Appunti su Vincent Van Gogh

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Appunti su Vincent Van Gogh

VINCENT VAN GOGH

E’ un pittore olandese, uno dei più grandi e affascinanti artisti non solo del suo tempo. E’ nato nel 1853 ed è morto nel 1890 in una località vicina a Parigi. L’esistenza e la sua carriera artistica sono state brevi, in particolare la sua carriera è stata compressa nell’arco di un quinquennio, dal 1885 al 1890. In tale periodo ha realizzato 640 opere, il che dimostra l’urgenza di manifestare le luci e le ombre della sua esistenza, i dolori, le sconfitte, le sofferenze, i contrasti legati alla sua indole inquieta, ai suoi squilibri psichici, in cui si alternavano momenti di euforia con atteggiamenti autolesionisti. Si è suicidato con un colpo di pistola che gli ha causato un’agonia di un paio di giorni. La figura di V.G. è emblematica: egli porta su di sé le contraddizioni e la crisi di un’epoca, di un conflitto, che, sia per quello che riguarda Gauguin sia per quello che riguarda V.G. , vede opporsi l’artista alla società, alle sue regole e alle ipocrisie. Entrambi anelavano ad instaurare rapporti umani più sinceri, diretti e gratificanti. Il primo cerca di realizzare tale obiettivo estendendo la sua ricerca in luoghi progressivamente più lontani dalla società occidentale. V. G. cercherà, allontanandosi da Parigi, dei luoghi più defilati e piccoli, più protetti, in cui trovare quell’equilibrio che lui non aveva dentro di sé e che cerca di proiettare al di fuori. Tutta la sua opera non è che un diario figurato in cui sia i paesaggi sia gli oggetti (ad esempio la serie dei girasoli) non sono altro che una proiezione dei suoi contrasti, delle sue lacerazioni ma anche della ricerca di tranquillità e riposo dagli affanni. V. G. ha bisogno di sentirsi in armonia e in pace con sé stesso ma in un modo che rasenta il patologico.

La sua famiglia era numerosa. Era figlio di un pastore protestante, per cui riceve un’educazione piuttosto severa. E’ da subito uno spirito inquieto ed errabondo in cui si manifestano desideri e aspirazioni presto contraddette. Inizialmente trova un impiego presso il fratello in una casa d’asta, che gli dà la possibilità di viaggiare a Bruxelles, a Parigi e a Londra, ma tale esperienza dura poco. Il fratello Teo, a cui lui sarà sempre legato, si prenderà cura di V., ospitandolo a Parigi, aiutandolo economicamente e incoraggiandolo. Fra loro inizia una corrispondenza, in parte conservata e pubblicata. Teo medierà il rapporto fra Gauguin e Vincent prima che Gauguin arrivasse ad Arles presso la casa gialla, convivenza che si concluse dopo appenda due mesi. Teo è stato sempre e in tutti i modi a fianco di V., gli procurava le tele, i colori, ha tentato di vendere le opere del fratello, e sarà legato al suo destino crudele, morendo dopo 6 mesi dalla sua morte.

Quando V. si licenzia dalla casa d’aste, decide di diventare pastore, ma quest’aspirazione viene ben presto abbandonata. Non seguì infatti gli studi di teologia ma, sentendo il bisogno di dedicarsi agli altri e di alleviare le sofferenze dei più poveri, decide di diventare un predicatore, vivendo come un contadino o un minatore, di essere un povero tra i poveri, seguendo alla lettera il messaggio evangelico. Il suo accostamento all’arte è da autodidatta. Decide di dedicarsi alla pittura seguendo l’esempio dei grandi maestri del suo tempo (fra cui Milliet), i cui dipinti sono caratterizzati da forti contrasti di luce. Per lui la pittura doveva testimoniare il suo tempo, per cui le sue prime opere sono di stampo realista.

