Viaggio in Sicilia

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Viaggio in Sicilia

23.04-03.05.2003 - 13:15 - Visita organizzata da ITINERA (Dott. G. Marone).
24-26.06 e 01-02.07.2004 - (Trapani, Erice, Mozia e Palermo)

La Sicilia è la più grande isola del Mediterraneo con 25460 kmq di superficie senza contare gli arcipelaghi che la circondano come le Eolie, le Egadi e le isole di Ustica e Pantelleria. Sicilia e Sicania furono i due nomi datele dall’antichità da quelli di due antichi popoli che l’abitavano: i Siculi ed i Sicani; fu anche chiamata Trianacria dai Greci per la sua forma triangolare. Geologicamente appartiene alla placca africana ed ha assunto la sua forma attuale nel Quaternario ma durante l’ultimo periodo glaciale, per l’abbassarsi del livello del mare, le terre emerse si estendevano a sud comprendendo anche l’arcipelago di Malta.
L’isola fu abitata nel paleolitico e poi nel neolitico da popoli provenienti probabilmente dall’Africa e dal Mediterraneo orientale che formarono nel III millennio a.C. la popolazione indigena dei Sicani. I Siculi vennero dall’Italia intorno al XII secolo a.C. e di questi si hanno maggiori resti nelle necropoli e negli insediamenti vicino a Cassibile a sud di Siracusa. I Sicani si ritirarono verso l’interno e resistettero nei centri di Caltagirone e Pantalica. Nell’VIII secolo a.C., ormai età del ferro, iniziò l’afflusso di genti provenienti dalla Ionia e dalla Grecia alla ricerca di nuove terre. La decisione di creare una colonia da parte delle città greche nasceva sempre da motivi demografici, si estraeva a sorte un figlio maschio per ogni famiglia e si affidava la spedizione all’egista che per prima cosa consultava la Pizia nel santuario di Apollo per conoscere la destinazione, quindi i coloni partivano su navi da guerra e non potevano tornare pena la lapidazione. La colonizzazione primaria greca iniziò nell’VIII secolo nella Sicilia orientale, la colonia più antica fu Naxos fondata dai Calcidesi dell’Eubea, poi Siracusa, fondata dai Corinzi nell’isola di Ortigia, Zancle fu occupata da coloni calcidesi e poi è diventata Messana (Messina), Megara Hyblaea fu fondata dai Megaresi e infine da Creta e Rodi vennero coloni per fondare Gela nel 688. La colonizzazione respinse le popolazioni indigene verso l’interno ed iniziò la competizione territoriale fra le colonie ed i nuovi arrivati. Si affacciarono in Sicilia anche i Fenici e Cartagine e poi gli Etruschi per necessità di sbocchi commerciali. Contro i Cartaginesi si oppose Gelone di Siracusa che, alleato con Imera ed Agrigento, sconfisse il cartaginese Amilcare a Imera nel 480 a.C.. Nel 474 Siracusa vinse anche gli Etruschi a Cuma e divenne la maggiore potenza dell’isola acquistando il primato nei traffici del Tirreno. Anche il tentativo di interferenza da parte di Atene contro l’egemonia siracusana del tiranno Dionigi finì con la disfatta degli Ateniesi nel 414. Furono poi i Cartaginesi, che si erano insediati a Messina, a provocare l’intervento di Roma che iniziò la prima guerra punica dal 264 al 241 decisa nelle due battaglie navali di Milazzo (260) e delle Egadi (241). Fin dall’inizio Siracusa con il suo re Ierone II fu alleata di Roma ma, scoppiata la seconda guerra punica e morto Ierone, la città passò dalla parte dei Cartaginesi e dopo Canne i Romani assediarono Siracusa e la presero nel 212; dopo tutta l’isola diviene provincia romana.
Nel periodo romano, che dura fino all’inizio del V secolo d.C. quando arrivarono i Vandali, la Sicilia si trasformò. Le città greche finirono nell’abbandono o furono trasformate, il territorio venne colonizzato, si formarono le grandi proprietà terriere della classe senatoria e l’economia dell’isola prosperò nell’agricoltura favorita dal clima e dalla fertilità del terreno. La Sicilia fu anche teatro di avvenimenti sconvolgenti come le guerre servili (II secolo a.C.), il mal governo di Verre (dal 73 al 70 a.C.) e la guerra civile al tempo di Pompeo (70-30 a.C.) ma nel complesso il benessere fu evidente dalla rete di strade che attraversò l’isola e dalle splendide ville e dai monumenti delle città marittime di Catana, Tindari, Panormo e Lilibeo.
Nel 429 i Vandali di Genserico, venuti dalla Spagna meridionale (Andalusia) conquistarono l’Africa e, costruita una flotta, dominano il Mediterraneo; dopo il sacco di Roma nel 455 occuparono le maggiori isole tra cui la Sicilia. Seguì l’occupazione dei Goti ma le guerre di riconquista di Giustiniano riportarono la Sicilia nell’orbita di Bisanzio nel 535 e vi rimase per circa 3 secoli fino all’arrivo degli Arabi nel IX secolo. Nell’831, presa Palermo gli Arabi provenienti dalla Tunisia si irradiarono per la conquista dell’isola. Nell’878 fu presa e saccheggiata Siracusa e l’isola divenne un emirato arabo che successivamente passò sotto l’influenza dei Fatimidi di Egitto. Continuarono gli scontri con i Bizantini che mantennero per qualche tempo delle posizioni nella Sicilia Orientale. La dominazione araba segnò un periodo di ripresa economica e culturale dell’isola, furono edificati palazzi, moschee e castelli, si sviluppò l’agricoltura con l’introduzione degli aranci, gelsi, palme da dattero, cotone e canna da zucchero. Gli Arabi rappresentavano però una continua minaccia per la penisola italiana che dopo la Spagna diventava la seconda via di invasione musulmana verso l’Europa. Il problema fu risolto dai Normanni che erano scesi in Italia come bande di soldati mercenari in cerca di fortuna. Roberto il Guiscardo nel 1071 si impadronisce di Bari scacciando i Bizantini, nel 1059 papa Leone IX (1048-1054) gli riconosce il titolo di duca di Calabria e di Sicilia e fa dei Normanni suoi alleati nella lotta contro l’impero e contro i musulmani. Occupata Reggio, Ruggero d’Altavilla iniziò l’invasione dell’isola nel 1061 e la completò 30 anni dopo nel 1091. Con Ruggero I iniziò la dinastia normanna in Sicilia e fu uno dei periodi più felici dell’isola. I monaci benedettini al seguito dei Normanni impiantarono le grandi cattedrali nello stile normanno ma influenzato dalle maestranze locali di cultura araba. La corte normanna divenne un centro di cultura specie con Ruggero II ed i suoi successori fino a Guglielmo II (1166-1189); la figlia Costanza fu la sua unica erede e sposò Enrico figlio di Federico Barbarossa. Enrico e Costanza morirono giovani rispettivamente nel 1197 e 1198 e lasciavano erede della casa sveva di Germania e del regno di Sicilia il piccolo Federico II sotto la tutela del papa Innocenzo III. Imperatore dal 1215 al 1250, Federico II fu uomo di grande cultura, costruì uno stato moderno e predilesse la Sicilia dove era stato educato. Dopo la sua morte l’opposizione del papato agli Svevi chiamò nel 1266 Carlo d’Angiò al trono di Sicilia. I Francesi presero possesso di feudi e benefici entrando in contrasto con la nobiltà locale. La rivoluzione dei Vespri del 1282 spazzò i Francesi dall’isola ed i Siciliani acclamarono re Pietro d’Aragona, marito della figlia di Manfredi, il figlio naturale di Federico II morto nella battaglia di Benevento (1266) contro Carlo d’Angiò. La guerra durò fino al 1302 e da allora l’isola entrò nell’orbita spagnola. Man mano la nobiltà spagnola sostituì quella locale nel possesso dei feudi e nel 1410 l’isola perdeva anche la sua indipendenza amministrativa con l’unificazione del regno d’Aragona e di Sicilia e con il governo dei viceré. Il predominio spagnolo si affermò poi su tutta l’Italia dopo la vittoria di Pavia (1525) di Carlo V su Francesco I di Francia e durante tutto il 1600 l’oppressione spagnola si fece sentire sempre più pesante suscitando anche delle rivolte come quella di Messina del 1672. La rivolta fu repressa violentemente appena venne meno l’appoggio francese e la città perse definitivamente la sua antica prosperità marinara. In tre secoli di dominio spagnolo, fino al 1700, l’isola decadde nel disordine feudale interno e con le coste sempre infestate dai pirati barbareschi. Nel 1693 la Sicilia sudorientale fu devastata da un violento terremoto ma seguì un periodo di rinnovamento artistico con il gotico siciliano. Nel 1700 si aprì una fase turbolenta di transizione. Con le guerre di successione spagnola e polacca l’isola passò dagli Spagnoli ai Savoia, dai Savoia all’Austria e dall’Austria ai Borboni di Napoli ed iniziò la tutela inglese dell’isola per la sua posizione strategica nel Mediterraneo. Le idee riformatrici di Carlo III di Borbone furono bloccate nell’isola dal baronato che si considerava difensore dell’indipendenza siciliana. Anche la rivoluzione francese non penetrò nell’isola ma si fermò a Reggio fermata dal blocco navale inglese e dai sentimenti antifrancesi della popolazione. Ferdinando III, cacciato da Napoli si rifugiò a Palermo. Dopo il congresso di Vienna (1815), con la creazione del Regno delle due Sicilie e la soppressione del Parlamento siciliano, si creò la spinta all’opposizione ai Borboni di Napoli ed il fiorire di sette e cospirazioni. Nel gennaio 1848 la Sicilia fu la prima in Europa ad aprire l’era delle rivolte per l’indipendenza e, partendo da Palermo, i Borboni furono in breve costretti a lasciare l’isola. Il governo provvisorio offrì la corona al duca di Genova, secondogenito di Carlo Alberto ma, fallita a Custoza la prima guerra d’indipendenza di Carlo Alberto, Francia ed Inghilterra lasciarono mano libera ai Borboni che restaurarono il loro potere nel maggio del 1849. A questo punto furono i liberali esuli fra cui Francesco Crispi ad indirizzare l’aspirazione autonomista nel più ampio movimento unitario italiano. Nuove rivolte scoppiano in Sicilia e la situazione divenne propizia alla spedizione dei Mille di Garibaldi che con la sbarco a Marsala nel maggio 1960 iniziava la conquista del Regno delle due Sicilie e la sua unificazione nel Regno d’Italia (1861).

Il viaggio ha toccato le principali località dell’isola privilegiando siti archeologici, storici ed artistici e seguendo un itinerario che ha percorso l’isola in senso antiorario partendo da Palermo.

