Appunti sonetto

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Convegno sul sonetto: Manca solo «Il senso del tragico»
Note in margine al convegno internazionale Métamorphoses et enjeux du sonnet 
dans le lyrisme européen all’Università di Zurigo, organizzato da Johannes Bartuschat et Patrick Labarthe nell’ambito del Programma dottorale di Lingue e Letterature romanze. Il convegno ripropone la questione di grande interesse della funzione e diffusione del sonetto nelle lingue e letterature europee dal XV secolo fino alla poesia contemporanea, secondo lo schema tradizionale "ad escludendum" del teatro e del dramma.

di Enrico Bernard

Gli interventi di Stefano Prandi dell’Università di Berna (Il sonetto come incipit nel libro di poesia del Cinquecento, tra Italia ed Europa), di Oliver Pot dell’università di Ginevra (Le sonnet entre Renaissance et Classicisme: de la fureur poétique à la poésie galante) e di Katia Senjic et Marco Veneziale dell’Università di Zurigo 
(I primi sonetti francesi e il petrarchismo alla corte di Francesco I) gettano luce sulla valenza politica e formalistica del sonetto. In particolare quest’ultima relazione illustra e approfondisce il tema della funzione politica in chiave antiecclesiastica del sonetto: i due studiosi presentano una serie di documenti che rafforzano la tesi secondo la quale alla fortuna del sonetto è connessa un’idea di Stato moderno non soggetta a Roma e ai dettati imposti dalla liturgia cattolica.
Gli interventi successivi approfondiscono altri salienti aspetti della vasta diffusione del sonetto nelle letterature europee fino ai nostri giorni: dai versi di Shakespeare, di cui parla Pascal Drouet dell’Università di Poiters, all’esperienza di due maestri del sonetto spagnoli come Quevedo e Blas de Otero, trattati da Itziar López Guil e il Gruppo Z dell’Università di Zurigo. E ancora: dalla poesia di Yves Bonnefoy (Jean-Yves Masson dell’Università della Sorbona) a quella di Lazare Carnot (Jean-Noël Pascal dell’Università di Tolosa), fino al Rainer Maria Rilke di Julie Dekens dell’Università di Zurigo.
Last but not least: le relazioni su Baudelaire di Benoit de Cornulier dell’Università di Nantes e di Natascia Tonelli dell’Università di Siena (Per il sonetto di fine Novecento: note su Giudici e Raboni) sembrano collegarsi concettualmente e tematicamente. Sul rapporto Baudelaire-Raboni ci sarebbe, in effetti, da far scorrere un fiume d’inchiostro: fu proprio Giovanni Raboni, nella sua discussa traduzione dei Fiori del Male (Einaudi), ad eliminare la forma del sonetto e della rima, a dispetto dell’originale baudeleriano, per tradurne i versi in forma prosastica e più colloquiale. Va pure ricordato, in questo senso, che la "volgarizzazione" del sonetto baudeleriano viene proposta proprio da un uomo di teatro, oltreché poeta eminente, come Giovanni Raboni. Il che dovrebbe richiamare l’attenzione sul rapporto tra il sonetto e il teatro, a partire da Metastasio e Da Ponte per arrivare a Luzi, poeta e drammaturgo che con Rosales torna al drama liturgico, e ad Antonio Porta. Propria Porta infatti scrive: «Il senso del tragico è alla base di ogni mia possibilità di operazione poetica» (Porta, Il grado zero della poesia, in Marcatré del 1 gennaio 1964).
Una storia letteraria da rivedere.
Secondo una concezione largamente diffusa, il sonetto rappresenta uno dei principali fattori della formazione delle lingue e letterature europee. I testi ad uso didattico amplificano la funzione del "sonetto dell’amor cortese" della Scuola Siciliana, attribuendo a Giacomo da Lentini il ruolo di capostipite: il "Notaro" è infatti citato in tal senso nella Divina Commedia (Purgatorio, Canto XXIV, 56). E sulla – già secondo Machiavelli – discutibile interpretazione dantesca si fonda un mito letterario difficile da integrare o rettificare. La vulgata recita infatti, come si legge in un sito online (Digilander) per le scuole: «presso la corte di Federico si sviluppava la poesia cortese europea in chiave italiana ripresa poi da Dante nel Dolce stil nuovo e che arriva sino a Petrarca.»
