenee sul territorio regionale utilizzando una più ampia serie di indicatori socio-demografici adatti a descrivere sia la distribuzione nel territorio che le caratteristiche degli anziani. Questa indagine, pur in carenza di ulteriori informazioni sulle condizioni di vita e di reddito degli anziani e di altri dati comunali di natura sociale e amministrativa, ha utilizzato - oltre i già citati e fondamentali indicatori di struttura per età della popolazione e i rapporti tra le diverse componenti della popolazione - anche indicatori indiretti adatti a definire il disagio economico quali il tasso di disoccupazione e il tasso di attività.
E’ stata operata la scelta di considerare un numero limitato di gruppi, limitato a sei (fig.1). Fra questi, solo tre raggruppano un numero significativo di comuni: 165 comuni (cluster 2), 158 comuni (cluster 5) e 44 comuni (cluster 3). I tre restanti cluster (cluster 4, cluster 6 e cluster 1), raggruppano soltanto 5, 2 e 1 comune.
Il cluster 2 mette in evidenza la forte omogeneità della gran parte dei comuni della provincia di Cagliari con la quasi totalità dei comuni distribuiti sulle coste e nelle zone intorno ai comuni capoluogo di provincia. I tratti caratteristici fondamentali di questa zona omogenea sono: popolazione più giovane, con conseguenti bassi valori degli indici di dipendenza e di ricambio, con disoccupazione meno accentuata.
Il cluster 5 si presenta sotto forma di “grosse macchie” ed è concentrato nelle zone interne. La caratteristica è di essere costituito da comuni quasi tutti con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti che presentano una notevole concentrazione di popolazione anziana.
Il cluster 3 è costituito esclusivamente da comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti la gran parte dei quali è dislocata nella parte occidentale dell’isola: essi sono connotati ancor di più del cluster 5 da una popolazione di vecchi, dove il ricambio generazionale sembra tenda a scomparire.



Nei comuni compresi nei restanti cluster si accentuano ulteriormente gli indici di vecchiaia, di dipendenza e di ricambio.
Le aree omogenee delimitate dai cluster hanno evidenziato forti relazioni tra le condizioni generali delle stesse dal punto di vista economico, di densità della popolazione e di invecchiamento della popolazione. Ci sono più anziani nei comuni più piccoli, nelle zone interne e in quelle vicine ai comuni capoluogo di provincia. Altri dati ci consentono di affermare che in questi comuni e in queste zone, gli anziani soffrono di minori opportunità economiche ed occupazionali. Però queste sono anche le zone dove gli anziani vivono con più disinvoltura nella loro abitazione anche quando sono soli e dove vive la maggior parte di coloro che sono stati soli anche nelle fasi precedenti della vita.
Nelle zone “urbanizzate” gli anziani tendono invece a convivere con altre persone, inseriti in famiglie più ampie. Qui si registrano infatti i valori più elevati per quanto riguarda l’inserimento nelle famiglie con più di tre componenti.

4.3.2 Le tendenze demografiche per i prossimi decenni
Il quadro demografico appena descritto fornisce già sufficienti indicazioni sul tipo di domanda che la popolazione anziana delle diverse realtà territoriali pone ai decisori politici a livello regionale e locale. Ma forse è opportuno uno sguardo sulle tendenze demografiche dei prossimi decenni per avere ulteriori elementi di riflessione e di valutazione sullo sviluppo della popolazione.
Gli anni che verranno saranno ancora caratterizzati da una forte diminuzione della natalità e dall’ulteriore accrescimento della durata media della vita. Queste sono le previsioni dell’Istituto Ricerche sulla Popolazione. L’IRP ha indicato tre possibili scenari dello sviluppo della popolazione in relazione ad una ipotesi di fecondità costante, ad una di fecondità crescente e ad una di fecondità decrescente. Nell’ipotesi di fecondità decrescente, che riteniamo più plausibile rispetto ai processi in corso, prevede che la popolazione della Sardegna nel 1999 raggiungerà la numerosità massima di
1.662.000 e quindi - rispetto dai dati del censimento del 1991 - avrà un accrescimento di sole 13.752 unità. Negli anni successivi invece tenderà a decrescere progressivamente portandosi tra il 2004 e il 2.009 a valori inferiori a quelli del 1991.
In questo quadro le modificazioni più profonde si prevedono nella struttura per età della popolazione: nel periodo di 20 anni dal 1999 al 2019 la popolazione di età 0-14 anni diminuirà del 5,69%, mentre nello stesso periodo la popolazione di 65 anni e più subirà un incremento di 7,76% (tab.6).
Tabella 6. Indicatori demografici sulla popolazione della Sardegna nel periodo 1999-2044 calcolati dall’IRP con base 1994 e nell’ipotesi di fecondità decrescente.
Indicatori
demografici 1999 2009 2019 2029 2044

% popolazione 0-14
% popolazione 15-64
% popolazione 65 e più 15,02
70,44
14,54 12,07
70,19
17,74 9,33
68,37
22,30 7,71
64,06
28,23 6,38
52,81
40,81
Età media 38,97 42,81 46,92 50,71 55,48
Indice di vecchiaia 100 x [P(65+) / P (0-14)] 96,82 146,94 238,93 336,28 639,75
Indice di dipendenza anziani 100 x [(65+) / P(20-64)] 22,77 27,22 34,79 46,52 81,53
Indice di ricambio 100 x [P(15-19) / P(60-64)] 132,81 84,84 60,15 37,32 32,27
Numero medio di figli per donna 1,01 0,90 0,90 0,90 0,90
Vita media alla nascita 78,88 80,63 81,04 81,01 80,99
Questo scenario dello sviluppo della popolazione della nostra regione accentua la necessità di governare e accompagnare i
cambiamenti demografici e sociali con politiche illuminate nei vari campi dell’intervento pubblico e, per quanto ci interessa, con indicazioni di politica sociale e di sviluppo dei servizi appropriate alla nuova realtà e massimamente produttive di efficacia, tenuto conto delle sempre più scarse risorse che il bilancio dello stato e della regione potrà stanziare per le politiche sociali.
4.3.3 Le attività di prevenzione e di promozione della qualità della vita
Le attività di prevenzione attraverso interventi di educazione alla salute e la promozione della qualità della vita a domicilio attraverso l’assistenza domiciliare integrata possono costituire le prime risposte alla domanda che pone la nuova condizione anziana.
L'adozione di azioni di prevenzione finalizzate al mantenimento di condizioni di benessere psicofisico dovrebbe essere perseguita durante tutto l'arco della vita delle persone nell'infanzia e nelle età scolari e formative, nelle età lavorative. Non meno importante è rivolgere tali azioni verso le persone che giungono alla soglia della terza età, perché presentano rischi di deterioramento delle condizioni di salute e della vita di relazione.
Pur non costituendo un criterio rigido, il compimento del 65° anno di età apre un periodo della vita dell'anziano in cui è più frequente il rischio che compaiano malattie tipiche dell'invecchiamento o che assumono carattere di cronicità come quelle cardiopatiche, vascolari e del ricambio, oppure possano instaurarsi atteggiamenti di dipendenza in relazione allo stato di insicurezza e di paura derivante dall’esaurirsi delle attività occupazionali e dal restringersi della vita di relazione.
Al fine di prevenire e ridurre tali rischi, gli interventi di educazione sociale e sanitaria assumono un rilevante valore. Essi svolgono il compito di prevenzione primaria ed hanno lo scopo di informare gli anziani sulle problematiche di carattere psicologico, sociale e sanitario presenti nella condizione anziana perché essi possano prepararsi ad affrontarla senza paure, controllando periodicamente le loro condizioni di salute e valorizzando le loro capacità e le loro reti di relazione. In questo senso opportune iniziative di promozione devono essere congiuntamente svolte dai Distretti sanitari, dai Servizi di assistenza alle persone anziane delle Aziende USL e dagli Uffici dei servizi sociali e di comunità del Comune con il coinvolgimento dei medici di famiglia e di altri servizi specialistici dell'Azienda USL, di associazioni di patronato e di volontariato, di organismi come l'Università della Terza età.
Analoga tempestività e programmazione deve essere assicurata per garantire la salute degli anziani a domicilio. Il presente piano riserva un’attenzione particolare alla domanda che può qualificarsi come una domanda di assistenza domiciliare, specialmente dopo l’interesse provocato dall’istituzione del servizio di assistenza domiciliare integrata e dalla centralità che esso ha nella politica dei servizi per gli anziani. Rimanere nel proprio domicilio, anche quando le condizioni di salute non sono più in grado di garantire autonomia sufficiente, tanto da dover richiedere l’aiuto dei servizi, è certamente un diritto legittimo per l’anziano, ma è anche una scelta che comporta un minor costo per i servizi, specialmente in quei casi in cui i servizi si pongono come alternativi al ricovero in ospedale.
Secondo le indicazioni del Piano Sanitario Nazionale, i servizi di assistenza domiciliare integrata dovrebbero riguardare il 2% degli anziani ultrasessantacinquenni, che nella Regione dovrebbe coincidere con circa 4.000 utenti (vedasi tab.7).
Tabella 7. Previsione del numero di anziani beneficiari di A.D.I. secondo i parametri del PSN (dati del censimento del 1991).
Azienda USL Popolazione
di 65 anni e più N. assistiti previsti dal PSN (2% della popolazione .> 65)