Palermo, nel golfo omonimo sul Tirreno, è la principale città della Sicilia sede del governo regionale; si trova ai margini della Conca d’Oro che scende verso il mare ed è dominata a nord-ovest dal promontorio di monte Pellegrino luogo di insediamenti preistorici ed eremitaggio di S. Rosalia, patrona della città.
Il nome di Palermo deriva da Panormus (tutto porto) datole dai Greci ma fu in origine colonia fenicia nell’VIII-VII secolo a.C. e rimase impenetrabile ai Greci insieme a Solunto e Mozia, all’estremità occidentale dell’isola; passò poi ai Cartaginesi nella guerra contro gli Imeresi. Durante la prima guerra fu occupata dai Romani e rimase romana fino al V secolo d.C. quando fu occupata dai Vandali di Genserico, poi passò ai Goti ed ai Bizantini e nell’831, dopo un anno di assedio cadde nelle mani dei Saraceni che ne fecero la capitale dell’emirato di Sicilia. La città ebbe allora un rapido sviluppo, raggiunse i 300000 abitanti e fu paragonata a Cordoba ed al Cairo traendo la sua ricchezza dall’agricoltura e dai commerci.. Con i Normanni e gli Svevi, a partire da Ruggero d’Altavilla (1072), mantenne il suo stato di capitale dell’isola e si trasformò rapidamente in una città europea, centro di commerci e di cultura specialmente sotto Federico II. Al malgoverno degli Angioini la città reagì con la rivolta del Vespro (1282), ebbe un nuovo periodo di prosperità sotto gli Aragonesi, poi il periodo dei viceré spagnoli addormentò la città; una sollevazione popolare si ebbe nel 1646 ma fu subito repressa. Il 1700 non lasciò tracce a Palermo nonostante i numerosi cambi di case regnanti e il fugace passaggio di Vittorio Amedeo di Savoia che durò solo 5 anni (1713.1718). Palermo era soddisfatta di essere la capitale di uno stato apparentemente indipendente e la nobiltà era appagata dalla sua partecipazione alla direzione del paese. Le cose cambiarono dopo il congresso di Vienna e la creazione del Regno delle due Sicilie quando Palermo non fu più capitale. Si ruppe l’adesione ai Borboni e quando il 27 maggio 1960 Garibaldi entrò in città la popolazione insorse e costrinse il presidio borbonico a capitolare.
Poco rimane a Palermo di costruzioni precedenti all’era normanna ma negli edifici normanni si sente l’influenza araba e bizantina. Uno degli esempi più rappresentativi è il Palazzo dei Normanni sulla piazza omonima, residenza reale costruita ampliando il castello arabo che qui sorgeva dal IX secolo. Qui Ruggero I aprì il primo Parlamento siciliano nel 1096. Furono chiamati artisti arabi e bizantini e la reggia si arricchì sotto gli Svevi di Federico II divenendo un centro di cultura. Il palazzo rimase poi sempre sede di re e viceré ed è oggi sede del Parlamento della Regione Siciliana.. La facciata, con archi intrecciati e fasci di semicolonne fra cui si aprono le finestre, ha un coronamento merlato e mostra una chiara ispirazione araba. Nei restauri sono state lasciate a vista le parti originali arabe. Scavi hanno messo in luce al di sotto le mura puniche dell’VIII secolo a.C.. Lo scalone d’onore in marmo rosso siciliano (botticello) porta al primo piano su un loggiato rinascimentale che si affaccia in un cortile interno. Qui si trova l’ingresso alla Cappella Palatina fatta costruire da Ruggero II, dedicata a S. Pietro e consacrata nel 1140; è un gioiello dell’arte normanna internamente decorata a mosaici da maestranze bizantine e greche. Nella cupola dell’abside il Cristo Pantocrator circondato da figure di angeli e profeti. La chiesa è a tre navate, i soffitti lignei, con capriate in cedro del Libano restaurate, erano opera di maestranze arabe ed alle stesse si devono le decorazioni a mosaico con palme stilizzate sulle pareti delle navatelle ed i pavimenti in marmi preziosi i cui motivi sono stati ripresi 100 anni più tardi dai Cosmati.
Non lontano dal Palazzo dei Normanni, un po’ a sud-est, è la chiesa di S. Giovanni degli Eremiti fatta costruire da Ruggero II nel 1132 nel luogo dove sorgeva un convento di benedettini dal tempo di Carlo Magno. Gli Arabi avevano distrutto il convento e vi avevano costruito una moschea a sua volta distrutta dai Normanni. La chiesa fu affidata a monaci eremiti da cui il nome; poi fu abbandonata ed ora è aperta al pubblico come monumento di architettura arabo-normanna con il suo suggestivo giardino ed un chiostro su colonne binate. L’edificio presenta 5 cupolette rosse emisferiche due sulle due campate della navata e tre sul presbiterio e sui due ambienti laterali dei quali, quello di sinistra, si solleva come un campanile. Le cupole portano sulla sommità un pinnacolo che aveva un significato esoterico come catalizzatore di energia. I resti della moschea si trovano in una sala sulla destra.
Sulla sinistra di Palazzo dei Normanni si trova Porta Nuova costruita nel 1535 in occasione della visita di Carlo V dopo la spedizione contro Tunisi. Sopra il fornice, affiancato da colossali telamoni, c’è una loggia ed una cuspide. maiolicata. Attraversata Porta Nuova inizia Corso Vittorio Emanuele che arriva fino al porto. Subito a destra si trovano i giardini dietro palazzo dei Normanni dove è stata trovata una villa romana con terme e mosaici che ora sono conservati nel Museo Archeologico. Più avanti si raggiunge la piazza della Cattedrale; qui sorgeva in origine un tempio pagano; poi una basilica cristiana; nel IX secolo gli Arabi la trasformarono nella moschea del Venerdì, la principale fra le 300 moschee della città. Con i Normanni fu costruita la Cattedrale nel 1185 e consacrata all’Assunta. Durante gli Aragonesi (XV secolo) fu costruito il triportico sul fianco in stile gotico-catalano che è diventato l’ingresso normale. Il portico ha tre archi ogivali e timpano con decorazioni ad arabeschi, la prima colonna a sinistra è presa da una moschea ed ha in rilievo un passo del Corano. La vera facciata si trova a sud-ovest affiancata da un alto campanile con torrione e torricelle rifatto nel 1800. Due archi attraversano la strada e collegano la facciata a due torri a bifore. La parte absidale è stata rifatta alla fine del 1700 quando era in pericolo di crollo e l’opera fu affidata a Ferdinando Fuga che rifece l’interno ed aggiunse una grande cupola che contrasta con le parti esterne in stile gotico. Sulla piazza si trova il monumento a S. Rosalia patrona della città. La Santa era vissuta fra il 1130 ed il 1170, forse discendente di Carlo Magno, il suo nome è l’unione di due fiori: la rosa ed il lilla. Fu monaca basiliana e visse da eremita in una grotta di Monte Pellegrino. Rimase dimenticata fino al 1600 quando durante una peste furono trovate la sue reliquie e portate a Palermo. Cessata la peste fu acclamata patrona e fu costruito un santuario sul Monte Pellegrino. L’interno della Cattedrale, tre navate e croce latina, è stato rifatto nel 1700. All’inizio della navata destra si trovano le Tombe imperiali e reali sotto baldacchini: quella di Ruggero II, dell’imperatore Enrico VI e della moglie Costanza d’Altavilla ed il sarcofago di Federico II in porfido monolitico. A destra del presbiterio c’è la cappella di S. Rosalia con l’urna delle reliquie in argento massiccio.
Proseguendo su via Vittorio Emanuele si arriva all’incrocio con via Maqueda, strada aperta nel 1500 dal viceré con questo nome. L’incrocio forma piazza Vigliena, detta anche dei Quattro Canti per lo smusso dei quattro edifici agli angoli che le danno una forma ottagonale. Gli smussi hanno delle belle decorazioni architettoniche dal basso in alto su tre ordini; quattro fontane in basso, le statue di quattro re al livello intermedio e le statue di quattro santi al terzo livello. Proseguendo a destra per via Maqueda si giunge in piazza Bellini con la chiesa di S. Maria dell’Ammiragliato, altro gioiello dell’arte normanna, fatta costruire nel 1143 da un ammiraglio di Ruggero II. Nel 1433 il re Alfonso d’Aragona la cedette al monastero fondato da Eloisa Martorana e da allora è conosciuta con il nome di Martorana. La chiesa ha subito molti rifacimenti ma all’esterno è rimasto il campanile a quattro piani con bifore e colonnine agli angoli nei due ordini superiori; la decorazioni a tarsie policrome sono di stile arabo. All’interno vi sono bellissimi mosaici, nella cupola il Cristo Pantocrator benedicente ed intorno arcangeli e profeti, nei bracci della croce greca storie di Gesù e della Vergine. Di fronte alla Martorana è la piccola chiesa di S. Cataldo, anche questa del periodo normanno (XII secolo) ed ora in restauro.
Tornando indietro su via Maqueda e proseguendo oltre i Quattro Canti in direzione nord-ovest si raggiunge piazza Verdi ed il Teatro Massimo, neoclassico della fine del 1800, opera dell’architetto Basile. Via Maqueda cambia nome e prosegue ancora verso nord-ovest fino a piazza Ruggero VII dove sorge il Politeama Garibaldi che ospita la Galleria d’Arte Moderna, quindi inizia Viale della Libertà che attraversa i quartieri moderni. Parallelo a quest’asse è via Francesco Crispi più ad oriente lungo il porto che a sud-est si ricongiunge con via Vittorio Emanuele vicino al golfo di Cala, l’antico porto dove si trova la chiesa di S. Maria della Catena della fine del 1400 in stile gotico-catalano il cui nome deriva dalla catena con cui si bloccava l’ingresso al porto.
Fra i musei, uno dei più interessanti è il Museo Archeologico che occupa l’edificio seicentesco del convento dei Filippini e si affaccia su via Roma. Si entra da dietro sul Chiostro Minore con una fontana del 1500. Vi sono raccolti reperti provenienti dai siti archeologici della Sicilia e particolarmente interessanti al piano terreno sono quelli provenienti dagli scavi di Selinunte. In una sala è ricostruito il frontone del Tempio C, frutto degli studi di Ettore Gabrici del 1914-20, in un’altra sala vi sono le metopi del Tempio C e del Tempio E ed altri bassorilievi in pietra. In un’altra saletta si trova il Torso di Mozia in attesa di restauro, statua trovata nel fondo dello Stagnone vicino Mozia nel luglio 1933. Al terzo piano c’è una raccolta di mosaici pavimentali fra cui quello del III sec. d.C. rappresentante Orfeo che suona davanti agli animali ammansiti, proveniente da una casa romana di piazza Vittoria a Palermo.
Del tempo di Federico II Palermo ha conservato i resti di quello che era il grandioso parco di caccia Genoard (il paradiso in terra) che si stendeva a est del Palazzo dei Normanni. Rimane la Zisa dal nome arabo el-Aziz (la splendida), il palazzo luogo dei divertimenti dei sovrani cominciato da Guglielmo II in stile arabo fatimida che imitava i palazzi degli emiri. L’edificio ha pianta rettangolare a due piani con tre portali che accedono alla Sala delle Udienze al piano terreno; qui si trova una fontana, sovrastata da un insieme di archetti pensili detti mucarnas dagli Arabi, che contribuiva a rinfrescare l’ambiente. Davanti al palazzo c’era una peschiera in cui si specchiava la facciata; fu usato da Federico II, poi passò molte volte di proprietà ed oggi è museo. Davanti al palazzo si stende una zona incolta che attende sistemazione. Più a sud in Corso Calatafimi, all’interno di un’antica caserma di cavalleria borbonica, si trovano i resti di un altro padiglione del parco, detto la Cuba, eretto nel 1180 e decorato in facciata con grandi arcate cieche in stile arabo. Più a nord-est, in via Zancla traversa di via Calatafimi, si trova la Cubula, un piccolo padiglione con cupola rossa.
Un grande parco pubblico creato nel 1799 da Ferdinando III di Borbone è quello della Favorita a nord-ovest di Palermo ai piedi di Monte Pellegrino con ingresso principale in Piazza Niscemi. Vi si trova il Padiglione Cinese, un edificio eclettico dei primi del 1800 che mescola stile cinese e neoclassico. Fu dimora preferita di Ferdinando VIII e della regina Maria Carolina.
Palermo è una città ricca di alberi esotici importati e ben acclimatati, frutto di attente sperimentazioni nel corso di secoli a partire dal periodo arabo. Strade, piazze e giardini hanno esemplari rari ed una raccolta più ampia si trova nell’Orto Botanico fondato nel 1789 che è uno dei più importanti d’Europa. L’ingresso all’Orto Botanico si trova in via Lincoln nel lato sud-orientale della città, non lontano dalla Stazione Centrale. Fu un’istituzione dell’Università degli Studi per le scienze botaniche in relazione a medicina ed agricoltura, occupa 11 ettari ed è uno dei più importanti d’Europa. Dopo l’antico ingresso principale vi sono tre edifici di stile neoclassico chiamato Gymnasium, quello centrale, e Tepidarium e Calidarium i due laterali. Il Gymnasium, come un tempio greco, era adibito alla dimostrazione delle piante medicinali e contiene un erbario con preziose collezioni di piante essiccate. Dietro il Gymnasium si trova la parte più antica del giardino diviso in aiuole con un viale centrale ed in fondo un grande Aquarium circolare diviso in scomparti dedicati a vari tipi di piante acquatiche fra cui ninfee e loti. Dietro vi sono boschetti di bambù ed una collezione di grandi piante esotiche. Un Ficus del Bengala e una Draconia draco originaria delle Canarie, albero ad ombrello molto longevo, fino a 3000 anni di vita, con bacche rosse ed una resina rosso scura. Un’Auracaria columnaris ed un gigantesco Ficus magnolioides dell’oriente con foglie somiglianti alla magnolia che produce un latice bianco da cui si può estrarre il caucciù. Fu introdotto nell’Orto intorno al 1840 e poi diffuso in Sicilia e nel Mediterraneo per la decorazione di parchi e giardini. In un’altra ampia zona del parco ad est si trova il magnifico Viale delle Palme ed il Viale delle Corisie fiancheggiato da Chorisia insignis, alberi dal tronco a forma di bottiglia ricoperto di aculei originario dal Brasile/Argentina. L’albero produce fiori come vistose orchidee con petali rossi o rosei ed un frutto come grosse pere i cui semi sono avvolti da una lanugine che viene usata come imbottiture e per questo è detta “falso Kapok”. In quest’area vi sono diverse serre con specie esotiche fra cui quella donata dalla regina Carolina ed intitolata al suo nome; è stata ricostruita in ghisa nella seconda metà del 1800.

