Appunti il teatro del ‘600

Appunti il teatro del ‘600

 

 

 

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Appunti il teatro del ‘600

Il teatro del ‘600.
Il ‘600 fu il secolo del teatro, che vi esprime un ruolo egemone e che nello stesso tempo si pone come il canale più adatto ad esprimere una certa Weltanschaung

  1. La nuova idea copernicana significò la perdita della prospettiva geocentrica. Il fatto introduce una sensazione di smarrimento, del quale diventa corrispettivo autentico l’instabilità dell’uomo, che si muove nel mondo come su una scena: niente è più come sembrava, teorie millenarie vengono invalidate e il divario tra apparenza e realtà genera il relativismo, il gusto del travestimento, della metamorfosi, della maschera, dello scambio tra finzione e realtà.
  2. Il mondo è come un spettacolo e la vita assume connotati effimeri, anzi sembra un sogno.
  3. A causa delle costrizioni dell’assolutismo era quanto mai necessario saper simulare e insieme dissimulare: cioè saper recitare. In un certo senso la vita si fa teatro e al tempo stesso il teatro diviene il luogo privilegiato per condurvi ogni tipo di riflessione. Cfr. in Italia Federico della Valle col suo teatro meditativo e riflessivo sull’apparenza e l’effimera vanità delle cose, volto più alla lettura dunque che alla rappresentazione, sotto l’egida del modello senecano.
  4. Il teatro è obbligato a rinnovarsi rispetto alla tradizione.

 

  1. La commedia letteraria, in declino, non scompare però del tutto . Si diffondono tuttavia  Melodramma e Commedia dell’Arte.

 

Melodramma

Si tratta dell’invenzione del secolo. Nasce a Firenze, nel clima delle ricerche accademiche intorno ai modi di rappresentazione del teatro classico. Il termine significa “dramma in musica” e il problema di fondo è proprio la convivenza tra musica e testo. Dietro questo dibattito è ancora una volta la Poetica di Aristotele, in cui il filosofo parla di una partitura musicale che accompagnava i versi della tragedia greca della cui musica, però, non è restato niente. Come afferma Vincenzo Galilei nei suoi scritti teorici, occorre “imitar col canto chi parla”.
Fino a quel momento aveva prevalso lo stile polifonico del canto a più voci.
Galilei e la Camerata dei Bardi (musicisti e poeti che si riunivano in casa Bardi tra il 1580 e il 1590 e che – analizzando il rapporto musica-parola – cercano di recuperare la partitura di cui parla Aristotele per la tragedia) sostengono invece una linea monodica, in cui si ode una voce sola accompagnata da musica. Tale stile monodico permise di mettere in atto il recitar cantando, che si affermò per la prima volta proprio nel melodramma e segnò il superamento dell’alternanza tra recitato e cantato. Esso  prevedeva una voce accompagnata da un basso continuo, nel senso  che la parola non doveva essere violata dal fraseggio musicale, perché potesse essere pienamente compresa dal pubblico: e dunque doveva restare chiara come nel discorso parlato, perciò poteva solo essere ritmata su pochi accordi di accompagnamento. Tra i librettisti più famosi fu il poeta Ottavio Rinuccini  (1562-1621), che con le sue tre opere Euridice (di Jacopo Peri), Dafne e Arianna è considerato l’iniziatore del genere melodrammatico.
Il più importante compositore del periodo fu però senz’altro Claudio Monteverdi  (1567-1643), che operò soprattutto tra Venezia e Mantova dove, presso i Gonzaga,  fu anche maestro di Cappella. Grazie a lui l’orchestra divenne essenziale e parte integrante dell’opera. Con Monteverdi lavorò lo stesso Rinuccini  chiamato a Mantova per il libretto di Arianna.
Comunque subito dopo aver assistito alla rappresentazione dell’Euridice,  il duca di Mantova incaricò Monteverdi di scrivere un’ opera capace di suscitare lo stesso interesse di quella. Il compositore realizzò allora  l’Orfeo,  andato in scena per la prima volta nel 1607 durante il carnevale mantovano presso l’Accademia degli Invaghiti. Il librettista Alessandro Striggio stende il testo con un lieto fine (per cui Orfeo diviene immortale grazie ad Apollo ed ascende all cielo) in 5 atti e 1 prologo. Quest’ultimo è affidato alla musica, che diventa un vero personaggio.
Si introduce un nuovo modello di recitativo, che comprende le arie (movimenti musicali in cui il personaggio parla di sé o della sua condizione); il coro (che spesso, come nella tragedia greca, commenta la vicenda); le sinfonie, in cui è protagonista l’orchestra; i recitativi, che sono i cosiddetti pezzi chiusi, cioè le parti comprese tra le arie e i cori, nei quali si svolge la vicenda e dove i personaggi interagiscono. La recitazione e il canto non sono più nettamente divisi.
Inizialmente dunque, come del resto dicono i titoli, il melodramma ha un’intonazione classicistica, erudita ed elitaria che gli derivava dalla tragedia, anche se diversamente da questa esso si concludeva con lieto fine della favola pastorale. Ben presto però si trasformò in un genere di vasto consumo, ispirandosi anche a temi più leggeri e disimpegnati.
Nonostante il lavoro dei librettisti, si assiste a un progressivo drastico ridimensionamento dell’aspetto letterario a vantaggio di quello  musicale.