I mangiatori di patate:

La sua prima opera è “I mangiatori di patate” (1885), caratterizzata da un realismo di pura impronta espressiva. La sua pittura è molto distante dallo stile di Milliet, ma nell’esasperazione dei dati realisti si ispira a Dumiet, per la forte carica espressiva, che esaspera alcune caratteristiche fino a deformarle, nell’esplicita volontà di sottolineare gli aspetti più penosi e degradanti di una situazione sociale di indigenza, che finisce per abbruttire le persone, che non sono brutte perché sono sporche, ma perché le condizioni in ci vivono le costringono a lavorare duramente per procurarsi il minimo indispensabile per la sopravvivenza. Si osserva l’interno di una casupola dal soffitto basso e dalle pareti annerite, poco accogliente; attorno al tavolo rischiarato da una luce di una lampada a petrolio che pende dal soffitto, è riunita una famiglia di contadini che condivide un pasto frugale (patate e caffè). Le patate sono arrivate dall’America inizialmente come pianta ornamentale, ma successivamente si è scoperto il loro valore nutrizionale divenendo l’alimento base della dieta della popolazione. Sia gli abiti, sia i volti e l’ambiente trasudano stanchezza, rassegnazione e le difficoltà di un’esistenza stentata. I volti sono segnati, duri, come se fossero scolpiti nel legno, con forme spigolose, con una linea di contorno netta. Le mani sono nodose, con dita lunghe. Nei loro corpi non c’è alcun tipo di grazia e armonia. V.G. cerca di far percepire con gli altri sensi tale condizione di indigenza. I contadini di Milliet invece pregano mentre lavorano e la natura gli propone dei tramonti meravigliosi. Il suo è uno stile rude, forte, ricco di contrasti, in cui non c’è spazio per il colore (l’opera è quasi monocrona).

Van Gogh arriva a Parigi nel febbraio del 1886 e rimane per due anni, vivendo insieme al fratello Teo, una convivenza difficile. E’ stato un momento fecondo, impegnativo e straordinario, perché poco alla volta, grazie alle amicizie di Teo, egli entra in contatto con i pittori impressionisti, come Monet, Pissarro, ha modo di vedere quei pittori realisti che ha amato tanto inizialmente, conosce Gauguin. Scoprì il colore. E’ inebriato da tutto quello che vede, perché Parigi gli consente di vedere tantissime opere, fra cui quelle di Seurat, ma soprattutto scopre l’arte giapponese.

Il Giappone diventerà il suo punto di riferimento, il paradiso in terra, un Giappone che non corrisponde al vero Giappone. Lui si costruisce un’idea delle stampe giapponesi. Nei suoi dipinti inserirà riferimenti di tale arte (profili di vulcani, gheshe e altri temi). Lui e altri artisti trovano in questa arte quei valori e quelle indicazioni tradotte visivamente, fra cui la maggiore semplicità, sinteticità, tagli asimmetrici, linee che racchiudono le forme, colore steso in campiture uniformi senza modulazioni chiaroscurali, assenza di prospettiva, assenza degli indici di profondità, tutte caratteristiche assenti nell’arte occidentale. Piaceva molto l’usanza degli artisti giapponesi di scambiarsi gli autoritratti, cosa che Gauguin e V.G. faranno. Per V.G. il Giappone è l’eden, il luogo dove sarebbe voluto andare, luogo che nelle sue lettere rappresenta come sempre soleggiato e caldo.