Fra i dintorni di Palermo Monreale è la città più vicina, a soli 8 km; posta su un terrazzo dominante la Conca d’Oro ai piedi di Monte Caputo sulla cui cima è il Castellaccio, una rocca arabo-normanna divenuta ospizio dei monaci. La Conca d’Oro è oggi tutto un agrumeto ma invasa da ville ed abitazioni. Al tempo dei Normanni era parco di caccia reale e Monreale fu fondazione reale di Guglielmo II, ultimo degli Altavilla, con cattedrale, chiesa e fortezza insieme detta eclesia munita. Affidata a monaci benedettini, fu fatta subito diocesi dal re che, come legato apostolico, era stato dotato dal papa di poteri religiosi; tutte le altre diocesi invece risorsero dopo la conquista per le loro origini bizantine. La cattedrale di Monreale fu quindi l’ultimo monumento dei re normanni e fu ispirata alla Cappella Palatina. Fu costruita tutta in 10 anni a partire dal 1174, architettura e decorazioni; non si conosce il progettista ma le maestranze furono arabe, bizantine e veneziane. La facciata è fra due massicce torri con quella di sinistra incompiuta, è ornata con archi intrecciati ma in gran parte coperta dal portico aggiunto nel 1700. Sotto si apre il portale con porta di bronzo di Bonanno Pisano, detta Porta del Paradiso con 42 formelle, è simile a quella di Pisa che però è andata distrutta in un incendio e quindi questa è l’unica porta bronzea medievale rimasta. L’interno in forme basilicali è a tre navate e tre absidi divise da colonne che portano archi acuti. Sulle pareti sono i mosaici originali con le storie del Vecchio e Nuovo Testamento e iscrizioni in latino e greco. Nell’abside il Cristo Pantocrator con sotto la Madonna in trono, angeli e apostoli. Il Cristo ha un volto severo da giudice e sembianze arabe. Sul lato sinistro dell’abside un mosaico rappresenta l’imperatore Guglielmo II che indossa la dalmata, veste dei pontefici, mentre viene incoronato da Cristo. La cattedrale è luogo di sepoltura dei sovrani Guglielmo I e Guglielmo II con sarcofagi rispettivamente in porfido e marmo bianco, vi fu anche sepolto provvisoriamente Luigi IX, il Santo, morto durante la VII crociata in Tunisia (1270) e dopo traslato a Saint Denis. A destra della facciata c’è l’ingresso al chiostro che faceva parte del monastero benedettino; quadrato con portico ad archi acuti su colonnine gemine sovrastate ad bellissimi capitelli scolpiti con simbologie complesse. Agli angoli vi sono gruppi tetrastili, in tutto vi sono 228 colonnine e ricorda l’Alambra. Nell’angolo sud del chiostro c’è un piccolo recinto con fontana formata da una colonna traforata detta Chevron il cui motivo si richiama ad un culto persiano dell’acqua.

Vicino Palermo, a soli 18 km sulla litoranea per Messina, su un promontorio a mare si trovano le rovine di Solunto, una delle prime stazioni commerciali fenice della Sicilia. Tenuta dai Cartaginesi durante la prima guerra punica, fu presa infine dai Romani. Fu distrutta infine dagli Arabi e abbandonata; oggi è zona di scavi e vi sono soprattutto resti romani.
Alla stessa altezza di Solunto ma all’interno, si trova Bagheria dove fra il 1700 ed il 1800 sorsero numerose le ville della nobiltà di Palermo attratta dalla bellezza della zona ricca di agrumeti e vigneti. Ville e giardino erano recintate all’interno di proprietà terriere poi alienate e l’urbanizzazione selvaggia della zona ha tolto loro ogni aspetto scenografico. La più caratteristica fra esse è Villa Palagonia fatta costruire nel 1715 dal principe di Palagonia, Francesco Ferdinando Gravina, da un architetto frate domenicano. La facciata principale concava ha una scala monumentale a doppia rampa che porta al piano nobile rialzato, sotto vi sono i servizi. Il giardino circonda l’edificio e l’alto muro di cinta è sovrastato da gruppi di statue di pietra tufacea rappresentanti animali, figure fantastiche, nani e musicanti. Dalla scala si entra in un vestibolo ellittico affrescato con le fatiche di Ercole, a destra è la grande Sala degli Specchi ricoperta da vetri dipinti con effetto di marmi, altre sale sono magnificamente decorate ed ornate di busti di imperatori romani e filosofi. Bagheria fu visitata anche da Goethe durante il suo viaggio in Italia. Un’altra villa è quella detta La Cattolica abitata da Gottuso che lasciò 400 sue opere con l’obbligo per il comune di restaurarla ed oggi vi si trova un museo di Gottuso e nel giardino la sua tomba.