Diversi elementi hanno invece contribuito alla formazione del "volgare", all’inizio del primo millennio, e del Dolce stil novo alla fine del XII secolo: tra questi, il teatro ha avuto un ruolo centrale, anche se misconosciuto dallo stesso Dante (ma non da Petrarca e Machiavelli). La trasformazione delle sacre rappresentazioni tardomedievali nelle prime laudi rappresentano un processo culturale, spettacolare e linguistico stimolato dalla necessità di rendere comprensibile, con l'uso del "volgare" che sostituisce il latino, il contenuto morale e religioso delle Scritture. Le messe cantate si trasformano in stringhe e strofe non più solo liturgiche: i versi escono dalle chiese, vengono tradotti per il "volgo" e diventano laudi teatrali che usano anche il sonetto come modulo espressivo. Secondo Agostino Lombardo, «perché un autentico dramma sia possibile, è necessario che il latino della liturgia faccia luogo ad una lingua magari rozza ed elementare ma più in grado di aderire al reale. Sicché l'avvento del dramma in volgare si delinea come fatto inevitabile e necessario» (Lombardo, 1962: 50-51).
Con le prime laudi drammatiche si manifestano al contempo i contenuti che saranno poi ripresi e secolarizzati nella poesia amorosa duecentesca (Apollonio, 1943): la mitizzazione della figura femminile "celestiale" (v. ad esempio la lauda La donna del paradiso) e la visita dell’oltretomba (v. La discesa di Cristo all’inferno), temi che ispirano la Commedia dantesca.
Tuttavia il "miracolo" della prima strofa che "sfugge" alla rigida liturgia, - non è ancora il sonetto, tantomeno dell’amor cortese, ma un suo progenitore o protipo sia pur meno mondano e cortigiano, - avviene in Svizzera, a San Gallo, nel convento di Notker il Balbo (840-912) dove si coltiva l’arte del canto e della composizione musicale. Mi riferisco ovviamente al "tropo" del Quem quaeritis nel dramma liturgico Le Marie al Sepolcro. Il mutamento dell’originale liturgia – di qui il termine trovatore appunto da "tropo" - con un verso modificato e aggiunto, forse per esigenze musicali e/o didattiche, ha l’effetto di un’apertura rivoluzionaria alla creatività drammaturgica e lirica. Da quel momento è infatti possibile "variare", a fini poetici e drammatici, la dizione e il canto delle Sacre Scritture; che non sono più rigide, ma "interpretabili" dai cantori, e poi dagli attori - ossia i mimi che escono dalle chiese e trasformano, prima sul sagrato quindi nella piazza del mercato, le Sacre Rappresentazioni nei "comici" Misteri Buffi.
Dal dramma liturgico al sonetto moderno.
Il sonetto moderno, composto di strofe e versi, nasce così dalla variante di una rappresentazione sacra che permette musicalmente, ossia adattando il verso alla composizione, la versificazione creativa sulla base di quei concetti di Amore ed Erotismo che Sant’Agostino (anticipando la teoria junghiana del transfert, v. il tema dell’amore per Cristo) aveva definito come elementi basilari, se purificati dallo spirito e dalla rappresentazione artistica, della fede cristiana. Scrive Mario Bonfantini: «Anche il metro dell'ottava, che domina ovunque, ed era tipicamente narrativo e proprio dei poemi romanzeschi, è indizio significativo. Chiamiamo più propriamente "romanzesco" quel tipo di Sacra Rappresentazione nel quale l'elemento profano ormai predomina: perché il miracoloso è quasi completamente trapassato in meraviglioso, e l'interesse per gli strani casi dei protagonisti e per le trovate sceniche viene a soffocare quasi del tutto lo scopo edificante del dramma.» (Bonfantini, 1942: 619).
Scrive Paola Cavan a proposito del "tropo" del Quem quaeritis: «Notker il Balbo (840-912) monaco di San Gallo, con una lettera indirizzata al vescovo di Vercelli Liutwardo, premessa al suo Liber Sequentiarum (libro delle sequenze, cioè delle modulazioni melodiche), offre un documento molto interessante al fine di individuare la nascita del tropo: 'ogni modulazione del tuo canto deve corrispondere a una sillaba'. In questa lettera vi è testimonianza della fase nascente dei tropi all'interno del monastero di San Gallo, dove tra l'altro, si trovano monaci, il cui talento letterario e musicale è noto, come Notker e Tutilone. Ed è proprio quest'ultimo che, rimaneggiando il testo romano dell'ufficio notturno della Pasqua, che narra la visita al Santo Sepolcro delle tre Marie e l'annuncio dato dall'angelo dell'avvenuta Resurrezione, dà vita a un vero e proprio dramma che rappresenta un'innovazione rispetto alle letture liturgiche ufficiali. È un dialogo in quattro versi, che di norma viene recitato dai canonici durante l'introito della messa di Pasqua, e in cui tre sacerdoti che interpretano le tre Marie s'incontrano con un quarto che, fermo accanto all'altare, sostiene il ruolo dell'angelo» (Cavan, Quem quaeritis: origine del dramma liturgico, «Arte Ricerca», n° 9, Edizioni della Laguna, s.d.,)