Autoritratti: Primavera 1887-Inverno 1889

In tali opere il colore si schiarisce, non ha più le tonalità cupe e monocrone della prima fase, si scopre forte, suggestivo, come lo hanno fatto percepire gli impressionisti. Gli accostamenti sono quelli studiati sulla base del contrasto simultaneo di Seurat, ma del puntinismo V.G. non accoglie il metodo, il modo di procedere, razionale, filtrato, pacato e metodico, quasi scientifico. Riprende la pennellata, il modo di stendere il colore di Seurat, ma lo trasforma in una serie di pennellate più lunghe, cariche di materia, facendo diventare la stesura, il gesto, il modo in cui si stende il colore, un elemento fondamentale dello stile. Il gesto diventa espressione. Van Gogh si rappresenta in varie vesti. In uno, in particolare, si presenta come un cittadino parigino, con il cappello buono, l’aspetto più curato, la giacca con la camicia e la cravatta. In un altro si rappresenta con l’orecchio bendato, dopo la mutilazione provocatasi; indossa un pastrano, un cappello e fuma la pipa. In un altro si rappresenta in veste di pittore, con la tavolozza in mano. Lui era diverso e tale diversità si comprende dagli occhi, inquieti e inquietanti, resi ancora più speciali dal modo di stendere le pennellate, che scavano il volto, il quale appare emaciato. Le pennellate creano degli andamenti che dal centro vanno verso l’esterno. Lo sfondo è fatto da una specie di aura, con riferimento all’aureola, quell’alone dorato che circonda la figura che in genere è un santo o la Madonna. In questo caso l’aureola simboleggia che l’artista non è un uomo qualsiasi, ma è colui che capta  e sente qualcosa che gli altri sentiranno dopo, è una sorta di profeta, con una sensibilità che lo pone al di sopra degli altri, in grado di avvertire cose che l’uomo comune non avverte. Mentre in Gauguin tale aspetto è molto più esplicito, in V.G. non è così ostentato ma è percepibile.

I ritratti hanno una potenza espressiva impressionante. V.G. trasmette compassione, ossia una sofferenza interna.

Ritratto del Père Tanguy-1887:

Il colore diventa uno strumento privilegiato per esprimere le emozioni e gli stati d’animo, per superare l’angusta e circoscritta visione degli impressionisti. V.G. dipinge an plain air ma a differenza degli impressionisti egli guarda tutto ciò che gli sta attorno come la proiezione fuori di sé di ciò che lui prova. Il paesaggio e tutto ciò che lui dipinge, da una sedie alla cattedrale, da un campo di grano ad una persona, non è altro che una proiezione di lui nella realtà. Anche il colore non è usato più in maniera naturalistica ma in modo espressivo, per rappresentare una condizione esistenziale soggettiva. Tali dipinti fanno scoprire anche qualcosa di noi stessi. In quest’opera si osservano sullo sfondo molti elementi delle stampe giapponesi, influenza che si osserva dalle pennellate, dall’andamento ondulatorio e dalle linee.

Ad un certo punto la dimensione della metropoli parigina non fa che accentuare i malesseri di Van gogh, per cui egli decide di partire verso il sud della Francia, ad Arles. E’ convinto che il sole e il clima più mite possano giovare ai suoi nervi, possano dargli una maggiore tranquillità. Arriva nel 1888 e resta per più di un anno. Prima alloggia in una locanda, poi prende in affitto una casa, la casa gialla, intorno alla quale inizia ad intessere dei sogni, delle relazioni. Vuole che questa casa possa diventare una sorta di casa comune per tutti gli artisti come lui, indigenti, senza mezzi finanziari, per potersi aiutare reciprocamente e confrontarsi, mettere insieme le proprie esperienze. Teo diventa l’intermediario di questo progetto. Egli fa arrivare Gauguin negli ultimi mesi del 1888. La convivenza si rivela molto altalenante, perché le personalità erano poco compatibili. Dopo uno scontro verbale forte V.G. s recide l’orecchio. Egli viene ricoverato in una clinica psichiatrica, poi, poiché le sue condizioni si aggravano, dopo il ricovero ad Arles e San Remì, nel 1890 si trasferisce ad Auvers, poco distante da Parigi. Qui viene curato dal dottore Gachet, che era un collezionista a cui piaceva l’arte contemporanea. A lui V.G. dedicò un bellissimo ritratto.

Tra il 1888 e il 1889, V.G. realizza tre versioni della sua camera da letto ad Arles, della casa gialla. Nella sua camera da letto, semplice  e spoglia, ma dipinta con colori intensi ed accesi, vuole rappresentare il bisogno e l’esigenza di riposo e pace. In questa stanza, dal pavimento fatto da assi di legno e dalle pareti violette, vi sono oggetti che testimoniano un arredo semplice: un letto con una coperta rosso acceso, due dipinti appesi alle pareti, due stampe, indumenti (giacche, cappello). Le venature dell’assito del pavimento sono realizzate con linee nette ma il colore si scarica. La finestra non permette di vedere cosa c’è fuori (sguardo rivolto sempre verso sé stesso); uno specchio, un tavolino e gli oggetti per le abluzioni quotidiane. Molte cose sono a coppie (due sedie, due quadri). C’è un ribaltamento prospettico verso l’osservatore: nella definizione spaziale dell’ambiente, la rappresentazione induce questi effetti, ossia un ribaltamento del pavimento, muri non perpendicolari, inclinati verso l’interno. Rappresenta uno spazio chiuso, in cui anela al riposo, percepito però incombente, per cui la rappresentazione della stanza contrasta con la sua aspirazione di tranquillità.