1 - Sassari 42.189 844
2 - Olbia 16.346 327
3 - Nuoro 29.588 592
4 - Lanusei 8.007 160
5 - Oristano 24.011 480
6 - Sanluri 19.275 385
7 - Carbonia 18.954 379
8 - Cagliari 48.047 961
Totale 206.417 4.128
Il problema non è tuttavia la determinazione del numero dei potenziali beneficiari dell’A.D.I., semmai consiste nella individuazione delle persone che dovrebbero trarre vantaggio da tale servizio, a seconda delle condizioni di salute che presentano. Mancano infatti criteri e standard specifici che definiscano con sufficiente precisione la tipologia dell’utenza che possa accedere a tale servizio contraendo di fatto la domanda verso altri servizi, come giustamente si dovrebbe attendere.
Solamente con l’impiego di strumenti di valutazione multidimensionale sullo stato funzionale globale dell’anziano (somatico, psichico, socio-economico, ambientale, ecc.) è possibile una misurazione oggettiva del parametro “qualità della vita” ed una reale quantificazione dei bisogni.
L’utente che può trarre maggiore vantaggio da un servizio di assistenza domiciliare integrata è un anziano in precario equilibrio omeostatico (fragile), in genere ultrasettantacinquenne, con un grado più o meno elevato di disabilità nelle scale di valutazione che misurano l’autosufficienza, con una polipatologia ad andamento cronico, in una situazione di solitudine. La via ottimale per individuare tempestivamente tutti gli anziani del distretto sanitario che hanno necessità di assistenza continuativa sarebbe quella di accertare lo stato funzionale di tutti gli anziani del distretto, e di verificarne le modificazioni a distanza di tempo prefissata.
Una tale procedura è tuttavia impraticabile sia per l’insufficiente numero di operatori a disposizione sia per i tempi occorrenti che comportano riflessi negativi su chi ha immediato bisogno di assistenza continuativa.
L’alternativa da preferire è quella di evadere le richieste di valutazione che pervengono all’Unità di Valutazione Geriatrica; tale alternativa comporta un miglior rapporto costi-benefici e non aumenta in modo sensibile il pericolo di lasciare gli anziani più bisognosi privi di assistenza.