La “critica” di Petrarca e Machiavelli.
Ciò spiega perché prima Petrarca, poi Machiavelli, "metteno in mezzo" il loro predecessore sull’origine drammatica della Commedia. Nel Secretum Petrarca non ha peli sulla lingua nel rivendicare la centralità della scrittura drammatica: «Ed io, acciò che, come dice Tullio, non si interponga troppo spesso dissi e disse, e acciò che la cosa paia davanti agli occhi e rappresentata da uomini presenti, le sentenze dell'egregio collocutore e mie non ho separato con altro circuito di parole, ma con la propria descrizione de' propri nomi: e questo modo mio di scrivere io l'ho imparato dal mio Cicerone: e lui prima da Platone l'aveva imparato.»
Machiavelli, due secoli dopo, nel Discorso o dialogo sopra la nostra lingua ribadisce fin dal titolo (Dialogo) il concetto petrarchesco della struttura teatrale (ne tratta Luigi Blasucci in La letteratura italiana, Milano, Mondadori, vol. 6, 2005, pag. 76): «Ma perché io voglio parlare un poco con Dante, per fuggire "egli disse" ed "io risposi", noterò gl'interlocutori davanti.»
In realtà Dante si era, piuttosto, impegnato nella ricerca di un discendenza più nobile. Fatto sta però che il capolavoro dantesco si fonda su un impianto (teatrale e linguistico, come sostenuto da un’ampia bibliografia che non ho qui modo di citare integralmente, basta digitare in internet le parole “teatralità di Dante”) che l’Alighieri trova, come afferma Machiavelli, già pronto per l’uso – cioè parlato per strada (grazie al teatro) e non verseggiato nella sonettistica cortigiana.
Tuttavia, come accennavo, Dante è in cerca di padri nobili: il "Notaro" Giacomo da Lentini gli cade a fagiolo, anche perché gli risulta difficile far risalire il Dolce stil novo alla trivialità di menestrelli, comici e saltimbanchi che cominciano a rielaborare ed adattare i Misteri definendoli buffi – cioè non più consoni alla liturgia sacra –, dando addirittura vita ad un linguaggio "volgare" internazionale, compensibile a Milano come a Roma, a Palermo come a Parigi, quel "gramelot" – un modo di espimersi efficace per le scene, di cui Dario Fo è divenuto un emblema vivente – spesso scurrile e poco "lirico".
Tornando a quanto osserva Paola Cavan, proprio il "tropo" drammatico del Quem quaeritis consentì inizialmente, senza rischiare troppo il collo per motivi di religione, la possibilità di rielaborare ed interpretare le Sacre Scritture attraverso il canto e la recitazione, così gettando le basi formali e contenutistiche (abbiamo già detto dell’amore per la Donna paradisiaca) del nascente sonetto – che era pur sempre scritto per essere recitato e cantato teatralmente: «Con queste drammatizzazioni dei testi liturgici, i fedeli assiepati nelle navate laterali delle chiese, per la prima volta vedono i canonici compiere dei 'gesti' nuovi. I singoli cantori che interpretano i personaggi biblici abbandonano i loro stalli nel presbiterio e avanzano verso l'altare cercando di assumere le caratteristiche dei personaggi di cui cantano le parole. 
È importante sottolineare la primaria importanza del coro dei chierici del capitolo che interviene sempre nel dramma liturgico esprimendo la vox populi, oppure per cantare i ritornelli. 
La 'tropizzazione' dei testi liturgici si diffonde ben presto in tutti i monasteri benedettini europei e nelle chiese basilicali e cattedrali, acquisendo via via caratteri sempre più realistici, come ci testimonia lo straordinario documento contenuto nella Regularis Concordia, in cui il benedettino inglese Ethelwold, abate di Abingdon nel 954, dopo una premessa che ne illustra il fine pedagogico, descrive la cerimonia del "Quem quaeritis" secondo la pratica in uso».