Prima di lasciare la provincia di Palermo si fa una puntata a Cefalù famosa per la sua cattedrale voluta da Ruggero II. Cefalù fu colonia greca nel V secolo posta su un promontorio sul Tirreno ai piedi di una grande rupe, 74 km da Palermo. La Cattedrale sulla parte alta della città, quasi a ridosso della rupe rocciosa, fu iniziata nel 1131, la facciata è del 1240 fra due possenti torri con monofere e bifore. Un atrio a tre arcate fu aggiunto nel 1471. L’interno è a tre navate e croce latina con colonne di cipollino e granito. L’abside è tutta rivestita di mosaici a fondo oro opera di maestranze bizantine ma con decorazioni arabe; nel catino absidale è il Cristo Pantocrator benedicente. Il resto della chiesa è del tardo 1500 e molti rimaneggiamenti sono fino al 1900; è stata tolta l’iconostasi ed il coro, che si trovava al centro della navata, è stato portato dietro l’altare.
Sul lato nord la città si affaccia sulla scogliera e qui si trovano resti di mura megalitiche del VI-V secolo a.C. in origine pre-elleniche con rifacimenti medievali. Sul lato ovest c’è il porto e la spiaggia e nella parte antica un lavatoio medievale in grotta alimentato da una sorgente.
Lasciata Palermo, attraversando la Conca d’Oro e prendendo la strada per Marsala, si arriva a Trapani da cui si possono visitare anche Erice e Mozia, due interessanti siti di comune origine fenicia ma storia diversa. Trapani e una città di mare allungata su una stretta penisola con un porto trafficato per i collegamenti marittimi e vaste saline sul lato meridionale dove inizia la penisola. Il nome antico era Drepanon, porto di Erice e base cartaginese conquistata dai romani nel 241 .C.. Gli edifici più antichi lungo l’asse della penisola rimontano al 1500 nel periodo dei viceré, chiese e palazzi della nobiltà poi sostituiti da quelli del periodo barocco fino al 1700. Del XVI secolo sono il palazzo Burgio dei baroni di Scirinda, ora Banco di Sicilia, ed il palazzo Melilli. All’estremità della penisola, su un promontorio, si trova la Torre di Ligny detta da Trapanesi “Turrignì”, torre di guardia contro le scorrerie dei Saraceni che si suppone risalga al 1671 o 1673. Oggi vi si trova un piccolo Museo paleontologico e neolitico con reperti del luogo e dal terrazzo panoramico si vede il porto e la città, in fondo il monte di Erice (750 m) e verso il mare, se la foschia lo permette, le sagome delle isole Egadi.
Erice, come tutta la Sicilia occidentale era terra degli Élimi popolazione autoctona mista, proveniente dall’Italia secondo Diodoro Siculo, o originari da Troia, tre generazioni prima della guerra, secondo Tucidite. Agli Élimi si fa risalire il primo santuario alla dea della Fertilità sulla vetta del monte. Per la sua posizione vicino al mare Tucidite ci informa anche che i Fenici, dal X all’VIII sec. a.C., ne fecero uno di loro approdi commerciali. Nel VI secolo i Cartaginesi sostituirono i Fenici imponendo il loro predominio ma agli inizi del IV secolo furono cacciati per la prima volta da Dionigi di Siracusa che conquistò Erice e Mozia. I Cartaginesi ritornarono e un secolo dopo Erice fu presa per breve tempo da Pirro re dell’Epiro venuto in Sicilia in aiuto delle colonie greche. Nel 260 i Cartaginesi distrussero Erice risparmiando solo il santuario e trasferendo gli abitanti a Drepanon, l’odierna Trapani. La fine della prima guerra punica nel 241 segnò infine il passaggio di Erice con tutta la Sicilia occidentale ai Romani che dedicarono il santuario a Venere Ericina dopo essere stato della fenicia Astarte e della cartaginese Tanit. La cittadella fortificata di Erice sulla vetta del monte ha una forma triangolare tutta circondata da mura la cui origine è punica con alcuni rifacimenti romani; furono poi ricostruite al tempo dei Normanni dopo la cacciata dei Saraceni. La parte meglio conservata e quella occidentale che va da Porta Trapani a Porta Spada passando per Porta Carmine, le mura racchiudevano l’abitato ed il Santuario sul lato sud-orientale su una roccia a strapiombo che i Normanni trasformarono nella Rocca di S. Giuliano detto anche Castello di Venere a ricordo del Santuario. L’abitato ha mantenuto il suo carattere medievale con numerose chiese e conventi. La chiesa principale, o Madrice (Assunta), si trova dietro Porta Trapani, è di forme gotiche normanne eretta nel 1314 come una fortezza e coronata da merli ghibellini a coda di rondine. La chiesa è preceduta da un massiccio campanile con funzione di torre di vedetta e terrazzo panoramico, l’interno a tre navate con archi ogivali è grandioso rifatto nel 1600 e nel 1800. Al centro dell’abitato, nell’edificio di un vecchio convento, si trova la sede del Centro Internazionale di Cultura Scientifica Ettore Majorana (CCSEM) creato nel 1963 dal fisico trapanese Antonio Zichichi.
Mozia (Motya), o Isola di S. Pantaleo, è una piccola isola che si trova in mezzo alla laguna dello Stagnone protetta dal mare da una striscia di terra detta Isola Lunga nel territorio di Marsala. Nell’VIII secolo a.C. i Fenici ne fecero una loro base che poi divenne un caposaldo cartaginese difesa da una cinta di mura lungo la costa. Dal V secolo fu coinvolta nelle ostilità fra Cartaginesi e Greci di Siracusa, Agrigento e Segesta. Nel 397 Dionigi 1° di Sicacusa assediò l’isola con una potente flotta, la distrusse massacrandone gli abitanti e da allora non risorse più e fu dimenticata. I primi scavi e ritrovamenti si ebbero nelle seconda metà del 1700 promossi da governo borbonico poi nel 1800 furono ripresi altri scavi e venne anche il famoso archeologo Schiemann nel 1875. La riscoperta completa di Mozia è merito di un facoltoso commerciante di vini inglese che si era stabilito in Sicilia e veniva a Mozia a cacciare. Interessato all’archeologia oltre che all’ornitologia, decise di provare che l’isola di S. Pantaleo fosse l’antica Mozia e condusse scavi sistematici scoprendo le mura e le porte, il porto e la necropoli e fondò un museo. I risultati furono pubblicati a Londra nel 1921 e divennero ben presto famosi. Dopo la sua morte nel 1936 fu creata una Fondazione ed il museo fu a lui intitolato.
A Mozia si arriva da Trapani passando vicino all’aeroporto di Birgi e ci si imbarca dalle grandi saline che occupano il litorale dello Stagnone. L’isola, piatta e senza rilievi, era tutta occupata dalla città e difesa dalla cinta costiera costruita a secco lunga circa 2400 m, alta fino a 12 m e spessa 5 con 4 porte di cui due principali a nord e a sud. Dalla porta nord usciva una strada sommersa, 50 cm sotto il pelo dell’acqua che collegava l’isola alla costa con un percorso di quasi 1800 m e serviva per il trasporto di materiali, sul lato di terraferma si trova una necropoli. Sul lato sud dell’isola si trova un bacino artificiale interno alle mura con stretto passaggio verso il mare, detto Kothon, che doveva servire come porto protetto o bacino di carenaggio. All’interno gli scavi hanno scoperto un’area sacra detta “Cappiddazzu” perché vi si trovava uno spaventapasseri con grande cappello; è di origine fenicia forse dedicata ad Astarte e la sistemazione definitiva è del V secolo. Un’altra area sacra è il Trophet, o luogo di cremazione dove si sacrificavano i primogeniti maschi alla divinità, un rito crudele fenicio e cartaginese. Fra le abitazioni è stata scoperta una casa con mosaico pavimentale a pietruzze con lotte di leoni e tori. Interessante è il museo Whitaker con la sua collezione di reperti: anfore, molte stele funerarie dalle necropoli e monete molte delle quali provengono dalla zecca di Mozia attiva per 50 anni fino alla distruzione della città. Il reperto più antico del museo è un gruppo arcaico in calcare sirio-fenicio che rappresenta due leoni che sbranano un toro. Risale al VI-V secolo e fu scoperto nel 1793 vicino alla porta Nord, forse si trovava sulla porta stessa. L’oggetto più prezioso è una statua di marmo ionico rappresentante un giovane nello stile arcaico (V secolo) ma vestito con una lunga tunica pieghettata (chitone). Fu trovato nel 1979 vicino al Cappiddazzu senza braccia né piedi e si ritiene sia opera della scuola di Fidia, è stato chiamato l’Efebo, o l’Auriga, o l’Apollo di Mozia. Attualmente si trova nella mostra “I Fenici” a Venezia.

Segesta e Selinunte sono due centri archeologici di grande fascino che raccontano la storia della colonizzazione greca. Segesta si trova nel comune di Calatafimi (Trapani); detta anche Egesta era abitata dagli Élimi Colonizzata anche dai Greci della Ionia, fu eterna nemica di Selinunte e, per difendersi da essa e da Siracusa, chiamò in aiuto gli Ateniesi la cui spedizione finì però in un disastro nel 414, quindi si appellò ai Cartaginesi che distrussero Selinunte ma Segesta cadde sotto il dominio cartaginese. Dopo la conquista romana ebbe un buon trattamento a ricordo della comune origine ma con il tempo decadde e infine, saccheggiata da Vandali e Saraceni fu abbandonata e dimenticata. L’area archeologica è vasta e poco scavata, c’è un grande tempio su un rilievo e, più a est, un teatro ai piedi del monte Barbaro, in mezzo è la vallata in cui si stendeva la città vecchia; questa seguiva i canoni ippodamei delle città greche, edifici ad un piano, stretti e lunghi ma non c’è un’area di scavi, sono stati portati alla luce solo i resti di un Odeon. Il Tempio, visibile da lontano, giganteggia isolato con la sua massa elegante ed il colore grigio dorato della pietra; non fu mai completato, perché costruito durante le guerre con Selinunte, e non ebbe né il tetto né la cella centrale; non si sa a chi fosse dedicato. Lo stile è quello dorico classico più recente come indicano le colonne più snelle, periptero esastilo con 14 colonne sul fianco alte circa 9,4 m, il timpano è basso e senza decorazione. Più lontano ed in alto è il Teatro che guarda verso nord; è un semicerchio di 63 m di diametro, scavato nella roccia secondo lo stile greco, ha però anche un muro di sostegno sul lato ovest. Il teatro serviva anche per l’assemblea dei cittadini (eclesìa).
Il sito archeologico di Selinunte si trova sul mare sulla costa meridionale della Sicilia nel comune di Castelvetrano ed è uno dei più grandiosi complessi di rovine di una colonia greca del V secolo a.C.. La città fu fondata dai Greci di Megara Hyblaea intorno al 628 a.C., fu quindi frutto di una colonizzazione secondaria ed è la più occidentale fra le colonie greche. Il nome deriva da selinon, un prezzemolo selvatico molto usato come erba curativa che divenne il simbolo della città e fu raffigurato anche nelle monete. L’Acropoli sorgeva su un promontorio fra due fiumi, a ovest il Selinos, ora Modione, ed a est il Gorgo di Cottone, ed aveva così due porti. Ebbe prima buoni rapporti con i popoli confinanti, Fenici ed Élimi, e con Cartagine poi, quando questa fu sconfitta dai Siracusani a Imera nel 480, si avvicinò a Siracusa ed iniziò una politica espansionistica entrando in conflitto con Segesta, questa chiese aiuto ad Atene che inviò una flotta ma fu distrutta da Gelone, quindi chiamò i Cartaginesi che vennero con 200000 uomini e 65 navi ed assediarono Selinunte; nessuno degli alleati, Gela, Agrigento e Siracusa venne ad aiutarla e nel 409 Selinunte venne rasa al suolo dai Cartaginesi. La città risorse ad opera dei Siracusani che fortificarono l’Acropoli ma fu di nuovo distrutta dai Cartaginesi nella prima guerra punica, rimase sempre abitata ma in epoca bizantina fu distrutta da un terremoto e divenne cava per materiali. Gli scavi sono iniziati nella seconda metà del 1700.
L’area archeologica di Selinunte si divide in due parti: ad est del Gorgo di Cottone, su una spianata, c’è il Gruppo orientale dei tre templi che vengono indicati con le lettere G, F ed E e da questi inizia la visita; poi una strada conduce all’Acropoli dove si trova la città fortificata con altri templi. Dietro l’Acropoli, a nord, si trova un’ampia zona poco scavata dove si trovava l’area della grande città distrutta dai Cartaginesi nel 409.
I templi del Gruppo orientale sono tutti orientati ad est, il tempio E, il più a sud, è l’unico ad essere stato in parte risollevato dai restauri e domina il paesaggio; da una stele votiva trovata si sa che era dedicato a Hera, misura circa 68 x 25 m, è del V secolo in stile dorico, periptero, esastilo con 15 colonne sul lato lungo. Del tempio intermedio F è rimasto poco perché maggiormente spogliato, è il più piccolo (62 x 24 m), periptero, esastilo con 14 colonne nel lato lungo. Il tempio più grandioso era quello G. il più a nord di cui è rimasto però un ammasso di rovine e solo una colonna è rimasta in piedi. Misurava circa 113 x 54, periptero ottastilo con 46 colonne,; non fu mai terminato come si vede dalle colonne non ancora scanalate; le colonne erano alte circa 16 m ed il tempio doveva essere alto 30 m. Lo stile era un dorico di transizione
L’Acropoli giace su una spianata a circa 50 m s.l.m. circondata da mura, vi erano 4 porte e due strade principali a 90 gradi. Sulla parte est vi sono diversi templi tutti del VI secolo, alcuni sono stati usati dai Bizantini come fortezza. Il tempio C è il più antico della prima metà del VI secolo in stile dorico arcaico dedicato ad Apollo, alcune colonne sono state rialzate insieme alla trabeazione. Qui sono state trovate tre metope rappresentanti il Carro del Sole, la testa della Medusa ed Eracle ora esposte al Museo Archeologico di Palermo.
Dall’alto dell’Acropoli si ha un bel panorama e si può vedere anche la foce del fiume Selinos. Al di là del fiume si trovava un santuario dedicato a Demetra, uno dei più grandi della Sicilia.