4.4 La valutazione dell’offerta assistenziale in Sardegna
Per una attenta valutazione dell’offerta assistenziale è indispensabile procedere alla descrizione dei servizi aggregandoli in 3 aree di intervento:
a) servizi che favoriscono e garantiscono la vita a domicilio;
b) servizi semiresidenziali che integrano le condizioni offerte a domicilio attraverso forme che, almeno in parte, sostituiscono il domicilio stesso o per il giorno o per la notte;
c) servizi residenziali che diventano alternativi al domicilio o temporaneamente a causa dell’insorgere di situazioni particolari (acuzie, emergenze o altre cause) o permanentemente quando esistono condizioni irreversibili.
Per quanto riguarda la prima area occorre soffermarsi sull’assistenza domiciliare e sugli affidamenti etero-familiari, nonché sulle strutture di aggregazione; per quanto riguarda la seconda sui servizi semiresidenziali e sull’esperienza degli ex centri diurni realizzati ai sensi della L.R. 52/75; per quanto riguarda la terza sulle case di riposo, le comunità protette e le residenze con caratteristiche di presidi multizonali.
4.4.1. Area dei servizi che favoriscono e garantiscono la vita a domicilio
Rimanere nel proprio domicilio è diritto fondamentale dell’anziano e i vari servizi devono favorire al massimo la soddisfazione di tale diritto, specialmente nelle situazioni in cui l’anziano stesso risulta incapace a provvedere in autonomia o quando la famiglia o l’ambiente circostante non sono in grado di fornire il necessario aiuto.
Per l’anziano è importante che ogni intervento che si svolge a domicilio miri a tutelare e a promuovere la salute globale dell’anziano stesso, per cui in questa prospettiva ogni intervento deve considerarsi integrato con tutti gli altri, anche nei casi in cui si tratta di interventi molto semplici. L’integrazione infatti è una prerogativa che dovrà caratterizzare ogni servizio e non può essere specifica di uno o dell’altro, quasi che ci possano essere dei servizi esclusi dall’integrazione. Semmai è il grado di intensità con cui va difesa e promossa l’integrazione stessa a domicilio, che dipende dal carico assistenziale richiesto dall’anziano: per questo può essere un’assistenza domiciliare semplice, dove l’integrazione è molto informale, fino ad arrivare ad un’integrazione formalizzata e programmata, rientrando nella categoria specifica dell’assistenza domiciliare integrata.
Le forme di assistenza domiciliare sono quindi numerose e comprendono quelle di contenuto materiale ed economico come l’assistenza economica erogata dai Comuni, quelle di assistenza sanitaria erogata dal medico di medicina generale, fino ai servizi veri e propri con contenuti sociali e sanitari diversi (aiuto nella gestione della casa, aiuto nella cura della persona, interventi medici e infermieristici, interventi di riabilitazione, ecc.).
Sostengono la vita a domicilio anche altre forme di intervento che si prefiggono di promuovere l’integrazione sociale dell’anziano nella sua comunità di appartenenza. In questi casi c’è un concetto di domicilio in senso lato, una dimensione comunque alla quale va riservata un’attenzione del tutto particolare.
4.4.1.1 Il sostegno all'anziano e alla sua famiglia attraverso il servizio di assistenza domiciliare svolto dai Comuni.
Il servizio di assistenza domiciliare svolto dai Comuni comprende le prestazioni di carattere più prettamente socio-assistenziale quali quelle di sostegno nel governo della casa e nell'igiene personale. Esse sono solitamente integrate dagli interventi di natura economica, dalle attività di segretariato sociale, dall'informazione sull'accesso ai servizi di socializzazione e ai servizi sanitari a favore, in particolare, di quegli anziani e di quelle famiglie che non hanno un'ampia rete di sostegno parentale e/o informale, o che sono svantaggiati sul piano culturale e delle condizioni generali di vita.
Per la sua attuazione gli Uffici dei servizi sociali e di comunità dei comuni si avvalgono della collaborazione di cooperative e associazioni che sono specializzate nei servizi di assistenza domiciliare, di associazioni di volontariato, e - quando è stato possibile - dell'intervento saltuario di operatori dell'area sanitaria.
Negli anni di vigenza del 1° Piano socio-assistenziale, il servizio di assistenza domiciliare ha avuto un consolidamento ed un’ulteriore espansione con i fondi ordinari e con i finanziamenti accreditati attraverso i progetti obiettivo.
Tuttavia tale crescita non si è accompagnata ad una sua diffusa qualificazione e specializzazione le quali sarebbero dovute avvenire - secondo le indicazioni del precedente piano - attraverso i seguenti strumenti:
• l'aggiornamento e la qualificazione del personale già utilizzato nel servizio, finalizzati all'acquisizione di un'impostazione culturale più rispondente agli obiettivi dello stesso;
• la formazione e l'inserimento nel servizio di altre professionalità (animatori, educatori), con lo scopo di realizzare funzioni di sostegno e promozione e di bilanciare la presenza di professionalità rivolte ad assicurare funzioni elementari ed assistenziali.
Per il prossimo triennio occorre pertanto che le citate attività di aggiornamento e di formazione siano realizzate per far si che l'assistenza domiciliare possa conseguire i suoi obiettivi che sono quelli di migliorare l'autosufficienza e il livello di autonomia dei destinatari, evitando di trasformarsi in un intervento passivizzante e di sostituzione delle capacità residue delle persone.
4.4.1.2 Il servizio di Assistenza Domiciliare Integrata: finalità e tipologie di assistenza
Secondo il Progetto-obiettivo “Tutela della salute degli anziani”, l’obiettivo principale da raggiungere è la realizzazione di un soddisfacente livello di assistenza domiciliare integrata (ADI) in tutte le regioni italiane. Perché possa essere considerata soddisfacente, un’ADI dovrebbe essere erogata alla totalità dei soggetti che ne hanno necessità, dovrebbe rispondere a ben precisi criteri di qualità, essere omogenea nella sua applicazione su tutto il territorio nazionale pur nel rispetto delle singole situazioni regionali.
Il Progetto-obiettivo, divenuto da tre anni parte integrante del Piano Sanitario Nazionale 1994-1996, segna per la nostra Regione il reale momento di avvio dell’ADI.
Infatti, sino ad ora, come si evidenzia da una recente indagine conoscitiva dell’ADI a livello nazionale (CNR - Sottoprogetto 5, Invecchiamento della popolazione: Qualità della vita ed autosufficienza), la Sardegna e la Sicilia risultano le uniche regioni dove non sono stati attivati i servizi di ADI e le Unità Valutative Geriatriche, essendo questo settore di pressoché esclusiva competenza del comparto sociale, senza alcuna integrazione con il comparto sanitario.
Sono inoltre evidenti, nella nostra regione, molteplici carenze sul piano qualitativo (scarsità di operatori; non precisa definizione delle figure professionali; mancanza di corsi di aggiornamento; assenza del geriatra, ecc.), sul piano organizzativo (mancanza di criteri di valutazione e di ammissione dell’assistito; scollamento con la rete dei servizi ospedalieri e territoriali, ecc.), sul piano quantitativo (numero di assistiti di gran lunga inferiore alla popolazione non autosufficiente bisognosa) e sul piano conoscitivo (mancanza di dati sull’incidenza della non autosufficienza e sulla tipologia degli utenti).
Il nuovo modello di assistenza geriatrica previsto nel progetto assegna all’ADI il ruolo guida all’interno della rete integrata dei servizi. Se infatti l’obbiettivo principale del programma è di assistere gli anziani bisognosi mantenendoli all’interno della propria famiglia e della propria abitazione, non potrà essere effettuata una precisa programmazione socio-sanitaria anche per la dotazione dei posti letto ospedalieri e residenziali, senza aver prima provveduto all’attivazione di un’efficiente assistenza domiciliare.
L’articolo 35 della L.R. 4/1988 - 1° comma - prevede la realizzazione di un sistema integrato di interventi domiciliari a carattere sociale e sanitario teso a favorire la permanenza nel proprio domicilio di soggetti che “per particolari contingenze o per non completa autosufficienza” non siano in grado, anche temporaneamente, di ottenere “ il pieno soddisfacimento delle esigenze personali e domestiche”.
Anche il 1° Piano socio-assistenziale prevedeva l’assistenza domiciliare “in quanto sistema integrato di interventi socio-assistenziali ed interventi sanitari espletato a livello locale dal Comune e dall’Unità Sanitaria Locale”.
Si ritiene di dover individuare nella mancanza di criteri di coordinamento tra Comune ed USL e nella non completa descrizione della “continuità assistenziale” rivolta all’anziano, le cause del mancato decollo dell’ADI nella nostra Regione.
L’ADI è un servizio incaricato di soddisfare le esigenze di soggetti anziani aventi necessità di un’assistenza temporanea o continuativa, affinché venga favorita la permanenza nel proprio ambiente di vita, con funzioni di supporto estese a tutto il nucleo familiare.
Essa rappresenta la metodologia assistenziale principale per la prevenzione del rischio di non autosufficienza e per l’assistenza degli anziani già non autosufficienti, nel tentativo del raggiungimento del miglior livello di qualità di vita possibile in rapporto alla condizione di salute psicofisica e di autonomia funzionale.
L’ADI adotta sistemi di:
• prevenzione tesa ad eliminare tutti i fattori capaci di incidere negativamente sull’autonomia funzionale della persona, siano essi fisici, mentali, socio-economici o ambientali;
• cura delle malattie che possono alterare il già precario equilibrio omeostatico della persona anziana;
• riabilitazione per evitare il deterioramento, facilitare il recupero funzionale o impedire un ulteriore peggioramento;
• ottimizzazione dell’intervento globale - preventivo, curativo e riabilitativo - tramite l’impiego di strumenti di valutazione multidimensionale e di personale con competenze geriatriche.
L'ADI è costituita da un complesso di prestazioni che possono variare da interventi prevalentemente di tipo sociale ad interventi misti socio-sanitari.
Le prestazioni fondamentali di tipo socio-assistenziale, di competenza dei comuni, consistono in:
• aiuto domestico, pulizia ordinaria e straordinaria degli ambienti;
• igiene della persona;
• prevenzione dei danni da immobilità;
• eventuale somministrazione di pasti;
• eventuale servizio di lavanderia;
• disbrigo di commissioni, accompagnamento, collegamento con altri servizi sociali;
• interventi di stimolo psicologico e di mantenimento della vita di relazione (a carattere ludico, ricreativo, culturale, di animazione ecc.);
• interventi di sostegno ai restanti componenti del nucleo familiare.
Le prestazioni socio-assistenziali devono concorrere a favorire l’autosufficienza ed a ridurre i rischi di isolamento ed emarginazione. Particolare attenzione deve essere prestata ad evitare di indurre atteggiamenti di dipendenza in soggetti che potrebbero provvedere in via autonoma, o parzialmente assistita, alle funzioni e ai ruoli richiesti dalla vita quotidiana.
Ogni intervento dovrà essere effettuato nel pieno rispetto della capacità di autodeterminazione dell’utente.
Le prestazioni fondamentali di tipo sanitario, di competenza delle aziende sanitarie, consistono in:
• assistenza del medico di medicina generale, ai sensi della convenzione vigente;
• assistenza specialistica, nelle forme previste dal contratto di lavoro e dalle convenzioni vigenti;
• assistenza infermieristica (controllo della corretta assunzione dei farmaci, prelievi per esami clinici, effettuazione e consegna dei risultati, terapia iniettiva e per fleboclisi, registrazione temperatura, medicazione delle piaghe da decubito o per problemi particolari e tutte le altre prestazioni infermieristiche che rientrano nel mansionario);
• assistenza riabilitativa (riabilitazione neurologica, traumatica, psicomotoria, del linguaggio, sensoriale, occupazionale e tutte le altre prestazioni riabilitative che rientrano nel mansionario);
• altre forme assistenziali sanitarie erogabili a domicilio (prestazioni podologiche, sostegno psicologico ecc.).
L’erogazione dell’ADI comporta un’estrema variabilità degli interventi, che andranno programmati sulle caratteristiche funzionali della persona da assistere, sul suo contesto familiare e sul suo ambiente, inteso sia come mura domestiche che come realtà urbana.
Tutte queste considerazioni rafforzano il concetto di flessibilità che rappresenta una delle caratteristiche fondamentale dell’ADI, conseguenza della multifattorialità dei disagi dell’anziano ed è proprio questo insuperabile aspetto che rende complessa la sua organizzazione se non si seguono le linee direttive del Progetto-Obiettivo nazionale.