 

Commedia dell’arte

È tutt’oggi punto di riferimento imprescindibile nella storia del teatro. L’espressione dell’ ”arte” sta ad indicare :
1. secondo alcuni critici il “talento, la bravura”; 2. secondo altri invece vuole alludere al “mestiere” inteso nel senso di “professione”. In realtà, entrambe le interpretazioni sono legittimate da alcuni dei caratteri fondamentali di questo genere, che si contraddistingue per:

  1. Il fatto che non prevedeva un testo scritto vero e proprio. Esisteva solo un esile schema steso da un poeta, detto canovaccio, sul quale poggiava l’attività di improvvisazione degli attori. Essi recitano dunque “a soggetto” e devono caratterizzarsi per abilità artistiche davvero importanti, che denotano la loro bravura. L’attore, cioè, non conosce le parole che pronuncerà il suo compagno sulla scena, ma sa cosa aspettarsi da lui, perché conosce la funzione che quella “parte” svolge nell’economia della commedia.
  2. Si creano dei tipi – già propri della commedia cinquecentesca – che verranno portati all’estrema stilizzazione, al punto che diventeranno delle maschere: come per esempio Arlecchino, Pulcinella, Pantalone …
  3. Non poteva allora che trattarsi di attori professionisti, i quali si specializzavano in un personaggio che riproponevano per tutta la vita. Essi vivono del loro mestiere di attori. Tali attori professionisti non godono però di un’identità sociale rispettabile. Il risultato è che il teatro diviene uno strumento per vivere, è sottratto all’ ”economia di festa” (cui non resta funzionalmente legato) e viene ad inserirsi piuttosto nell’economia di mercato. Il primo documento notarile che testimonia di una compagnia di attori professionisti è del 1545 a Padova e regola i rapporti tra i vari componenti della compagnia: ancora solo uomini. Solo attorno al 1560 si assiste all’entrata delle donne nelle compagnie, perciò solo a quest’altezza cronologica si parla di vera e propria commedia dell’arte.
  4. Questa è una rivoluzione nella storia del teatro ed è uno dei motivi principali attorno a cui si concentra la condanna dei comici, guardati con sospetto. Basta confrontare, al riguardo, la campagna persecutoria condotta (del resto siamo in clima controriformistico) dai Gesuiti, soprattutto per il prevalente ruolo di seduzione esercitato dalle donne e che rimandava alla libertà sessuale. I Gesuiti guidano e controllano un altro tipo di teatro, sempre popolare, ma al quale si attribuisce un alto valore pedagogico. Negli esercizi spirituali di Ignazio di Loyola, infatti,  è prescritto di utilizzare l’immaginazione per rappresentarsi – teatralmente – la scena. Anche il grande successo di pubblico e l’esito imprevedibile delle scene, per il carattere di improvvisazione che le distingueva, fanno sì che la Chiesa guardi sempre con sospetto tale commedia.
  5. Attorno alle compagnie ruotavano, accanto agli attori, anche il poeta che scriveva il canovaccio, mimi e giocolieri.
  6. Si trattava infine di compagnie itineranti, che si spostavano coi loro carrozzoni in coincidenza di fiere e mercati.
  1.  

Il teatro in Italia. I nomi più importanti sono quelli di Carlo de’ Dottori e Federico della Valle, che toccano temi cari alla spiritualità gesuitica, traendoli dalla Bibbia o adeguando alla morale cattolica motivi classici.
Il teatro in Spagna. Anche qui l’influenza della Controriforma si fa sentire. Tra i principali autori sono Calderòn della Barca, Lope de Vega e Tirso de Molina.
Il teatro in Francia. Manca qui la tradizione della commedia letteraria; il tentativo dei poeti della Pleiade di darle vita fallirono. I nomi sono quelli degli autori tragici Corneille (1606-1684)e Racine (1639-1699), accanto naturalmente a quello di Moliere (1622-1673).