Seguendo la litoranea verso est in direzione di Agrigento, si arriva a Sciacca su un terrazzamento che si affaccia sul mare, centro idrominerale importante anche nell’antichità. Nella breve sosta si ha modo di osservare il porto dall’alto di piazza Scandaliato, ed uno strano edificio del 1400 detto Steripinto, stile siculo-catalano, con facciata a punte di diamante, bifore e merli; era i luogo dove una volta finivano le corse dei cavalli berberi.
Proseguendo si fa sosta a Eraclea Minoa sito archeologico di un’antica colonia fondata da Selinunte che le diede il nome di Minoa, si è detto anche che qui esistesse un emporio miceneo ed una leggenda vuole che vi sia morto Minosse ma dagli scavi non è stato trovato nulla di minoico. Fu poi ricolonizzata dagli Spartani che la dedicarono ad Eracle da cui il doppio nome. Presa dai Cartaginesi e poi dai Romani, prosperò perché divenne centro di grandi insediamenti rurali ed è stata nominata da Cicerone nelle sue orazioni contro Verre. La città si affaccia sul mare da un altopiano a picco sulla spiaggia.
Gli scavi cominciati dal 1950 hanno messo alla luce un teatro e molti edifici ma, essendo tutto costruito con la marna locale, i resti sono molto rovinati dagli agenti atmosferici ed ora vengono protetti da grandi tettoie. La città era circondata da una cinta muraria e si nota come nel III secolo a.C. la città si ridusse di dimensioni e le mura tagliarono le vecchie abitazioni abbandonate. Nelle case vi sono resti di intonaco rosso del primo stile pompeiano (I secolo a.C.).

La tappa successiva è Agrigento, città antica e moderna che sorge sulla sommità di due colli contigui non molto distante dalla costa meridionale della Sicilia e limitata ad ovest e ad est dalle valli di due fiumi, il Dago (Hypsas) e il S. Biagio (Akragas) che poi si ricongiungono a sud sboccando in mare con il nome di S. Leone. La città domina verso sud la cosiddetta Valle dei Templi che concentra su una direttrice est-ovest una serie di antichi templi dorici, che ha fatto la fama di Agrigento e nel 1997 è stata dichiarata dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità.
Agrigento fu fondata con il nome di Akragas, dal nome del fiume che scorre ad est, da coloni di Gela nel 582 a.C. e come Gela è quindi di origine rodio-cretese. Fu governata da tiranni ed è famoso Falaride (570-555) che si dice uccidesse i suoi nemici in un toro di bronzo arroventato; poi venne Terone (488-473) che estese il dominio di Agrigento fino a Imera sulla costa nord della Sicilia. Il genero Gelone di Siracusa, alleato con Akragas sconfigge nel 489 i Cartaginesi proprio vicino ad Imera. Allora Akrasas raggiunge l’apogeo della sua potenza e furono costruiti i grandi templi. Nel 406 fu però saccheggiata ed incendiata dai Cartaginesi, si risollevò ma finì come tutta la Sicilia sotto il dominio romano e fu chiamata Agrigentum. La città si estese nella valle fra i templi e le colline e ripopolò fino al III secolo d.C., con i Bizantini, poi con gli Arabi decadde ed andò in rovina. Dagli Arabi venne alla città il nome di Girgenti e così venne chiamata fino al 1927 quando riprese il suo nome latino.
La visita dei templi comincia dall’estremità est dove su un rilievo che si affaccia sulla valle dell’Akragas sorge imponente il tempio di Hera. Misura circa 38 x 17 m, periptero esastilo, delle 34 colonne ne rimangono alzate 25. Fu bruciato dai Cartaginesi nel 406 e crollò in parte nel medioevo per un terremoto. La sua costruzione rimonta al 450-440 a.C., la pietra è calcorinite di origine marina e le colonne erano stuccate bianche con polvere di marmo e ci sono anche tracce di colori. Più ad ovest si trova il tempio della Concordia così chiamato perché nel 1500 vi fu trovata un’iscrizione con la parola “concordia”; è il tempio più elegante e armonioso della valle, dorico classico stilisticamente completo. Non è mai crollato e si è conservato quasi completo a parte il tetto. La cella fu modificata dai Bizantini che lo trasformarono in chiesa. Periptero esastilo, misura circa 39 x 17 m, è di poco più grande del precedente e costruito nello stesso periodo.
Fra un tempio e l’altro si incontrano tombe ad arcosolio bizantine del VI secolo d.C. ed un sepolcreto ipogeo. Si raggiunge il tempio di Eracle, il più antico fra quelli di Agrigento, della fine del VI secolo a.C., ma ridotto ad un ammasso di rovine; nel 1924 sono state rialzate 8 colonne e 4 capitelli. Più avanti è l’area del tempio di Zeus che era il più grande di tutte le colonie greche, misurava 116 x 57 m ed era alto 40 m costruito dopo la vittoria di Imera sui Cartaginesi. Crollato, divenne la più grande cava di materiali per l’intera città. Il tempio aveva delle gigantesche figure umane che sostenevano la pesante trabeazione, detti telamoni, erano alti 7,75 m ma non se ne conosce l’esatta collocazione, gli ultimi 3 crollarono nel 1401. Uno di questi è stato ricomposto a terra.
Agrigento ha in tutto 21 templi e Tindaro disse di lei che era la più bella città dei mortali.
Agrigento ha dato i natali al filosofo Empedocle nel V secolo a.C. e, in tempi recenti, al romanziere e drammaturgo Luigi Pirandello (1867-1936). La casa in cui Luigi nacque e trascorse l’adolescenza è museo regionale dal 1987 e raccoglie molte delle sue memorie ed i ricordi fotografici delle rappresentazioni teatrali dei suoi drammi con i grandi attori che li hanno interpretato. Nell’ingresso è riportato il testo di una delle ultime poesie e le sue ultime volontà.

RITORNO
Casa romita in mezzo a la natia
campagna, aerea qui, sull’altipiano
d’azzurre argille a cui sommesso invia
fervor di spume il mare aspro africano.

Te sempre vedo, sempre, da lontano,
se penso al punto in cui la vita mia
s’aprì piccola al mondo immenso e vano,
da qui - dico -da qui presi la via.

Di questo sentieruolo fra gli olivi,
di mentastro, di salvie profumato,
m’incamminai pe’l mondo ignaro e franco.

E tanto e tanto o fiorellini schivi
fra l’erma siepe, tanto ho camminato
per ritrovarmi a voi deluso e stanco.
MIE ULTIME VOLONTÀ
Sia lasciata in silenzio
la mia morte.
Agli amici, ai nemici preghiere
nonché di parlarne sui giornali mai,
non farne pur cenno.
Né annunzi, né partecipazioni.

Morto non mi si vesta, mi si avvolga,
nudo, in un lenzuolo. E niente fiori
sul letto e nessun cero acceso.

Carro d’infim classe, quello dei
poveri. Nudo.
E nessuno mi accompagni, né parenti
né amici.
Il carro, il cavallo, il cocchiere e
basta.

Bruciatemi. E il mio corpo, appena
arso sia lasciato disperdere, perché
niente, neppure la cenere vorrei
avanzasse di me. Ma se questo non
si può fare, sia l’urna cineraria
portata in Sicilia e murata in qualche
rozza pietra nelle campagna di Girgenti
dove nacqui.

La tomba di Pirandello si trova poco distante dalla sua casa museo e, secondo le sue ultime volontà, le ceneri sono state murate dentro una roccia senza iscrizioni, solo con il simbolo delle maschere teatrali; il luogo è uno spiazzo dove sorgeva un olivo sotto cui era solito sostare, ora ridotto ad un tronco morto.

Lasciata Agrigento si prende verso l’interno in direzione di Piazza Armerina passando per il territorio di Canicattì, zona con vaste coltivazioni di uva da tavola (uva Italia) e pesche. L’interno fra Caltanissetta e Caltagirone è la regione mineraria dello zolfo; lungo la strada si riesce a vedere anche l’Etna.
Piazza Armerina, in provincia di Enna è famosa perché nelle sue vicinanze si trova un’antica villa romana detta “Villa romana del Casale” del III-IV secolo d.C. di epoca tetrarchica e costantiniana.
In epoca imperiale la Sicilia era occupata da grandi latifondi della classe senatoria a conduzione servile. Con la perdita delle piccole proprietà dedicate a viticoltura ed olivicoltura, che richiedono manodopera specializzata, si passò alle monocolture cerealicole ed ai pascoli ed il vino e l’olio arrivavano in Italia rispettivamente dall’Africa e dalla Spagna. La Sicilia era ben collegata da vie di comunicazione e sono note le carte stradali la cui versione definitiva è del IV-V secolo, dette Itinera, con indicate le località, i luoghi di sosta per i commerci e la posta, i borghi rurali (pagus) ed i servizi: i piccolo ostelli (mantio), ogni 9-10 miglia, e le statio distanti una giornata a cavallo. Le Statio avevano alberghi con terme e con il tempo divennero città. Una delle strade collegava Catania con Agrigento. Con il cristianesimo e le nuove esigenze dei latifondi, anche la manovalanza si andò trasformando. Gli schiavi furono sostituiti dagli stipendiati liberi, assunti e pagati quando servivano. I liberi erano sottoposti a tributi ed a corvée e facevano il servizio militare. Il centro del latifondo era la villa abitata dal proprietario ed era sempre sontuosa per dimostrare la ricchezza di chi l’abitava.
La Villa romana del Casale ebbe il suo massimo splendore dal IV al V secolo e fu abitata fino al XII secolo quando fu distrutta da un’alluvione e sparì sotto 15 m di fango. Fu riscoperta nel 1600 ma solo nel 1812 alcuni scavi portarono alla luce i primi oggetti preziosi. Nel 1881 il comune di Piazza Armerina iniziò gli scavi a livello scientifico ma solo negli anni ‘30 e ‘40 del 1900 e poi negli anni ‘50 fu portato alla luce l’intero complesso con i suoi 3500 mq di pavimenti a mosaico. Non si è trovato nulla che potesse indicare il proprietario del luogo, si è pensato all’imperatore Massimiano ma, se non si tratta di una villa imperiale, il proprietario doveva essere certo una persona politicamente influente. Dai soggetti dei mosaici sulle cacce, la cattura ed il trasporto di grandi animali per le venationes negli anfiteatri, doveva essere anche una persona che conosceva bene l’Africa ed il commercio degli animali; nella villa lavorarono certo maestranze africane data l’affinità con opere simili in Africa settentrionale.
La maggior parte della villa è protetta da una copertura a tubolari e lastre di vetro con percorsi per i visitatori che possono osservare dall’alto i mosaici senza calpestarli. Prima di entrare si passa dal lato nord-est della villa dove sono i servizi con i prefurnia ed addossate le terme con il calidarium, tepidarium, frigidarium ad 8 nicchie e la palestra; qui i mosaici sono scene attinenti al bagno e scene marine. Fuori è anche una grande forica (latrina) circolare. L’ingresso principale è a sud con un grande atrio poligonale porticato con colonne ioniche ed una fontana centrale. Dall’atrio si può passare negli ambienti termali o, attraverso il vestibolo, nel peristilio. Il peristilio è l’ambiente più grande, un quadriportico rettangolare colonnato con giardino al centro e grande fontana. Il pavimento del porticato ha una serie di medaglioni a mosaico con protomi di animali e motivi vegetali. Girando intorno al peristilio e seguendo i percorsi obbligati ci si affaccia sugli ambienti a destra ed a sinistra. A sinistra fra l’altro c’è la sala della danza con una fanciulla che danza sollevando un velo; l’ambiente era forse un cubiculum, o stanza da letto. Nella sala degli eroti pescatori vi sono putti su barche impegnati a pescare; questa sala di forma quadrangolare era forse un triclinio per gli ospiti. Un’altra sala rettangolare con funzioni di soggiorno ha un grande mosaico detto della Piccola Caccia, un insieme di tante scene diverse con animali e cacciatori. Sul lato est del peristilio si allunga il Corridoio della Grande Caccia, lungo circa 60 m e chiuso alle estremità da due esedre. Qui vi sono i migliori mosaici con scene di caccia, cattura di fiere e trasporto delle stesse sulle navi. Il corridoio separa il Peristilio dalla Basilica, una grande sala absidata che serviva per i ricevimenti ufficiali; nell’abside si trovava la statua marmorea di Ercole della quale rimane solo la testa. Ai lati della Basilica si trovano gli appartamenti privati del Dominus. All’estremità destra del corridoio ci si affaccia sugli ambienti a destra del peristilio e fra questi c’è la stanza delle 10 ragazze in bikini che giocano in palestra. Sul lato sud si scende in un grande peristilio ellittico con mosaici pavimentali rappresentanti animali dentro girali. Vi si apre un grande triclinio a tre absidi, sala da pranzo per gli ospiti di riguardo. Vi sono raffigurate le 12 fatiche di Ercole.