4.4.1.3 Gli affidamenti etero-familiari.
L’affidamento familiare di anziani parzialmente o totalmente non autosufficienti si realizza raramente perché di non facile accettazione da tutte le parti interessate: famiglia originaria, famiglia affidataria, comunità e ambiente sociale in cui si realizza.
L’accettazione dell’affidamento di un anziano è una scelta impegnativa. L’anziano è un soggetto con una sua storia, con vincoli affettivi e patrimoniali; ha consolidato abitudini, stili di vita, culture che non sempre si adattano alle tradizioni e al modello di vita della famiglia affidataria; quando presenta esigenze di assistenza continuativa, la cura comporta sacrificio e un dispendio di tempo considerevole.
L’attuazione di un programma promozionale e l’offerta di consulenza ai Comuni sui temi dell’affidamento familiare dell’anziano che già il precedente piano aveva ritenuto essenziali per la riuscita e l’affermazione del servizio, allargherebbero la sensibilizzazione, rimasta finora confinata nell’ambito dell’operatività dei servizi, e l’informazione sull’affidamento dell’anziano.
Rimane in eredità al nuovo piano il compito di promuovere una intensa campagna di sensibilizzazione a livello regionale e territoriale, per creare le condizioni culturali più favorevoli per la legittimazione dell’istituto dell’affido dell’anziano che è previsto dall’art.37 della L.R. 4/1988 e disciplinato dal D.P.G.R 145/1990. L’attribuzione alla famiglia affidataria di una adeguata remunerazione e la collaborazione di un qualificato servizio di assistenza domiciliare possono incoraggiare la crescita dell’affidamento.
4.4.1.4 Forme di socializzazione e di aggregazione sociale
La vita di relazione costituisce per l'anziano una delle più importanti condizioni di autosufficienza. Essa deve essere potenziata e valorizzata alla luce dei seguenti aspetti:
a) la cessazione dell'attività lavorativa o il progressivo i tempi di vita e i comportamenti quotidiani influendo notevolmente sul piano delle relazioni sociali;
a) esiste il rischio di un forte restringimento delle reti di relazione degli anziani con l'aumento dell'età e la presenza di condizioni di

disabilità. Ciò è documentato dall'indagine multiscopo dell'ISTAT (anni 1987-1991): gli anziani di 65/69 anni che vedono raramente o mai un amico sono il 15,6%; tale percentuale sale al 16,5% per gli anziani di 75/79 anni. Se poi gli anziani presentano delle disabilità la percentuale che vede raramente o mai un amico sale al 19,5% per quelli con l'età di 60/64 anni e al 23,2% per quelli di 75 anni e più;
b) la modificazione della composizione della famiglia determina maggiori condizioni di isolamento degli anziani e di dipendenza da altri. In base ai dati del censimento del 1991, l’ISTAT documenta che in Sardegna la percentuale di famiglie costituite da persone sole di 65/74 anni è del 17,71% e da persone di 75 anni e più del 27,83%.
Si conferma, da questo quadro, la particolare rilevanza delle iniziative di socializzazione e di aggregazione già individuate nel precedente piano e il cui svolgimento è elettivamente individuato nei centri di aggregazione sociale.
I centri attualmente disponibili sono in gran parte derivati dalla riconversione di una parte dei centri diurni per anziani finanziati e costruiti ai sensi della L.R. 52/75. E' opportuno perciò, che una quota dei finanziamenti in conto capitale per il prossimo triennio sia destinata a completare il processo di riconversione di detti centri diurni e ad aprirli all’incontro con altre generazioni. Tale scelta non deve però pregiudicare la possibilità che i centri diurni possano essere riutilizzati come servizi semiresidenziali in un’ottica di deistituzionalizzazione o di freno all’accesso ai servizi residenziali.

4.4.2 Area dei servizi semiresidenziali che integrano le condizioni offerte a domicilio
4.4.2.1. I Servizi Semiresidenziali
Per evitare l’istituzionalizzazione dell’anziano, che può determinarne un’ulteriore dipendenza e compromettere la residua rete di relazione, l’inserimento in un servizio semiresidenziale offre il vantaggio di non allontanare la persona anziana dal suo ambiente, di farla rientrare nella sua abitazione e mantenere i contatti con la sua famiglia.
Il servizio semiresidenziale può essere individuato nei centri diurni di cui alla L.R. 52/75, nei centri di aggregazione sociale, dove già è previsto uno standard di funzionalità e di organizzazione, nelle comunità alloggio e nelle Comunità protette, nelle quali dovranno essere previsti spazi attrezzati e modulati per lo svolgimento del servizio semiresidenziale, personale per le attività di supporto, socializzazione e promozione della vita di relazione e un servizio di trasporto da e per l’abitazione dell’anziano che semplificherebbe notevolmente la fruibilità del servizio e renderebbe meno oneroso per la rete parentale il compito dell’accompagnamento al servizio e il rientro in famiglia.
La disponibilità del servizio semiresidenziale è di particolare importanza anche per realizzare la deistituzionalizzazione di quegli anziani che, avendo un’età inferiore ai 65 anni e non presentando problemi di autosufficienza, si dovessero trovare nella condizione di non poter sostenere il rientro definitivo nella propria abitazione e nell’ambiente di provenienza.
Il servizio semiresidenziale può assumere articolazione distrettuale o zonale in relazione al censimento dei bisogni del territorio; può attivare collegamenti con i servizi comunitari e favorire l’integrazione con gli interventi del volontariato e dell’associazionismo.

Standard di funzionalità e di organizzazione:
 Utenza. Quando usufruisce con continuità del servizio (anche per un periodo transitorio) e per un ampio orario giornaliero, deve essere contenuta entro il limite massimo di 40 unità e qualora il servizio semiresidenziale sia aggregato ad una comunità protetta la sua capienza non può superare il 25% dei ricoverati.
 Prestazioni. Sono attivati quei servizi destinati a soddisfare i bisogni fondamentali della persona (mensa, lavanderia, bagno assistito, assistenza igienico-fisica della persona ecc.) e vengono svolte le attività di animazione socio-culturale e ricreativa anche con finalità riabilitativa. Possono essere previste prestazioni di carattere sociale (segretariato sociale, servizio sociale professionale, sostegno psicologico, consulenza giuridica e previdenziale), sanitario (assistenza medico-infermieristica di base, ginnastica e terapia riabilitativa, attività di stimolazione fisica e mentale).
Personale. Il servizio deve essere dotato di operatori per l’assistenza diretta alla persona. L’assistenza infermieristica e riabilitativa è assicurata dal distretto sanitario. Altre figure professionali operanti nel servizio semiresidenziale sono l’educatore e/o l’animatore ed addetti ai servizi generali per la normale conduzione delle attività, fatto salvo l’utilizzo di servizi già organizzati da strutture comunitarie o il ricorso a forniture esterne.
 Requisiti generali della struttura. Deve contenere spazi per attività culturali e di svago, per mensa e momenti di riposo, per servizi sanitari e riabilitativi, per prestazioni domiciliari.
Nel prossimo triennio si vuol sostenere e finanziare la realizzazione di servizi semiresidenziali che si propongono una riduzione dei ricoveri o i rischi di istituzionalizzazione.