La camera da pranzo della casa di Arles, secondo ciò che lui scrive al fratello, doveva essere decorata da una serie di dipinti rappresentanti girasoli. Egli realizza 12 tele, con cui pensava di decorare tale ambiente. Il girasole gira sempre verso la luce, che è calore, vita ed energia positiva. Da sempre l’idea del divino, che trascende l’esistenza umana, è associata all’idea della luce, del calore, del sole. La scelta di allestire una serie di tele con i girasoli ha quindi un fortissimo significato simbolico. Lui anelava ad instaurare un rapporto umano durevole, che potesse schiarire le ombre che lo opprimevano. La tecnica esecutiva è molto particolare, definita a cellette, fatta con un pennello carico di materia, che deposita sulla superficie della tela quantità di colore che dà l’idea delle tessere di un mosaico. Il giallo è intenso, carico ma al contempo sensuale. Tanta era la sua aspettativa rispetto al sogno che si era fatto sul progetto della casa gialla, che non riesce a gestire poi la delusione dell’esito di tale esperienza.

Notte stellata (Cipresso e paese)-1889

Raffigura un piccolo paese immerso nella notte, con un manto blu che ricopre ogni cosa, le montagne, i tetti, i campanili, in cui l’umanità sembra trovare requie, pace. L’unico che non dorme è lui. C’è un cipresso che si contorce verso l’alto, rappresentato con linee ondulate, contorte. La luna da cui emana una luce come un vortice, così come vortici sono le stelle. Il cielo è percorso da movimenti circolari, da spirali che sembrano risucchiare la sua anima.

Cipressi- 1889

Il quadro risale al giugno 1889, nel periodo immediatamente successivo al suo ricovero nell'ospedale Saint Paul di Saint-Rémy. I cipressi attraggono l'interesse di Van Gogh per la loro forma perfetta che si staglia diritta nel paesaggio circostante. Ebbe a dire l'artista che il cipresso «è bello di linea e proporzioni come un obelisco egizio». Lo stile è quello tipico dell'ultimo periodo di Van Gogh: pennellate molto nette di colore saturo stese in maniera sinuosa e curva. In questi quadri Van Gogh riesce a trasmettere una profonda carica di energia rendendo vitale ogni singola pennellata che pone sulla tela. L'impressione che ne deriva è di una sorta di corrente elettrica che percorre l'intera immagine, con i cipressi che diventano degli elettrodi che trasmettono energia dalla terra al cielo e viceversa.

La chiesa di Auvers- 1890

Questo quadro è una delle ultime tele realizzate da Van Gogh. Siamo nel periodo del suo soggiorno a Auvers-sur-Oise, il luogo dove si è suicidato. Ad essere rappresentata è la zona absidale della chiesa del paese, con in primo piano una stradina che si biforca e una contadina vista di spalle. La grande massa architettonica si staglia contro un cielo color cobalto, tipico della produzione di questo periodo. Il quadro è forse un tentativo di ricreare suggestioni già presenti nell’opera sintetista di Gauguin, fatta di rapporti tra religione e mondo contadino. Ma qui la vitalità della pennellata di Van Gogh rende l’immagine visionaria e quasi inquietante. L’edificio prende in effetti un aspetto "molle" e sembra quasi animarsi di vita propria. La sensazione è di trovarsi al cospetto di un artista talmente ipersensibile da vedere con occhi sovraeccitati tutta la realtà che lo circonda

Campo di grano- 1890

Questa è stata, con molta probabilità, l’ultima tela dipinta da Van Gogh. Dopo pochi giorni, in un campo di grano come quello raffigurato sul quadro, si sparò un colpo di pistola al cuore. È un artista oramai giunto alla soglia della disperazione interiore quello che dipinge questo quadro. Ed è una disperazione talmente forte che riesce a trasfigurare la visione che il pittore ha innanzi: un campo di grano diviene una immagine di massima intensità drammatica. Egli stesso, nello scrivere al fratello, aveva detto: «non ho avuto difficoltà nel cercare di esprimere la tristezza, la solitudine spinta all’eccesso».