Da Piazza Armerina si scende verso Caltagirone, provincia di Catania, città nota oltre che per essere un centro minerario dello zolfo, soprattutto per le sue industrie di maiolica e terracotta che utilizzano le argille locali. Le sue maioliche artistiche e colorate si ammirano lungo la scalinata che sale da piazza del Municipio a S. Maria del Monte. Accanto alla chiesa un riquadro in maiolica rappresenta la scena di consacrazione della chiesa nel 1143. Caltagirone è una delle città distrutte dal terremoto del 1693 e nella ricostruzione risentì del nuovo stile barocco siciliano visibile nella chiesa di S. Francesco eretta nel 1226 e ricostruita nelle nuove forme barocche dopo il 1693.. Caltagirone ha un ricco museo della ceramica ed una bella villa comunale.
Si scende poi più a sud a Ragusa, capoluogo della provincia omonima. La città è divisa in due nuclei su un lungo sperone diviso in due da una profonda valle. Nel primo nucleo è la Ragusa alta più grande e moderna cresciuta dopo il terremoto del 1693, il secondo nucleo più piccolo e antico conserva ancora il nome di Ragusa Ibla dal nome di un antico insediamento siculo. Questi due nuclei furono comuni separati fino al 1865. A nord ed a sud dello sperone vi sono due profondi valloni percorsi rispettivamente dal torrente di S. Lorenzo e dal torrente di S. Domenico. Il terremoto del 1693 ha distrutto la città vecchia, Ragusa Ibla, e l’antico duomo di S. Giorgio di cui è rimasto intatto e conservato solo il portale in stile gotico-catalano fiorito del 1400 con le aquile aragonesi. Il nuovo Duomo di S. Giorgio è stato ricostruito più in alto nel 1739, progetto dell’architetto Rosario Gagliardi con la facciata a tre ordini, convessa al centro e con colonne e statue ai lati ed il modulo della torre campanaria in alto.
Circa 15 km a sud-est di Ragusa si trova il Castello di Donnafugata, palazzo ricostruito in forme neogotiche eclettiche a metà del 1800 come casa di villeggiatura. Per il suo valore storico fu acquistato dal comune nel 1982 ed ora è visitabile. Ha una raccolta di quadri ed arredamenti originali del secolo scorso. Il suo nome deriva dalla leggenda di una donna che fuggiva continuamente inseguita da un barone di lei innamorato.

Solo 15 km a sud di Ragusa si trova Modica che sotto gli Aragonesi, nel 1296, fu capitale di contea affidata ai Chiaramonte ed il suo territorio comprendeva anche l’area di Ragusa. Con i Chiaramonte ed i successivi Cabrera ebbe il suo periodo più prospero. La città si distribuisce in una valle a Y formata dalla confluenza di due antichi torrenti e si arrocca sui rilievi che la fiancheggiano. La città fu distrutta da due terremoti nel 1613 e nel 1693 e per due volte fu ricostruita. Nel 1902 un’alluvione spazzò le case del fondo valle e l’acqua raggiunse i 9 m di altezza. Dopo l’alluvione gli alvei, prima attraversati da ponti, furono coperti ed ora le acque scorrono sotterranee Per la sua storia e la sua importanza Modica doveva diventare capoluogo di provincia ma, dopo l’unificazione dei due comuni di Ragusa nel 1865, quest’ultima divenne la città più popolosa e quindi capoluogo di provincia.
Il centro della città si trova al punto dove divergono i rami della valle a Y percorsi dalle vie principali; è dominato dallo sperone della città alta con in cima i resti dell’antico castello e la torre dell’orologio. Seguendo a sinistra corso Umberto, a destra sorge la chiesa di S. Pietro, patrono della città, sopra un’alta gradinata con le statue degli apostoli. Ricostruita nel 1700 dopo l’ultimo terremoto, S. Pietro aveva origine nel XIV secolo posta al centro di Modica bassa e cresciuta con lo sviluppo dei conventi, ha sempre rivaleggiato con la più antica chiesa di S. Giorgio il cui culto era stato portato dai Normanni e ed era stata costruita nel secolo XI per volere di Ruggero il Normanno dopo la sua vittoria sugli Arabi. S. Giorgio si trova sulla città alta, alla sommità di una scenografica scalinata di 250 gradini. Crollata nel terremoto del 1613 fu ricostruita a 3 navate e dopo i danneggiamenti del 1693 fu completamente ristrutturata nel 1700 secondo i nuovi canoni del gotico siciliano. La chiesa è ora a 5 navate con 5 portali sulla facciata e la parte centrale convessa è a tre ordini con una forma a torre. All’interno ha sull’altare un polittico a 9 riquadri con storie di S. Giorgio e di Gesù; di fianco c’è la statua di S. Giorgio a cavallo che uccide il drago. Del 1800 è un organo a 3000 canne.
Dalla terrazza davanti alla chiesa si ha un ampio panorama dell’abitato che dalla punta della città alta scende nella vallata e si arrampica sulla collina vicina. Seguendo poi il ciglio della città alta si arriva sotto lo sperone del castello ed al n. 84 di via Posterla si trova, indicata da una targa, la casa natale del poeta Salvatore Quasimodo, Nobel per la letteratura nel 1959.
Nella città bassa è interessante visitare i resti della chiese rupestre di S. Nicolò Inferiore costruita nel 1100 quando con i Normanni vennero dei monaci ortodossi. Riscoperta negli anni ‘80 sono stati liberati dagli intonaci che li ricoprivano dei preziosi affreschi in quattro fasi che indicano una continuità d’uso dal periodo bizantineggiante fino al Manierismo. Fra i dipinti un Cristo Pantocrator in mandorla ed una figura di S. Pietro.
Modica è nota per alcuni prodotti tipici come il caciocavallo dal latte delle sue mucche che ha una denominazione di origine protetta ed il cui nome deriva dall’uso di appendere due forme legate da una fune a cavallo di una trave; un altro prodotto tipico è la cioccolata fatta di un impasto di zucchero, cacao ed aromi diversi.

Ad una decina di km ad est di Modica si trova il sito archeologico di Cava di Ispica in una stretta vallata lunga 13 km nel territorio dei comuni di Modica Ispica e Rosolini, all’estremità meridionale dei monti Iblei. Qui sono state scoperte un complesso di tombe preistoriche di età neolitica e dell’età del bronzo, abitazioni dei Siculi del VII e VI secolo a.C., tombe ipogee tardo romane, catacombe cristiane del IV-V secolo ed abitazioni rupestri in grotte calcaree usate fino a tempi recenti dai contadini. La zona è di grande interesse per i reperti trovati ed è suggestiva anche dal punto di vista naturalistico per la flora tipica della macchia mediterranea con carrubi, olivi selvatici, felci, salvie e lentisco.

Dopo Ragusa e Modica è d’obbligo una visita a Noto, centro della Val di Noto, una delle tre parti in cui fu divisa in antico la Sicilia. Nel 1700, dopo la ricostruzione seguita al terremoto del 1693 è divenuta la capitale del barocco siciliano per l’architettura scenografica delle sue chiese e dei suoi palazzi. La città antica, sicula, romana (Netum) e medievale fu abbandonata dopo il terremoto e la nuova città fu spostata circa 8 km a sud-est e ricostruita con nuove regole antisismiche: strade larghe 11 m, palazzi a due piani. Le strade principali seguono la direttrice est-ovest e ad intervalli si aprono con piazze scenografiche. Per incarico del re di Spagna il sovrintendente alla ricostruzione della Val di Noto fu Carlos Grunemberg ed un ruolo importante ebbe l’architetto Rosario Gagliardi.
Si entra in città da est sotto l’arco di Ferdinando di Borbone costruito in occasione di una sua visita nel 1838; si imbocca il corso Vittorio Emanuele e a sinistra, su un’alta gradinata sorge la chiesa ed il convento di S. Francesco costruita da Vincenzo Sinatra; più avanti è la grande piazza Municipio (palazzo Ducezio) anche questo opera del Sinatra e di fronte la cattedrale di S. Nicolò con scalinata scenografica. Proseguendo si trova sulla sinistra è la chiesa di S. Carlo Borromeo ed il Collegio dei Gesuiti del Gagliardi con la facciata curvilinea che ricorda il Borromini ed una torre dall’alto della quale si spazia sul panorama della città. Segue la piazza XVI Maggio con la chiesa di S. Domenico dalla facciata curvilinea attribuita pure al Gagliardi. Parallela a corso Vittorio Emanuele è via Cavour che però si trova ad un livello più alto e si è sviluppata nella seconda metà del 1700 con palazzi e conventi; da notare palazzo Nicolaci Villadorata che fa angolo con via Nicolaci dove si affacciano una serie di balconi su bellissime mensole barocche con figure umane ed animali, in asse con via Nicolaci è la chiesa di Montevergini dalla facciata concava fra due campanili e dopo il palazzo Astuto dal bel portale con decorazione floreale e balconi in ferro battuto. La città si arrampica poi in alto con i quartieri popolari.