4.4.3 Servizi residenziali alternativi al domicilio
In base ai dati desunti dalle richieste di autorizzazione al funzionamento inoltrate ai sensi dell’art.41 della L.R. 4/88 (con esclusione quindi delle strutture che non hanno un rapporto di collaborazione con l’amministrazione pubblica e agiscono sul libero mercato come strutture alberghiere per anziani), le strutture di accoglienza per anziani sono in totale 119 (tab.8).
Tabella 8. Strutture residenziali per anziani pubbliche e private funzionanti al 1° maggio 1996 per Provincia
Province Strutture Pubbliche Strutture Private Totali
v.a. % v.a. % v.a. %

Cagliari 14 43,8 33 38,0 47 39,5
Sassari 7 21,9 29 33,3 36 30,3
Nuoro 7 21,8 11 12,7 18 15,1
Oristano 4 12,5 14 16,0 18 15,1
SARDEGNA 32 100.0 87 100.0 119 100.0
Le strutture pubbliche sono 32 e costituiscono il 27% del totale. La maggior presenza di strutture pubbliche e private si registra nella Provincia di Cagliari.
Volendo approfondire la tipologia delle strutture, rileviamo che 82 sono case di riposo e 37 comunità protette, secondo la distribuzione territoriale riportata nella tabella 9.
Tabella 9. Distribuzione per tipologia delle strutture residenziali per anziani nelle 4 province
Tipologia strutture Provincia Cagliari Provincia Sassari Provincia Nuoro Provincia Oristano Totali
v.a % v.a % v.a % v.a % v.a %

Case di riposo 31 66,0 21 58,3 14 77,7 16 88,8 82 68,9
Comunità prot. 16 34,0 15 41,7 4 22,3 2 11,2 37 31,1
Totali 47 100,0 36 100,0 18 100,0 18 100,0 119 100,0
Gli anziani ospitati nelle case di riposo sono circa 3.000 con una media di 36,5 per struttura, mentre nelle comunità protette sono circa 1.000 con una media di 27 per struttura. Il complesso degli utenti inseriti nelle comunità è quindi di circa 4.000.
E' fondamentale una migliore conoscenza della distribuzione dei servizi residenziali sia in rapporto alla popolazione potenzialmente interessata sia alle caratteristiche degli anziani attualmente ospitati. Si tratta di una parte degli interventi conoscitivi della condizione anziana, da realizzare attraverso flussi informativi tra Regione, Comuni e strutture residenziali e attraverso apposite ricerche, che è rimasta inattuata rispetto agli obiettivi del piano precedente e che si ripropone come questione assolutamente urgente e prioritaria per il prossimo triennio.
La prevalenza delle strutture private renderà necessario, per le amministrazioni pubbliche il compito di promuoverne la qualità. Saranno a questo scopo fondamentali, oltre al possesso dei requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi cui le stesse, assieme alle strutture pubbliche dovranno adeguarsi, anche gli aspetti organizzativi e strutturali (tipo di organizzazione del lavoro, tipi di servizi presenti, dimensioni e caratteristiche degli ambienti, ecc.) e gli aspetti connessi con i risultati (livelli di autonomia mantenuti, attivazioni funzionali, inserimenti sociali, ecc).

Il progressivo superamento delle case di riposo e la loro riconversione in comunità protette, che costituiva un obiettivo del precedente piano, è ancora da concretizzare.
Occorrerà, a questo scopo, acquisire un’informazione puntuale sulle problematiche degli utenti ricoverati nelle case di riposo sulla base dei criteri e delle modalità che scaturiscono esclusivamente dall’adozione della scheda di valutazione della non autosufficienza. Si pone quindi l’obiettivo che le Unità di Valutazione Geriatrica verifichino quanti siano tra gli anziani attualmente ricoverati quelli non autosufficienti o parzialmente non autosufficienti e quali tra questi abbiano la necessità della permanenza o dell’inserimento in comunità protette.
Conseguentemente per gli anziani autosufficienti si verificherà la possibilità di realizzare una deistituzionalizzazione attraverso una contestuale programmazione di altri servizi come l’assistenza domiciliare, l’ADI, il servizio semiresidenziale che ne favoriscano il riavvicinamento o il reinserimento nel comune, nell’ambiente e nella famiglia originari.
L’obiettivo che dobbiamo proporci è quello di razionalizzare l’utilizzo delle strutture, di renderle disponibili per gli utenti che ne hanno maggiore beneficio ed esigenza, di qualificare la loro attività e il loro funzionamento.
In questo senso per privilegiare e incrementare l’offerta dei servizi agli anziani non autosufficienti, inclusi quelli residenziali, è prioritario il riutilizzo delle case di riposo esistenti, con gli opportuni adeguamenti strutturali e indirizzare le strutture ancora in costruzione alla soddisfazione di queste esigenze.
Altri effetti positivi derivanti dall’attivazione delle comunità protette sono dati dalla diminuzione di ricoveri ospedalieri impropri e dal contenimento delle richieste di inserimento nelle RSA, le quali sono destinate a persone anziane che presentano patologie croniche e gravi condizioni di non autosufficienza.

4.4.4 L’informazione sull’offerta dei servizi
La puntuale e continua informazione sull’offerta dei servizi per gli anziani è collegata all’avvio del Sistema informativo socio-assistenziale, che costituisce un obiettivo strumentale per il prossimo triennio. La creazione di un flusso informativo è indispensabile per verificare la diversa distribuzione territoriale dei servizi (nelle città, nei medi centri e nei piccoli paesi), la diversa appartenenza istituzionale (pubblica, privata), le diverse modalità di gestione e misurarne la rispondenza rispetto alle caratteristiche e alla specifica condizione dell’utenza che ne usufruisce e alla domanda più ampia che esprime la popolazione anziana, a seconda del territorio di appartenenza. Il sistema informativo è quindi uno strumento necessario per il controllo della qualità dei servizi, per individuare eventuali tipologie in esubero o carenze di altre, per programmare processi di riqualificazione e di adeguamento, per sostenere interventi di riequilibrio o di sviluppo.
In questo quadro una particolare attenzione dovrà essere posta nella descrizione delle caratteristiche professionali degli operatori, in quanto da loro dipende la qualità dei servizi e il livello di soddisfazione dei bisogni. Conseguentemente la descrizione delle risorse umane utilizzate non dovrà avvenire solo dal punto di vista quantitativo, ma anche da quello delle qualifiche e dei contenuti professionali e delle appartenenze istituzionali (pubblico, privato, cooperativo, volontario) e del sistema di convenzionamento esistente.
Queste informazioni diventano il punto di riferimento nell’indicare le politiche di formazione del personale, e negli adeguamenti da apportare sul piano dei rapporti convenzionali per lo sviluppo dei servizi.
Di seguito si propone una traccia per una puntuale descrizione dell’offerta delle diverse tipologie di servizi.
Assistenza domiciliare
• Comuni che gestiscono il servizio e distribuzione degli anziani assistiti (suddivisi per fasce d'età, presenza di situazioni di autosufficienza o meno);
• Enti e Cooperative impegnate nell'assistenza domiciliare di tipo socio-assistenziale, infermieristico, riabilitativo (qualifiche degli operatori utilizzati, tipologia del servizio erogato, tempi medi delle prestazioni, costi).
Strutture di aggregazione
• Comuni in cui sono funzionanti oppure realizzate ma non funzionanti o in fase di realizzazione o di riconversione di altre strutture o servizi; modalità di utilizzo (per soli anziani o aperte a tutti i cittadini, tipologia delle attività);
• forme di gestione (diretta, convenzionata, autogestita); qualifiche del personale utilizzato per lo svolgimento delle attività;
Servizi semiresidenziali (con particolare riferimento agli ex centri diurni)
• Comuni in cui sono funzionanti e forme di gestione analogamente a quanto previsto per le strutture di aggregazione.