  1. Corneille fu il vero fondatore del teatro francese. Vive nell’epoca dell’instaurazione del potere assoluto di Richelieu e del conflitto con gli ugonotti. Mette in scena personaggi storici che incarnano i valori dell’ortodossia controriformistica quali l’onore, la santità, la magnanimità. È famoso soprattutto come scrittore di tragedie. Il suo capolavoro, Le Cid, si configura come una tragicommedia che tratta delle vicende epiche dell’eroe spagnolo. L’opera ebbe un grande successo ma suscitò un vasto dibattito. Furono rimproverate al suo autore l’inverosimiglianza, il mancato rispetto delle regole e le situazioni moralmente riprovevoli.
  2. Racine. Si forma in ambiente giansenista, che molto lo influenza per ciò che concerne la concezione pessimistica. Nelle sue tragedie scandaglia l’animo umano, per dire con quanta forza le passioni agitino la vita dell’uomo. Conosce Moliere da cui si stacca per creare una propria compagnia. Si inserisce nella politica culturale di Luigi XIV. I suoi personaggi non sono eroi della volontà, come quelli di Corneille, ma piuttosto travolti dalle passioni. Spesso l’eros ha, nei suoi drammi, una potenza distruttiva.
  3. Moliere. La sua novità è nel fatto che attinge alle fonti più disparate, dalla commedia dell’arte, alla farsa popolare di origine  medievale, alla produzione spagnola contemporanea. Il suo è un teatro d’azione. Egli è un grande realista, attento osservatore dei meccanismi sociali, illustrati con un personalità aperta e progressista.

Riprende la tradizione anticonformista di Rabelais e di Montaigne, soprattutto nella seconda parte della sua produzione che nasce da un senso di malessere e disgusto per la società coeva, nei cui confronti esercita una satira pungente. La sua opera più provocatoria fu il Tartufo, una commedia di carattere ma anche di azione e drammatica, contro l’ipocrisia religiosa. Verso la fine della carriera scrisse commedie più “leggere”.


Cfr. Calderon de la Barca (1600-1681) con La vita è un sogno (1635). Il protagonista, il  principe di Polonia Sigismondo, vive dalla nascita imprigionato in una torre sotto la custodia del servo Clotaldo perché il padre, Basilio, è avvertito da un indovino che riceverà dal figlio una grave umiliazione. Dunque relega il figlio nella torre fino a che decide di sperimentare cosa succederebbe se questi fosse libero. Allora lo fa narcotizzare e condurre a corte. Sigismondo, ormai regredito allo stato selvaggio a causa della solitudine e della mancanza totale di contatti umani, dà spazio ai suoi istinti non controllati, per cui allo stesso modo viene ricondotto nella prigione. Quando si sveglia  ricorda bene ciò che è avvenuto a corte ma, anche su sollecitazione di Clotaldo che asseconda Basilio, lo intende come fosse stato un sogno. Nel frattempo il popolo si solleva, Basilio è cacciato ed è posto sul trono Sigismondo. Egli ha per sua esperienza inteso che la vita è solo apparenza, sogno e finzione e ciò produce in lui quel relativismo che genera la saggezza. Dunque perdona il padre e diviene un re giusto e generoso. Pur amandola rinuncia a Rosaura, concedendo la ragazza a un antico innamorato e sposa una parente.
Attraverso un conflitto drammatico tra la spinta terrena alla potenza e alla vendetta e l’esigenza religiosa che conduce invece al controllo e alla sublimazione delle passioni, il dramma si configura come un iter dal caos e dalla colpa originaria alla salvezza, in una prospettiva religiosa che nella Spagna cattolica e controriformistica è ancora possibile: diversamente da quanto avviene invece nel dramma barocco tedesco, dove piano terreno e religioso non possono trovare conciliazione (W. Benjamin).

Ricordiamo il Candelaio di Giordano Bruno, opera che presenta tutti i principali ingredienti ed espedienti della commedia cinquecentesca, cioè astuzie, beffe salaci, travestimenti …

 

Fonte: http://www.liceoxxvaprile.it/wp-content/uploads/2013/09/Il-teatro-del-1600.-appunti.docx

Sito web da visitare: http://www.liceoxxvaprile.it/

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