Lasciata Noto si raggiunge a nord-ovest la cittadina di Palazzolo Acreide, sui monti Iblei in provincia di Siracusa, per visitare l’antico sito archeologico di Akrai, la prima colonia fondata nel 664 a.C. dai Siracusani nell’entroterra allo scopo di controllare il territorio. Akrai fu distrutta al tempo degli Arabi ed un abitato risorse in periodo normanno spostato più a nord-est e prese poi il nome di Palazzolo. Ebbe un castello ed una chiesa. Fu distrutta dal terremoto del 1693 e ricostruita con gli aiuti del re di Spagna che mandò a sovrintendere i suoi ingegneri militari. Da allora la città si è andata allargando verso sud-ovest avvicinandosi al sito di Akrai. Si iniziò a scavare il sito nel 1824 per interessamento del barone del posto Gabriele Iudica che fu il primo studioso dell’area. Dopo la scoperta di questi resti fu aggiunto al nome della città l’appellativo di Acreide.
Di interessante a Palazzolo Acreide c’è solo la chiesa di S. Sebastiano a piazza del Popolo con scalinata prospettica, portale con colonne a vista e timpano spezzato con al centro la statua di S. Sebastiano; un secondo ordine è un po’ arretrato con volute ed un terzo ordine ha la torre campanaria. A sinistra della chiesa, su corso Vittorio Emanuele c’è il palazzo Iudica con il museo delle antichità di Akrai.
Nella zona archeologica si trova il teatro greco del III secolo a.C. poi rimaneggiato dai Romani, scavato nella collina a forma semicircolare aveva una capacità di soli 600 spettatori. Dietro la scena si sono scoperti dei pozzi bizantini. Ad ovest c’è un piccolo Bouleuterion dove si riuniva il senato cittadino, organo politico e decisionale della città greca. Dietro il teatro ci sono due cave di pietra, o latomie da dove si estraevano le pietre per le costruzioni della città. Una delle cave, larga e poco profonda, è detta Intagliata, l’altra, più stretta e profonda, è detta Intagliatella. Ambedue furono utilizzate come sepolcreti e poi come abitazioni. Nell’Intagliatella si può ammirare un rilievo rupestre del III secolo a.C. con a sinistra un sacrificio ed a destra un banchetto.

Non lontano da Palazzolo Acreide, seguendo la valle dell’Anapo si trova una Riserva Naturistica che prende il nome del fiume in una profonda valle incassata e tortuosa ai piedi di un terrazzamento calcareo dove sorge l’antica necropoli di Pantalica, toponimo greco-bizantino; l’insediamento che vi sorgeva ha origine antichissime, è uno dei più antichi ritrovamenti dell’età del bronzo datato 1260 a.C. e fu abitato dai Siculi fino all’VIII secolo a.C. prima dell’arrivo dei Greci. Rimangono più di 5000 tombe in grotta scavate sulle pareti a strapiombo. Per scavarle e depositare i defunti si calavano dall’alto con delle corde e l’inaccessibilità doveva assicurare l’isolamento e la conservazione delle tombe. Solo un centinaio però sono state trovate con oggetti. Le tombe erano rettangolari, vi si depositavano uno o due defunti, nelle più antiche erano disposti in posizione fetale e successivamente distesi. L’abitato sul terrazzamento era molto vasto, vi erano strutture megalitiche forse di un palazzo reale e vi sono state trovate ceramiche ed oggetti d’oro. Nell’VIII secolo arrivarono i Greci e decadde, l’area fu ripopolata con i Bizantini e vi sorsero chiese rupestri ed altre tombe, poi vennero anche agli Arabi.
Dal fondo della valle dell’Anapo nella riserva naturistica, seguendo una strada lungo il corso del fiume, si ha una magnifica vista delle pareti a strapiombo dove si vedono le aperture delle tombe. Nel V secolo, durante il dominio di Siracusa, fu costruito un acquedotto sotterraneo che portava l’acqua dell’Anapo a Siracusa e si vedono nella roccia le aperture che servivano per la manutenzione. Per la costruzione furono usati i prigionieri cartaginesi presi da Gelone dopo la battaglia di Imera del 480. L’acquedotto funzionava ancora nel periodo arabo ed era noto con il nome di Galermi, voce araba che significa “buco nella roccia”.

Siracusa è la prima tappa nel percorso lungo la costa orientale della Sicilia dove si toccheranno anche Catania, Acireale ed i borghi marinari di Aci Trezza ed Aci Castello ed infine Taormina.
Siracusa, che dopo Naxos in ordine di tempo è la seconda colonia greca della Sicilia, fu fondata dai Corinzi nel 734 a.C. sull’isolotto di Ortigia e prese il nome da quello della vicina palude Syraka. Presto estese la sua zona di influenza nel territorio e fondò all’interno la colonia Akrai e successivamente altre due. Nel 485, a seguito di discordie interne, Gelone, tiranno di Gela prese il potere a Siracusa e vi si trasferì, alleato con Agrigento nel 480 vinse ad Imera i Cartaginesi. Gli successe il fratello Ierone che vinse gli Etruschi a Cuma nel 474, fu protettore delle lettere e delle arti ed ospitò Eschilo e Tindaro. Ultimo dei tiranni fu Trasibulo che fu cacciato dai Siracusani e la città passò ad un governo democratico. Siracusa estese il suo dominio a quasi tutta la Sicilia e quindi entrò in conflitto con Atene chiamata in aiuto da Segesta. Atene inviò 134 triremi sotto i comando di Alcibiade e Nicia ma dopo alcuni successi iniziali cominciarono i rovesci anche per gli aiuti inviati ad Agrigento da Sparta. Infine gli Ateniesi, bloccati nel fiume Anapo subirono una disastrosa sconfitta nel 414 e 7000 prigionieri finirono nelle latomie a morire di stenti. Dopo la minaccia ateniese ritornò quella di Cartagine che aveva distrutto Segesta, Selinunte, Imera ed Agrigento ma Siracusa, sotto il regime del tiranno Dionigi riuscì a bloccarla e portò la città ad un livello di grande prestigio in Sicilia, Italia e Grecia. Morto Dionigi nel 367, si ebbero ancora problemi interni ed esterni con i Cartaginesi poi venne il tiranno Agatocle che riportò in alto le fortune della città. L’ultimo tiranno con cui godette di un periodo di tranquillità fu Ierone II poi, coinvolta nella seconda guerra punica, fu presa dai Romani nel 212 e divenne capitale della provincia e sede dei pretori. Dopo i Romani seguì le sorti della Sicilia, fu assediata e distrutta dagli Arabi, vennero i Normanni, vi soggiornò Federico II di Svevia, parteggiò per gli Aragonesi, Carlo V ne fece una piazzaforte, fu distrutta dal terremoto del 1693. Si ribellò ai Borboni nel 1837 e perse il ruolo di capitale di provincia che fu trasferito a Noto fino al 1865 dopo l’unione al Regno d’Italia. Siracusa è oggi la quarta città della Sicilia dopo Palermo, Catania, e Messina.
Il nucleo storico della città è l’isola di Ortigia separata dalla terraferma dal canale della Darsena e collegata da un ponte. L’isola si allunga verso sud separando il Porto Piccolo a nord e chiudendo il Porto Grande a est dal lato del mare. La città moderna si stende a nord e ad ovest sulla terraferma intorno ai due porti mentre la zona archeologica, detta Parco della Neapolis, occupa le terrazze calcaree a nord est con il Teatro Greco, l’Anfiteatro Romano e le Latomie.
Passato il ponte sulla Darsena si entra nell’isola di Ortigia ed in fondo a Piazza Pancali ci sono le grandi rovine del Tempio di Apollo o Artemide, il più antico dei templi dorici della Sicilia eretto a cavallo dei secoli VII e VI a.C., era un periptero esastilo con 17 colonne sui lati; rimangono un basamento, due colonne con trabeazione davanti e dei tronchi di colonne sul fianco con un tratto del muro della cella. Il tempio divenne poi chiesa bizantina, moschea, basilica normanna e caserma spagnola.
Prendendo a destra via Cavour si arriva a piazza del Duomo sorto sul luogo dell’antico tempio di Athena costruito nel V secolo a.C. da Gelone dopo la vittoria sui Cartaginesi, l’ingresso del tempio era però sul lato est dove si trova ora l’altare, era un periptero esastilo con 14 colonne ai lati. La prima chiesa risale al VII secolo ed è la più antica dopo quella di Antiochia. La cattedrale costruita al tempo dei normanni crollò nel terremoto del 1693; nel 1700 fu rifatta la facciata barocca da Andrea Palma a due ordini con colonne e la statua della Madonna in alto. L’interno ha lasciato a vista le colonne doriche scanalate del tempio greco e le forme normanne sono visibili nella cappella centrale. C’è un Battistero formato da un cratere greco su un capitello di marmo e pochi mosaici recuperati dal terremoto. Nella navata di destra c’è la cappella di S. Lucia, patrona della città, con un altare d’argento.
Sul lato ovest dell’isola, di fronte al Porto Grande si trova l’antica Fonte Aretusa, antica sorgente d’acqua dolce vicina al mare che forma un bacino dove crescono papiri e nuotano anatre bianche. La fonte era dedicata al mito della ninfa Aretusa, ricordato da Pindaro e Virgilio, che sfuggendo al fiume Alfeo si precipitò nelle acque dell’Elide e ricomparve in Ortigia come fonte ma Alfeo passando sotto il mare mescolò con essa le sue acque. Nella punta meridionale dell’isola sorge il Castello Maniace che ricorda il nome del generale bizantino che per poco tempo prese la città agli Arabi. Il castello attuale fu poi costruito da Federico II e conserva ancora la sua struttura duecentesca.
Il parco archeologico di Neapolis (città nuova) è stato sistemato con viali di accesso e zone alberate e racchiude i principali monumenti greci e romani. Il monumento più antico è il teatro Greco, il più grande della Sicilia, dagli inizi del V secolo a.C. è stato centro della vita artistica della città ed è rimasto attivo fino al V secolo d.C., quindi per quasi 1000 anni. A forma di conchiglia, con un diametro di 138 m, poteva contenere 15000 spettatori. Sotto Ierone I vi furono rappresentati I Persiani di Eschilo per ricordare con la battaglia di Salamina anche le vittorie di Siracusa sui Cartaginesi e gli Etruschi. I Romani lo rinnovarono e lo usarono anche per i giochi gladiatori ed ancora oggi viene usato per spettacoli classici.
A sud-est del teatro sorge l’Anfiteatro Romano del III secolo d.C. di forma ellittica ed in massima parte scavato nella roccia; serviva per gli spettacoli gladiatori e le venationes. Subito ad ovest ci sono i resti imponenti dell’Ara di Ierone II la cui base misura 198 x 23 m, dedicata ai sacrifici pubblici; in età romana le fu costruita a fianco una grande piazza a portici con piscina al centro.
Ad est del teatro si trovano la latomie, le cave di pietra che servivano per le costruzioni; le cave erano profonde 20-30 m perché la pietra più compatta si trovava in profondità, erano sotterranee e venivano lasciati dei pilastri per reggere la volta ma poi per i terremoti le volte sono crollate ed è rimasta una grande cava a cielo aperto detta Latomia del Paradiso dove rimane ancora un pilastro isolato. Dall’interno della cava, in parte sistemata a giardino, si accede a due grotte: la grotta dei Cordari, ora chiusa perché allagata e pericolosa, dove per molto tempo lavoravano i cordari che sfruttavano l’umidità del luogo, e l’Orecchio di Dioniso, profonda grotta artificiale lunga 65 m, di larghezza variabile da 11 a 5 m ed alta 23 m, formante in alto un arco acuto; il nome le fu dato dal Caravaggio nel 1586 e nacque la leggenda che il tiranno Dionigi sfruttasse le sue proprietà acustiche per ascoltare i discorsi dei prigionieri politici.