Case di riposo
• Comuni in cui sono funzionanti, realizzate ma non funzionanti, in fase di realizzazione o di riconversione, finanziate ma con lavori non ancora avviati;
• modalità di gestione (diretta, convenzionata); Enti o Cooperative che gestiscono case di riposo (personale utilizzato e organizzazione ); Strutture private autorizzate al funzionamento; tipologia dell'utenza servita.
Comunità protette
• Comuni dove sono funzionanti, realizzate ma non funzionanti, in fase di realizzazione o di riconversione, finanziate ma con lavori non ancora avviati;
• modalità di gestione (diretta, convenzionata); Enti o Cooperative che gestiscono Comunità protette (personale utilizzato e organizzazione); Strutture private autorizzate al funzionamento; tipologia dell'utenza servita.
Le residenze con caratteristiche di presidi multizonali
• Attuale dislocazione territoriale e determinazione delle capacità ricettive e loro attuale utilizzazione;
• tipologie degli utenti ospitati e finalità assistenziali;
• problematiche organizzative e finanziarie: qualifiche del personale utilizzato e costi di gestione;
• ipotesi di rilancio come presidi multizonali e/o prospettive di riconversione (RSA).
4.5 Gli obiettivi del progetto anziani per il triennio 1998-2000
Nel triennio 1998-2000 il progetto anziani si prefigge di perseguire due tipi di obiettivi tra loro strettamente connessi:
a) alcuni obiettivi strumentali per rendere efficiente il sistema e creare le condizioni per governare il progetto e sviluppare e sostenere un miglioramento continuo;
b) alcuni obiettivi di salute, come richiesto esplicitamente dalla politica sociale e sanitaria.
4.5.1. Obiettivi strumentali per il triennio
Gli obiettivi strumentali si prefiggono di garantire le condizioni per effettuare una programmazione degli interventi veramente integrata e orientata al raggiungimento di risultati di qualità, sia a livello regionale che a livello locale. Si tratta in particolare di :
• creare le condizioni per l’integrazione del progetto obiettivo a livello di distretto e di ambito del servizio sociale, realizzando le intese e le convenzioni necessarie e già previste tra USL ed Enti locali; allargare tali intese e convenzioni con enti, associazioni, volontariato nello spirito della partecipazione prevista anche dalla L. 142/1990;
• formare il personale ai diversi livelli e per le diverse professionalità sia su tematiche riguardanti la gestione del progetto, sia su tematiche proprie dell’assistenza agli anziani (l’approccio gerontologico);
• verificare la funzione delle diverse figure professionali e dei diversi operatori nei programmi di assistenza agli anziani, anche nella prospettiva di un coinvolgimento delle loro famiglie, con particolare attenzione al ruolo del medico di medicina generale, a quello dell’operatore addetto all’assistenza domiciliare e al ruolo infermieristico;
• predisporre criteri di valutazione della qualità come modalità per il miglioramento continuo (scelta dei parametri di riferimento e criteri per la misurazione; problemi di accreditamento per gli enti e i servizi in applicazione delle convenzioni, ecc.);
• avviare le connessioni tra sistemi informativi, specialmente tra le banche dati delle Aziende USL e dei Distretti e quelle dei Comuni, con l’Osservatorio epidemiologico, con il Sistema Informativo Socio-Assistenziale e con altri sistemi territoriali rilevanti.
Ci sono peraltro obiettivi strumentali che riguardano esclusivamente le realtà locali, rispetto ai quali Comuni e Aziende sanitarie hanno un ruolo primario. Se le particolarità delle situazioni lo richiedono può essere che tali obiettivi implichino la elaborazione di progetti obiettivo specifici da parte dei soggetti interessati per essere realizzati convenientemente e con la possibilità di attingere alle risorse regionali. Ciò avviene quando si tratta di:
• elaborare un progetto anziani (con scadenze annuali) da parte degli Enti locali e delle USL come atto operativo dell’intesa coerente con il piano regionale, che garantisca concretezza e operatività agli accordi, seguendo uno schema che sarà predisposto dagli uffici regionali deputati all’attuazione del progetto;
• istituire le Unità di Valutazione Geriatrica e dotarle di strumenti idonei (di misurazione multidimensionale), in modo da garantirne l'efficacia;
• analizzare i criteri e le modalità, anche attraverso predisposizione di protocolli, convenzioni ecc. per collaborare con personale appartenente alle organizzazioni del volontariato e a quelle operanti senza scopo di lucro (no-profit).

4.5.2 Obiettivi di salute da perseguire
Gli obiettivi di salute rivolti agli anziani, che qualificano dal punto di vista dei contenuti il progetto, privilegiano comunque la promozione e il sostegno della vita a domicilio all’interno di una cultura dell’integrazione e della solidarietà, finalizzata a migliorare la qualità della vita degli anziani.
Per gli anziani che vivono a domicilio il miglioramento della qualità della loro vita si ottiene:
a) attraverso le varie forme di aiuto domiciliare, al quale possono concorrere diverse forme di assistenza, a seconda della situazione di necessità che l’anziano presenta: assistenza economica, cura alla persona e all’abitazione, sostegno alla vita quotidiana, assistenza sanitaria ed infermieristica, teleassistenza, ecc.;
b) attraverso il coinvolgimento, l’integrazione e il sostegno (economico, professionale e di brevi sostituzioni per un sollievo) alla famiglia e ai familiari che assistono le persone anziane in stato di necessità;
c) attraverso l’integrazione dei diversi interventi di aiuto e di auto-aiuto erogati da associazioni, enti con finalità socialmente utili, volontariato ecc. presenti sul territorio;
d) attraverso le varie forme di prevenzione dell’istituzionaliz-zazione, anche se temporanea, e degli effetti che essa produce come servizi semiresidenziali diurni e notturni, interventi di sostegno e di promozione verso l’aggregazione, ecc.;
e) attraverso la promozione e il sostegno di interventi destinati a sviluppare una cultura locale di riconoscimento e di accoglienza dell’invecchiamento e di integrazione e di solidarietà per le situazioni di non-autonomia, sia tra generazioni, che tra gli stessi anziani.
Per gli anziani che vivono in situazioni residenziali, è necessario distinguere la durata della residenzialità e quindi gli effetti dell’istituzionalizzazione.
Si distinguono per questo:
A) residenze a elevato o prevalente contenuto sanitario, che intervengono per periodi brevi o medio-brevi:
• per manifestazioni patologiche acute, come nel caso degli Ospedali;
• per manifestazioni patologiche sub-acute o per bisogni di riabilitazione o/e di riattivazione funzionale, come nel caso delle Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA);
B) residenze ad elevato o prevalente contenuto assistenziale, che intervengono per periodi medio-lunghi e lunghi, a causa dell’impossibilità di vivere a domicilio in adeguate condizioni di qualità.
Per tutelare e promuovere la qualità della vita per gli anziani che vivono in tali residenze sono necessari:
a) il rispetto dell’approccio globale alla condizione anziana, che riconosca in ogni situazione la multidimensionalità dell’autonomia funzionale dell’anziano stesso;
b) il coinvolgimento della famiglia per prevenire e correggere gli effetti di una separazione, anche se temporanea;
c) l’integrazione con il territorio, attraverso forme di collaborazione e attraverso un coordinamento finalizzato con tutti i servizi che esso esprime;
d) il coordinamento con associazioni, volontariato ecc. che impedisca divisioni e frammentarismo, per uno sviluppo corretto della cultura della solidarietà e per una crescita autentica della comunità.
Per questo tipo di obiettivi è fondamentale far riferimento alle reali condizioni nelle quali gli anziani e le loro famiglie vivono nelle diverse realtà territoriali. E’ quindi fondamentale che i singoli “progetti” (comunali o sovra-comunali d’intesa con il distretto sanitario) esplicitino gli obiettivi che intendono perseguire, secondo le distinzioni appena indicate e cioè:
a) per gli anziani che vivono a domicilio gli obiettivi specifici devono riguardare:
1. il livello dell’integrazione tra i diversi interventi socio-assistenziali e sanitari erogati a livello domiciliare;
2. il tipo e l’entità di aiuto (economico, di sostegno psicologico, di sollievo, infermieristico, ecc.) che viene offerto e garantito alla famiglia che si prende carico dell’assistenza all’anziano;
3. la promozione degli anziani stessi nella logica dell’anziano-risorsa per sé e per gli altri;
4. la promozione culturale per un reale riconoscimento dei processi di invecchiamento e per uno sviluppo della solidarietà a livello locale.
b) Per gli anziani che vivono nelle Residenze gli obiettivi specifici dovranno riguardare:
1. il livello di integrazione tra gli interventi socio-assistenziali e sanitari in rapporto alle diverse tipologie di Residenze e quindi alla loro destinazione;
2. la riduzione delle accoglienze in Residenze di anziani con un residuo di autonomia sufficiente per vivere a domicilio, anche attraverso l’appoggio di un servizio domiciliare e di un servizio semiresidenziale.
Per tutti gli obiettivi indicati, la forma più adeguata per pensare ad un loro sviluppo è quella del “progetto obiettivo”, lo strumento che più di altri, secondo le precedenti precisazioni, è in grado di cogliere le specificità delle realtà e quindi di sostenere i relativi progetti di sviluppo.
Sul piano delle azioni programmatiche che riguardano l’intero sistema, per le quali il piano intende impegnarsi nel triennio, gli obiettivi che si perseguiranno saranno:
• la definitiva elaborazione di strumenti e protocolli di regolamentazione per l’accesso alle Residenze da parte degli anziani non autosufficienti, relativamente alle diverse tipologie di residenza e alle diverse condizioni di non-autosufficienza degli anziani;
• la scelta di criteri di misurazione del fabbisogno di residenzialità per gli anziani e l’elaborazione del relativo piano di attuazione, anche in relazione ai progetti di riconversione dei servizi esistenti (in stretta connessione con il piano ospedaliero).