Diversi fattori contribuirono dunque, a partire dal XIII secolo, allo sviluppo della forma letteraria del sonetto che - grazie alla rielaborazione drammaturgica del nascente culto "mariano" - si sgancia dalla funzione liturgica per elevarsi al rango di “media” degli ideali politico-culturali del Rinascimento che trovano un punto di forza proprio nel mito della donna idealizzata. La volontà politica, nella prima metà del Duecento, di Federico II di fondare uno Stato laico antieclericale – di qui la scelta del sonetto amoroso, in qualche caso anche un po’ "spinto" (per questo Dante sbatte "il Notaro" in Purgatorio), in antitesi con gli argomenti religiosi delle laudi, come forma espressiva delle nuove concezioni; l’aspirazione di Dante, nel primissimo scorcio del Trecento, di affermarsi come erede del "nuovo stile" riallaciandosi, con i debiti "distinguo", alla tradizione letteraria duecentesca, anziché alla drammaturgia ad essa precedente (e qui va tenuto conto che l’influenza di Dante non è costante, almeno fino alla fine del Seicento); e, infine, l’editto di Francesco I di Valois che, nel 1539, decretò la nascita del francese come lingua ufficiale al posto del latino, fondando la "langue d’oïl" proprio sul mito carolingio esaltato da Turoldo nella Chanson de Roland (che pure qualcuno fa risalire alla tradizione giullaresca e teatrale), questi sono appunto questi alcuni dei fattori che resero possibile l’istituzionalizzazione della sonettistica come incunabolo delle letterature e lingue europee: un merito che invece, come abbiamo visto, spetterebbe a maggior titolo al teatro. E per approfondire questo argomento consiglio Le sacre rappresentazioni in Italia di Mario Bonfantini (Milano, Bompiani, 1942) e la Storia del Teatro di Agostino Lombardo (Torino, Eri Edizioni Rai, 1962).
Il paradosso teatrale.
Il convegno, interessante ed attuale soprattutto per gli aspetti della questione formalistica del sonetto e della sua diffusione continentale – mi riferisco in particolare al contributo di Peter Fröhlicher dell’Università di Zurigo (Du sonnet au renga, la rencontre de deux forms fixes), dovrebbe e potrebbe essere foriero di un nuovo corso di indagine critica. Per far ciò bisognerebbe però mettere in evidenza, come ho tentato di fare, l’origine drammatica di un genere che parte dalla teatralizzazione del rito liturgico; e che, paradossalmente, dopo un millennio, "incappa" nuovamente, con Raboni uomo di teatro e di poesia nonché traduttore di Baudelaire, nel "senso del tragico" di cui parla Antonio Porta.
Così potrei concludere con la considerazione avanzata da Domenico Pietropaolo (attualmente Dean del St. Michael College della Toronto University e direttore del Drama Center di Toronto) il quale auspica un risarcimento della cultura accademica nei confronti del teatro: «Purtroppo la disciplina degli studi teatrali fa ancora molta fatica a conquistarsi lo statuto di autonomia scientifica ed istituzionale che ad essa compete, vedendosi costretta nella maggior parte delle nostre università a farsi spazio all'interno di rigide strutture concepite per lo studio della letteratura» (Pietropaolo, Regia e Filologia negli studi teatrali, Toronto, UP, 2002, p. 1492).

Enrico Bernard, autore e storico del teatro antico e contemporaneo, si è laureato nel 1980 in Filosofia all’Università la Sapienza di Roma. Ha tenuto corsi e conferenze nelle più importanti università del Nordamerica ed è stato dal 2005 al 2010 artist in residence e direttore artistico del Middlebury College nel Vermont. Sta concludendo il dottorato all’Università di Zurigo, con la Professoressa Tatiana Crivelli, sulle sinergie tra arti visive e letteratura nell’ambito del neorealismo in riferimento al carteggio inedito tra gli scrittori Carlo Bernari e Cesare Zavattini. Nell’estate 2014 terrà un corso postdoc alla Mills University in California sul neorealismo.

 

 

 

 

Fonte: http://www.enricobernard.com/wp-content/uploads/2012/11/Appunti-sul-sonetto.docx

Sito web da visitare: http://www.enricobernard.com/

Autore del testo: sopra indicato nel documento di origine

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