Da Siracusa a Catania si passa vicino ad Augusta ed al suo golfo dove si trovano anche le poche rovine di Megara Hyblaea, fondata dai Megaresi nel 728 a.C., da cui ebbe origine Selinunte. Il percorso è dominato dalla mole dell’Etna ancora fumante e con qualche chiazza di neve. Poco prima di arrivare a Catania si attraversa il fiume Simeto.
Catania, dal greco Catané, seconda città della Sicilia si trova ai piedi dell’Etna da cui dista solo 28 km ed ebbe più volte a soffrire per le eruzioni (121 a.C., 1669). Villaggio siculo, fu subcolonia di Naxos e quindi calcidese, ebbe una storia turbolenta per la presenza della potente Siracusa, fu presto conquistata dai Romani (263 a.C.) e soffrì per le spoliazioni di Verre. Seguì le vicende della Sicilia nel susseguirsi delle dominazioni, ebbe periodi di prosperità e depressione dovuti anche a terremoti (1169, 1693) e pestilenze (1576) La città risorse definitivamente dopo il terremoto del 1693 ricostruita con pianta regolare nel suo sontuoso barocco romano.
Il centro della città è piazza del Duomo con la fontana dell’Elefante detto “u liotru” che regge un antico obelisco; l’elefante è di pietra lavica nera e antico perché proviene da un tempio di Iside ed è diventato il simbolo della città. La fontana fu disegnata dal Vaccarini nel 1736. Sul lato est della piazza è il Duomo, in origine cattedrale normanna costruita come fortezza (eclesia munita) in pietra lavica, sul luogo dove sorgevano le terme romane Achellee. Nel terremoto del 1693 crollò la torre campanaria cadendo sulla parte anteriore della chiesa e la distrusse. In sacrestia c’è un dipinto del 1200 che riproduca la mappa della città e si vede la cattedrale con la sua torre campanaria. La chiesa fu ricostruita dalle fondamenta, la facciata è del Vaccarini in stile borominiano con due ordini di colonne. L’interno è a tre navate e tre absidi, al secondo pilastro a destra è la tomba di Vincenzo Bellini morto a 33 anni nel 1835 e sul monumento sono incise la note della romanza “Ah non credea mirarti ...” della Sonnambula, all’ultimo pilastro c’è la tomba del cardinale Dusmet che nel 1700 ripristinò la rigidità dei costumi del clero ed aiutò molto i poveri della città. Nell’abside di destra si trova la cappella di S. Agata, patrona della città, il cui corpo sepolto a Bisanzio fu rubato e riportata a Catania. Il feretro della santa pesa 3500 kg e durante la festa in suo onore (3-5 feb.) viene portato a spalla. Sul lato sud della piazza si trova il palazzo del Seminario, ora sede di mostre, a destra la fontana dell’Amenano, antico fiume di Catania, con una statua che lo personifica, a sinistra del palazzo la porta Uzeda dal nome del viceré che ordinò la ricostruzione della città dopo il terremoto. Al di là della porta passa il viadotto della ferrovia nella zona del porto e, dietro la fontana dell’Amenano si trova il caratteristico mercato del pesce. Sul lato ovest della piazza si apre via Garibaldi, si incontra piazza Mazzini quadrata e circondata da portici con colonne romane, più avanti a destra, in via S. Anna, è la casa dello scrittore Giovanni Verga (1840-1922); sulla sinistra invece si sale al castello Ursino fatto costruire da Federico II di Svevia fra il 1239 ed il 1250. In origine era vicino al mare ma fu separato dalla lava dell’eruzione del 1669 che arrivò fino qui. Il castello ha pianta quadrata di 63 m di lato e 4 torri angolari collegate da mura con torri intermedie. Oggi è sede del Museo Comunale. Tornati in via Garibaldi c’è la casa natale di Angelo Musco (1871), attore comico del teatro siciliano ed in fondo alla strada una porta monumentale di origine normanna con in alto l’aquila imperiale. Su via Vittorio Emanuele II, quasi parallela a via Garibaldi, all’interno di un edificio che lo nasconde, si trovano i resti del Teatro Greco ristrutturato dai Romani; ha un diametro di 87 m e poteva contenere 7000 spettatori, è costruito in pietra calcarea e scavato nel pendio del terreno. Dietro è anche un piccolo Odeon per declamazioni e musica. Un po’ a nord si trova l’area dei conventi e delle chiese dei Benedettini e dei Gesuiti. Nel Monastero delle Benedettine di via de’ Crociferi fu ambientato il romanzo di Verga “Storia di una Capinera”. Ad est si raggiunge piazza Dante dove sorge S. Nicolò, grandiosa chiesa benedettina del 1700 dalla facciata incompiuta ed una strana torre di pietra lavica sulla sommità; vasta e spoglia all’interno ha una meridiana tracciata nel pavimento.
Tornati a piazza del Duomo e proseguendo in via Vittorio Emanuele II verso est, sulla sinistra si raggiunge piazza Bellini dove c’è il teatro lirico detto Teatro Massimo Bellini, opera dell’architetto Sada, inaugurato il 31 maggio 1890 con l’opera Norma del Bellini;
La via Etnea è l’asse principale della città che parte dal lato nord di piazza del Duomo in lieve pendio ed è orientata approssimativamente a nord in direzione dell’Etna che si può vedere sullo sfondo. Vi si aprono in successione delle piazze, la prima è quella dell’Università con edifici del Vaccarini, poi piazza Stesicoro alla cui sinistra sono gli avanzi dell’Anfiteatro Romano forse del I secolo d.C., di forma ellittica con gli assi di 125 e 105 m, capace di 16000 spettatori; dagli scavi del 1906 si è messo allo scoperto parte del corridoio inferiore . Più avanti ancora si apre a sinistra la Villa Bellini, tipico giardino all’italiana che si arrampica su una collina. Dall’alto si ha una bella vista dell’Etna, il vulcano più alto d’Europa circa 3300 m la cui origine rimonta a 6-700000 anni fa, più giovane quindi del Vesuvio che ha circa un milione di anni. Il vulcano ha 4 crateri e circa 300 coni secondari e negli ultimi 30 anni ha prodotto in media un’eruzione ogni 3 anni. L’ultima eruzione iniziata il 27 ottobre 2002 è stata la più esplosiva dei tempi recenti, ha depositato un grande quantitativo di ceneri provocato più volte interruzioni dei collegamenti aerei con Catania.

Lasciata Catania e seguendo la costa verso nord, dopo circa 10 km si incontra Aci Trezza, il piccolo centro di pescatori famoso per essere il luogo dove è ambientato il romanzo di Giovanni Verga “I Malavoglia”. Oltre al piccolo porto ha una spiaggia molto frequentata, il lido di Galatea, e di fronte i faraglioni o scogli dei Ciclopi che la leggenda vuole siano quelli lanciati da Polifemo contro Ulisse in fuga. Poco più a sud è Aci Castello, altro piccolo centro peschereccio e agricolo che ha sul mare una rupe basaltica ricoperta da una crosta vetrosa su cui si trova un castello normanno di lava nera che risale al 1076.
Più importante è Acireale 6 km a nord, cittadina posta su una terrazza lavica che si affaccia sulla costa. In epoca greca c’era vicino un fiume ed una città di nome Akis; con i Romani l’abitato prese il nome di Aquilia. Nel medioevo il terremoto del 1169 e le eruzioni dell’Etna distrussero la città e gli abitanti si sparsero nei dintorni creando diversi borghi con il nome di Aci. La città infine risorse sull’altipiano lavico dove è adesso con il nome di Akilia. Il nome Aci era quello di un mitico giovane innamorato della ninfa Galatea ed ucciso da Polifemo geloso. Nettuno trasformò il giovane in un fiume sotterraneo in modo che potesse arrivare fino al mare ad incontrare la sua ninfa; il mito è stato ripreso da Virgilio ed Ovidio. Nel 1642 Filippo IV di Spagna mise la città alle dipendenze dirette della corona dandole il nome di Acireale. Dopo le distruzioni del terremoto del 1693 la città fu ricostruita secondo il piano urbanistico voluto dal duca di Camastra. La chiesa principale è il Duomo dalla facciata in stile gotico ibrido fiancheggiata da due torri.

L’ultima tappa del viaggio è Taormina in provincia di Messina disposta su un terrazzo del monte Tauro che si affaccia sul mare. La città ha ancora un aspetto medievale ed è famosa per il suo teatro Greco, i magnifici panorami ed il fascino delle sue strade.
Al tempo dei greci era chiamata Tauromenion e deve essere stata fondata dalla vicina Naxos; dopo la distruzione di questa ad opera di Dionigi di Siracusa nel 403 a.C., finì sotto il dominio siracusano. Almoezia fu il nome datole dagli Arabi. Godette poi periodi di prosperità sotto i Normanni e nel medioevo.
La via principale che attraversa la città è corso Umberto I da porta Catania a porta Messina, era l’antica via del Sale dove si pagava il dazio. Vi si trova il Duomo del XIII secolo ristrutturato fino al 1500 ed è la strada più frequentata con negozi e caffè. Vicino a porta Messina c’è piazza Vittorio Emanuele con palazzo Corvaia costruito sul sito dell’antico foro agli inizi del 1400; è un palazzo fortezza merlato, di influsso moresco, bifore gotiche e portale gotico-catalano; nel 1410 fu sede del Parlamento siciliano. Nel cortile c’è una scala esterna e si sale al Museo Civico.
Vicino a palazzo Corvaia c’è il piccolo teatro romano o Odeon di età imperiale, dietro, una strada porta alla collina del teatro Greco, il monumento più importante di Taormina. Fu costruito nel III secolo a.C., in età ellenistica, e rifatto sotto i Romani nel II secolo d.C.. Da allora fu adibito a spettacoli gladiatori e a venationes mentre per le rappresentazioni venne usato il piccolo Odeon. Con il suo diametro di 109 m è il secondo della Sicilia dopo quello di Siracusa e conteneva 15000 spettatori. In alto sulle gradinate c’è un portico ed un bella vista sul mare; anche dalle terrazze che affiancano la scena si vede il golfo e lo sfondo del monte Etna.

Fonte: http://www.travelphotoblog.org/ArchivioPersonale/ITALTOUR.doc

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