4.6 Le condizioni istituzionali e organizzative
La gestione del presente progetto viene affidata alle istituzioni e agli enti, i quali saranno chiamati ad attivare tutte le risorse disponibili per realizzare gli obiettivi indicati. Gli assetti organizzativi degli enti che hanno competenza in materia sono regolati dalla legge regionale 25 gennaio 1988 n. 4, dai regolamenti emanati per la sua attuazione (D.P.G.R. 12 del 14 febbraio 1989, modificato e integrato con successivo D.P.G.R. n. 145 del 23 agosto 1990 ) e dalla legge regionale 26 gennaio 1995 n. 5, dei quali si richiamano i principali contenuti:
a) fatta salva l'autonomia dei singoli Comuni per quanto riguarda le competenze in materia di servizi socio-assistenziali, l’esercizio di tale autonomia deve rispondere ai criteri di programmazione stabiliti per l’ambito a cui gli stessi Comuni appartengono; l’ambito territoriale infatti costituisce il riferimento organizzativo fondamentale per garantire coordinamento e integrazione per tutti i servizi sociali e sanitari esistenti sul territorio (art.10 L.R. 4/88). Soltanto nel caso di coincidenza dell’ambito territoriale con quello della Comunità montana, quest’ultima assume tutte le funzioni previste per l’ambito stesso (art.11 L.R. 4/88). In caso di non coincidenza, la Comunità montana si comporta come tutti gli altri Enti locali.
b) All’interno degli ambiti territoriali, i Comuni e le eventuali Comunità montane per le quali non si verifica la condizione precedente, realizzano le forme di collaborazione che più ritengono idonee a perseguire gli obiettivi del piano; possono perciò esistere semplici intese tra i Comuni, oppure veri e propri accordi di programma o specifiche convenzioni ed infine vere e proprie associazioni tra gli Enti interessati.
c) Dopo il riordino del servizio sanitario regionale (L.R. 5/95) che stabilisce la riduzione delle Unità sanitarie da 22 a 8 Aziende, gli ambiti territoriali esistenti e coincidenti con le preesistenti Unità sanitarie non subiscono variazioni e vengono a coincidere con le delimitazioni dei nuovi Distretti sanitari (art.16 L.R. 5/95).
d) La gestione di attività o servizi socio-assistenziali di competenza dei Comuni può essere delegata all’Azienda USL, la quale provvederà con la propria organizzazione nei termini indicati dalla delega medesima (art.1 L.R. 5/95).
e) Per quanto detto alle precedenti lettere a) e c), l’ambito territoriale e i Distretti sanitari, coincidenti per delimitazione, rappresentano il momento dell’integrazione e del coordinamento di tutti i servizi e gli interventi che si svolgono sul territorio di pertinenza.
f) La responsabilità politica dell’integrazione e del coordinamento spetta alla Conferenza di distretto (art.5 L.R. 5/95), che potrà coincidere ed equivalere con l’assemblea dei Comuni nel caso in cui gli stessi siano riuniti in associazione. Nel caso in cui non esista una formale associazione, si ritiene che la Conferenza di distretto, composta dai Sindaci, assuma anche le competenze proprie dei servizi socio-assistenziali, regolati dalla L.R. 4/88 e successive modifiche.
g) La responsabilità gestionale e tecnica dell’integrazione e del coordinamento spetta al responsabile delle funzioni sanitarie e al responsabile delle funzioni amministrative del distretto sanitario (art.18 L.R. 5/95); i Comuni e le Comunità montane, a seconda della modalità di collaborazione realizzata, nomineranno un referente per i servizi socio-assistenziali che condividerà con la direzione del distretto la responsabilità delle integrazioni e del coordinamento.
h) I rapporti con gli Enti erogatori di servizi sanitari e servizi socio-assistenziali sono regolati da apposite convenzioni, in modo da poter garantire, anche con questi, integrazione e coordinamento, sia sul piano degli indirizzi politici , che su quello della gestione. Ciò vale per tutti gli Enti indipendentemente dalla loro forma giuridica (cooperative sociali, associazioni, ecc.) sia che appartengano all’ambito del terzo settore non profit, sia che si prefiggano il conseguimento di profitti. Alla stessa logica sottostanno anche i gruppi e le associazioni di volontariato organizzato, anche se la collaborazione non può comportare, per i Comuni o per i distretti sanitari alcun onere economico.
Nel primo anno di vigenza del piano, l'Assessorato predisporrà gli schemi-guida per tali convenzioni.
i) Sulle scelte dei contenuti delle politiche per gli anziani e quindi dei contenuti dei progetti e dei piani sviluppati anche a livello territoriale hanno competenza anche le Province nei limiti indicati dalla legge (art.19 L.R. 4/88); nell’ambito sanitario le competenze in proposito sono diverse, anche se tutte riconducibili alla direzione. Oltre al Direttore sanitario infatti, che agisce attraverso il Dipartimento di diagnosi, cura e riabilitazione e quindi attraverso i suoi servizi e attraverso il Servizio per le attività psico-sociali, si devono riconoscere anche le competenze del Coordinatore dei servizi sociali nel caso in cui tutti o una parte dei Comuni costituenti l’ambito territoriale abbiano provveduto a delegare all’Azienda USL le competenze in materia. Agli stessi organismi sono demandati eventuali competenze di tipo sovra-distrettuale ossia che interessino contemporaneamente più ambiti territoriali.
j) Le risorse da destinare allo svolgimento di programmi integrati di intervento provengono da diversi fondi (in particolare quello socio-assistenziale e quello sanitario) e sottostanno a diverse normative. Ai programmi possono partecipare anche gli stessi anziani beneficiari dell’intervento o le loro famiglie o gli Enti che a vario titolo prendono parte al progetto stesso. Il costo degli interventi dovrà quindi essere ripartito tra i diversi fondi, secondo criteri che tengano conto delle rispettive competenze e in adempimento a quanto stabilito dalla legge. Per procedere in tale direzione si farà riferimento in primo luogo alla collocazione organica degli operatori, per distinguere il tipo di spesa, ma in un secondo momento si dovrà elaborare un sistema di contabilità capace di rilevare la tipologia delle attività, così da poter determinare le diverse componenti di costo. A tale risultato si dovrà arrivare attraverso lo sviluppo di appositi sistemi di controllo della gestione, così come indicati dalla legge.