Dopo aver dipinto «I mangiatori di patate», Van Gogh, nel 1886, si recò in Francia senza più far ritorno in Olanda. A Parigi si era trasferito il fratello Theo per dirigervi una galleria d’arte ed egli lo raggiunse. Si fermò nella capitale francese per due anni. Qui conobbe i maggiori pittori del periodo: Seurat, Gauguin, Toulouse-Lautrec, Pissarro, Bernard. Da loro egli apprese il piacere dei colori brillanti che costituiscono uno dei tratti fondamentali della pittura francese sia impressionista che postimpressionista.

Intanto perfezionava sempre più il suo stile personale. Nelle sue tele compaiono i tipici soggetti impressionisti. Vedute cittadine, come i Caffè visti di notte, o di soggetto naturalistico, come i vasi con fiori. Sono anni di relativa serenità. Dopo due anni di permanenza a Parigi decise di trasferirsi in Provenza, per conoscere la campagna francese. Si stabilì ad Arles. Qui, dopo la rottura con Gauguin, Van Gogh ebbe la prima seria crisi depressiva. Dopo il taglio dell’orecchio fu convinto dal dottor Rey a ricoverarsi in una casa di cura di Saint-Rémy-de-Provence. Qui produsse numerosi capolavori, quali «La ronda dei prigionieri», o la bellissima serie dei cipressi, che, come lingue di fuoco si alzano dalla terra verso cieli carichi di elettricità. Uscito dalla casa di cura nel 1890 si recò nuovamente a Parigi dal fratello. Vi restò solo pochi giorni. Si diresse a Auvers-sur-Oise dove lo ebbe in cura il dottor Gachet, di cui Van Gogh ci ha lasciato un famosissimo ritratto. Qui, Van Gogh dipinse, nel luglio del 1890, tre tele raffiguranti i campi di grano intorno al paese. Domenica 27 luglio, si diresse verso quegli stessi campi di grano. Aveva con se una pistola con la quale iniziò a sparare ai corvi che si aggiravano sui campi. E, in un momento di disperazione, si diresse la pistola al petto sparandosi un colpo al cuore. Non morì. Riuscì a trascinarsi fino al Café Revoux dove era a pensione. Il dottor Gachet, dopo averlo visitato, si rese conto della impossibilità di estrargli la pallottola dal cuore. Mandò a chiamare il fratello che giunse nel paese il giorno dopo. Vincent trascorse la giornata tranquillo, fumando la pipa e parlando con il fratello Theo. La sera Theo si stese di fianco al fratello. All’una e mezzo del mattino Vincent morì. Aveva trentasette anni.

«Il campo di grano con volo di corvi» è un paesaggio interiore. Un paesaggio fatto di solitudine e disperazione. In questa tela vi è racchiusa non solo la tragica esistenza del pittore ma tutta la sua vibrante tecnica esecutiva. Il quadro è realizzato con pochi colori fondamentali. Su una preparazione rossa, traccia dei segni gialli per indicare il grano, altri segni verdi e rossi per indicare le strade che attraversano i campi. Il cielo è di un blu cobalto cupo ed innaturale. Un cielo pesante ed oppressivo. Pochi tratteggi neri raffigurano un volo di corvi. La loro è una presenza inquietante. Il tutto è realizzato con una mirabile sintesi di colore, materia, gesto, segno, portati ad un livello massimo di esplosione drammatica.

«Il campo di grano con volo di corvi» è la più grande sinfonia coloristica mai realizzata sul dolore di vivere.

 

Fonte: http://www.diversamentesocial.it/pluginfile.php/152/mod_folder/content/0/appunti%20van%20Gogh.docx?forcedownload=1

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