I rapporti tra la Regione, le Aziende Usl e i Comuni, oltre a quanto delineato dalle normative vigenti, sono garantiti dai meccanismi dei piani socio-assistenziale e sanitario e dai progetti-obiettivo che ne derivano. Nel caso concreto il progetto anziani regionale recepisce le indicazioni contenute nell'art.20 della L.R. 4/88 (Piano regionale socio-assistenziale) e nell'art.40 della L.R. 5/95 (Piano sanitario regionale). I Comuni e le Aziende Usl hanno il compito di tradurre in programmi specifici e in piani adeguati d’intervento le indicazioni contenute nel progetto anziani, in modo da garantire l’effettivo perseguimento dei risultati desiderati (art. 43 L.R. 5/95 e art.21 L.R. 4/88). La garanzia dei rapporti di cui sopra è affidata al rispetto dei seguenti termini temporali:

1) la Regione elabora il progetto anziani, anche per la parte economica, secondo le cadenze del piano triennale; entro il 30 settembre di ogni anno approva le variazioni eventuali e definisce gli obiettivi da perseguire nell’anno successivo;
2) le Aziende Usl e ospedaliere e i Comuni relativamente all’ambito di appartenenza definiscono il programma di attuazione per l’anno in corso, indicando con precisione l’entità delle risorse necessarie per realizzarlo e le fonti cui accedere per attivare le relative azioni, in attuazione del progetto definito dalla Regione secondo le procedure stabilite;
3) le Aziende USL e i Comuni, nell’ambito del programma sanitario dell’Azienda-Usl e del piano comunale, entro il 30 settembre di ogni anno, propongono alla Regione le integrazioni e le modifiche al progetto regionale che ritengano utile assumere e rendere operative per l’anno successivo, qualora ritenute opportune a livello regionale;
4) le Province parteciperanno a tali fasi per quanto di loro competenza nei termini indicati.
L'elaborazione del progetto anziani e il coordinamento e lo sviluppo delle azioni necessarie alla sua attuazione è affidata al Servizio dell’Assistenza Sociale dell’Assessorato regionale della sanità, il quale si raccorderà direttamente con il Servizio della cura e della riabilitazione dello stesso Assessorato per definire le scelte operative finalizzate alla realizzazione dei piani regionali.
4.6.1 Organizzazione e integrazione dei servizi
L'integrazione, condizione irrinunciabile nel sistema dei servizi socio-sanitari per gli anziani, trova nel distretto sanitario e negli ambiti territoriali il luogo privilegiato per la sua realizzazione perché in essi trovano riferimento concreto tutti i servizi, non tanto perché essi stessi siano in grado di intervenire, compito che rimane ai servizi stessi e ai loro operatori, ma in quanto devono poter garantire che ogni intervento riconosca e rispetti le regole della progettazione unitaria e concorra a raggiungere quei risultati che derivano soltanto da una stretta e continua integrazione. Nel campo degli anziani in particolare è impossibile immaginare risultati di salute significativi, se ogni servizio agisce indipendentemente dall’altro, proprio per la globalità dell’approccio che gli anziani richiedono; e la garanzia che ciò avvenga spetta al distretto sanitario e agli ambiti territoriali dei servizi sociali, e con loro a tutti i Comuni, e ai rispettivi responsabili. In questo senso allora il distretto e l’ambito territoriale dei servizi sociali non sono semplici “uffici periferici” dei servizi, ma luoghi dove gli stessi trovano la modalità migliore per intervenire su obiettivi e su progetti condivisi. I responsabili dei servizi diventano i primi gestori di risorse (le risorse offerte dai servizi) e rispondono dei risultati prodotti di fronte ai responsabili della politica ai diversi livelli.

Lo strumento che più di altri assiste i responsabili nel garantire all'interno dei distretti e degli ambiti territoriali l’integrazione tra i servizi destinati agli anziani, è l’Unità di Valutazione Geriatrica (UVG).
4.6.2 L’Unità di Valutazione Geriatrica (UVG)
Per UVG si intende un gruppo multidisciplinare costituito dal medico geriatra, dall’infermiere professionale, dall’assistente sociale del comune di residenza dell’anziano e integrato di volta in volta dal tecnico della riabilitazione e dagli specialisti eventualmente necessari per il singolo caso (psicologo, fisiatra ecc), capace di effettuare la valutazione multidimensionale, di definire il programma terapeutico-riabilitativo e di indicare la destinazione più opportuna per l’utente nel pieno rispetto della sua capacità di autodeterminazione.
Il personale dell’UVG può svolgere la propria attività a tempo pieno, parziale o a regime di consulenza; deve operare in completa autonomia funzionale, deve essere in grado di affiancare al tradizionale ragionamento clinico gli strumenti scientifici della valutazione funzionale multidimensionale.
Al fine di garantire il collegamento dell’ospedale con il territorio, il medico geriatra verrà preferibilmente individuato all’interno della divisione di geriatria, dove esistente; esso ha in genere funzioni di coordinatore del gruppo.
Nel predisporre, con il coinvolgimento della famiglia, il programma assistenziale personalizzato, l’UVG si raccorda con il medico di famiglia per gli interventi sanitari e con l’operatore sociale del comune, per gli interventi socio-assistenziali.
Il ruolo del medico di famiglia, in quanto responsabile dell’assistenza sanitaria dell’anziano è il primo garante della stessa continuità assistenziale. In questa logica lo stesso medico di medicina generale può assumere il compito di seguire il caso (come case manager) raccordandosi con l’UVG.
Le principali attività dell’UVG sono:
• valutare l’autonomia funzionale dell’anziano e il suo bisogno assistenziale in base ai gradi di non autosufficienza;
• definire per ciascun anziano il programma assistenziale personalizzato, sulla base di una valutazione multidimensionale, in accordo con il medico di famiglia e, in caso si tratti di persona dimessa dall’ospedale, di concerto con i responsabili delle divisioni ospedaliere;
• decidere la migliore destinazione dell’anziano all’interno della

rete dei servizi (ADI, RSA, Casa Protetta, Day Hospital, Ospedale), sulla base di revisioni periodiche del programma personalizzato, tenuto conto della evoluzione del bisogno e del desiderio dell’assistito;
• provvedere alla eventuale certificazione di non autosufficienza della persona anziana;
• trasmettere all’Osservatorio epidemiologico e al Sistema Informativo Socio-Assistenziale regionali, con appositi moduli informativi, le valutazioni e i dati significativi dei casi esaminati;
• verificare i risultati ottenuti dallo sviluppo dei programmi assistenziali anche allo scopo di arricchire continuamente le conoscenze.
L’UVG deve essere presente in ogni distretto sanitario per facilitare il rapporto con gli utenti e con gli operatori impegnati nel territorio e nei Comuni. In sede di definizione e articolazione dei risultati da conseguire per il prossimo triennio dovranno essere previste le fasi per la sua graduale istituzione in ogni Azienda USL.
L’attività svolta dall’UVG e le indicazioni prodotte dal gruppo che ne prende parte costituiscono i riferimenti guida per consentire ai responsabili del distretto e dell’ambito territoriale dei servizi sociali di svolgere quell’azione di coordinamento e di progettazione di cui si è detto.
4.6.3 Lo strumento di valutazione della non autosufficienza
A livello nazionale esiste una molteplicità di strumenti e di questionari utilizzati dall’UVG per la valutazione multidimensionale (GEFI, BINA, AGED, SVAD). Conseguentemente risulta molto complesso ogni confronto e non è possibile cogliere pienamente vantaggi e problemi che i vari modi di condurre il servizio possono determinare.
In mancanza di strumenti validati per tutto il territorio nazionale, è necessario individuare quelli da adottare a livello regionale per consentire una valutazione diversificata, a seconda della condizione degli anziani.
La dotazione di idonei strumenti di misurazione multidimensionale delle istituende Unità Valutative Geriatriche deve costituire uno dei principali obiettivi strumentali e organizzativi da conseguire nel primo anno di attuazione del nuovo piano.

Fonte: https://www.regione.sardegna.it/documenti/1_26_20050210101540.doc

Sito web da visitare: https://www.regione.sardegna.it

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